3. Sangue e spine
La Corte Unseelie si palesò d'un tratto davanti a loro, avvolta da una foschia grigio piombo. Simile a un miraggio impregnato di polvere d'argento comparve davanti ai loro occhi nella forma di una vallata di arbusti irti di spine, circondati da alberi secchi e contorti. Fra questi si snodavano sentieri tortuosi, quasi tutti diretti verso l'ignoto. O verso la morte.
Haley conosceva alla perfezione quali svolte intraprendere per non cadere in inganno. D'altronde ci era nato, fra quelle rovine. Da piccolo, quando suo padre non lo costringeva a interminabili ore di studio e allenamento, si immergeva di continuo in quel labirinto per cercare nuove vie da esplorare. Era un gioco pericoloso e doveva farlo di nascosto: i fae troppo giovani non avevano il permesso di allontanarsi dalla Corte, soprattutto lui. Suo padre lo teneva in pugno come una mosca da addomesticare, ma Haley aveva imparato a sfruttare i pochi momenti liberi e sapeva convincere chiunque con uno sguardo. Una volta si era spinto molto lontano, quasi ai confini del Regno, finchè si era ritrovato davanti a un'enorme caverna buia. Non aveva mai scoperto cosa si celasse al suo interno: suo padre l'aveva trovato prima che potesse succedere qualsiasi cosa. Tuttavia ricordava ancora con dolore la punizione ricevuta per quella bravata.
Haley si voltò verso Calum, sorridendo per l'espressione di disappunto che gli modellava il viso. La Corte Seelie doveva essere molto diversa da quel luogo. Non ci era mai stato - non ne aveva il permesso prima e tantomeno adesso - ma immaginava che nel Regno dell'Estate non ci fossero mostri mutanti e sentieri di rovi intrisi di sangue. Eppure quella era la sua casa, o almeno lo era stata, un tempo. «Seguimi. Non provare a cambiare nemmeno una svolta. Potresti morire fra le sofferenze più atroci.»
Calum emise una risatina nervosa mentre strisciava i piedi nel terreno. «Questa sì che si chiama ospitalità...»
«Gli Unseelie sono abbastanza ospitali, a dire il vero. Non siamo schizzinosi, la nostra... la loro Corte è un rifugio per tutte quelle specie di sangue misto o dall'aspetto ripugnante che non sono bene accette in nessun altro luogo. Basta che si rendano utili e possono vivere qui per il resto dei loro giorni. O finché non vengono accusati senza prove di un crimine mai commesso, ovvio» aggiunse alla fine Haley con una risata dal sapore amaro. Ora che si trovava a pochi passi dal luogo che sperava di non dover mai più rivedere il fae cominciava a chiedersi se avesse fatto bene a ignorare le suppliche del suo migliore amico. Come ogni volta in cui aveva dato ascolto soltanto al suo cuore rischiava di trovarsi presto nei guai. Doveva seriamente cominciare a contare fino a dieci prima di agire. O fino a dieci milioni.
Calum scansò all'ultimo secondo un ramo appuntito che si era sporto dalla siepe, tentando di aggrovigliarsi intorno alla sua caviglia. Lanciò un grido e corse di fianco ad Haley per farsi scudo col suo corpo. «Uhm, ospitali, sì. Non fatico a crederlo.»
L'altro rise, ma a dispetto delle sue lamentele e dei propri dubbi continuò a camminare, attento a evitare i folletti nascosti fra i rami che cercavano di ferirli con le spine. Non era stato un lungo viaggio, ma nel Regno il tempo non era facile da misurare. Scorreva fra le dita come sabbia viva e dettava il proprio ritmo a suo piacimento. Il fatto che Calum continuasse a sobbalzare e ad aggrapparsi al braccio di Haley fin quasi a stritolarlo non aiutava a sentirne minormente il peso. Qualche minuto dopo, però, non fu il giovane Seelie a fermarsi.
Haley non aveva mai visto una di quelle creature nella sua Corte. Solitamente preferivano vagare fra gli umani, in cerca di qualche possibile preda. Erano animali assetati di sangue, ma dotati di una certa intelligenza con cui erano capaci di circuire le deboli menti dei mortali. Per questo motivo Haley fu sorpreso di vedere due kelpie seguirli a breve distanza, calpestando con gli zoccoli neri i rami più bassi dei cespugli.
Fissò il primo negli occhi per alcuni secondi e anche quello si fermò, ricambiando il suo sguardo. Occhi di brace affondati in una pelliccia nera e ispida. Gli stava mostrando il suo vero aspetto, forse per incutergli timore. Tutte le creature magiche conoscevano Haley Nightshade almeno di nome, ma quella doveva averla già incontrata in qualche circostanza. Il fatto che Haley non ricordasse altro stava probabilmente a significare che l'incontro era avvenuto durante una delle feste a cui Calum lo costringeva a partecipare e dove lo faceva bere più del dovuto.
Proprio l'amico decise in quel momento di tirarlo per una manica della camicia, inducendolo a continuare la marcia. Haley si mosse, ma prima di voltarsi si premurò di lanciare un'ultima occhiata al cavallo fatato. Li stava ancora seguendo, ma più lentamente. C'era qualcosa che non lo convinceva in quell'essere, come se avesse a che fare con una questione importante che, tuttavia, non riusciva proprio a ricordare. Optò per rimandare la questione a un altro giorno. Aveva qualcosa di più importante a cui pensare.
Fortunatamente arrivarono alla fine del labirinto senza ulteriori intoppi. Davanti a loro si apriva ora una fossa larga e buia scavata nel terreno, fra l'erba bruciata. Non si riusciva a vederne il fondo, ma Haley sapeva bene cosa aspettarsi. Quella era l'entrata secondaria alla Corte e portava direttamente alla Sala del Trono. Non si trattava di un dislivello molto alto, ma bisognava stare comunque attenti all'atterraggio se si volevano evitare ossa rotte e caviglie slogate - l'aveva imparato a sue spese. Haley si accovacciò per primo sul bordo franoso, puntellandosi con le mani per calarsi più lentanente all'interno del tunnel. Trattenne il respiro e si diede uno slancio. Atterrò alcuni metri più in basso, dove attutì il colpo con una capriola per poi tirarsi in piedi e pulirsi le mani dal terriccio umido contro la stoffa grezza dei pantaloni.
Come percependo lo spostamento d'aria o la presenza di un nuovo arrivato, due file di torce si accesero sulle pareti del corridoio, illuminando le ragnatele e le radici bianche dei cespugli, poste come ghirlande decorative negli angoli del soffitto.
Il crepitio delle fiamme era l'unico suono che riempiva il silenzio mentre Haley attendeva l'arrivo di Calum. Tuttavia, dopo alcuni secondi in cui l'amico sembrava aspettare un invito scritto per scendere, Haley tornò indietro di qualche passo e urlò all'amico di buttarsi. Ricevette indietro soltanto un'esortazione a farsi gli affari suoi.
Roteò gli occhi, ma pregandolo fino alla nausea riuscì infine a convincerlo che non sarebbe morto se fosse caduto. Lo sentì strisciare contro il bordo. Poi, simile a un fulmine, scorse una sagoma puntare verso di lui. Non fece in tempo a urlare che si ritrovarono entrambi sdraiati a terra, fra foglie secche, fango e polvere.
L'Unseelie mugolò e tirò una gomitata all'amico per toglierselo di dosso.
«Ehi!» strillò Calum mentre cercava di rotolare lontano da lui. «Mi hai fatto male. E non sei nemmeno comodo.»
«Allora alzati dalle mie gambe, di grazia» replicò Haley, ma si zittì subito dopo. Nella Collina dell'Inverno le spie si nascondevano in ogni angolo.
Raggiunsero la fine del corridoio in totale silenzio. Sulla parete di fondo si delineava un arco di pietra oscurato da un telo pesante e intrecciato a partire da un lucido tessuto nero - forse la pelle di qualche sventurata creatura. Immobili ai suoi lati, due guardie armate li squadrarono con attenzione. Haley prese Calum per un polso in modo da sussurrargli all'orecchio senza essere udito. «Siamo arrivati. Sta' zitto e lascia parlare me.»
L'amico fece una smorfia indignata. «Non dirmi di stare...»
«Il Seelie non può passare» lo interruppe una delle guardie, puntandogli la spada d'argento al petto. Era un fae alto, con le spalle larghe protette da una corazza di cuoio, e portava i capelli verde acido raccolti in un codino. Haley lo conosceva di vista, ma non ci aveva mai parlato prima. Dovevano aver ricollocato il personale negli ultimi decenni.
Il moro si fece avanti e scostò l'arma dalla camicia dell'amico con un gesto secco. «È un Solitario, non un Seelie, ed è qui con me» si impose perentorio.
«Ha ancora le ali» ribatté l'altro soldato.
«È stato allontanato dalla sua Corte di comune accordo. È un Solitario» ripeté scandendo le parole, come se dovesse convincere dei bambini.
La guardia storse la bocca in un ghigno. «Sentitelo, come si atteggia. Credi ancora di poter comandare qui dentro, Nightshade? Non sei più il benvenuto da tempo.»
«Sono stato invitato dalla Regina in persona. E forse non sono più al comando di questo esercito, ma continuo a essere un fae più potente di quanto tu potrai mai sognare di essere. Ora, se non vuoi venire trasformato in un mucchietto di cenere, ti consiglio di spostarti» ringhiò, spingendo di lato la guardia. Quella si fece subito da parte in modo ossequioso, spaventato più dalla sua fama che da una reale minaccia fisica, e liberò il passaggio a Calum. Il Seelie si aprì in un sorriso smagliante mentre Haley lo prendeva per un braccio, per poi portarlo con sé oltre il telo nero.
La Sala del Trono era spoglia e scura. Soffitti alti e spigoli acuti incorniciavano una pedana rialzata sulla quale svettava in tutto il suo tetro splendore il Trono d'Onice, vuoto e freddo. La Regina non si faceva mai vedere di persona. Preferiva mantenere la sua forma astratta, invisibile alle fate stesse. D'altra parte aveva millenni alle spalle e, sebbene i fae invecchiassero più lentamente rispetto agli umani, nei corridoi della Corte si raccontava che dovesse aver già cominciato a perdere la sua bellezza.
Haley e Calum si guardarono intorno, il primo travolto dai ricordi, il secondo curioso e inquieto. Quella era la sala dove avevano torturato il giovane Unseelie e dove avevano sparso il suo sangue amputandogli le ali. Haley si diresse senza volerlo nel punto esatto in cui, anni prima, era stato imprigionato da un cerchio di carboni ardenti e da manette di ferro freddo. I suoi polsi portavano ancora i segni bianchi delle ferite, il suo cuore quelli dell'odio e del dolore. Alzò la testa di scatto e la volse verso il trono con uno sguardo di sfida, i piedi ben piantati sul terreno impregnato di sangue. «Sono qui, mia Regina» esplose in tono ironico. «Volevate vedermi? Vi ho degnato della mia presenza, nonostante il vostro tradimento. Il minimo che potreste fare è dare uno scopo al mio gesto.»
Calum lo guardò con gli occhi sgranati, scioccato dal suo insolito atteggiamento. L'amico doveva essere impazzito. Non riusciva a trovare un altro motivo per cui il ragazzo avrebbe voluto rischiare la morte istantanea gridando contro la Regina Unseelie, una delle creature più crudeli mai create dalla natura. Ma Haley non era stupido. Sapeva che per farsi rispettare, per essere degnato dell'attenzione di chiunque abitasse in quel posto, bisognava imporsi. L'arroganza e il senso di superiorità erano condizioni necessarie per sopravvivere nella sua vecchia Corte.
La risposta della Regina non tardò ad arrivare. All'inizio sentirono soltanto un'improvvisa corrente di aria fredda dietro alle spalle, accompagnata da un forte odore di erba tagliata e dal lieve suono di campanelle d'argento. Poi, lentamente, il suono si trasformò in parole, pronunciate da una roca voce femminile. «Ti aspettavo, Haley. Tutti noi ti stavamo aspettando.»
«Non crediate che ciò mi faccia piacere.»
Un altro soffio di vento, stavolta più tiepido. «Non lo penso. So bene come ti senti. Tradito. Umiliato. Abbandonato. Non ti biasimo per il tuo odio. E ti perdono per la tua eccessiva insolenza.»
Haley rise. «Dovreste solo provarci, Regina, a biasimarmi.»
«Non lo farò. Immagino tu sappia che la tua presenza in questa Corte non è stata richiesta per durare. Non posso ritirare il tuo esilio, né voglio farlo. La tua attuale condizione è l'ideale per la missione che voglio proporti.»
Haley notò con un certo divertimento l'uso da parte della sovrana del verbo "proporre" al posto di "ordinare". Quella donna sapeva bene quali argomenti evitare con lui, come una matrigna che, conoscendo i punti deboli del figlioccio, cerca di evitarli per non essere odiata. Ma Haley la detestava già con tutto se stesso. «Non sarei mai tornato per restare, ma vorrei sapere di più su questo incarico. Non accetterò nulla senza conoscere a cosa vado incontro.»
Il vento si fece più insistente, quasi a voler stringere il corpo di Haley fra le sue spire fino a soffocarlo. Il fae boccheggiò, ma rimase immobile. «Come ti ho detto, qualcuno sta compiendo una strage. Uccide indistintamente fae e mortali, ma sembra ignorare i Solitari, per qualche oscuro motivo. Gli omicidi sono avvenuti soltanto nell'Altroregno, ma io e il Re della Corte Seelie temiamo che pur impedendo l'uscita ai nostri sudditi non potremo salvare chi si trova oltre i confini. Sai bene quanto me che lasciandoli alla loro sorte otterremmo soltanto una rivolta interna. Quei fae sono gli amici, i parenti, gli affetti di qualcuno. Non voglio avere a che fare con una guerra civile.» Fece una pausa, come per lasciar sedimentare le sue parole. «Chiunque sia l'assassino, è sicuramente un fae. Il modo in cui uccide non appartiene a un umano.»
Haley scambiò uno sguardo con Calum, rimasto bloccato poco dietro di lui da un piccolo turbine di vento. Era confuso. «Quello che mi sta dicendo non ha senso. Il mio ruolo in tutto questo non ha senso.»
«Mi rendo conto, Nightshade, che la mia visione è difficile da comprendere, ma questa è la realtà e per quanto la possibilità sia allettante, non possiamo ignorarla. È alla realtà che appartiene la nostra vita. Anche la tua.»
L'Unseelie si passò le mani fra i capelli disordinati, riflettendo sulle parole della Regina. Realtà. Ora che ne sentiva parlare con tanta sicurezza il problema si era fatto di colpo più reale e, di conseguenza, più pericoloso. Ma perchè lui? Come un semplice fae, per quanto abile e intelligente, avrebbe potuto risolverlo? Non aveva un esercito o un'autorità. Non più.
Una risata pervase la sala, sovrastando il sibilo del vento. «So a cosa stai pensando. Pensi di non potercela fare, non è così? Temi il fallimento, ma devi fidarti delle mie intuizioni. Ho molti anni più di te sulle spalle, giovane fae, e so che tu sei la persona giusta a cui affidare questo compito.»
Fiducia, certo. Haley si espresse in un mezzo sorriso che trasudava amarezza. «Cosa c'è sotto?»
«Haley» lo rimproverò, come se i suoi dubbi non avessero un fondamento proprio lì, nel sangue sotto i suoi piedi. «Sai che non posso mentire. Ti assicuro che non voglio farti del male. Voglio solo proteggere il mio popolo e il mio potere al tempo stesso. Non posso lasciare le Colline incustodite per indagare nell'Altroregno e non ritengo nessuno dei miei comandanti abbastanza abile da assumersi questo incarico. Tu sei l'unico che può farlo.»
Il ragazzo stava già per replicare, ma Calum gli prese con forza una spalla e lo fece voltare verso di sé. Aveva i capelli totalmente in aria e sembrava sul punto di vomitare, ma stava sorridendo, il che lasciò Haley alquanto confuso. Era felice? Per cosa? «Io credo che la vecchia abbia ragione, Ley. Tu puoi davvero farcela e io ti aiuterò come posso. Non è giusto che persone innocenti muoiano per colpa di un pazzo omicida.» Sorrideva ancora mentre abbassava lo sguardo, ma questa volta il suo viso arrossato lasciava intendere una certa dose di imbarazzo. «Ho sbagliato, lo ammetto. Ho cercato di impedirti di fare la cosa giusta perché ero troppo accecato dalla paura. Ora mi rendo conto del motivo per cui sei sempre tu a prendere le decisioni importanti.»
Haley posò con gratitudine una mano su quella dell'amico, ancora sulla sua spalla, ma non disse nulla. Non voleva esporsi troppo davanti alla Regina. Si voltò lentamente e fissò il trono a testa alta. Forse sarebbe stata una decisione azzardata e se ne sarebbe pentito, ma avere Calum al suo fianco migliorava qualsiasi prospettiva. Non era più solo di fronte al mondo. «Accetto il compito. Ditemi cosa devo fare.»
Una brezza primaverile gli accarezzò il volto. Odorava di muschio e risuonava come granelli di vetro. «Ne sono lieta, Haley. Ti farò accompagnare da un consigliere, con cui partirai per l'Altroregno. Resterai lì in forma umana finché non avrai risolto il caso, in modo da poter indagare sul campo. Naturalmente, se ti fa piacere, puoi portare il tuo amico con te. Credo che il Re Seelie apprezzerà vedere un gesto di devozione alla causa da parte di un Sidhe decaduto.»
Calum fece una smorfia. «Nah, quello mi ha sempre odiato. Ma» si affrettò a correggersi, «sarò felice di investigare con Ley, ovviamente!»
La Regina rise ancora. Haley non era certo sulla sincerità di quel suono, ma cercò di non rimpiangere fin da subito la propria disponibilità. «Bene allora. Cedar, vieni pure avanti e accompagna i ragazzi nelle loro stanze. Partirete domani. Buona permanenza.»
Di colpo il vento smise di spirare, lasciando la sala vuota e silenziosa. Calum stava per azzardare una battuta sull'arredamento della Corte, quando una serie di passi cominciò a rimbombare fra le pareti austere.
Era da tempo che Haley non vedeva un bugul. Erano particolarmente rari, soprattutto quelli di sangue puro. Nani di statura, con la pelle chiazzata da colori scuri, fra il verde e il marrone, gli occhi piccoli e il naso grosso, non erano certo un bel vedere, ma il loro potenziale non stava nell'aspetto. Nessuna creatura di Faerie era intelligente quanto un bugul. Astuti, colti e saggi fin dalla più tenera età, venivano impiegati da millenni come consiglieri nelle Corti, sopratutto in quella Unseelie.
Cedar era uno dei migliori. Haley lo conosceva bene, come tutti, ma non aveva mai avuto l'onore di essere suo allievo, fra l'istruzione obbligatoria del padre, gli incarichi ufficiali e l'esilio. Tuttavia non aveva mai nascosto la sua ammirazione per lui. Il fatto che sarebbe stato la loro guida durante la missione era un segno promettente.
Quando arrivò davanti a loro Haley fece per inchinarsi come avrebbe richiesto l'etichetta di fronte a un anziano di rango superiore, ma il bugul lo bloccò con una mano. «Non permetterò ad Haley Nightshade, per quanto bandito, di mostrarsi inferiore a me. Alzati, ragazzo» brontolò poi con la sua voce roca.
Haley corrugò la fronte. «La nobiltà di sangue non mi appartiene più, lo sapete.»
«Non mi interessano i convenevoli, io seguo solo il mio pensiero. Ho sempre pensato che tu fossi il migliore fra tutti i sudditi della Corte. Il tuo esilio è stato il più grosso sbaglio che la Regina potesse commettere. Ma io sono un semplice consigliere, e questo è solo il mio parere. Avremo tempo per parlarne in futuro. Intanto dammi pure del tu.»
Haley annuì, troppo confuso per rispondere. Non si aspettava nulla di simile da Cedar, nè pensava di poter essere tanto importante per il consigliere. Le sue paranoie furono interrotte dall'intrusione di Calum, che mal sopportava l'essere escluso da qualsiasi discorso. Era nato per essere al centro dell'attenzione. «Piacere di conoscerla. Mi chiamo Calum Millet, Solitario per scelta e migliore amico di Haley.»
«Non sei ad un colloquio di lavoro, Cal.»
Il Seelie fece spallucce. «Bisogna sempre fare bella impressione.»
Cedar inarcò un sopracciglio, perplesso e un po' spiazzato dal modo di fare di Calum, ma d'altra parte chi non lo sarebbe stato? Era pur sempre Calum. Anche Haley, che ci viveva insieme da anni, a volte ne rimaneva scioccato. «Sei un fae molto, uhm... vivace.»
«Vengo dalla Corte dell'Estate, che vi aspettavate? Da noi ogni giorno è un motivo di festa» ribattè il ragazzo con un sorriso smagliante. «A proposito, le nostre stanze sono normali, vero? Cioè, niente spine, sangue o creature desiderose di uccidermi, giusto?»
Haley si batté una mano sulla fronte e la lasciò scivolare davanti agli occhi. Si rifiutava di vedere l'espressione di Cedar. Sentiva che di quel passo li avrebbe abbandonati alla prima occasione. «Conosco molte persone che vorrebbero ucciderti e con una di queste condividi la casa.»
«Simpatico. Lo so che non potresti vivere senza di me.»
Cedar afferrò i due ragazzi per i polsi prima che quel discorso degenerasse ulteriormente e li costrinse a seguirlo verso un corridoio secondario, opposto a quello di entrata. A differenza dell'altro questo era di gran lunga più pulito, il pavimento era rivestito di pietra e sulle pareti, alternate alle fiaccole, si aprivano alcune porte scure.
Il bugul li accompagnò fino a circa metà del percorso, per poi indicare loro due porte contigue. «Resterete nelle stanze per gli ospiti per tutta la notte. Non dovete uscire per nessuna ragione. I sudditi non devono sapere della vostra presenza qui. In molti hanno creduto alle parole di Moss e odiano a morte i Seelie. Ci vedremo domani mattina per discutere del viaggio e quando arriveremo nell'Altroregno vi spiegherò il resto. Buonanotte» disse e senza aggiungere altro ritornò sui suoi passi.
Haley e Calum si scambiarono uno sguardo stranito. «Beh» fece il biondo. «Non avrei mai pensato di dirlo, ma siamo ancora vivi.»
Haley si concesse solo un piccolo sorriso, consapevole che nella Corte Unseelie anche i muri avevano occhi e orecchie. Salutò l'amico senza troppe parole e si richiuse la porta alle spalle a doppia mandata. Soltanto quando fu finalmente solo si concesse di respirare più a fondo, crollando a sedere sul pavimento gelido.
Aveva riconosciuto quella stanza a prima vista. Era la sua. Quella che occupava anni prima, almeno. Che fosse una presa in giro o una semplice cordialità, Haley sentiva il cuore pesare come un macigno. Troppi ricordi erano legati a quel posto, la maggior parte dei quali dolorosi e tetri. Non sapeva come avrebbe fatto a dormire là dentro, soprattutto ora, con tutto ciò che lo aspettava.
Ripensò alle parole di Calum fuori dalla porta. Erano ancora vivi, certo. Ma chissà per quanto tempo ancora lo sarebbero stati.
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