Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo Dieci

Quell'assaggio al vetriolo le aveva conciliato il sonno. Shawn aveva dormito in un'altra stanza. Credeva fosse meglio restare separati visto che la mattina avrebbe dovuto conservare tutte le sue forze. Camila non lo contraddisse. Avrebbero impiegato tutto il giorno a ricontrollare il piano, a definire gli ultimi dettagli e poi, con il favore della notte, sarebbero entrati ed usciti senza problemi.

Camila stava pensando al fischio delle pallottole, a quanto le era battuto forte il cuore durante il suo compleanno, e a quanto assurdo fosse che qualcuno fosse disposto a sfidare la sorte di proposito. Come svegliare il can che dorme. Pensò che restando a letto non sarebbe stata sfiorata dalla baraonda di quella giornata, ma i passi frenetici nel corridoio e le voci concitate sgattaiolavano anche sotto lo spiraglio della porta e non avevano pietà dei suoi sogni.

Attese che i rumori dall'altra parte si attenuassero prima di sgusciare in bagno, ma mentre tendeva le orecchie, concentrata, sobbalzò per lo squillo improvviso e altisonante del telefono. Chi altri poteva essere se non Dinah?

«Ehi, come...»

«Perché non mi hai detto che era il tuo compleanno?» Perché è un giorno che detesto, e la mia festa si è trasformata in una sparatoria.

«Perché non sono solita festeggiare.» Non era una bugia in piena regola, considerando gli ultimi diciassette anni. Anzi, forse quelli erano stati anche migliori dell'ultimo.

«Mila, scusa se te lo dico, ma a volte parli come una cinquantenne in menopausa. Una torta non ha mai ucciso nessuno!» Una torta forse no, ma un proiettile glassato...

«Si, hai ragione,» il corridoio era sgombro, perciò poteva attraversare senza essere vista in déshabillé. «È solo che non ho avuto molto tempo, in più c'è l'esame di matemtica a breve...» Il mio ragazzo sta per assaltare un magazzino con un mitra. Chiuse la porta alle sue spalle, riprendendo fiato. Aveva più paura di esser vista col pigiama che di affrontare di nuovo un bossolo.

«Niente scusa. È il primo compleanno che possiamo celebrare assieme, dovresti farlo anche solo per questo.» Si stava giocando quella carta dunque. La regina del vittisimo, il re del contrimento, l'asso dei sensi di colpa. Era sicura avesse una carriera nel mondo del poker. «Stasera ti porto fuori, è deciso.»

«No, stasera no! Non posso perché...» perché sarò troppo in ansia per Lauren. Aspetta, no. Non per questo!

«Perché ho una cena di famiglia.» Per primo piatto serviamo pallottole al forno, come secondo esplosivi al contorno di dinamite, e per dessert un ammazzacaffè ak-47. Il suo subconscio quella mattina era più carico di tutta la squadra messa insieme.

«Va bene, allora facciamo domani.» Ci teneva davvero, e questa per Camila era una novità. Avere un'amica che non si dava per vinta finché non la sradicava dal divano, e temeva che con i suoi rifiuti l'avrebbe offesa irreparabilmente, ma suo padre non le avrebbe mai permesso di spostarsi in città come una normale ragazza della sua età. Così trovò un compromesso.

«Ah, sai cosa? Pensavo... Mi piacerebbe fare qualcosa di diverso per il mio compleanno, sai no?» Sperava di sì, perché lei non aveva idea di dove stesse andando a parare.

«Qualcosa di più adrenalinico che strusciarsi fra i feromoni a tempo di musica?» Descrizione accurata, accento ancora di più.

«Esatto, sì. Vorrei un'attività più di nicchia, ma comunque divertente e quindi ho.. Ho chiesto a, a, uhm, a Lauren di accompagnarci al paintball. Ehm.. Sorpresa.» Ti prego dimmi che non è vero. Spremette gli occhi, mordendosi la lingua. Sperava fosse una punizione esemplare per la prossima volta.

«Ma che figata! E che figa. Si, vengo.» Concordò senza esitazioni.

Dinah si prolungò in chiacchere, ma i suoni monocrde da parte della cubana furono l'unica presenza che riscosse. Camila non era tanto preoccupata per l'attività in sé, quanto per il dover chiedere un favore a Lauren. Si schiarì le idee sotto la doccia, mentre scendeva al piano inferiore era anche convinta del discorso che aveva modellato, ma quando si piantò davanti alla corvina, seduta al bancone della cucina, ritenne le sue parole solo insulse banalità.

Lauren stava studiando una cartina e segnando i punti cardinali, quando la cubana distese le braccia davanti a lei, dall'alta parte del bancone di legno, e rimase immobile con l'aria di chi aveva qualcosa da dire ma non sapeva come.

«Ti serve qualcosa?» Domandò perplessa.

«Ci sto arrivando, ok?» Suonò seccata ancor prima di parlare. Cominciavano bene.

Camila temporeggiò a capo basso. Lauren non poteva neanche focalizzarsi sulla cartina, almeno che non volesse segnare i punti fondamentali sulle braccia della cubana.  «Tranquilla, ho tutto il giorno.» La derise leggermente annoiata. Non era il momento per andare dietro ai capricci di una ragazzina.

«Ho bisogno di un favore.» Più che giocherellare con l'elastico al polso si pizzicava la pelle per incoraggiarsi a sputare il rospo. «Mio padre non mi lascerà uscire come se niente fosse, ma vorrei celebrare il compleanno anche con le mie amiche, visto com'è andata l'ultima volta...» Anche lei stava sfruttando le strategie di Dinah, consapevolmente. «Potrei aver detto che volevi accompagnarci al paintball.» Alzò lentamente gli occhi, e trovando le pupille sgranate della donna si rese conto dell'errore commesso. Sbuffò ancor prima di avere una risposta e fece per andarsene, ma la mano di Lauren l'agguantò provvidenzialmente, tenendola ferma contro il bancone.

I suoi occhi non preannunciavano niente di buono, però le sue labbra erano più morbide del previsto: «Se dovessi tornare viva, direi che mi devi un favore.» Accettò implicitamente, ma invece di sorriderne Camila si rabbuiò.

«Certo che tornerai, non dire stupidaggini.» Disse con un fil di voce, e senza rendersene conto non era più intrappolata sotto le mani di Lauren, ma era lei a cullare le sue.

Lauren mantenne lo sguardo fisso nel suo, ma non sapeva come interpetarlo. Camila era troppo candida per accettare la morte, oppure aveva paura di qualcos'altro? E lei? Lei di cosa aveva paura? E poi la cubana fece quella maledetta cosa che aveva fatto anche quella mattina durante l'allenamento. Le carezzò il dorso con il pollice. La corvina gonfiò il petto per non deglutire. Non gliela avevano mai fatto una carezza, o forse non l'aveva mai voluta lei, ma comunque quelle due erano le uniche che ricordava davvero.

«Lauren, abbiamo...» Sfilò rapidamente la mano, come se si fosse bruciata, e voltò di scatto la testa verso Lucy, che stava compilando una lista delle attrezzature mancanti.

Gli occhi della donna fecero in tempo a catturare la velocità del gesto, ma non a comprenderla. Si scambiò un sorriso con Camila che si scusò per l'interruzione e andò a cercare Shawn.

Stava parlottando con suo padre, entrambe però si limitarono a sorridere quando si avvicinò. Alejandro capì di doverli lasciare un po' da soli, per quanto soli potessero essere in mezzo a quel viavai.

«Mila, so che sei preoccupata per me, ma andrà tutto bene.» La rassicurò quando le braccia della cubana lo strinsero troppo forte per non esternare insicurezza.

Camila annuì contro la sua spalla, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Sentiva le ginocchia molli e le lacrime dietro le palpebre, ma, pur non sapendo perché, sentiva che se Shawn l'avesse vista così avrebbe guardato negli occhi la prima bugia. Mentre le parole del ragazzo continuavano a consolarla, la cubana alzò lo sguardo verso il soffitto per scacciare il pianto, ma fu ancora peggio perché nel suo raggio d'azione sfilarono Lucy e Lauren, ancora curvate sulla cartina. Gli occhi di Camila non si distaccavano da lei, ma la corvina se ne rese conto solo dopo diversi secondi. I suoi smeraldi fulgidi si inchiodarono nelle iridi patinate della cubana ed entrambe sentirono frizzare il dorso della mano, una sul punto dove si era tagliata, e l'altra nella zona dove l'aveva sfiorata. Tutte e due erano sensazioni più che esatte. Camila tornò a guardare Shawn, sorridendogli.

«È meglio se ti lascio finire le ultime cose. Ci vediamo dopo.» Lo baciò castamente sulle labbra e con grandi falcate postergò tutto dietro la porta di camera.

Il suo stato d'animo era talmente ingarbugliato che preferì passare il pomeriggio fra le equazioni che ad ascoltare le voci provenienti dalla sala. La sfioravano con la stessa potenza dei proiettili, solo che stavolta non c'era nessuno a difenderla. Ed era più difficile fugare presenze di carne che di piombo. Solo attorno alle dieci, Shawn si presentò in camera sua per salutarla. Non si era accorta dell'ora, forse perché l'unico orologio in camera sua lo aveva steso prono sulla scrivania. Ma non guardandolo il tempo scorre ancora più veloce. Aveva un sorriso melliflue, come se non indossasse la pistola alla cintura, o come se non l'avrebbe utilizzata da lì a poche ore. Camila lo abbracciò e gli disse di fare attenzione. Lui le chiese se volesse scendere al piano inferiore a salutare i ragazzi, disse che li avrebbe fatto piacere vederla. Lei scosse la testa. Non riusciva a muovere più di un passo e nella direzione opposta. Shawn le disse che sarebbe andato tutto per il verso giusto ma l'uscio si richiuse troppo sordamente per credergli.

Quando tutto fu silenzio, il respiro della cubana fu l'ultima onda serena. Il mare sarebbe stato più tempestoso del previsto.

Suo padre era asserragliato nel suo studio con un pugno di uomini che gestivano l'operazione a distanza. Camila camminava nervosamente nel corriodio, impossibilitata a tornare in camera, ma incapace anche di andare oltre la soglia. Un brusio esagitato traspirava dalla serratura, fomentando il passo della cubana. Alle undici tutti erano ancora relativamente tranquilli, a mezzanotte i colleghi di suo padre pestavano troppo ansiosamente il pavimento, alle una aveva trovato il coraggio di uscire dalla camera, ma aveva aspettato un'altra ora per abbassare la maniglia dello studio di suo padre.

Tutti gli occhi si levarono su di lei. Quello fu l'unico momento di silenzio della serata. Alejandro mosse una mano nella direzione dei ragazzi, come per dire di non fermarsi nonostante tutto, mentre raggiungeva Camila con le braccia già tese verso l'uscita.

«Non dovresti stare qui.»

«Voglio sapere cosa succede.» Si era scansata prima di essere indirizzata verso l'uscita.

«Va tutto bene, ma devi uscire.» Non aveva perso il vizio di tenerla all'oscuro dalle complicazioni. Era più forte di lui, quell'indole, ma c'era anche un'altra virtù più forte di lui, ed era quella negli occhi della cubana.

«Voglio sapere che cosa cazzo succede.» Scandì parola per parola, ottenendo un sospiro greve da parte di Alejandro che la rimirò con lo stesso sguardo che le dedicava durante le loro videochiamte, quando la sua caparbietà batteva la sua autorità.

«Ci sono stati dei problemi. Lo sapevano che avremmo attacato, così hanno sostituito le sentille con degli uomini armati e ci hanno teso loro l'imboscata. Non ci stiamo più concentrando su come prelevare il carico, ma su come portare fuori i ragazzi da lì.» Disse tutto d'un fiato, senza scuotersi. Pareva che ne avesse già viste tante di situazioni analoghe. Forse dava le feste il giorno prima proprio per quello. Perché sapeva che potevano essere le ultime.

«Chi c'è dentro?» Balbettò con labbra screpolate dalla paura.

«Non lo so, Mila. Stiamo provando a...» Un contatto radio interruppe la loro conversazione. Alejandro si precipitò alla scrivania, mentre sua figlia veniva scortata fuori da un ragazzo che ricordava averle regalato un pacco con la carta arabescata per il suo compleanno, ma di cui avrebbe ricordato la voce solo dopo quella sera.

Le chiuse la porta in faccia, lasciandola a respirare le imprecazioni dall'altra parte della stanza. Si adagiò contro il muro, fino al pavimento. Non ricordava per quanto tempo fosse rimasta sveglia e per quanto avesse dormito, e non sapeva nemmeno dire con esattezza chi l'avesse portata sul divano, il posto più vicino, ma era quasi certa che fosse stato suo padre a rimboccarle le coperte. Solo quando la luce del salotto si accese qualcuno andò a destarla. Alejandro non l'aveva mai svegliata prima di allora, fu la prima volta che vide il viso di suo padre come prima cosa al risveglio.

«Che c'è? Novità?» Non fece in tempo a stropicciarsi le palpebre che suo padre si era spostato dalla visuale per lasciare vedere dei ragazzi, un po' trasandato e malconci, che rientravano dalla porta.

Camila guizzò in piedi e aspettò che entrassero tutti per normalizzare il respiro. Shawn le sorrise da lontano, qualcuno era andato a dirgli che la cubana era rimasta ad aspettarlo tutta la notte. Lei si mise a correre, senza pensare a cosa i suoi piedi scalzi stessero mirando.

«Mila, va tutto...» Disse Shawn quando fu abbastanza vicina per aprire le braccia e accoglierla a sé, ma la cubana lo oltrepassò di volata e si tuffò al collo di qualcuno poco dietro di lui.

Lauren rimase paralizzata. Le braccia di Camila la stritolavano, ma erano gli occhi degli astanti a preoccuparla. Camila immerse la faccia nel suo collo e rimase inerme addosso a lei fin quando il profumo le inebriò le narici e si avvide di ciò che aveva appena fatto.

Si distaccò lentamente, deglutendo a fatica. Gli occhi della corvina la guardavano sbigottiti, il che non era tanto diverso da tutti gli altri sguardi. Camila dissimulò, pretendendo che fosse solo l'apprensione a dominarla. Allungò una mano verso Lucy, che era la più prossima, e strinse anche lei in un abbraccio. «Sono così contenta stiate tutti bene.» Ma mentre lo diceva guardava la corvina, che era ancora fossilizzata.

Quel suo gesto sciolse la tensione e tutti sciamarono lentamente. Camila allora accorse verso Shawn, che la prese anche lui fra le braccia. «Tu stai bene?» Domandò scostandole i capelli dal volto.

«Si, certo...» Abbozzò un sorriso, mentre dietro di lei i passi di Lauren si allontanavano, ma non il suo profumo.

Credo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro