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Il Riflesso Delle Parole

Londra, anno 1947: due anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
La vita della gente non è affatto facile, per ognuno di noi è così.
Il dopoguerra ci ha spinti di fronte ad una nuova realtà, dettando nient'altro che l'arrivo di una nuova era dinanzi a noi.
Un'era più conforme alla morale umana, che spera sempre nella giustizia del suo popolo e che, quasi utopicamente parlando, alleggerisce il male che sembriamo aver vissuto soltanto in precedenza; un passato remoto che non ci appartiene più.
Mi chiamo Isabelle e, anche se sono ancora molto giovane, la mia età non conta più.
Il mio volto è stato sfregiato, deturpato da un'arma nata dal male, e ormai quasi irriconoscibile da una volta.
È successo tutto così in fretta che, anche solo il ricordo di cosa mi fosse accaduto, iniziava a scivolare nell'oblio dei giorni che si susseguivano, ogni volta sempre più distanti e fugaci, come se la mia vita fosse stata messa in pausa.
Forse era solamente il mio cuore che si ostinava a voler dimenticarne tutti i passaggi... ma io non potevo, non volevo dimenticare.
Quel volto, per metà bruciato dall'esplosione di una bomba, apparteneva ormai ad una parte costante di me e, ogni volta che ne vedevo il riflesso specchiarsi da qualche parte, non riuscivo a non smettere di pensare a ciò che il mio aspetto dovesse regalare agli occhi di tutti.
Perché orribile, mostruoso, e persino ripugnante era ormai diventato il mio volto.
Fare la crocerossina in guerra mi era costato tanto, ma di certo... mi aveva permesso di conoscere la cosa più importante di tutte: quel miracolo, mandato a posta per me, che mi salvò e curò la mia ala spezzata, quasi fossi stata un uccellino caduto da un albero.
Nessuno mi guardava più. Nessuno sapeva perché mi erano caduti i capelli da un lato solo, o perché mi ritrovassi ad avere l'altro lato del viso completamente ustionato.
I lunghi capelli biondi che mi scivolavano in sinuose onde, gli occhi azzurri accesi e il largo sorriso che non mancava mai sulla mia espressione: erano gli unici ricordi di me che non mi abbandonavano mai.
Almeno fino a quando non incontrai lui.
Il mio Angelo, la mia unica speranza di vita, tutto ciò che rappresentava l'essenza vera del mio cuore e colui che mi aiutò a ridestarmi da un periodo buio, che adesso stentavo a ricordare. Era bastata la presenza di Sebastian, l'unico amore della mia vita, a risollevare la mia anima e a farmi capire che niente era più importante di un sentimento unico come l'amore.
Accadde tutto in un giorno, una di quelle solite giornate in cui l'aria di Londra si ostinava a mantenersi irrespirabile e dove la pioggia risuonava incessante sulle grondaie degli edifici.
Il mio mantello riusciva a proteggermi dalla pioggia, così come nascondeva il mio viso sfregiato per sempre dall'esplosione di una bomba.
Correvo, correvo e correvo ancora. Cercavo di nascondermi dai passanti, sperando che questi non notassero il mio volto ripugnante e parte dei miei capelli mancanti.
Per quanto ciò che indossassi potesse camuffare il mio volto insieme alla forte pioggia, che continuava a scendere con impeto dal cielo... la mia paura non cessava mai. Ed era proprio quella paura, incredibilmente cieca, di ciò che potesse pensare di me la gente, ad avermi in pugno come nessun'altra cosa.
Era la prima volta, dopo due anni dalla fine della guerra, che uscivo finalmente di casa.
Mi sentivo sopraffatta dalla forte disperazione di starmene sempre lì a leggere, a studiare o ad ascoltare la madre che mi stava accanto, amareggiata dalle mie condizioni.
Quel giorno la mia voglia di evadere era prevalsa anticipando quasi tutte le mie paure, come se non fossero mai esistite.
Una sensazione profonda mi diceva che, nonostante l'acquazzone, avrei dovuto uscire a fare due passi.
E così, esattamente fu.
I miei occhi spaventati, atterriti da ciò che vedevo nello sguardo delle persone quando incrociavano il mio volto, però, mi portarono a ritornare sui miei passi quasi immediatamente...
E quindi, di nuovo. Correvo, correvo e correvo ancora.
Ma fu proprio quello che accadde in quell'istante a cambiare il mio destino.
All'improvviso il mio corpo si scontrò contro qualcuno, perché così il fato aveva deciso.
«Signorina! Si sente bene?» Mi chiese l'uomo con cui mi ero appena scontrata.
Indossava un abito nero classico, molto elegante e che gli donava alla perfezione sul corpo ben slanciato.
Non riuscivo ad alzare il volto sul suo, non ne avevo il coraggio.
Ero totalmente e terribilmente impaurita da ciò che potesse pensare di me quell'uomo.
«S-sì, è tutto a posto. La ringrazio e mi scusi se le sono venuta addosso in quel modo, non era nelle mie intenzioni...» cercai di spiegargli, il volto ancora basso sui miei stivali.
«Non si preoccupi, ma piuttosto... lei è sicura di stare bene? Mi sembra che stia tremando. E poi dov'è il suo ombrello? I suoi abiti sono completamente fradici.» La sua voce era un suono così gentile, che mi sentii subito scaldare il cuore.
«Sì, davvero. È tutto a posto... e poi, non vorrei levarle altro tempo. Quindi, se permette...» Cercai di superarlo, ma in quel momento qualcosa mi tenne inchiodata sul posto.
Era stata la sua mano, ancora occupata sulla presa dell'ombrello, che, con un tocco leggero e gentile, ormai mi impediva di andarmene via.
«Aspetti... vorrei almeno accompagnarla alla sua abitazione, se mi concede. Io ho soltanto un ombrello, è piccolo... ma almeno ci terrà al riparo tutti e due. Non crede anche lei?» Il suo petto si mosse come al movimento di un sorriso. Poi posò il suo ombrello anche su di me, interrompendo le ormai lente goccioline della pioggia sulla mia testa.
«I-io non credo sia una buona idea... ma la ringrazio lo stesso, mr.?» dissi tutto d'un fiato, il battito che accelerava sul mio petto sempre più veloce.
«Sebastian! Sebastian Adams è il mio nome. E il suo, se posso chiederle?»
Mi sfuggii un piccolo sorriso dalle labbra.
Anche se non avevo ancora visto il suo volto, mi ero già innamorata di qualcosa come la sua voce e infine il suo nome, affascinante come ciò che sembrava esprimere tutta la sua personalità.
«Il mio è Isabelle, piacere di conoscerla... Mr. Adams.» dissi poi, il cuore che non smetteva in nessun modo di calmarsi.
Che mi succedeva? Perché, anche se sapevo di voler andare via, non lo facevo ancora?
Era come se i miei piedi rimanessero bloccati sul marciapiede per volontà propria, intenti a tenere la mia vita legata a quella di quell'uomo lì, davanti a me.
«Posso vedere il suo volto?» mi chiese improvvisamente, il tono dolce e con una nota ingenua.
Il tempo si fermò, la pioggia pure.
«N-on saprei... non vorreste.»
Sentii il suo respiro più vicino. «Perché dite così? La vostra bellezza vi spaventa, forse?»
Sospirai. «No. N-non è questo... è che sono sicura non vi piacerebbe. Sareste voi a rimanerne spaventati...»
Sentii Sebastian sorridere, poi lasciò cadere l'ombrello che teneva in mano.
«Non credo possa essere peggiore di questo.» Con la mano libera alzò la manica dell'altro braccio, rivelandone nient'altro che uno spazio vuoto.
A quanto pareva il suo braccio era stato reciso molto tempo prima, ma, il fatto che in quel secondo me lo stesse mostrando, a lui non sembrava importare affatto.
«Che vi è successo?» mi lasciai sfuggire con tono sincero.
«Me lo ha portato via la guerra... ma ormai non ha più importanza. Ho imparato a conviverci... mi credete?»
«Sì...» sussurrai. «Anche a me la guerra ha portato via qualcosa.» così dicendo alzai il cappuccio del mantello e gli mostrai finalmente il mio volto deturpato, con una sorta di coraggio a cui, prima di quel momento, non avrei mai potuto fare affidamento.
Il suo volto mi apparve tranquillo, sereno... e, nonostante la cicatrice che gli rigava il volto e che gli aveva fatto perdere un occhio, il suo volto mi appariva davvero incantevole come quello di un Angelo.
«La spaventa ciò che vede?» mi chiese, l'occhio color nocciola che mi guardava affascinato.
Risi. Era impossibile che lo stesse chiedendo proprio a me.
«No. E poi, come potrei mai esserlo date le mie condizioni?» Ritornai seria, l'improvvisa voglia di accarezzargli una guancia.
Sebastian, sotto la bombetta che portava, aveva un bel paio di riccioli castani. Doveva essere meraviglioso poter accarezzare anche quelli...
«A cosa sta pensando, Isabelle?» mi chiese, ridestandomi immediatamente dai miei pensieri.
«A quanto l'imperfezione possa risultare diversa su qualcun altro che non si tratti soltanto di me...» sorrisi appena.
Un angolo della bocca di Sebastian si incurvò in un sorriso, uno di quelli che avrei voluto osservare per tutta la vita. «Perché? Cosa vedono i suoi occhi in me, di così tanto diverso?»
«Ad essere onesta...» sorrisi. «Sono sicura che i miei occhi non vedano nulla che non vada nel suo aspetto. In lei, Mr. Adams, l'imperfezione mi sembra solo un'ombra... tutto il resto mi appare perfetto così com'è.»
Quelle parole mi sfuggirono improvvisamente di bocca, così come le avevo pensate. Imprevedibili, sincere e del tutto reali, mi erano apparse.
Sebastian avvicinò sempre di più il suo corpo al mio, quasi fino a toccarci.
«Se potessi essere il riflesso delle sue parole, rifletterei su di lei ciò che mi ha appena detto... Isabelle.» Lentamente... avvicinò la sua mano al mio viso, per poi accarezzarlo con una infinita dolcezza.
A quelle parole, arrossii violentemente. «È solo merito della sua persona, Mr. Adams.» sussurrai quasi.
«Vorrà dire che il Destino ha scelto per me, o forse... per noi?»
Gli sorrisi più rilassata, notando le nuvole che iniziavano a disperdersi nel cielo. «Guardi!» esordii. «Il cielo si sta aprendo!»
Rise come se le mie parole lo divertissero. «Lo vedo!»
«Oh! Il sole... non ci speravo quasi più.» commentai, estasiata dai raggi che riscaldavano ogni parte del mio corpo, fin dentro le ossa.
Vidi il volto di Sebastian posarsi nuovamente su di me. «E io non speravo quasi più nel tuo arrivo, Isabelle...» disse e lì, in quel preciso istante e da quel momento in poi, il mio cuore ricominciò finalmente a vivere.
Il cielo mi stava mostrando il Paradiso, ne ero certa... e con lui aveva portato un Angelo.
L'Angelo che, da quel momento in poi, mi avrebbe mostrato quel paradiso che era la vita.

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