Capitolo Quindici
«Bene, Shawn ha esaminato i sistemi di sicurezza, studiato il perimetro attraverso le telecamere e tracciato i movimenti usuali della banda. Sappiamo che non hanno ancora effettuato lo scambio, perché il conteiner con le armi è ancora lì, ed è sorvegliato mattina e sera. Ma, come vi dicevo, non si tratterà di riprendere il carico, ci basterà sottrarlo a loro. Manderà un messaggio più diretto.» Diretto quanto i suoi occhi in quel momento. La beffa bruciava più della perdita. Alejandro non aveva bisogno di soldi, ne aveva fin troppi, voleva solo consolidare la sua reputazione. Non poteva permettere ad un conteiner di portargli via ciò che aveva costruito in tanti anni. Solo che, in loco, non ci andava certo di prima persona.
«Quando interverremo?» Domandò Normani mentre Lauren era intenta a nascondere uno sbadiglio.
«Come vi ho detto, questa informazione rimane privata. Sarete pronti per allora, non preoccupatevi.» Rivolgeva occhiate circospette a quelle domande, motivo per cui Normani si era già pentita di averla posta.
La riunione terminò qualche minuto dopo, ma la corvina per allora si era già assopita. Il dorso della sua mano era il cuscino più comodo che avesse sperimentato, i rumori nella stanza solo una dolce ninnananna.
Improvvisamente il gomito le cadde come un ramoscello esposto al vento. Scattò in difesa, ma vedendo Normani di fronte a lei si limitò a niente più che un sospiro: «Cos'hai, quindici anni?»
«Non so se te ne sei accorta, ma il sonno rimane tale anche a quaranta.» Quel sorriso sornione era tutto ciò in cui Normani confidava.
«Si, ma tu mi sembri ancora lontana da quel compleanno. Quindi...» Quindi le stava chiedendo una risposta più veritiera del sarcasmo.
Lauren scrollò gli occhi al cielo, mettersi in piedi era come acquistare equilibrio per un funanbolo, solo che poteva contare sul sostegno dei muscoli per arginare le vertigini. Si, era Camila ad essersi ubriacata, ma la cubana aveva potuto smaltirla in cinque ore di sonno, mentre lei era riuscita a riposare solo per poco più di quaranta minuti. Era abituata alle levatacce, ma c'era un limite per tutto.
«Ci arriverò prima di quanto credi, se dovrò stare dietro a quella ragazzina per molto.» Digrignò i denti, ma le labbra si contrassero prima in uno sbadiglio.
«Ah, quindi le sei stata dietro?» La mente della corvina era troppo appannata per saper cogliere i doppi o tripli sensi di Normani, perciò non ottenne più di un assenso mugugnato.
«Beh, per quanto mi scocci ammetterlo,» era assonnata, sì, ma non lo sarebbe mai stata abbastanza da carpire il tono per niente "scocciato" di Normani, anzi. «Sarà anche una ragazzina, ma ha il sangue di Alejandro.» Se quello voleva essere un complimento era il peggiore dei momenti per elargirlo.
Comunque Lauren era troppo spossata anche per replicare, e prima che le parole potesse contraddirla, Camila interruppe il loro scambio attraversando la sala. Il suo problema non parevano i postumi della sera prima, ma più che altro i postumi in carne ed ossa che la seguivano a qualche metro di distanza.
«Voglio sapere dov'eri.» Siblò Shawn contro il suo orecchio, per l'ennesima vana volta.
«Te l'ho già detto. Sono andata in giardino a prendere una boccata d'aria.» Il volume altisonante non doveva essere un caso. Lauren era nelle vicinanze, e lei ci teneva a farle sapere cosa non dire.
La conversazione fra i due divenne niente più che un brusio quando si allontanarono in cucina, solo che la permanenza durò meno di quanto Lauren impiegasse ad assopirsi. Il cipiglio di Shawn non parve intento ad appiattirsi, tantomeno le occhiaie della cubana, che per quanto volesse dissimulare non poteva certo nascondere quelle fosse. Le sarebbe piaciuto dire che ubriacarsi era divertente, ma no: faceva schifo. O perlomeno, schifo era come si sentiva da quella mattina.
«Senti, Mila, se sono così arrabbiato è solo perché ci tengo a proteggerti, è chiaro?» A giudicare dal tono incalzante non si era accorto della presenza di Normani e Lauren, sedute a qualche metro da loro.
«Si, grazie, ma c'è uno stuolo di soldatini pronto a proteggermi. In più, in casi estremi, so farlo da sola, ok?» Avrebbe voluto rassicurarlo per porre fine a quel chiasso stordente, ma il tono saccente illuminò i ricordi del ragazzo e il letto vuoto alle tre del mattino parve una beffa indelbile. La pazienza svanì.
«Adesso mi dici dove cazzo eri ieri notte, altrimenti vado da tuo padre e gli racconto tutto.» Nonostante le parole fossero poco più di un sibilo adesso, Lauren trasse dalla sua espressione incattivita lo slancio per alzarsi.
«Shawn, stavo prendendo una...» Postulò la cubana, più robusta del piombo.
«Basta così! Adesso vieni con me.» La mano del ragazzo si chiuse come una tenaglia sul suo avambraccio e la trainò verso la rampa delle scale, incurante dei lamenti di Camila che, ora come ora, non sembrava sapersi difendere da sola. Ma lei non era sola.
Fu più veloce la mano di Lauren a poggiarsi sul petto del ragazzo che il piede di Shawn sul gradino. «Lasciala.»
Per un momento calò il gelo. Neppure Camila, che di scenari ne aveva valutati un ventaglio variegato, neppure lei aveva lontanamente previsto quella variabile. Malgrado gli scuri solchi sotto sulle guance, il bruciore al braccio e il martellare alle tempie aveva iniziato solo ora ad avvertire le vertigini.
«Cosa hai detto?» Ringhiò, più fuori di sé di tutte e due messe insieme.
«Ti ho detto, che la devi lasciare.» Ma dato che la presa sulla cubana non si allentava, la corvina lo colpì repentinamente sul gomito, ritrovandosi in una frazione di secondo le dita di Shawn strette contro la collotta del giubbotto. Non c'era cosa che detestava di più che un giubbotto sgualcito.
«Tu non mi sei mai piaciuta, nemmeno un po', cazzo.» Nemmeno gli occhi della cubana, la sera prima, erano tanto rossi. «Posso sopportarti se devo condividere con te lo spazio, ma che ora debba anche renderti partecipe della mia vita privata mi sembra un po' troppo, non ti pare?» Nonostante il divario fra loro fosse già abbastanza esiguo, la corvina avanzò un passo solo per tenergli testa.
«Smettetela, sembrate due bambini.» Normani intervenne solo verbalmente, e non fu abbastanza per spegnere la miccia. Non si trattava di capire se sarebbe partito il primo colpo o no, ma più che altro chi lo avrebbe sferrato per primo.
«Ok, basta.» Camila, invece, si intromise fisicamente, separandoli. Fece spola fra i loro sguardi ancora inaspriti. Se fosse degenerata la situazione non avrebbe saputo cosa fare se non assistere sprovveduta.
Inaspettatamente fu Lauren a retrocedere, abbandonando il ring. Il sospiro di sollievo di Normani fu identico a quello di Camila. Gli occhi di Shawn parvero ammorbidirsi solo quando incontrarono di nuovo il volto della cubana. Farfugliò qualche parola imbarazzata prima di andarsene, lasciandola a confrontarsi con la perplessità di Normani. Infine salì in camera sua. Fu più pesante il suo sbuffo che il tonfo della porta.
Durante la giornata, Camila non uscì dalla sua stanza, Lauren non alzò gli occhi dalla cartina -anche se ormai la conosceva a memoria- e Shawn non si presentò in sala prima delle otto. La squadra della corvina aveva appena ricevuto le ultime imbeccate da Lauren, quando i passi pesanti di Shawn l'affiancarono.
«Non ho voglia di...» Mise le mani avanti, ma il ragazzo l'anticipò.
«Nemmeno io.» Ora che aveva guadagnato la sua attenzione arrivava la parte più difficile: «Quello che ti ho detto lo penso davvero. Non mi piaci e non mi sei mai piaciuta... Però ieri sera c'eri tu a guardarle le spalle, e Camila è tornata in camera sana e salva, e questo mi basta e mi avanza.» Anche se confessarlo gli costò uno spasmo facciale.
Lauren incrociò le braccia al petto, seguiva le sue parole con aria sufficiente, non aveva modo migliore di rivolgersi a lui.
«Sono nervoso, perché Camila non mi rende partecipe più di niente. Di niente. E la cosa mi preoccupa, ecco perché a volte perdo il controllo.» Bella scusa del cazzo incolpare i suoi ormoni. Ma questo Lauren lo tenne per sé.
«Non voglio che le succeda nulla, ecco perché ho riferito ad Alejandro che stanotte ha cercato di scappare, ma che tu sei intervenuta prima che accadesse. Dovevo farlo.» No che non dovevi, coglione. «Mi ha chiesto se stasera posso dormire sul divano, per assicurarmi non succeda più, ma io sono troppo nervoso ancora e preferisco ci sia tu.» Qualcuno mi pagherà gli straordinari? Per quanto sarcastica potesse essere, nel profondo, molto molto molto profondo, era contenta che non restasse la mina vagante a sorvegliare la notatta. «Va bene?» Si stava spazientendo, come se la cordialità avesse un confine ben tracciato quando si trattava di Lauren.
La corvina lo squadrò a lungo, con la fronte aggrottata e lo sguardo cupo, ma alla fine annuì. Il sospiro che le dedicò l'altro fu il primo segnale amichevole nell'arco della loro conoscenza. Questo non evitò comunque che Shawn la ringraziasse a capo basso e se ne andasse rapidamente. Lauren arrotolò la cartina e si mise in cerca di una coperta per la notte.
Il divano era lussuoso come ogni altro supplettile della casa, ma non era altrettanto comodo e ben presto la schiena della corvina ne saggiò le conseguenze. Si avvoltolava cercando una posizione che non le accartocciasse le vertebre, ma era come chiedere ai sassi di essere piume. Quasi quasi preferiva dormire in auto. Era scomoda lo stesso, ma era abituata al sedile. Stava quasi per arrendersi, quando degli scricchiolii non originati dalle sue ossa ma dalle scale la misero in allerta. Sapeva chi si era tornato a casa a dormire e chi si fermato, ed era sicura che fossero tutti immersi nel cuscino. A quanto pareva Camila non ne aveva avuto abbastanza. Rimase accucciata sul divano, protetta dall'egida dell'ombra, finché lo scorrere della portafinestra le permise di alzare il capo oltre lo schienale e constatare di persona.
Ma non ci credo. Contrasse la mascella, mettendosi in piedi non senza proteste ossee. Riusciva più facilmente a metterla k.o. un divano che un pugno.
Prima che la cubana potesse sgattaiolare in giardino, la mano di Lauren si avvolse sul suo braccio, facendola prima trasalire poi sbuffare. «Che ci fai tu qui?»
«Ah, a me lo chiedi?» Inarcò un sopracciglio la corvina.
«Prendevo un po' d'aria.» Incassò le spalle la cubana, facendo rilucere il vestito suadente.
«Perché tu in giardino ci vai vestita così?» Alla domanda Camila non seppe rispondere se non balbettando.
Lauren scosse lentamente la testa, costringendola a fare dietrofront.
«Senti, vado e torno, ok? Solo un'ora, prometto che non berrò niente di niente. Voglio solo fare un giro in città.» Contrattare non servì a eludere l'imperativo della corvina. «Lauren, solo...» Prima che potesse sgusciare via, la corvina la prese in spalla, come la sera prima, solo che stavolta le proteste della cubana furono più vigorose senza la deterrenza dell'alcol. Per fortuna ebbe la decenza di non urlare. Sapeva che sarebbe andato più a suo discapito che altro.
Salire le scale fu la parte più complessa, ma in un modo o nell'altro riuscì a riportarla in camera e a chiudere l'uscio alle loro spalle prima che inveisse. «Che cazzo! Non posso nemmeno andare a fare un giro!»
«È pericoloso. Non so se te lo ricordi, ma qualche settimana fa ci hanno sparato addosso.» Le rinfrescò la memoria, ma la paura era stata rimpiazzata dalla rabbia.
«Proprio per questo! Non sono al sicuro da nessuna parte, tanto vale che mi diverta!» Non le piaceva quella filosfia, era troppo avventata e sconsiderata per non procurare danni a lungo raggio.
«Sei proprio una bambina, cazzo. Preferisci mettere in pericolo tutti che evitare una serata divertente.» Scosse il capo la corvina. Ora ne aveva fin sopra i capelli di lei, dei suoi vizi, dei suoi modi infantili.
«Io sarò anche una bambina, ma tu sei una presuntuosa. Credi di sapere tutto, credi che il mondo sia lineare, ma esistono anche delle emozioni, e a te non frega un cazzo di quelle!» Stava ancora parlando in merito alla fuga guastata, o c'era un risentimento latente?
«Meglio presuntuosa che egoista.» Ringhiò a denti stretti.
«Meglio essere egoista che un soldatino senza palle.» L'affermazione impattò le labbra di Lauren più di quanto sperasse.
«Cosa hai detto?» Avanzò minacciosamente, ma oltre a deglutire Camila non inditreggiò.
«È quello che sei. Un soldatino senza palle.» Anche se a tremare ora era lei.
Lauren serrò muscoli e mascella, fissando negli occhi quel guizzo viziato che si permetteva di canzonarla. Camila si rendeva conto di aver esagerato, e prima che le cose degenerassero si pentì in un sospiro greve, ma quando schiuse le labbra per scusarsi, Lauren aveva già schiuso le sue contro la sua bocca. Camila strabuzzò gli occhi, incapace di realizzare o comprendere. La corvina stava semplicemente premendo le labbra contro le sue. Non sapeva dire quanto durò, ma quando Lauren si allontanò da lei, Camila avvertì il fiato venirle meno. Per qualche secondo la camera si riempì solo dei loro respiri trafelati. Lauren abbassò lo sguardo solo quando il silenzio si protrasse più del dovuto. Non sapeva a cosa stesse pensando. Forse aveva sbagliato ed ora era lei a doversi scusare.
«Camila, mi..» Prima che potesse dire altro, la cubana le lanciò le braccia al collo e tuffò le labbra contro le sue.
Lauren era impreprata, ma lo fu per poco. Afferrò il suo viso fra le mani, approfondendo il bacio in modo che lel lingue si scontrassero tanto quanto i loro corpi. Camila gemeva solo al contatto con il suo respiro, che si era intensificato per lei. Lauren l'afferrò per i fianchi e la condusse contro la porta. La cubana armeggiò con la chiave, assicurandosi di chiuderla con almeno due mandate. A quel punto Lauren discostò il viso dal suo e la guardò nella penombra come se le stesse chiedendo se era davvero quello che voleva. O forse era troppo spaventata che fosse lei a volerlo troppo. Camila le artigliò la t-shirt e l'attirò a sé, lasciando che le sue labbra scivolassero contro la sua bocca proprio come il suo bacino strusciava contro il suo. Lauren sapeva che sarebbe stata una notte lunga.
Continua...
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