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34. Scomode verità

Un rettangolo di vetro e legno scuro, rovinato ai bordi e vicino al pomello per l'usura. La porta di casa sua non gli era mai parsa tanto spaventosa.

Thomas si grattò la nuca con una smorfia cucita in volto. I punti dovevano essere stati fatti da una mano esperta, perché i suoi lineamenti sembravano ben decisi a non tornare al proprio posto. Sbuffò. Doveva solo entrare. Erano le cinque del mattino, nessuno sarebbe stato già sveglio. Avrebbe recuperato una scatola di cereali dalla dispensa producendo il minimo rumore possibile, magari rubato una lattina di birra dal frigo, e poi sarebbe sgattaiolato di nuovo dall'altra parte della città, nell'appartamento che Cedar aveva temporanemente affittato per nascondere i suoi piani ai due fae in viaggio. Non era nulla di complicato, niente che non avesse già fatto decine di volte. Eppure quella mattina era dubbioso. Nervoso, a dire il vero. Era scappato nel bel mezzo di una discussione e Mikhail non era noto per la sua comprensione. Era testardo, permaloso e rancoroso, ma comprensivo no, proprio no. Se l'avesse colto con le mani nel sacco lo avrebbe fatto pentire per il resto della sua vita.

Va bene, non c'è nulla di cui aver paura. Entri, prendi, esci. Semplice. Non incontrerai nessuno in questi due minuti. Sembrava semplice a pensarlo. Posò la mano sulla maniglia. La sentiva fredda sotto la pelle. Mille aghi di ghiaccio gli bucarono il palmo come spine di una rosa. La porta si aprì per la sua spinta e cigolò sui cardini a causa del freddo. Thomas strinse le palpebre. Nel silenzio dell'ingresso quel suono gli parve simile al richiamo di un grosso rapace. Doveva fare in fretta.

Sgusciò in cucina senza emettere un suono. Le suole delle scarpe scricchiolavano sul parquet, ma le ignorò mentre sollevava la testa per scrutare nella dispensa, posta sopra il lavabo. C'erano due piatti sporchi, due bicchieri e due forchette. Suo padre non aveva cenato la sera prima, segno più che palese dell'aggressività che avrebbe mantenuto anche quella mattina. Si alzò sulle punte e scavò con una mano sul fondo del ripiano. Agguantò la prima scatola che riuscì a raggiungere e la tirò giù. La faccia sorridente di un orso blu lo fissava da dietro una ciotola di latte e cereali al cioccolato. Scrollò le spalle, per poi infilare le dita nella busta aperta. Non aveva tempo per il latte, sempre che ce ne fosse.

Sgranocchiando i cereali dal palmo della mano e con la confezione sottobraccio aprì anche l'anta del frigorifero. Era ricoperta di calamite di poco gusto, ma non aveva il coraggio per dirlo di fronte a sua nonna. La luce bianca illuminò la desolazione all'interno dell'elettrodomestico come il sole invernale su una landa ghiacciata. Un cavolo mezzo marcio, un pacco da sei di birra scura e alcuni contenitori ermetici di plastica con gli avanzi della cena d'asporto lo osservavano tristi dai ripiani. Thomas roteò gli occhi. Fra i litigi per la sparizione di Willow e i turni di ronda nessuno in quella casa si degnava di fare la spesa. Anise era troppo anziana per muoversi, la madre era occupata con le faccende politiche e il padre con le ricerche. Rimaneva lui, l'unico idiota a doversi arrangiare.

Afferrò una lattina, districandola dall'involucro di plastica bianca, e la incastrò insieme alla scatola per avere una mano libera. Una colazione al volo non era una novità per lui. Si sarebbe rifatto in seguito con il pranzo, se fosse riuscito a convincere Fionn a offrirglielo.

Fece per girarsi e raggiungere di soppiatto la porta, quando la birra gli sfuggì dalla presa per poi schiantarsi al suolo. Il rimbombo lo raggelò. Strinse i denti e chiuse gli occhi. Uno sciame di maledizioni si era depositato sulla punta della sua lingua in attesa di essere pronunciato, ma Thomas non era intenzionato a farsi sfuggire anche quello. Si chinò in fretta e furia, afferrò il contenitore cilindrico - che era rotolato contro una gamba del tavolo da pranzo - e si rialzò in meno di un secondo. Missione compiuta. È l'ora della fuga.

«Dove credi di andare?»

Thomas sobbalzò. La sua testa ruotò autonomamente di novanta gradi fino a incontrare gli occhi scuri e accusatori di Mikhail, in piedi sull'ultimo gradino della scala. Lo vedeva di scorcio dalla porta della cucina, ma era impossibile da ignorare. Deglutì. Lo sapeva. Sapeva di doversi fidare del suo istinto, dannazione. E ora come gli spiegava la situazione senza tirare in mezzo le fate? «Da nessuna parte?» rispose, ma il suo tono implicava più una domanda che un'affermazione. Avrebbe voluto colpirsi in fronte con l'intero pacco di cereali.

Mikhail aggrottò le sopracciglia. Le righe di espressione si acuirono fra di esse come incisioni a fuoco. Aveva un'aria scura, suo padre, come se tutto in lui fosse avvolto da una patina cupa. Lo ricordava così da sempre. Anche quando giocavano, da bambino, non abbandonava mai il suo cipiglio serioso. Thomas lo osservò tamburellare con le dita sul corrimano, mentre il resto del corpo restava rigido e inflessibile. Si sentiva morire. «Lo stai chiedendo a me?»

Ecco, per l'appunto. «No, certo, no. Io... Insomma, no, non vado da nessuna parte. O forse sì? Cioè, forse –»

«Ti serve un suggerimento?» lo interruppe il padre. La sua voce sembrava un ringhio. Thomas si coprì la gola con una mano senza rendersene conto, come se il suo inconscio temesse l'attacco di una bestia feroce. «Perché in tal caso no, non andrai da nessuna parte.»

«In realtà dovrei incontrare i nostri alleati fra un paio d'ore» ammise il Cacciatore a quel punto, nel tentativo di recuperare il suo solito contegno. L'aria nella casa era carica di tensione. «Potremmo essere a un punto di svolta. Ieri notte Haley Nightshade ha inviato un messaggio al consigliere, dice che torneranno in giornata e che hanno delle novità.»

«Quindi è con loro che sei stato fino a ora. Con le fate.»

Era ovvio che saremmo finiti a parlare di questo. Thomas sospirò mentre aggiustava gli oggetti sotto il braccio. «Ero di ronda. Dato che voi eravate impegnati a discutere, ho pensato che almeno un Cacciatore avrebbe dovuto controllare l'attività magica in città. Ho incontrato Cedar per caso.» Non nominò Fionn. Non sapeva quanto di lui e della sua famiglia potesse rivelare al padre. «E comunque abbiamo stretto un patto. Non ho fatto nulla di male.»

Mikhail rise. Scese l'ultimo gradino e si portò di fronte al figlio con poche falcate. Erano alti allo stesso modo, ma l'uomo pareva sovrastarlo come una montagna. «Nulla di male? Noi stavamo urlando contro tua nonna perché Willow era sola con un branco di fate proprio nella tana del lupo e tu pensi bene di indagare da solo con un bugul con cui, in realtà, non abbiamo fatto alcun patto. Era il sangue di Nightshade quello a cui ci siamo legati. E già questo mi disgusta alquanto.»

«Non urlarmi in faccia, non sono un bambino!» sbottò Thomas a sua volta. Sentiva di avere il viso arrossato per la rabbia. Odiava il modo in cui Mikhail lo trattava nonostante fosse già un adulto. Come se il solo renderlo un Cacciatore effettivo fosse stato un favore, più che un suo diritto. Thomas si era guadagnato quel ruolo con il sudore della fronte. Non era stupido, né incompetente. Suo padre avrebbe dovuto rispettarlo più di così. «Se proprio ti da fastidio che io abbia parlato con Cedar di come risolvere la missione che tu non sei in grado di portare a termine, allora fatti da parte. Indaga per conto tuo se ci tieni. Io ho intenzione di andare in fondo alla faccenda e se per fare ciò dovrò passare del tempo con dei fae lo farò. Perché qui non ci sono in gioco solo vite sovrannaturali, papà, ma anche umane. Sono stanco di tutta questa faida.»

Mikhail storse la bocca in una smorfia di disappunto. La sua figura emanava nervosismo da tutti i pori. Fece per controbattere alle frasi del figlio, quando un suono acuto ruppe l'aria satura di rabbia.

Thomas affondò la mano libera nella tasca e ne estrasse il cellulare, che portò all'orecchio senza neppure controllare il mittente. «Chi è?»

«Dal tuo tono deduco di aver interrotto un piacevole momento, ma ho bisogno di te ora.»

«Fionn» esalò il Cacciatore esasperato. Quella giornata era già cominciata nel peggiore dei modi possibili. Si massaggiò la fronte, tenendo il telefono fra l'orecchio e la spalla. Suo padre lo fissava ancora con la fronte corrugata, ma preferì ignorarlo e dargli le spalle. «Spero sia importante.»

«Haley, Will e gli altri sono appena tornati. Hanno aperto un portale nel salotto del vecchio appartamento di Cedar e quando non hanno trovato nessuno hanno inviato un fuoco fatuo a Cedar per sapere dove fosse.»

«Certo, quel bugul si è nascosto per giorni senza far sapere niente a nessuno pur di evocare quello spirito senza interruzioni. È logico che si aspettassero di trovarlo già a casa.» Solo dopo averlo detto si rese conto delle implicazioni della sua frase. Squadrò l'espressione del padre da sopra la spalla e lo vide con la mandibola contratta e il fumo che quasi usciva dalle orecchie come nei cartoni animati. «Era uno spirito buono, papà» gli sussurrò per rimediare all'errore, ma tutto ciò che ottenne fu uno sguardo infuriato, prima che l'uomo tornasse al piano di sopra. Sospirò. Brutta, bruttissima giornata.

«Tom, ci sei?»

«Sì, scusami. Sono appena stato minacciato di morte dal mio stesso padre, ma al momento sono ancora vivo. Dicevi?»

«Abbiamo bisogno della tua mediazione. Soprattutto io. Tua sorella mi odierà per averle nascosto la verità e Haley a volte mi spaventa. Non vorrei trovarmi entrambi contro.»

«Mi dispiace, amico, ma per quanto riguarda la fatina dovrai arrangiarti. Comunque sto arrivando. Voglio sapere cosa hanno scoperto a Faerie. Dove ci incontriamo?» domandò mentre si apprestava a uscire di casa. Decise di abbandonare la scatola di cereali, ma si fece scivolare la lattina in tasca. Immaginava di aver bisogno di alcol per sopportare la presenza di tutti quei fae nello stesso momento. La pressione fredda contro il fianco era quasi confortante.

«Al vecchio appartamento. Cedar non vuole ancora svelare la posizione del suo rifugio segreto. Nemmeno fosse Batman.»

«Se lo fosse tu saresti Robin, lo sai?» lo prese in giro mentre si chiudeva la porta alle spalle. Sentì uno sbuffo dall'altra parte, seguito da un mormorio simile a "e tu saresti il maggiordomo", prima che la linea si interrompesse. Thomas ridacchiò fra sé. Era bello scherzare con Fionn nonostante tutto ciò che era accaduto. Aveva temuto di perdere anche lui. Prese un respiro profondo. L'istante successivo correva nel bosco, verso la città.

~•~

«Possibile che quel nano da giardino non ci sia mai quando serve?» protestò Calum per l'ennesima volta, portando Rhys a roteare gli occhi.

Haley si voltò a malapena nella sua direzione. Era seduto a cavalcioni sul bracciolo del divano più vicino all'ingresso, in attesa. La postura ingobbita della schiena rivelava tutta la sua agitazione. Non aveva riflettuto abbastanza prima di decidere di tornare nell'Altroregno. Non sapeva se fosse stata una buona idea. Aveva ripensato alle parole che si era scambiato con Rhys per tutta la notte senza chiudere occhio. La richiesta di aprire un portale era venuta fuori dalle sue labbra prima che potesse prendere una vera decisione.

Mauve l'aveva squadrato per minuti interi senza fiatare. Solo alla fine, per qualche strano motivo, aveva accettato. Gli aveva anche ricordato del loro patto, ma ancora una volta non aveva voluto dirgli quale favore si aspettasse da parte sua. Sospirò, pressando le gambe ai lati della gommapiuma. Avrebbe voluto avere più certezze, ma la situazione era quella che era. Se solo Cedar fosse stato in casa al loro rientro si sarebbe sentito più calmo. Cedar aveva sempre la risposta. Tuttavia così non era e Haley sentiva di star per scoppiare, come il rivestimento giallognolo del divano. «Non è un nano da giardino. È un bugul, Cal.»

Calum si voltò verso di lui, guardando verso l'alto dal pavimento. Aveva uno sguardo offeso. «Ma li hai visti quei cosi? Sembrano così realistici. Una volta mi sono fermato a parlare con uno di loro e mi sono accorto che fosse inanimato solo quando ho cominciato a insultarlo senza che mi rispondesse, ore dopo.»

Rhys emise un lamento prolungato. «Dovresti smetterla di uscire da solo quando sei ubriaco.»

«Ma io non lo ero!» si difese Calum.

«Questo è ancora peggio!»

«Ragazzi, dateci un taglio» li riprese Ivy, seduta composta sul divano. Alla fine aveva deciso di seguirli. Aveva protestato un po', spaventata dalla possibilità di incontrare altri umani, ma la prospettiva di tornare alla Corte dopo averli aiutati a fuggire dalle prigioni non la entusiasmava. Non ci avrebbero messo molto a collegare la sua sparizione con l'evento. La fae spostò lo sguardo sull'Unseelie. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e rispondeva a monosillabi da quella mattina. Non che prima fosse particolarmente loquace, ma adesso sembrava ricaduto nel suo vortice di tristezza e delusione. Gli sbalzi di umore di Haley la inquietavano e preoccupavano al tempo stesso. Era imprevedibile come la pioggia sull'oceano. «Quando ti ha detto che arriverà?» gli chiese sottovoce.

Il ragazzo scrollò le spalle senza guardarla. Aveva indossato una felpa nera per coprire le macchie di sangue sulla camicia. Era enorme, tanto che dalle maniche spuntavano a malapena le punte delle dita. I vestiti che il gancio di Cedar aveva fatto recapitare loro all'arrivo erano dei generi e delle taglie più disparate, ma il fae non sembrava farci caso, immerso nei suoi pensieri. «Dovrebbero essere già qui. Doveva solo recuperare il Cacciatore.»

«Will non può contattarlo?» si informò. Con tutta la tecnologia che aveva avuto modo di scorgere nelle poche ore passate da quando aveva varcato il portale le sembrava strano che i due fratelli non riuscissero a mettersi in contatto. Willow le aveva spiegato dell'esistenza di apparecchi appositi, ma non ne aveva compreso appieno la funzionalità.

Haley le rivolse una singola occhiata, prima di tornare a concentrarsi sui fili sdruciti del divano. «Quando Moss ci ha rapiti abbiamo dovuto abbandonare i bagagli. Ha perso anche il cellulare.»

«Questi apparecchi sono più inutili di quanto vogliano farci credere, quindi» commentò Ivy, ma il ragazzo non diede segno di voler continuare la conversazione. Sospirò. Il suo sguardo cadde sulla figura ciondolante di Rhys, accovacciato con la schiena contro il tavolino da tè e intento a discutere con Calum di chissà quale questione. La Cacciatrice li osservava con le labbra corrucciate, forse nel tentativo di seguire lo stentoreo filo logico dei due Seelie. Non gliene aveva parlato, ma immaginava che fosse preoccupata quanto Haley per l'assenza del fratello e di Cedar. Lo vedeva nella ruga di espressione fra le sopracciglia e nel dito che si arrotolavano frenetico attorno a una ciocca di capelli ramati. Si portò le gambe al petto, trapuntando il vestito intorno ai piedi nudi. Era sporco di fango secco. Lo notò con una punta di fastidio, subito sormontata da quell'ansia schiacciante che aveva preso possesso del suo cervello da alcuni minuti.

«Arrivano» esclamò all'improvviso Calum. Saltò in piedi e afferrò Haley per una manica, tirandolo giù dal bracciolo. «Sento i loro passi sulle scale.»

Come a testimonianza delle sue parole il campanello prese a trillare, uno squarcio acuto nel silenzio della stanza. Si voltarono tutti verso l'ingresso. Era spoglio e polveroso. La porta si intravedeva appena sul fondo. Calum lasciò la felpa dell'amico giusto il tempo necessario per correre ad aprire e tornare indietro. Lo riacciuffò all'istante con una presa più salda. Haley gli sorrise grato, sebbene sollevando appena un angolo della bocca.

«È una meravigliosa cerimonia di benvenuto, grazie di cuore» esplose la voce roca di Thomas appena varcata la soglia. Ciuffi rossi sbucarono oltre la parete pochi secondi dopo, rivelando la sua presenza agli ospiti in salotto. Li squadrò tutti con occhio critico, mentre al suo fianco sopraggiungeva Cedar, ancora in forma umana. La sua pelle scura contrastava con quella lattea del Cacciatore così come le loro espressioni, una sollevata e l'altra confusa. Poi il ragazzo parlò di nuovo. «Ricordavo che foste partiti in quattro, non in cinque.»

«Sei un ottimo osservatore, complimenti» lo elogiò con ironia Calum. Allungò una mano verso la fae, ancora seduta sul divano. «Come vedi, abbiamo portato una nuova alleata. Cacciatore, lei è Ivy. Ivy, lui non è nessuno di importante. Presentazioni completate, andiamo avanti.»

«Calum, per favore» lo riprese Cedar. Socchiuse gli occhi. La sua forma umana tremolò per qualche istante. Divenne sempre più eterea, mentre la sua immagine reale si sovrapponeva a quella immaginaria, fino a prenderne il sopravvento. Il bugul riapparve nella sua vera forma in meno di un minuto. Riaprì gli occhi e osservò i presenti uno a uno. «Non so cosa abbiate fatto laggiù. Ivy mi ha comunicato qualcosa, ma preferisco fare finta di nulla perché non ho proprio voglia di arrabbiarmi di nuovo con te» disse e nel farlo puntò Haley con lo sguardo. Il fae lo resse senza lamentarsi. «Quindi, tralasciando la parte in cui Moss vi ha rapiti e Rhys ha rischiato di morire per la seconda volta nell'arco di nemmeno un mese, cosa avete da comunicarci?»

Calum fece per aprire bocca, ma Haley lo interruppe con un gesto della mano. Puntò lo sguardo verso l'ingresso, la fronte aggrottata. Sentiva una presenza che non avrebbe dovuto essere lì. «Voi, piuttosto» mormorò. «Chi state nascondendo?»

«Me» rispose imbarazzata la presenza stessa. Fece un passo avanti nell'ingresso, dove si fermò con le mani ben calcate nelle tasche. Haley inarcò un sopracciglio. Fra tutte le persone che avrebbe potuto immaginare, quella era l'ultima della sua lista.

«Fionn?» sbottò Willow al suo posto. Attraversò il salotto fino a porsi di fronte al ragazzo, che a giudicare dalle guance arrossate era sempre più in difficoltà. «Come... Cosa... Tu!»

«Sono io» ammise Fionn, come se non fosse ovvio. Si passò entrambe le mani sulla maglietta arancione con la banale scritta "Orange" proprio al centro del petto. «Posso spiegare.»

«Ci mancherebbe che non lo facessi» rincarò la dose la Cacciatrice. Non smetteva di fissarlo con gli occhi spalancati e le mani puntate sui fianchi. Gli altri presenti sghignazzavano fra loro, mettendo l'umano ancora più a disagio. Haley lo scrutava fra la pena e la compassione.

Fionn sospirò. «La mia famiglia studia le fate da sempre. Non lavoriamo sul campo pratico come voi, solo in ambito teorico. Ho sempre saputo chi foste, sia la vostra famiglia, che voi fae» affermò, indicando i presenti a turno. «Ma non ho mai detto nulla perché mi è vietato immischiarmi nelle faccende reali. Dovevo solo studiarvi. Ma ciò non significa che non sia stato vostro amico. O che non ti ami, Will.»

Willow abbassò lo sguardo mordendosi un labbro. Aveva incrociato le braccia sul petto e sembrava avere tutta l'aria di una che vorrebbe trovarsi da tutt'altra parte. «Però ci hai comunque mentito.»

«Non avrei voluto, davvero. E quando ho saputo che stavate indagando sugli omicidi ho pensato di poter essere più utile che stando in disparte. Per questo ho contattato Cedar. Insieme abbiamo pensato di evocare uno spirito e –»

«Voi cosa?» sibilò Haley. Il salotto si fece silenzioso, mentre lo sguardo infuocato dell'Unseelie si posava sul bugul. «Avete idea delle conseguenze? Dei rischi? Cedar, sei un consigliere, dovresti saperlo meglio di me!»

Lui annuì. «Lo so, infatti. Non devi preoccuparti di nulla.»

A Thomas scappò una risata. Haley lo guardò in attesa, al che il Cacciatore decise di sputare la verità, giusto per non essere lui a rimetterci in seguito. «Il buon vecchio Cedar ha chiesto la protezione di Madre Natura in cambio dell'omicidio dell'assassino. Niente di complesso in fondo, dato che dovreste ucciderlo comunque. Ma nel caso falliste, beh, non credo che nessuno di noi potrà essere punito per questo, dato che saremo già morti.»

Cedar lo fulminò con un'occhiata di fuoco, ma niente di comparabile all'espressione gelida che Haley aveva appena assunto. I suoi occhi sembravano essersi spenti all'improvviso, come se non riuscissero più a riflettere la luce del sole. Thomas lo osservò stringere e rilassare i pugni tre o quattro volte, per poi voltare le spalle a tutti. Dovette lottare per liberarsi della presa di Calum, ma il Seelie lo lasciò all'istante appena poté guardarlo in volto. A quel punto Haley si diresse a passo di marcia verso le stanze da letto, dove sparì insieme alla sua nube nera.

Thomas incrociò gli occhi di Willow. La sorella sembrava sul punto di saltargli alla gola. Non capiva perché tutti oggi volessero porre fine alla sua esistenza. Non aveva fatto altro che essere sincero. Portò le mani davanti al petto. «Ehi, non incolpate me. Io ero solo uno spettatore o, al massimo, un donatore di sangue.»

«Se non fossi mio fratello ti avrei già dissanguato e venduto all'assassino come pezzo di arredamento» replicò Willow. Poi riportò la sua attenzione su Fionn, che aveva cercato di mimetizzarsi con la tappezzeria per non essere tirato di nuovo in mezzo. Invano. «Ora voi tre vi impegnerte per cercare di rimediare al disastro che avete combinato. Noi abbiamo recuperato un libro di magia nera, rimettendoci quasi la vita, quindi ora è il vostro turno. Voglio vedervi con la testa sulle pagine senza proteste di ogni genere.»

«Sì, generale» grugnì Thomas, ricevendo in cambio uno scappellotto sulla nuca da parte della sorella.

Cedar si passò una mano sul volto, ma non replicò, conscio di non aver avuto una delle sue idee più brillanti. Eppure confidava nelle loro capacità. Era certo che ce l'avrebbero fatta. Madre Natura non avrebbe avuto nulla di cui rimproverarli. Si affiancò a Thomas e Fionn, che avevano preso il posto di Ivy sul divano sgangherato e stavano cercando di forzare il libro ad aprirsi. Lo vide a malapena, stretto fra le dita del Cacciatore, ma bastò. Trattenne il fiato. Era il Grimorio. Quel libro non portava mai a nulla di buono. Lo sottrasse con uno strattone agli umani e lo strinse compulsivamente al petto. «Non dovete maltrattarlo. Potrebbe ribellarsi e incendiare tutto l'edificio.»

Fionn aprì la bocca e la richiuse l'istante successivo. Sembrava un pesce fuor d'acqua. «Incendiare?»

«Pensavo che tu studiassi queste cose» lo derise Thomas, incrociando le braccia sulla giacca. «Bene, Cedar. Occupatene tu se preferisci. In ogni caso non sembra intenzionato ad aprirsi.»

«Ci vorrà tempo e gentilezza per quello» borbottò Ivy. Li squadrò dubbiosa. «Sembra che ci metteremo più del previsto.»

«Io vado a controllare se Haley sta bene» li interruppe Calum. Era rimasto in silenzio da quando l'amico era scappato nella sua camera, dopo avergli rivolto uno sguardo affranto. Era stato come ricevere una pugnalata nello stomaco. Odiava vedere tanta tensione sul suo viso. Lo faceva sentire impotente. Batté una mano sullo schianale del divano e voltò le spalle ai presenti, intenzionato a tirar fuori Haley dalle sue paranoie, ma qualcuno lo trattenne per un polso.

«Vado io» fece Rhys, tirandolo all'indietro. Una luce seria gli illuminava le iridi scarlatte.

Calum si incupì. Barcollò, ma riuscì a estrarre il braccio dalla morsa del Seelie con un gesto brusco, per poi fissarlo astioso. «Perchè dovresti?»

«Perchè so cosa dirgli. Tu cercheresti solo di consolarlo e lui non ha bisogno di questo. Ha bisogno di qualcuno che lo prenda per la collottola e gli faccia capire quanto il suo comportamento sia egoista e infantile, in questa situazione.»

«Lui non è –» protestò il biondo, sputando le parole in un misto di rabbia e stupore. Rhys tuttavia lo scansò con una spinta, che lo fece scontrare con lo stesso divano da cui si era allontanato. Lo guardò entrare nella zona notte con la schiena rigida e le mani affondate nelle tasche. Le punte ritorte delle corna sfiorarono appena l'intelaiatura della porta al suo passaggio, graffiando il legno. Calum rimase a osservare quei segni come in trance, confuso dalle parole del fae.

Rhys intanto aveva raggiunto la camera di Haley e, senza bussare, ne aveva spalancato la porta. «Allora, posso sapere cosa –»

«Taci e chiudi quella porta» lo fermò l'Unseelie. Era seduto sulla trapunta con le gambe incrociate e la testa inclinata in avanti. Fra le sue mani volteggiava una palla di fuoco blu, da cui fuoriusciva un lieve sibilo acuto. La luce fredda gli illuminava il volto dal basso dandogli un'aria eterea e inquietante al tempo stesso.

Rhys inarcò un sopracciglio. Eseguì l'ordine di Haley senza porsi domande e solo dopo aver girato la chiave nella serratura osò avvicinarsi al fae. «Che succede?» mormorò.

Haley alzò la testa e incrociò il suo sguardo. Nel blu del fuoco la sua iride azzurra sembrava emettere lampi di luce. «Devi accompagnarmi da Absinth. Non diremo nulla agli altri finché non sarò sicuro di ciò che ha scoperto.»

«E cosa avrebbe scoperto, di grazia?» ironizzò Rhys, sebbene in realtà si sentisse a disagio. Lo sguardo di Haley lo stava spaventando.

Il fae sospirò. Separò le mani e il fuoco fatuo si dissolse in scintille luminose. «Le avevo chiesto di identificare del sangue trovato in casa di una delle vittime» spiegò poi a bassa voce.

«E l'ha fatto?»

«Sì» annuì. Si passò le mani sul volto, come se parlare fosse troppo difficile per le sue poche forze. Ma doveva farlo. Non poteva tenere quel segreto solo per sé. «Il sangue è di mio padre, Rhys. È di Regan Nightshade.»

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