Capitolo Quattro
Una spiata interna li aveva permesso di scoprire il giorno e l'ora esatta dell'arrivo del carico. Le squadre erano già in fermento. Credevano che avrebbero avuto più tempo, invece mancavano poco più di dieci giorni all'ora x. Le bretelle di Shawn vibravano al ritmo delle sue arterie. Era palese che non fosse né preparato né tranquillo. Nelle precedenti operazioni aveva sempre avuto come minimo mesi o settimane per architettare ogni minimo dettaglio, calcolando imprevisti e impacci. Ora il tempo era l'unica cosa che mancava e la sua incompetenza fremeva sotto forma di nervosismo attorno alla stanza.
Lauren, a differenza sua, aveva sgobbato per ben un anno per strada, diventando amica di intoppi e cambi di programma. Non c'era molta differenza, per lei, fra bere un caffè e fare i conti con i guai. Anzi, più la situazione si complicava più sguainava il meglio di sé.
Il piano venne illustrato al centimetro da Normani. Per lei non era unq questione di tempo, quanto di precisione. Non aveva mai lasciato che il caso soprafacesse la deferenza, ed era con linee rosse e immagini sulla lavagna che contravveniva le fatalità.
Quando tutti i dettagli furono sistemati e Normani si sentì sicura abbastanza da poter dormire serena, tutti fecero per alzarsi, ma la mano austera di Shawn li indusse a restare. «Scusate, non ci vorrà molto. Vorrei soltanto dirvi che fra poco è il compleanno di Camila, è quasi un anno che è con noi e quindi mi sembra il momento giusto per festeggiare entrambe le ricorrenze. Tenetevi liberi per sabato sera. E poi...» Si schiarì la voce come se qualcosa oltre il suo narcisismo li occludesse la gola. «Oggi è meglio se non state intorno a Camila.» Fece una pausa. «È un giorno difficile per lei.»
Tutti si ammutolirono, tranne il sarcasmo immortale di Lauren. «Quale giorno? Il giorno in cui ha perso il suo vestitino preferito?»
Shawn la fulminò con lo sguardo, mentre tutto il resto della sala, stranamente, non rideva della sua mordacità. «Il giorno in cui ha perso sua madre.» Fu anche la prima volta che la corvina incassò senza repliche. Shawn proclamò conclusa la riunione e non si penò di nascondere l'irruenza dei suoi passi mentre abbandonava la stanza ancora silenziosa.
«Inizia bene la giornata.» Normani le dedicò due pacche sule spalle, ma anche lei tenne lo sguardo basso, come se fosse meglio evitarle il rossore delle sue guance. Almeno qualcuno provava vergogna al posto suo.
Anche Alejandro conservava perfettamente stirati solamente la giacca di velluto e il fazzoletto da taschino, tutto il resto era visibilmente spiegazzato. Non si era mai accorta che con tutte le rughe del suo volto avrebbe potuto mappare la cartina d'America, forse perché quei solchi sparivano sotto la maschera del potere, ma anche il dominio più invidiabile del globo sarebbe crollato sotto il dolore dello scettro del re. Poteva rifornire i russi con armi illegali, fare affari con i clan di tutta America e risultare comunque l'unico e solo ad avere il controllo, poteva anche far viaggiare cargo pieni di cocaina da un conteninte all'altro, ma non aveva il potere di resuscitare i morti e quella pareva una colpa che anno dopo anno lo affliggeva come una maledizione.
Lauren lavorava per lui da diversi anni, ma non c'erano mai stati Natali in cui confidarsi i segreti di famiglia. Non si era mai chiesta dove fosse sua moglie. In cuor suo -per così dire- presumeva si trovasse con Camila, lontana dai riflettori e dalle mosse pericolose dell'impero Cabello. E in parte aveva ragione, solo che dove si trovava adesso era un luogo da dove non sarebbe tornata.
Shawn tentò due volte di bussare alla porta di camera di Camila, anche solo per aggiornarla sulla festa prestabilita, ma la cubana lo scacciò stentorea con l'espediente dei compiti. Alejandro non si avvicinò nemmeno all'uscio della sua stanza. Il che, secondo Lauren, era strano.
Alle quattro in punto, Lucy, Keana, Normani, Julie e il resto della banda si adunarono concentrazione e incertezze nella stanza di comando. Lauren doveva spiegare loro come si sarebbero mossi. Normani aveva pensato alla parte logistica, Lauren a quella pratica. Durante le spiegazioni avvertì la tensione fendere ogni suoi gesto, c'era una chiara competizione fra gli sguardi obliqui delle due ragazze. Con Keana non c'era bisogno di spiegarsi, visto che viveva la vita come Lauren: un'avventura senza troppi grattacapi. Ma Lucy era una storia diversa. Aveva il sentore che gli occhi della donna la trovassero ancor prima di entrare nella stanza. Non le piaceva doversi ripetere, ma soprattutto non pensava fosse necessario chiarire perché non dormiva mai con lei dopo il sesso. Invece, evidentemente, Lucy carpiva solo ciò che le faceva comodo, e se Lauren era brava a supervisionare un'operazione d'alto rischio, non lo era affatto a gestire situazioni sentimentali. Voleva bene a Lucy, gliene voleva davvero, per questo sapeva che tenerla lontana era il modo migliore per ferirla il meno possibile.
Quando tutti lasciarono la stanza, scese in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, ma in realtà non era la sete il bisogno primario quanto la voglia di allontanarsi. I ragazzi sciamarono, compresa Normani, che sotto le direttive di Lauren andò a riferire ad Alejandro i progressi. Come già sapeva, era brava a sparare ma non tanto a nascondersi, e non aveva considerato che la cucina era abbastanza esposta da permettere agli occhi di Lucy di seguirla.
«È stata una bella riunione.» Si appoggiò a braccia conserte contro lo stipite, ma voleva tutto oltre che coprirsi.
«Uhm.» Annuì, ingollando quello che sperava trasformarsi magicamente in liquore. Le componenti dell'acqua sarebbe dovute esser dotate di un radar, qualcosa che captasse la disperazione di una persona e si sublimasse in whisky, o vodka.
«Dio, come sei difficile.» Sospirò, abbandonando esasperata le braccia lungo il corpo e avanzando di qualche passo. «Mi guardi come se fossi una bomba pronta a esplodere.» Le si parò abbastanza vicino da farle intravedere i secondi mancanti alla detonazione. «Ma io voglio solo renderti le cose più facili, che credi.» Agguantò i lembi del giubbotto della donna e l'attirò a sé. Ora il ticchettio era un rimbombo nelle sue orecchie. E quello era il problema. Lauren non voleva esplodere, ma in situazioni di pericolo era la prima a lanciarsi nel mezzo.
«Sai che odio avere il giubbotto stropicciato.» Mormorò, togliendole le mani dal suo sacro risvolto in pelle.
«Posso stropicciarti altro.» Accennò un sorriso malizioso, lasciandole un bacio sulla mandibola e un altro sul mento.
«Ok, non è questo il posto adatto per...» Scosse la testa, ma la donna afferrò la sua guancia prima che potesse cambiare idea.
«Lo so che ti piace. Ti piace l'adrenalina e il rischio.» Sussurrò contro le sue labbra. «E so che ti piaccio io, più di chiunque altra ti sia portata a letto.» In parte era vero, ma non come lo intendeva lei almeno. A Lauren piaceva la sicumera della donna. Solo che Lucy non parlava di quello mentre le sfiorava le labbra con un sorriso trionfante.
Un suono sordo le fece sobbalzare. Lucy si distaccò immediatamente, mentre Lauren voltò di scatto la testa per trovare un bicchiere rotto in terra e la mano di Camila scheggiata. «Si, si, fate come se non ci fossi. Tanto che tu non sapessi cosa fossero le porte l'avevo capito.» Sbuffò sarcastica, senza alzare nemmeno lo sguardo dal pavimento.
Lauren ringraziò che la sua mano si trovasse sul bancone, lo strinse talmente forte che si sbiancò le nocche. Incredibile, questa qui è proprio una ragazzina, cazzo, pensò su tutte le furie, ma ciò che davvero le rodeva era che aveva interrotto un momento che lei non era riuscita a fermare da sola.
«Vuoi una mano? Sembra che la tua sia messa male. Lascia fare a me.» Si candidò Lucy, ma la cubana la tenne distante con un'occhiata espressiva.
«Ce la faccio, è solo un taglio, grazie.» Non aveva visto sorriso più falso di quello, ma d'altro canto non doveva essere molto contenta di trovarsi in quella situazione scomoda durante un giorno particolarmente difficile.
Lucy sospirò e retrocesse, andandosi ad appoggiare contro il tavolo. Lauren rimase dov'era, contro il bancone. Scrutava Camila con le braccia conserte e lo sguardo di chi non vuole intromettersi ma nemmeno tirarsi indietro. Dalle gocce rosse sul pavimento doveva essersi tagliata abbastanza in profondità, ma comunque non si sarebbe lasciata aiutare da nessuno, tantomeno da lei.
Shawn entrò a passo di marcia nella stanza. Vide prima i vetri rotti e poi il sangue e impallidì come un chiaro di luna. «Oddio, ti sei fatta male?» L'aiutò ad alzarsi, ma forse aveva dimenticato che non erano le gambe il problema, ma il taglio sulla mano.
«Si, era troppo in alto. Non capisco perché cazzo mettiate i bicchieri a due metri da terra.» Si lagnò, ma nonostante il fastidio provocato ai timpani della corvina, Shawn era un incompetente e incompetente restava.
Lauren afferrò il panno più vicino e, a giudicare dalla spallata, senza far caso a Mendes, artigliò Camila per una spalla e la girò verso di sé. Le avvolse la mano nella stoffa, abbastanza stretta da permettere al sangue di macchiarla ma di non sgocciolare più. «La devi tenere premuta, sennò non la smette.» Istruì, ignorando gli occhi di Camila che si erano posati storditi su di lei. La detestava ancora, l'aiutava solo perché sarebbe toccato a lei pulire quel disastro.
La corvina incontrò solo per un istante lo sguardo frastornato dell'altra. Intuì che aveva col sangue un rapporto più travagliato di quanto avesse con lei. Ma questo non bastò per più di dieci secondi a esserle riconoscente. «Lo stavo facendo da sola.» Ammise, tirando via la mano.
Lauren contenne un grugnito dietro il confine duro delle labbra e fremente se ne tornò al suo posto, ripromettendosi di non aiutarla nemmeno se la cazzo di mano se le si fosse staccata dal braccio.
«Camila, che posso fare?» Se ne uscì Shawn, probabilmente intento ad aiutarla, ma fu come cercare di fermare un'emorragia con un cerotto.
«Regalami un po' di spazio.» Poi a grandi falcate lasciò la stanza e i cocci rotti dietro di lei. Se solo avesse saputo che non erano solo i bicchieri soggetti a rompersi, si sarebbe accorta delle crepature sul viso di tutte e tre le persone nella stanza.
Normani e Lauren erano rimaste a casa Cabello fino a sera inoltrata. A quanto pareva avevano fatto bene a festeggiare il giorno prima, perché non sarebbe capitata un'occasione simile molto presto, non ora che il fatidico giorno si avvicinava inesorbile. Lucy se ne era andata più arrabbiata di Mendes quella stessa mattina, solo che nessuno oltre Normani lo aveva notato. A giudicare dall'espressione di Lauren doveva essere colpa sua, anche se non sapeva ancora perché e non lo avrebbe saputo a breve dato che la corvina scartava l'argomento appena lo intavolava.
Attorno alle undici di sera l'unico rumore nella stanza di comando era il ronfare della collega. Doveva essersi stancata molto la notte precedente. Scosse la testa ma, al contrario di quanto si potesse pensare, sorrise mentre le adagiava la felpa sul torace. Se era sopravvissuta alle posizioni sghangerate di Julie, sarebbe sopravvissuta anche al torcicollo mattutino. Lauren, invece, aveva intenzione di tornare a dormire nel suo proprio letto, anche se Alejandro le aveva sempre detto di usare una delle stanze degli ospiti quando più preferiva, lei non si era mai intrattenuta dopo le undici.
Chiuse la porta credendo di lasciarsi l'ultimo rumore della casa alle spalle, ma invece venne sfiorata da un fruscio al piano di sotto. Non c'era nessuna luce accesa, il che le fece sperare di non cogliere in flagrante qualcuno dei suoi colleghi a divertirsi sul divano di Alejandro. Già mentre scendeva le scale notò che era vuoto. Il rumore però persisteva, e non si sentiva sicura a lasciare l'abitazione, dove fra l'altro dormiva Normani, con una pulce nell'orecchio. Seguì con passi felpati il suono, sopraggiungendo alla cucina.
Tirò un sospiro di sollievo troppo presto. Camila probabilmente era talmente testarda che aveva preferito soffrire tutto il pomeriggio piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno, e aveva aspettato fino a sera inoltrata per sciacquare la ferita. L'affiancò senza notificare la sua presenza, ma si accorse dell'errore solo quando fece per prenderle la mano e aiutarla. La cubana si girò di scatto, ma ormai le aveva visto le lacrime. «Merda,» bisbgliò sommessamente.
Lauren non era riuscita a consolare nemmeno sé stessa durante i funerali di Taylor, sua sorella. Figuriamoci se aveva l'accortezza giusta per asciugare la lacrime della cubana. Sapeva curare una ferita di qualsiasi entità, tranne quelle del passato.
Camila tornò a guardarla con la sua solita aria di sfida, ma anche nella penombra le sue gote erano ancora troppo bagnate per prenderla sul serio. «Ma tu non ce l'hai una fottuta casa?»
«Ci stavo andando.» Ripose atona, ma poi si appoggiò contro il bancone, mentre l'acqua scorreva ancora.
«Allora ciao.» Camila metteva davvero a dura prova la sua poca pazienza. Non la stava aiutando per gentilezza, semplicemente c'erano delle cose che sapeva fare molto bene e le piaceva metterle in pratica, ma quella ragazzina prendeva tutto sul personale, bene o male che fosse.
«Ma si, fanculo.» Mormorò, imboccando la strada per l'uscita, ma la mano della ragazza si schiuse su di lei. Era arrabbiata, angosciata, seccata e probabilmente anche risentita, eppure quello fu il tocco più genuino e delicato che qualcuno le avesse rivolto.
«Che palle,» sospirò roteando gli occhi al cielo. «Non so perché non la smette di sanguinare.» Il suo sguardo non aveva bisogno di altre parole. Le stava chiedendo il contrario di ciò che le aveva detto. Era impossibile capirla. Forse aveva trascorso troppo tempo con la sua ombra per comprendere come interagire con gli umani.
Lauren serrò la mascella e contrasse i muscoli, fissandola per un tempo che Camila ritenne troppo lungo per avere esito positivo. La verità era che aveva giurato di non aiutarla nemmeno se le fosse caduta la mano, ma non aveva messo in programma di vederle cadere altro, come le lacrime o la maschera. Emise un suono più simile ad un grugnito che ad un sospiro e si arrotolò la manica del giubbotto. Le afferrò la mano e con la torcia del telefono esaminò il dorso screziato. C'era un piccolissimo pezzettino di vetro, che con un tocco preciso e attento riuscì a rimuovere senza seccature.
«Dovrebbe andare.» Le portò la mano sotto l'acqua e attese con lei che il sangue si raggrumasse prima di lasciarla andare.
Forse si aspettava un misero grazie, ma quella notte imparò che una ragazzina rimane sempre una ragazzina, anche quando pare indifesa, sorpattuo quando è indifesa. «Se lo dici a qualcuno ti ammazzo.» La minacciò, e no, non si riferiva alla ferita che stava fasciando, ma a quelle che si era rappreso sulla pelle delle guance.
«Tranquilla, sei l'ultimo dei miei pensieri.» Terminò acerba, andandose a passo marziale.
Camila chiuse il rubinetto e tornò nella sua stanza. Si addormentò come se anche qualcos'altro avesse smesso di sanguinare.
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Ciao a tutti!
Ok, ci stiamo certamente addentrando nella storia. Quello che mi piace di Lauren è che, sì, è rude, sicuramente, ma nasconde dentro di sé più di quanto voglia ammettere. Camila invece, in questa fanfiction, dovrà imparare a fare i conti con la realtà, che metterà più a nudo i suoi sentimenti. Spero che la cosa vi stia coinvolgendo e vi aspetto nel prossimo capitolo.
Grazie a tutti.
A domani.
Sara.
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