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5. Il mondo là fuori

Un vago odore di fumo, di metallo e di asfalto bagnato gli arrivava alle narici mentre nello stomaco percepiva il rombo vibrante dei bassi. Prese un respiro profondo, pur rischiando di soffocare nei suoi stessi conati. Marcio. Da quando avevano assunto forma umana, dal primo momento in cui si erano infiltrati nelle strade cittadine, era questa la parola che continuava a rimbalzare senza sosta nella mente di Haley. D'altronde questo era l'Altroregno: un posto marcio. Non sapeva quale fosse il motivo alla base della propria impressione, ma non poteva fare a meno di pensarci. C'era qualcosa che sapeva di putrefatto nelle fondamenta stesse di quel mondo.

Non aveva mai ritenuto Faerie un paradiso terrestre. Non lo era e mai lo sarebbe stato - mostri assetati di sangue e omicidi su pagamento erano all'ordine del giorno non soltanto nella Corte Unseelie - ma nei vicoli sporchi e freddi, sotto alle insegne al neon dei pub, fra le mattonelle umide del selciato e nel marasma di persone perse nei propri problemi Haley riusciva a vederci solo del marcio. Un mondo in decadenza, un mondo che non aveva più nulla da offrire ai suoi abitanti. Da quando l'uomo aveva messo piede sulla Terra, pensò il fae, era difficile scorgere quel poco di magia che era rimasta ancorata fra le chiome degli alberi, nelle risate dei bambini e nel flebile suono di campanelli d'argento.

Haley buttò la testa all'indietro, contro il muro umido e ruvido a cui si era appoggiato nella speranza di trovare un po' di sostegno. Fece una smorfia e si massaggiò le tempie con due dita, premendo con forza. Se solo fosse stato in grado di trasformare la propria energia in poteri curativi non avrebbe dovuto convivere con quel dannato pulsare alla testa. Era un effetto collaterale che gli toccava subire ogni volta in cui attraversava un passaggio fatato, come per una specie di jet-lag. Il cambiamento temporale lo lasciava sempre un po' confuso e tremendamente irritabile.

Di certo il posto in cui si trovavano non aiutava a diminuire il fastidio che provava. Sentiva il rimbombare della musica, seppure smorzata, come migliaia di coltelli conficcati nel cervello. Come per aggiungere al danno la beffa, in quello stesso momento qualcuno uscì dal locale e lo urtò violentemente con una spalla. Haley aprì gli occhi di scatto e fulminò il responsabile con uno sguardo di fuoco, trattenendo a stento un ringhio in fondo alla gola.

Lo sfortunato soggetto della sua ira non era altro che un ragazzino minuto e dai capelli verdi, tinti in tutta probabilità solo per l'occasione con la pretesa di sembrare diverso in un mondo creato in fabbrica. Squadrò Haley con arroganza, ma gli ci volle un solo secondo per rendersi conto della situazione e della rabbia ben visibile sul viso affilato dell'altro. Deglutì e si scansò senza aggiungere una parola oltre a un debole: «Scusami, amico» che lo fece apparire un bambino spaurito.

Haley lo osservò di sbieco ancora per alcuni istanti mentre lasciava il locale affollato e si dileguava verso un vicolo secondario in cui sparì insieme a un altro paio di ragazzi. Fece una smorfia e scosse la testa prima di lanicare uno sguardo pieno di disgusto all'insegna luminosa sopra la sua testa. In qualche modo quel luogo gli riportava alla mente le feste a cui Calum amava trascinarlo. Nonostante non fosse un amante del divertimento - come era invece la maggior parte dei suoi simili - i balli incantati e letali, le bevande maledette e dai colori sgargianti e le creature di ogni specie, aggrovigliate fra loro in sculture danzanti, erano cose che riuscivano a donargli quell'alito di vita di cui si ritrovava sempre più spesso mancante.

Adesso però, a differenza di quelle serate, Haley si sentiva vuoto, o almeno più vuoto del solito. Provava una sensazione di gelido nulla al centro del petto che gli impediva di apprezzare ciò che gli scorreva davanti agli occhi come invece avrebbe dovuto fare. Quale fata si sarebbe trattenuta dal compiere qualche scherzo a degli sfortunati passanti in un momento di noia? Haley sentiva di essere sbagliato, lo aveva sempre saputo, e ogni giorno sempre di più si convinceva di avere ragione. Era profondamente e irrimediabilmente sbagliato.

Sentì una risata rumorosa e subito dopo il calore di una mano contro la schiena lo fece sussultare. Individuò gli occhi dorati di Calum accanto a sè e il panico svanì di colpo. «Ley, hai fatto scappare quel poveretto a gambe levate. L'ho sempre detto che incuti un certo timore, ma quel tipo l'hai traumatizzato. Sei sicuro di sentirti bene?»

Haley scosse le spalle e tornò a chiudere gli occhi. «Sono nervoso. Ma vivo, credo che basti.»

«Ley...»

«Cal» scandì l'Unseelie con un fievole sorriso. «Stai tranquillo. Siamo qui da nemmeno tre ore, mi sembra fin troppo presto per cominciare a temere per la mia vita.»

Calum sospirò esasperato e sollevò le braccia al cielo. «Ogni volta in cui ti parlo mi trasmetti una ventata di allegria, grazie tante amico.»

Haley sbuffò, ma lasciò che le proprie labbra si deformassero in un sorrisino divertito.

L'amico roteò gli occhi. Conosceva Haley e sapeva quando era il momento di cambiare argomento, così si limitò a incurvare le spalle e ad affondare le mani nelle tasche dei jeans, indumento che il consigliere lo aveva costretto a indossare prima di uscire dal bosco. Il grosso sacco di tela che si era portato dietro faticosamente attraverso il lago era pieno di vestiti umani fuori taglia, ma in qualche modo si erano mantenuti asciutti. Forse Cedar li aveva incantati.

Calum si voltò verso le vetrate del locale nel tentativo di sbirciare all'interno. La sua pelle olivastra rifletteva le sfumature colorate delle luci stroboscopiche e aveva assunto lo stesso tono di quella di un pixie. «Cedar è lì dentro da un'infinità di tempo, non trovi? Se aveva intenzione di farsi una bevuta poteva anche invitarci.»

«Un pub mortale è l'ultimo posto in cui ti inviterebbe una persona sana di mente. Non sai controllarti» replicò Haley ironico.

Calum si aprì in un ghigno divertito mentre, alzatosi sulle punte, gli sussurrava piano all'orecchio: «Nessuno al mondo è davvero sano di mente.» Poi, come in un invito a impedirglielo, lo spinse via e spalancò le porte a vetri dell'edificio. Luci viola e blu miscelate a una musica martellante fuoriuscirono feroci all'esterno e attaccarono le orecchie di Haley. Il cerchio alla testa stava aumentando, ma quello era diventato ormai l'ultimo dei suoi problemi.

Calum si era infiltrato all'interno della sala e facendosi strada a spallate si stava dirigendo verso il bancone del bar. Un'ondata di proteste e insulti lo investirono fin dal primo passo. Lui si limitò a ridere e saltellò sul posto per riuscire a vedere oltre le teste delle persone e i loro tagli di capelli improponibili. Sperava di sparire dalla vista di Haley abbastanza in fretta, ma con il suo fisico magro e la sua mancanza di altezza finiva per essere trascinato da una parte all'altra della pista, ogni volta più lontano dalla sua meta. Quando sentì una mano afferrarlo per il braccio sapeva già a chi doveva appartenere e imprecò fra sé. La conferma gli giunse da un paio di occhi eterocromatici, nascosti da un ciuffo di capelli neri troppo cresciuti. Occhi molto arrabbiati. Gli sorrise sornione, come se nulla fosse accaduto. «Sì?»

«La prossima volta che ti azzardi a fare una cosa del genere mi faccio una collana con i tuoi denti, sia chiaro» lo minacciò invece Haley, non lasciandosi ingannare dall'aria innocente del Seelie. Gli tirò anzi un leggero schiaffo sulla nuca, giusto per dimostrargli che era serio.

Calum si portò una mano dietro al collo con aria offesa. «Come la fai lunga per una spintarella amichevole. Ti vedevo un po' annoiato e ho pensato di ravvivare la situazione. L'ho fatto più per te che per me. Ma non preoccuparti, ti perdono per non avermi ringraziato. So che non siete abituati alla gentilezza nella terra di Cafonilandia.»

Haley alzò gli occhi al cielo per poi passarsi un palmo freddo sulla fronte. La testa sembrava sul punto di esplodergli. Se solo fosse riuscito a raggiungere uno dei divanetti neri lungo le pareti e ad allontanarsi dalle casse avrebbe potuto provare a rilassarsi - per quanto gli fosse possibile con Calum alle calcagna. Per non parlare del calore soffocante che permeava la pista e della pressione di altri corpi contro il suo. Quest'ultima era la cosa che lo innervosiva di più. Non trovava un modo per isolarsi dalle persone che saltavano intorno a lui. Si sentiva in trappola: una trappola di carne umana e sudore che gli dava il voltastomaco.

Si sentì tirare d'un tratto tirare per una manica della camicia. Grugnì infastidito, con i nervi a fior di pelle e sul punto di scattare. Stava già riflettendo su come liberarsi di quel nuovo contrattempo quando abbassò lo sguardo, ma si ricompose all'istante. L'improvvisa apparizione del bugul nella forma umana che aveva scelto li aveva colti di sorpresa. Aveva mantenuto la sua bassa statura e il colore scuro dell'incarnato, motivo per cui non lo avevano notato subito nel buio della sala.

«Alla buon'ora» commentò ironico Calum. «Il servizio doveva essere ottimo se ci hai fatto aspettare là fuori per ore come due cani da guardia.»

Cedar inarcò un sopracciglio, mentre  Haley scoccò un'occhiata di rimprovero all'amico. «Dovevo incontrare una persona. Sono spiacente che abbiate dovuto attendere così a lungo, ma non eravamo rimasti in buoni rapporti. Ho dovuto risolvere alcune... questioni delicate.» Incespicò impercettibilmente sulle ultime parole, ma presto riprese il solito tono controllato. «Alla fine ho ottenuto ciò che cercavo» concluse e tirò fuori da una tasca della giacca grigia un mazzo di vecchie chiavi in ottone. Sembravano appartenere a un appartamento parecchio antico per gli standard umani.

Haley avrebbe voluto indagare oltre. Sapeva di doverlo fare per il bene della missione, ma non era decisamente dell'umore, nè nelle condizioni di porre domande sensate o anche soltanto di fingere interesse. Si limitò ad annuire. Calum invece reagì diversamente. Quando si volse a guardarlo il fae aveva gli occhi fuori dalle orbite e stava fissando Cedar come si fa con un pazzo. «Fammi capire bene. Tu sei stato qui dentro per due ore, hai discusso con un tizio, preso le chiavi della nostra abitazione e non hai trovato il tempo di portarmi qualcosa da bere?»

«Credo che tu abbia uno strano concetto di priorità, Millet. Vedrò di tenerti sotto controllo, prima che tu distrugga l'intera missione per un tuo sciocco desiderio. Ora seguitemi» fece il consigliere, voltando le spalle a entrambi e dirigendosi verso il retro del pub. I due fae lo seguirono a passo lento attraverso la folla, chi per la stanchezza e chi per la frustrazione, ma fecero attenzione a non perdere di vista il bugul nemmeno per un secondo.

Haley, tuttavia, aveva qualche problema a concentrarsi completamente sull'uomo davanti a sé. Non dipendeva solo dal mal di testa pulsante: percepiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se l'organo non riuscisse a smettere di contrarsi a vuoto. Non era la prima volta che gli accadeva e non si trattava mai di un segnale piacevole. Una di queste volte aveva scoperto il cadavere del suo cavallo preferito. Un'altra volta quello della sua balia. Un'altra ancora, beh... era quasi morto.

Per questo non proferì parola fino a quando non ne fu certo. Per questo non si stupì affatto quando, usciti all'esterno da una porta secondaria, annusò nell'aria l'odore del sangue. Per questo, quando Calum urlò spaventato e Cedar imprecò ad alta voce, Haley si era già isolato nella sua bolla. Notò con distacco la suola delle proprie scarpe bianche insozzata di liquido rosso e appiccicoso. Come sempre non sentì niente smuoversi nel petto. Odiava essere così, ma d'altra parte era rimasto freddo davanti a tante morti, una in più cosa cambiava nell'ordine delle cose? Il vuoto nelle orbite di un corpo senza vita non era poi tanto diverso dal buio che in notti come quella lo attirava nel suo abbraccio.

Prese un respiro profondo prima di squadrare con serietà i due compagni ancora scossi. «Smettetela di urlare, farete soltanto accorrere qui degli umani e questo rovinerebbe l'occasione che ci è appena stata offerta. Siamo qui per indagare o sbaglio? Volete gettare al vento la morte di questa persona?»

Calum scosse la testa, ma dal modo in cui si mordeva il labbro inferiore mentre fissava il cadavere squarciato in mezzo alla strada Haley dedusse che non sarebbe stato in grado di muovere un passo. Se lo aspettava, naturalmente. Era da quando aveva accettato l'incarico che temeva questo momento. Non voleva che l'amico, con la sua spiccata sensibilità, si sporcasse le mani e il cuore con quella violenza.

Fece tutto in modo meccanico e risoluto. Andò verso di lui, lo strinse a sè con un solo braccio in modo da oscurargli la vista sulla scena alle sue spalle e lo condusse al portone che Cedar gli aveva indicato. Era adiacente al locale da cui erano usciti, quindi non fu difficile da trovare. Sentiva Calum tremare. Era sicuro che ci avrebbe messo del tempo a riprendersi, ma puntava sulla sua indole da fae perché gli facesse presto perdere interesse per la sorte di un umano sconosciuto. Era pur sempre una fata: l'egoismo non era nulla di estraneo per loro. Gli affidò il mazzo di chiavi con la promessa di tornare subito da lui e raggiunse di corsa il consigliere, ancora fermo sulla scena del crimine.

«Come procediamo?»

Cedar alzò il capo per incontrare gli occhi scintillanti di Haley. Quello giallo gli aveva sempre ricordato in modo inquietante le iridi di un gatto, soprattutto se abbinato allo sguardo insensibile che aveva assunto da qualche minuto. Sembrava tornato ai tempi in cui lavorava per conto della Regina. Ricordava di averlo incrociato in un corridoio della Corte poco prima che venisse esiliato e di averlo salutato. L'espressione triste nei suoi lineamenti lo aveva turbato per anni. Anche la spensieratezza che aveva acquisito negli anni di lontananza sembrava sparita tutta in un colpo. Non ne conosceva il motivo, ma era molto preoccupato. Aveva visto cosa Haley fosse in grado di fare a sè stesso e agli altri quando staccava la mente dal corpo. Sperava solo che ritornasse presto in sé.

Il consigliere si riscosse e sotto allo sguardo attento dell'altro gli illustrò il procedimento che avrebbero dovuto eseguire. «Prima di tutto dobbiamo capire come la vittima è stata uccisa. Identificare l'arma e capire chi o cosa possa averla usata. Se trovi indizi sul possibile assassino sta attento a non contaminarli. Recupererò delle buste sigillate dal mio bagaglio e li raccoglierò io. Tu analizza le ferite.»

L'Unseelie annuì e si accucciò senza problemi accanto al corpo freddo. Aggrottò la fronte. Era ridotto male, molto male. Sembrava appartenere a una ragazza, ma non poteva esserne certo a prima vista con quel genere di squarci. Un lungo taglio verticale le attraversava il costato a partire dallo sterno, il viso era deformato e pieno di sangue. Forse era caduta mentre cercava di scappare. Haley aguzzò la vista mentre cercava di non toccare nulla. Sapeva riconoscere le ferite inferte da una lama e quelle non lo erano. La pelle era strappata, non tagliata. Quel lavoro era stato fatto da degli artigli. Lo spiegò in breve al bugul, per poi aggiungere: «Non è stata soltanto uccisa. È stata dissanguata.»

Cedar corrugò la fronte ampia. «Dissanguata?»

«Sì» annuì Haley. «Chiunque sia stato, si è portato via una bella dose del suo sangue. Quello che c'è a terra è troppo poco per provenire da simili ferite.»

«Potrebbe essere stato un animale, un goblin o qualsiasi altra creatura carnivora del Piccolo Popolo. Dalla ferita e dall'assenza di sangue -»

Haley ridacchiò e si sollevò in piedi mentre si puliva le mani sui pantaloni. Non aveva toccato niente, ma le sentiva comunque sporche. «Sì, sarebbe la spiegazione più logica. Per questo non può essere giusta.»

«Che intendi?» borbottò Cedar.

«Intendo che quello che dici è esattamente ciò che il responsabile vuole farci credere» spiegò ovvio il fae, annuendo come per concordare con se stesso.

Il consigliere lo osservò incuriosto. «Ripongo molta fiducia in te, Nightshade. Ma cosa ti fa pensare che le tue non siano solo paranoie? È solo il primo caso che esaminiamo.»

«Ammetto la possibilità di essere in errore, ma raramente il mio istinto di sbaglia. Ovviamente continueremo a indagare. Tuttavia, se vuoi il mio parere, nessun goblin ucciderebbe in quantità industriali umani e fate per pura alimentazione, soprattutto sapendo a cosa andrebbe incontro. Qui sotto c'è qualcosa di pianificato, qualcosa di complesso e malato. Di questo ero già sicuro prima di partire.»

Il bugul sospirò. «Spero quasi che tu ti stia sbagliando. Ma, come ti ho detto, mi fido fin troppo di te.»

«Qualsiasi fiducia in me è sempre fin troppa, ma cercherò di non deludere le tue aspettative finché mi sarà concesso» rispose quasi ridendo Haley prima di tornare verso l'appartamento che Cedar aveva ottenuto per loro. Pochi gradini di pietra davano accesso a un portone alto e spesso in legno massello, rovinato dalle intemperie e con un battente in ottone ossidato. Lo usò per richiamare Calum, ancora rintanato all'interno, e attese che l'amico corresse ad aprirgli per poi buttarglisi al collo come faceva sempre quando era spaventato da qualcosa.

Sentì alcuni rumori oltre la porta, segno che un Calum mezzo addormentato si era dimenticato dove aveva lasciato le chiavi. Sorrise fra sé sentendo la morsa del vuoto allentarsi intorno al suo petto. Il Seelie riusciva sempre a tirarlo fuori dalla sua bolla e a riportarlo nel mondo al di fuori di essa. Forse era questo il segreto del loro equilibrio.

Percepì finalmente il grattare delle chiavi nella serratura. Con un sorrisino e scuotendo la testa per l'eccessiva lentezza di Calum, Haley allungò una mano per ruotare il pomello, quando si bloccò. Sentiva un lieve bruciore fra le scapole, un punto fisso come un raggio laser. Si irrigidì di colpo. La porta si spalancò e Calum gli saltò addosso con impeto, ma Haley non riuscì a ricambiare la stretta. Tutti i suoi sensi erano concentrati su un'unica cosa, poco lontana da loro, ma nascosta agli occhi.

Si sentiva osservato. Lo sguardo di qualcuno lo colpiva fin dentro le ossa. Qualcuno che, immobile nell'ombra, li stava spiando.

Lanciò un rapido sguardo dietro di sè, ma tutto ciò che riuscì a scorgere fu un breve scintillio, subito soffocato dal buio. Di una cosa Haley era certo: quella presenza non prometteva nulla di buono.

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