Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

23. Cuore di vetro

C'era poca luce nella camera. Suo padre non voleva che possedesse una candela. Haley non ne conosceva il motivo, sapeva solo che il buio, le sbarre alla finestra, di per sè sottile come una feritoia, e le ferite fresche sulle braccia gli davano l'impressione di trovarsi in prigione. Erano ridotti nelle stesse condizioni gli uomini nelle segrete della Corte, li aveva visti. Era un bambino, sì, ma non era mai stato ingenuo. Aveva imparato il suono della frusta prima di quello delle risate e aveva imparato a pulirsi le ferite prima ancora che a scrivere. Ma pensava fosse giusto. Non aveva mai conosciuto altro che quello. Suo padre gli diceva che era giusto, quindi non poteva essere il contrario. Lui disubbidiva e di conseguenza veniva picchiato. Ogni azione sbagliata ha una punizione giusta, queste erano state le parole di Regan.

Eppure, ora aveva paura. Aveva paura di quel buio invalicabile, della consistenza ruvida del tappeto sotto le sue mani. Era nella sua camera da letto, ma ne aveva paura. Poteva percepire le macchie di sangue secco sul tessuto delle coperte e la minaccia insita nei libri di magia nera che era costretto a studiare. Aveva paura perché presto sarebbe entrato a far parte dell'esercito della Regina.

Era stato allenato per quello, gli aveva detto il padre. Regan Nightshade in fondo era un grande generale, Haley non poteva essere da meno. Ovviamente, essendo appena un adolescente, sarebbe stato messo sotto la custodia dell'attuale generale, prima di diventarlo lui stesso. Ma Haley non voleva. Aveva già ucciso, ma non voleva rifarlo. Era stato brutto, davvero molto brutto. Aveva ucciso il suo unico amico, il servitore che l'aveva visto nascere, colui che gli aveva instillato quel poco di affetto che Haley stesso era capace di dare. E l'aveva ucciso perché suo padre l'aveva convinto fosse giusto farlo. L'uomo gli aveva sorriso però, immerso nel sangue, e con il suo ultimo respiro se ne era andata parte della sanità mentale di Haley. Perché Haley sapeva di non esserne uscito indenne. Non è normale sentire qualcuno parlarti quando intorno a te non c'è nessuno, vero? Eppure la voce del servo, del suo amico, continuava a rimbombargli nella testa e accusarlo di essere un assassino. D'altronde Haley non poteva contraddirlo, perché era vero. Avevano tutti ragione. Le fate non mentono.

Una lama di luce gli ferì le iridi chiare, spaccando a metà l'oscurità della camera. Sulla porta si stagliava ora una figura nera, in controluce. Spalle larghe, capelli lunghi fino alle spalle acconciati in una coda bassa. Solo gli occhi blu scintillavano, di vittoria e di follia. Haley si chiedeva spesso se anche nei suoi ci fosse la stessa luce. Forse era per questo che tutti lo evitavano.

«È il grande giorno, Haley. Il primo di tanti.» Poche parole, suo padre non era tipo da lunghi discorsi. Non lo abbracciò per fargli gli auguri, ma gli fece spazio sulla soglia. Haley la attraversò a passo lento, strascicato, e Regan lo colpì con la mano alla base della schiena, imponendogli tacitamente di stare dritto. Haley eseguì, perché non voleva arrivare al campo con dei lividi nuovi per cui essere preso in giro. Era già più esile della maggior parte dei suoi futuri commilitoni. E più giovane, molto più giovane.

Da allora fu tutto piuttosto veloce e caotico. Haley ricordava il brusio degli uomini, gli sguardi che si posavano su di lui, divertiti per la sua stazza o disgustati per il suo sangue contaminato, ricordava la lenta selezione, i saluti fra gli amici scelti e quelli scartati. Lui non era stato allenato insieme a loro, non li conosceva, non si dispiaceva per chi restava indietro. E poi ricordava il suo nome, urlato per ultimo e con forza. Ricordava di aver alzato lo sguardo, rendendosi conto di averlo tenuto chinato a terra fino a quel momento. E ricordava lo sguardo del generale. Moss, era questo il suo nome. L'aveva già incontrato prima, per sbaglio, mentre era a colloquio con suo padre. Non gli era piaciuto il modo in cui l'aveva fissato, esaminandolo come un esperimento particolarmente interessante. Lo stava facendo tutt'ora, mentre Haley camminava verso di lui a passo di marcia, con il mento alto e la schiena dritta, come voleva suo padre. Continuò a farlo anche mentre gli appuntava lo stemma della Corte Unseelie sulla camicia della divisa, e quando poi gli sorrise.

Haley spalancò gli occhi. Era abituato ai sorrisi finti dei cortigiani o alle smorfie di suo padre, mentre quello era un vero sorriso. Come quelli che faceva il suo amico. E non notò la scintilla di follia nei suoi occhi, che possedeva anche Regan, perché era così abituato a vederla da darla per scontata. Notò solo la veridicità di quel sorriso, il modo in cui sembrava sprigionare affetto. Il disagio che il suo sguardo indagatore gli aveva messo addosso cominciò a dissiparsi all'improvviso, e il ragazzo ricambiò il sorriso.

«Sarai un grande generale, Haley Nightshade» gli disse con voce decisa, facendosi sentire da tutti. Le prese in giro cessarono all'istante e Haley si sentì quasi felice. Quasi, perché non sapeva come ci si sentisse davvero, quando si è felici.

«Lo sarò» rispose allora con un tono altrettanto sicuro. Era bravo a mentire, Haley, l'aveva fatto per tutta la vita. «Non vedo l'ora.»

Moss ghignò. «Non ne dubito» fece, per poi lasciargli una carezza sulla guancia. Per la prima volta Haley non scattò indietro al contatto. Fu così che la mente del fae cancellò totalmente la sua prima impressione. Ogni istinto di sopravvivenza fu soppresso da quel gesto gentile, così tanto ricercato nella sua infanzia. Dimenticò il servo fedele che aveva ucciso, dimenticò di dover uccidere ancora e ancora in futuro, dimenticò le percosse ricevute in nome della Regina.

Da allora ci furono solo fiducia malriposta e sangue, fiumi di sangue, sul suo viso, sulle sue mani, sul suo cuore. Sangue proprio e altrui. Dolore. E un brusco risveglio alla fine del tunnel.

~•~

Aprire gli occhi sembrava il compito più difficile che avesse mai svolto. Gli faceva male tutto: i muscoli, le ossa, la testa. Sentiva anche un senso di nausea alla bocca dello stomaco, forse perché non mangiava da giorni. E le palpebre erano così pesanti, impossibili da sollevare. Le scie dei suoi incubi si rincorrevano ancora su di esse. Erano ricordi estrapolati dal suo passato, scene a metà o semplici sensazioni. A tratti si distorcevano in caricature della realtà, ma la maggior parte delle volte erano abbastanza fedeli ai fatti. Non per questo erano meno spaventosi, però.

Cercò ancora una volta di aprire gli occhi, ma dopo un breve sfarfallio fu costretto a richiuderli, infastidito dalla luce mattutina. Cominciò però a distinguere alcuni suoni, provenienti da poco lontano. Lo strisciare di una sedia sul pavimento, rumore di passi. Una pressione sul materasso, accanto alle sue gambe, gli fece emettere un brontolio di protesta.

«Gli da fastidio essere toccato dagli estranei» si aggiunse una voce irritata dall'altro lato del letto. Calum. Avrebbe riconosciuto quel timbro acuto fra mille.

«Non lo sto toccando» protestò Will, che evidentemente era la persona seduta accanto a lui. «E faresti prima a dirmi che a te da fastidio che io esista.»

«Lo farei con piacere, ma so comportarmi da adulto, a volte. Almeno io non metto in pericolo i miei alleati per puro egoismo.»

«Vuoi smetterla di darmi la colpa?»

«Perchè dovrei, se la colpa è tua?»

«Non mi sembra una buona idea alzare la voce -» si intromise una terza persona, Rhys probabilmente.

A quel punto Calum sbottò. «Tu non dire niente. Parte della colpa è anche tua, stupido cerbiatto!»

«Cal, per favore» soffiò Haley con voce roca, per poi passarsi una mano sul volto. Una scarica di dolore gli percorse il braccio, svegliandolo del tutto. Riaprì le palpebre a fatica, qualche istante dopo, solo per ritrovarsi con cinque paia di occhi puntati addosso. Era immerso nelle lenzuola del suo letto e non aveva la minima voglia di scoprire come l'avessero trascinato fin lì dalla radura del Cerchio, dato che distava qualche miglio da lì ed erano a piedi.

Cercò di mettersi seduto evitando inutili lamenti, ma Calum accorse ad aiutarlo ancora prima che potesse emettere un gemito. Perfetto, ora lo trattavano come un malato terminale. Davvero fantastico. «Ragazzi, siete adorabili, ma potreste smetterla di fissarmi come un gruppo di becchini in attesa di seppellirmi? Credo di avere ancora qualche anno da vivere.»

«No, restate fermi. Se fa del sarcasmo vuol dire che non sta affatto bene» replicò Calum, facendo per misurargli la febbre con una mano. Haley si sottrasse al suo tocco appena in tempo, guardandolo con una smorfia indignata. «Vorresti dire che non sono simpatico?»

«Negli ultimi tempi sei più che altro irritante. Ma ora sembri guarito» commentò il biondo con un sorriso sorpreso. «Beh, non me l'aspettavo. Forse qualcosa di giusto gli umani sono in grado di farlo.»

«Mi hai insultata fino ad adesso e ora dici questo?» esclamò Willow, per poi essere zittita da una gomitata nel fianco da parte del fratello. Allora tornò seria e abbassò lo sguardo con fare colpevole. «Volevo dire, mi dispiace per aver creato questa situazione. Sono stata ingenua. Cercherò di essere più responsabile d'ora in avanti.»

Haley soffiò una risata, ributtando la testa sul cuscino, l'incavo del gomito a coprirgli gli occhi. «Fingerò di crederci solo perché mi sembra di essere stato torturato da un goblin. Inoltre, ho ancora delle informazioni da comunicarvi.»

Calum alzò gli occhi al cielo. «Ti direi di riposarti ancora per qualche ora, ma tu non lo farai, giusto?»

Haley annuì. «Ho parlato con un kelpie, ieri.»

«L'abbiamo notato» fece Rhys. «E non avresti dovuto.»

l'Unseelie lo fulminò con uno sguardo. «Invece era di fondamentale importanza che lo facessi. L'avevo già incontrato alla Corte, sentivo anche allora che stesse cercando me. Dobbiamo recarci a casa sua, però, perché solo lì può dirci ciò che deve. Sono certo che ci aiuterà con le ricerche.»

Cedar stava scuotendo la testa, in disaccordo. «Mi dispiace, Haley, ma non posso lasciare che tu vada in giro in queste condizioni, soprattutto nella tana di un kelpie. Potrebbe approfittare di un tuo attimo di distrazione per condurti sott'acqua e affogarti.»

«So come trattare con i kelpie, ne ho uccisi un paio» ribatté con calma Haley. «Solita routine. Niente di inconsueto.»

Sulla stanza calò d'un tratto un certo silenzio. Willow e Thomas si scambiarono uno sguardo preoccupato alla mancanza di turbamento negli occhi del fae, ma rimasero zitti. Calum invece sospirò, vedendo l'attimo di normalità dell'amico svanire nel nulla. Tendeva a illudersi troppo facilmente, per poi ritrovarsi con un ammasso di delusione nel petto. Cedar, infine, guardò il moro con la fronte aggrottata. «Sai che non è così.»

«Posso farcela. Sto meglio di quanto stessi mentre ero ancora in servizio, non ci saranno problemi.»

«Fa' quello che vuoi, Haley. Lo faresti comunque» sbottò a quel punto il consigliere, lasciando la stanza e i suoi occupanti nella confusione più totale. Cedar non aveva mai simili reazioni, quindi doveva esserci qualcos'altro che lo preoccupava, oltre alla faccenda del kelpie. Haley era deciso a vederci chiaro, ma non era quello il momento adatto. Ora avevano qualcosa di più importante a cui pensare.

Si schiarì la voce, cercando di sedersi meglio sul materasso scomodo. Will, ancora seduta vicino a lui, gli sistemò il cuscino dietro la schiena, provocandogli uno sbuffo seccato. «Non ce n'è bisogno, Cacciatrice. Fra poco ce ne andremo da qui.»

«Te lo puoi anche scordare» esclamò lei indignata. Lo indicò con un gesto ampio, come a fargli notare le sue pessime condizioni. «Non puoi alzarti oggi. Ti sei appena svegliato, dopo due giorni di incoscienza!»

Haley si passò una mano sul volto, esausto. La testa gli stava scoppiando, ma dirlo ad alta voce non avrebbe certo avvantaggiato la sua posizione. «Non fatemelo ripetere una terza volta. Sono sveglio e ho entrambe le gambe. Posso affrontare perfettamente la missione.» Detto ciò cercò di liberarsi dalle coperte per mettersi in piedi, ma Calum si affrettò a tenerlo seduto, le mani premute su entrambe le sue spalle. L'Unseelie lo guardò con ira crescente, la bocca serrata in una linea sottile. «Non tu, Cal. Non proprio tu.»

Il biondo sospirò profondamente, scuotendo la testa. Il sole mattutino gli illuminava le punte dei capelli, accentuandone il disordine. Doveva aver dormito poco e male. «Tu non stai ancora bene. L'altro ieri mi hai fatto morire di paura, quando mi sei svenuto davanti. Non ho intenzione di portarti di nuovo a casa in braccio, solo perché hai sopravvalutato le tue forze un'altra volta.»

A quelle parole Haley socchiuse le labbra in un'espressione stupita. Calum tendeva a diventare fin troppo protettivo quando era preoccupato, lo sapeva, ma non immaginava che avesse compiuto un tale sforzo per evitare che altri lo toccassero. Fu per questo che abbassò il capo e annuì piano. «Aspetteremo il pomeriggio, va bene? Mi riposerò finché posso. Ma non possiamo attendere oltre. Non sappiamo quando l'assassino tornerà al lavoro, né quante altre vittime gli mancano per il rito, qualsiasi esso sia. Non abbiamo ancora trovato nulla di utile, le ipotesi di Cedar sono state confutate e io non so più dove sbattere la testa. Il kelpie può aiutarci, e noi abbiamo davvero bisogno di un indizio a questo punto.»

Calum gli rispose con un sorriso e gli scompigliò i capelli con affetto, ricevendo in cambio un lamento e uno schiaffo sulla mano, per quanto debole. Rise, poi, mentre osservava la smorfia infastidita dell'amico. «Tu pensa a dormire un po', noi prepariamo il necessario per partire. Immagino tu sappia già dove trovare quel mezzo cavallo acquatico, no?» Haley annuì e Calum imitò il gesto con finta sicurezza. «Allora non ci sono problemi. Io cercherò di parlare con Cedar, anche se mi odia, e spero di riuscire a calmarlo. Per il resto, beh... Speriamo bene.»

«Andrà tutto liscio» replicò con decisione il moro, guardandolo fisso negli occhi. Calum ci mise qualche secondo a distogliere lo sguardo e fare un cenno di assenso, sotto lo sguardo divertito di Rhys. Gli avrebbe tagliato le corna mentre dormiva, una notte di quelle, Calum se lo segnò in agenda.

«Il nostro parere non conta, dico bene?» fece ironico Thomas, ancora appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto. Sembrava essere la sua posa standard.

Haley lo osservò con un sopracciglio inarcato. «Hai qualcosa in contrario, Cacciatore?»

«Oh, no. Finché sei tu a svolgere il colloquio per me non ci sono problemi. Non sono io a rischiare la morte per affogamento.»

«Lieto che ci troviamo in accordo» rispose Haley con lo stesso tono. Thomas roteò gli occhi. Discutere con l'Unseelie era una partita persa in partenza, per cui alzò le mani in segno di resa, per poi lasciare la stanza. Will lo seguì subito dopo, ma non prima di aver scoccato al fae uno sguardo di ammonimento. «Spero tu sappia ciò che stai facendo. Non ti ostacolerò, ma non voglio un morto sulla coscienza.»

Haley le rivolse un mezzo sorriso. «Dopo un certo numero ci fai l'abitudine. E ora andate tutti fuori, le vostre facce mi hanno stancato» alzò la voce, facendo segno ai presenti di uscire dalla porta. Willow si sollevò dal letto con un misto di rabbia e preoccupazione che Haley preferì fingere di non aver visto, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Alla fine nella stanza rimase solo Rhys, con un ghigno in volto che non prometteva nulla di buono. Il moro sospirò, riappoggiando la testa sul cuscino sottile e ormai troppo caldo. Non aveva mai avuto tanta voglia di sdraiarsi nella radura in cui era solito riposarsi nelle notti estive, a Faerie. Ma ora non si trovava di certo nella sua collina, e nell'Altroregno non era ancora estate. «Sento che mi devi chiedere qualcosa dal primo momento in cui ho aperto gli occhi. Quindi, hai intenzione di aprir bocca?»

Il canuto rise piano, avvicinandosi al letto. Era rimasto in piedi accanto alla finestra fino ad allora, le mani nelle tasche dei pantaloni, tenendosi lontano dagli altri. Non si sentiva ancora parte del gruppo, o forse non aveva intenzione di esserlo mai. Era una persona difficile da capire. E Haley era troppo stanco per farlo ora. Lo osservò sedersi accanto a lui, dove poco prima era posizionata Will, e osservò la sua mano cercare di posarsi sul suo braccio. Cercò di restare fermo, ma finì per spostarsi all'ultimo, avvertendo troppa pressione in quel gesto. Sospirò. Era un caso perso. «Cosa c'è, Rhys?» domandò quindi, arrabbiato più con se stesso che con lui.

Il Seelie sollevò gli occhi rossi dal suo braccio alle sue iridi, passando da quella azzurra a quella gialla con un'attenzione quasi clinica. Haley stava per buttarlo a calci fuori dalla stanza, quando finalmente il fae parlò. «Qual è il vero motivo per cui vuoi parlare con il kelpie?»

Haley corrugò la fronte, ritirando ancora di più gli arti verso il petto. «Non capisco cosa intendi. L'ho già spiegato agli altri.»

Rhys rise ancora. L'Unseelie sospettava che si prendesse costantemente gioco di tutti loro, con quel gesto. Strinse di più la presa sulle sue gambe, per poi appoggiare il mento sulle ginocchia. Rhys si interruppe, allora, ricordando il Calum di due notti prima, che in quella posizione gli aveva confessato di temere più per la vita di Haley che per la sua. E Rhys non sapeva perché stesse cercando di aiutare il biondo a tenere vivo quel ragazzo problematico, ma lo stava facendo. Si vergognava di se stesso. «La scusa che hai usato va bene per chi non si intende di magia nera. Ma noi sappiamo che per trovare quel rito basta cercare in determinati libri, che Cedar ovviamente non possiede. Libri che invece tu possiedi, nella tua vecchia camera. Ma non vuoi che ricordino chi eri in passato, vero? Fingi di non saperlo. Ma tu sei ancora quel ragazzino, Haley. Sei ancora lui.»

«Stai mentendo» mugugnò Haley. Aveva i pugni serrati intorno alle gambe, lo sguardo vacuo e le labbra strette fra gli incisivi.

Rhys sospirò. «So di poter mentire per il mio sangue di goblin, ma sono sincero. E ciò che voglio fare non è rimproverarti, Haley» disse con un accenno di dolcezza, stringendogli piano un ginocchio da sopra la coperta. L'Unseelie cercò di scostarsi, ma Rhys lo tenne fermo. Aveva bisogno che lo ascoltasse e un Haley fragile come una foglia non era ciò di cui aveva bisogno, anche se doveva ammettere che vederlo in queste condizioni, così diverso dal ferreo generale che aveva conosciuto tempo addietro, gli faceva uno strano effetto. Si disse che era pietà, nient'altro che pietà. «Capisci però che se il tuo intento è conoscere la situazione interna a Faerie basta chiedere a Cedar. Lui capirà.»

«No» esalò Haley, cercando di riprendere il controllo sui suoi pensieri. Scostò la mano di Rhys e si rimise dritto, in modo da guardarlo negli occhi. Il Seelie ci vide una nota di follia, in essi, ma fu solo un istante. «Non voglio metterlo nei guai con la Regina. Meno sa e meglio è. E questo vale per tutti voi. Io parlerò con il kelpie e riporterò le sue parole in modo che siano utili per il mio scopo. Tutti crederanno che tornare a Faerie sia fondamentale per il piano, ma in realtà non sarà altro che una mia idea. Tornerò a palazzo di nascosto e recupererò i miei libri. Ivy mi aiuterà. E poi torneremo qui, a risolvere la situazione. Vedi? Funziona. Tu devi solo tenere la bocca chiusa, Rhys. È un ordine.»

Il Seelie rise. «E con quale autorità mi daresti un ordine, signor Solitario?»

Haley distolse lo sguardo e deglutì l'amaro che aveva in bocca, prima di tornare a guardarlo. Nei suoi occhi c'era un'implorazione silente e Rhys avvertì una strana morsa al petto davanti a quell'espressione così disperata. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani quando Haley gliele strinse con forza e aggrottò la fronte. «Rhys, ti sto pregando, se non ti è chiaro. So di essermi comportato male in passato, con la questione del tuo alcolismo e poi l'arresto e... Lo sai. Ma ora mi sto umiliando e davvero non è qualcosa che faccio facilmente, perché non è nella mia natura, ma tu-»

«Non dirò niente» lo bloccò Rhys, con un mezzo ghigno sulle labbra.

Haley rimase in silenzio per un istante, battendo le palpebre confuso. «Hai appena accettato di farmi un favore? A me

Il Seelie si alzò dal letto, scuotendo la testa e sorridendo fra sé. «Sai, c'è un motivo se sono qui e se ti ho salvato la vita in quel vicolo. Non esserne così stupito.» Si avvicinò alla porta malandata e fece per aprirla, ma all'ultimo si voltò. Haley era ancora fermo come l'aveva lasciato, sebbene stesse pian piano recuperando la sua maschera di fredda indifferenza. «Spero solo tu sappia a cosa stai andando incontro» aggiunse a quel punto, a bassa voce, per poi lasciare la stanza.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro