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17. Anime corrotte

Il rombo delle automobili giungeva ovattato fra le pareti del vicolo. Si mescolava al vociare dei pedoni e al suono acuto dei clacson in una cacofonia confusa, incomprensibile. La colonna sonora di una città in fermento, al sorgere di un nuovo giorno. Era già l'alba, infatti, ma in quella stradina buia la pallida luce del sole invernale tardava ancora a mostrarsi.

Willow sospirò. Se ne stava seduta su un gradino umido, davanti alla porta di ingresso di uno dei tanti appartamenti decadenti del paese, le ginocchia tirate al petto e lo sguardo assente. Una folata di vento freddo la fece stringere nella sciarpa di lana, mentre si decideva a riporre in tasca l'anello che aveva fissato con insistenza fino a quel momento. Aveva quasi desiderato farlo sparire con il pensiero, quel dannato cerchietto d'argento. Eppure, eccolo ancora lì, pesante come un macigno nella tasca della sua felpa mimetica.

In realtà non capiva nemmeno cosa la preoccupasse tanto. Perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Se Fionn aveva voluto regalarle quel gioiello per il loro anniversario era perché se lo meritava. Stavano insieme da tre anni, dopotutto. Già. Ma tre anni fa non mi sarei sentita in difetto ricevendo un simile regalo. Tre anni fa ne sarei stata felice. E ora? Ora non so nemmeno più cosa pensare. Will sospirò ancora, incrociando le braccia sul petto in una posa di difesa. È tutto un maledettissimo casino.

Si guardò intorno, in attesa di vedere delle figure comparire all'imbocco della stradina, ma tardavano ad arrivare. Avrebbe voluto concentrarsi sulla missione, lo avrebbe voluto davvero, ma senza gli altri ragazzi i suoi pensieri tendevano sempre a divagare, andando a toccare argomenti che avrebbe preferito di gran lunga ignorare. Argomenti come quello. Era successo tutto la sera del giorno prima, quando Fionn era sbucato all'improvviso sulla scena del crimine. Tornata a casa lo aveva trovato già in salotto, mentre chiacchierava amabilmente con suo padre. Che poi, chi accidenti avrebbe potuto parlare in modo tanto educato con quella testa di legno di suo padre? Solo Fionn, ovviamente. E davvero gli voleva bene per questo suo essere così gentile in ogni momento, ma, per l'appunto, gli voleva bene. Non era come se lo amasse, giusto? E forse non avrebbe dovuto accettare quel pacchetto che, una volta soli in camera sua, il ragazzo le aveva porto. Perché Will conosceva i sentimenti del castano, per lui era così semplice esprimerli, sembravano quasi naturali sulla sua lingua, ma non per la Cacciatrice. Affatto. Lei si sentiva soltanto terribilmente in colpa. Soprattutto considerando che, fra un omicidio e l'altro, aveva completamente rimosso quanto quel giorno fosse importante per loro. Will si considerava un disastro sotto tutti i punti di vista e quasi avrebbe preferito che Fionn arrivasse a odiarla per quella mancanza. Ma, di fatto, il ragazzo era troppo buono per fargliela pesare.

Scosse la testa con un cipiglio in volto, come per scacciare dalla mente quei pensieri irrequieti. I sottili capelli rossi le sfuggirono da dietro le orecchie, ma fu rapida a rimetterli a posto, giusto in tempo per scorgere la sagoma di suo fratello sopraggiungere dalla strada principale.

«Scusa il ritardo, ero–»

«Papà ti ha trattenuto e bla bla bla. Ammetterai una volta o l'altra che non si fidano più a lasciarti guidare la jeep dopo che sei andato a sbattere contro un albero e che è questo il vero motivo per cui sei sempre in ritardo?» lo interruppe la sorella prima che potesse anche solo raggiungerla.

Thomas aprì la bocca per replicare, un dito sollevato a dargli un'aria da professore saccente, ma subito dopo ci ripensò e riabbassò la mano. «Non è stata colpa mia quella volta. Mi hai distratto.»

«Dirti che un gatto stava attraversando la strada non significa distrarti.»

«Come ti pare. Insomma, non siamo qui per discutere di questo» borbottò, le mani premute con forza sul fondo delle tasche della sua inseparabile giacca in pelle marrone. Era appartenuta a Mikhail quando era più giovane e Thomas, fin da piccolo, aveva ritenuto che indossarla l'avrebbe reso forte e autorevole come il padre. Su quest'ultima parte però, a venticinque anni suonati, ci stava ancora lavorando. «Dove sono le fatine della Bella Addormentata?»

Willow roteò gli occhi, rialzandosi dalle scale. «Haley mi aveva avvertito che avrebbero fatto tardi. Questioni di sciurezza, ha detto. E smettila di chiamarli così.»

«Solo se mi prepareranno una torta come nel film. Ma tranquilla, non li insulterò più davanti a Nightshade. Quel tizio mi mette i brividi, dopo aver sentito i racconti di papà. »

La ragazza corrugò la fronte. Per qualche strano motivo tutto ciò che riguardava Haley la incuriosiva a dismisura. Forse perché il fae aveva quell'aria costantemente triste, o forse perché emanava tanto potere da lasciarla confusa. Di fatto, moriva dalla voglia di saperne di più sul suo conto. «Perchè, cosa ti ha detto?»

«Non c'è nulla di interessante nel mio passato» pronunciò una voce seria alle loro spalle, facendoli sobbalzare. Will incrociò all'istante le iridi eterocromariche dell'Unseelie, che la fissava a sua volta con una delle sue espressioni indecifrabili stampata in volto. Sembrava ancora più pallido del solito nella triste luce mattutina. «A meno che non vi piacciano i racconti del terrore, ovviamente» aggiunse il fae alcuni secondi dopo, distogliendo finalmente lo sguardo. La Cacciatrice si sentì di colpo libera da un peso che le opprimeva il petto e il cuore le riprese a battere a un ritmo più veloce, come se volesse recuperare i battiti perduti.

Anche Thomas aveva riacquistato la sua aria professionale, la mano destra sempre pronta ad afferrare il manico della pistola, adagiata nella fondina. «Ho sentito abbastanza racconti da stare sveglio per notti intere, in effetti» scherzò con tono acido, pur senza creare una minima piega sul volto dell'altro.

Solo un piccolo sorriso, amaro come veleno, comparve a incurvargli le labbra. «Non hai idea di quanto tu abbia ragione» mormorò. Poi scosse la testa, come risvegliandosi da uno stato di trance. Will aveva notato che gli capitava spesso di perdersi nei suoi pensieri e non poteva fare a meno di chiedersi cosa lo portasse a estraniarsi dalla realtà in modo tanto repentino. «In ogni caso, Calum ci sta aspettando. Ho pensato che per indagare sui crimini di una fata sia necessario chiedere informazioni a chi di fae criminali ne incontra tutti i giorni. Inoltre, la mia specie è curiosa di natura e i pettegolezzi sono pane quotidiano per molti di noi. Non sarà complicato scoprire qualcosa, qualunque cosa sia. È però importante che voi stiate in silenzio e facciate parlare me. I Cacciatori non sono ben visti fra i miei simili.»

«E tu sì, traditore?» lo apostrofò Thomas, guadagnandosi un'occhiata tagliente da parte del fae. Stuzzicare l'Unseelie era pericoloso, sì, ma faceva davvero fatica a trattenersi a volte. Faceva parte del suo sangue da Cacciatore.

«Forse qualcuno mi considera un traditore, ma mi rispettano mille volte più di quanto rispettino il vostro ruolo, sbirri del sovrannaturale» sputò freddamente Haley, voltando le spalle ai due fratelli prima che potessero aggiungere un'altra parola. O prima che perdesse il controllo come suo solito.

Willow tirò una gomitata fra le costole del fratello maggiore, facendolo gemere di dolore, per poi correre dietro alle lunghe falcate del fae. Davvero, non aveva idea di cosa passasse per la mente di suo fratello in certe situazioni. Sperava che i suoi due neuroni si decidessero a collaborare un giorno o l'altro, invece di continuare a inseguirsi a vicenda.

La zona in cui Haley voleva portarli si rivelò essere il ghetto frequentato dal Piccolo Popolo. Era un quartiere di Teorann un poco discosto dal centro, da cui gli umani tendevano a stare alla larga senza nemmeno conoscerne il motivo. La magia naturale che proteggeva i dintorni si sentiva sfrigolare nell'aria fredda, facendo formicolare la pelle di chi, come i Cacciatori, non era abituato a stare in mezzo a tanta Energia non canalizzata. Un'area tutto sommato di modeste dimensioni, formata da un agglomerato di edifici apparentemente abbandonati ma dalle cui finestre sgorgavano fiumi di fiori dai diversi colori. Haley poteva distinguere i Seelie dagli Unseelie semplicemente osservando quei fiori: quelli velenosi, dall'aspetto tanto etereo quanto letale, si riversavano in strada sotto forma di cascate rossastre, mentre i gigli bianchi e le margherite di campo, simbolo di purezza e gioia infantile, adornavano i giardinetti adiacenti.

«Finalmente, maledizione, mi si stava gelando il fondoschiena a forza di aspettarvi!» sbottò d'un tratto la voce vagamente femminile di Calum, resa ancora più acuta dal tono stizzito che aveva usato. Si avvicinò agli altri tre con le braccia incrociate davanti al petto e le mani inglobate in due guanti di lana bianchi. La punta del suo naso era arrossata per il freddo e, forse, anche per l'irritazione. «Sappi che la prossima volta resterai tu a fare da palo. Qui è pieno di brutta gente» sibilò poi rivolto ad Haley, la voce ridotta a un sussurro.

L'Unseelie sorrise appena, scuotendo la testa. «Ho conosciuto davvero pochi fae nella mia vita che non avessero cattive intenzioni di natura. È ovvio che non siano brave persone.»

Thomas deglutì, ma non diede a vedere il suo turbamento. Nemmeno quando scorse un mezzo goblin caracollare lungo una via laterale lasciò intendere la sua voglia di tirare fuori la pistola dalla cintura e sparare contro ogni forma di vita nei paraggi. No, Thomas non era affatto preoccupato. Affatto. «Come credi che potrebbero aiutarci certi individui? Al massimo ci faranno a pezzi.»

Haley lo squadrò con aria di sufficienza. «Non oseranno farlo in mia presenza. Quindi ti consiglio di non irritarmi, non ci rimetto niente a scaricarti qui finché non finisco.»

Il Cacciatore boccheggiò offeso, ma la sorella fu rapida a intervenire al suo posto. «Bene, è deciso, andiamo. Avete pensato già a chi interrogare?»

Calum arricciò il naso. «Rhys si è svegliato ieri pomeriggio. Gli ho parlato - e dovete ringraziarmi perché sono riuscito a trattenermi dal rompergli una bottiglia di vetro sulle corna. In ogni caso, mi ha dato alcuni nomi.» Tirò fuori un foglietto di carta, dandosi un'aria di importanza, per poi porgerlo all'amico.

Haley lo studiò per un attimo con le sopracciglia aggrottate, poi si limitò ad annuire e, con un cenno del capo, si avviò direttamente verso quella che sembrava essere una vecchia osteria trapiantata nel mondo moderno. L'edificio non aveva la porta, staccata dai cardini e buttata poco lontano, forse durante una lite fra clienti. Solo una tenda di radici secche fungeva da separazione con l'esterno, ma non affievoliva le voci che si accavallavano nella sala. L'Unseelie riconobbe l'odore del fumo delle sue stesse sigarette appena varcò l'entrata. Di fatto l'uso di tali erbe non era illegale nell'Altroregno, ma non dubitava che se i sovrani ne fossero venuti a conoscenza avrebbero fatto rastrellare la zona.

Il gruppo si avvicinò al bancone del bar attraversando l'intera sala, sotto gli sguardi annebbiati o scrutatori dei presenti. Se Haley riusciva a ignorarli senza problemi, abituato a una simile accoglienza, lo stesso non si poteva dire per i due Cacciatori. Will cercò di non fissare troppo lo sguardo sulle strane figure che la circondavano, nonostante la pungente curiosità. C'erano molti fae di basso lignaggio e le peculiarità del loro aspetto attiravano come magneti la sua attenzione. Donne magre e longilinee, dagli arti trasformati in rami fioriti o in rovi spinosi, fae dai capelli colorati e dagli occhi ferini, altri con corna, becchi o zoccoli. Una coppia se ne stava in disparte in atteggiamenti decisamente osceni per un luogo pubblico, ma ciò che inorridì la Cacciatrice fu il fatto che i loro busti non fossero altro che gli scheletri di due casse toraciche.

«Non fissare le persone. Non è educato» la riprese Haley con tono piatto. Willow lo guardò con gli occhi grandi di stupore, ma lui non si voltò nemmeno una volta. Tenne lo sguardo fissò sulla locandiera, aspettando che la donna lo degnasse della sua attenzione. Sembrava ignorarlo di proposito e la cosa lo stava innervosendo. «Mi scusi» sibilò a quel punto, battendo una mano inanellata sul ripiano in marmo.

La donna fece un balzo indietro per lo spavento, una mano posata sulla parte di décolleté scoperta dal vestito. Squadrò Haley con un'aria di palese disappunto, che non perse nemmeno mentre si riaggiustava la crocchia sulla testa. I suoi capelli non erano altro che rametti verdi e flessibili, notò Willow, dalle cui estremità nascevano a tratti piccoli fiori bianchi. «Nightshade» disse infine, ponendo fine al silenzio fra loro. «Pensavo ti fosse stato vietato qualsiasi contatto con la gente della Corte. Cosa ci fai qui?»

L'Unseelie storse il naso, le dita che tamburellavano nervose sul bancone. «La Regina mi ha revocato temporaneamente il bando, finché non porterò a termine la missione che mi ha assegnato. A tal proposito, ho bisogno di parlare con alcuni tuoi clienti.»

La locandiera strinse le labbra, smettendo di asciugare i bicchieri puliti. «Non sei ben visto qui, lo sai.»

«Non mi è mai importato nulla di ciò che il popolo pensa o meno sul mio conto. Le cose non sono cambiate» replicò duro il moro, chiudendo le mani a pugno nelle tasche. Era diventato un gesto automatico, per lui, da quando aveva capito quanto lo aiutasse a controllare i propri istinti.

La donna dai capelli rampicanti sospirò spazientita, buttando sul ripiano l'asciugamano ormai umido. Poi uscì da dietro il banco, avviandosi a passo spedito verso dei tavoli in fondo alla sala. «Immagino già con chi tu voglia parlare. Seguimi» borbottò in direzione dei nuovi arrivati, senza però voltarsi a guardarli. Continuò soltanto a camminare ad ampie falcate, la gonna sollevata ai lati, finché non ebbe raggiunto due fae completamente ubriachi, seduti a un tavolino. Uno dei due si era lasciato cadere su di esso e un braccio gli era rimasto penzoloni dal bordo. Aveva delle unghie lunghe, nere e appuntite, simili agli artigli degli orsi, mentre l'altro aveva dei lineamenti affilati, da uccello, e due grandi occhi viola che sembravano biglie in quel volto emaciato. Non sembravano davvero degli informatori affidabili. Will e Thomas si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non si azzardarono ad aprir bocca.

Calum, che era rimasto fino a quel momento incollato alla schiena dell'amico, non poté fare a meno di stringere fra le dita una manica del suo cappotto quando riconobbe i due uomini. Haley gli lanciò un'occhiata che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto calmarlo, ma il biondo si sentiva tutto fuorché rassicurato. Li aveva visti di sfuggita quando ancora abitava nella Corte Seelie, ma non aveva dimenticato le loro facce. Dovevano essere stati convocati dal re in persona, quella volta, perché nessun altro avrebbe avuto il potere di far entrare a palazzo due sicari. Avevano sguardi freddi, cinici, e una sicurezza nei modi tipica di chi sa come procurarsi tutto ciò che desidera. Calum li aveva temuti sin dal primo momento. Sapere che Haley li conoscesse non poteva che preoccuparlo, senza contare il fatto che l'Unseelie aveva in mente di coinvolgerli nelle ricerche. Avrei dovuto informarni prima su quei nomi, dannazione. Questi ci faranno la pelle e venderanno le mie ali sul mercato nero.

Haley d'altro canto non fece caso alle paranoie del Seelie. Si era avvicinato ai due fae senza tentennamenti e aveva scosso quello riverso su se stesso con forza, nel tentativo di risvegliarlo. L'uomo si ritrasse di scatto, affondando gli artigli nel legno morbido del tavolo, un ringhio sordo a fuoriuscirgli dalla gola. «Che c'è?»

«Devo farti delle domande» fece Haley con tono calmo e la sua solita espressione annoiata.

Il fae si accigliò. Forse vedeva doppio a causa dell'alcool e ciò gli impediva di alzarsi e sventrarli sul posto, pensò Calum. «Domande? Cosa sei, il mio precettore? Non sono mica un nobile, ragazzino» sghignazzò dopo un po', distendendosi contro lo schienale della sedia. Aveva delle spalle ampie e braccia robuste come tronchi.

Haley non si scompose. «Ti conviene rispondere. Sarò anche stato esiliato, ma so ancora come far parlare un uomo reticente, Alder.»

La fronte del fae si corrugò, mentre nei suoi occhi scuri scorreva una scintilla di consapevolezza. Un sorriso storto andò a tirargli le labbra, mentre con una mano si riempiva ancora una volta il bicchiere. «Ma certo, sei Haley Nightshade. Mi sembrava che quel bel visetto non mi fosse nuovo. Ma dimmi, cosa ha fatto sì che tu portassi il tuo regal fondoschiena fra noi umili fate di strada?»

Calum soffocò un insulto con un colpo di tosse, per poi mordersi la lingua, mentre Will avrebbe voluto replicare, ma Thomas le fece segno di tacere. Haley si era intanto avvicinato ad Alder, fino ad arrivargli quasi sotto al naso. Sentiva l'odore acre del vino emanare dai suoi vestiti, a indicare che parte di esso gli era finito addosso. Si chinò in avanti, poi, per sussurrargli all'orecchio alcune parole che gli altri non poterono udire, ma che fecero spalancare gli occhi del sicario.

Quando Haley si ritrasse aveva un sorrisino ironico in volto. «Dunque, sei disposto ad aiutarci?»

«Tutto quello che vuoi, dolcezza» ammiccò quello. Sembrava essersi ripreso del tutto dalla sbornia.

«Sai qualcosa della strage che sta avvenendo in questo regno?»

«Non più di quanto sappia chiunque altro di noi. Non ho collaborato con l'assassino, se è questo che vuoi sapere. Preferisco lavorare da solo, o con Kim» divagò, indicando il ragazzo con gli occhi viola davanti a lui, ora assopito e con il viso appoggiato al tavolo. «Però ho sentito di alcune creature acquistate di contrabbando da un tale. Possedeva una montagna d'oro, da quel che ho sentito. Ora dovrebbe essere in possesso di alcuni goblin, Berretti Rossi e vari folletti maligni. Non ne conosco di preciso le quantità, ma so che è stato un buon affare per il trafficante.»

Haley si morse un labbro. «Il suo nome?»

Alder rise, facendo lamentare il compagno per il dolore alla testa. «Scusa, tesoro, ma sei pur sempre un ex-doganiere e lavori per la Regina, per quanto la disprezzi. Questa informazione è riservata.»

«Lo comprendo» si limitò a commentare il moro, pensieroso. Rimase in silenzio ancora per qualche istante, prima di annuire e congedarsi dal sicario con un semplice gesto del capo. Poi si voltò e uscì dalla locanda senza dire nulla, seguito in rapida successione dagli altri.

Alder rimase a fissarli con il suo ghigno stampato in volto, mentre il collega continuava a russare, riverso sul tavolo. Lo guardò per un attimo con aria di sufficienza, prima di buttare giù un altro sorso bruciante di whisky. La giornata si era rivelata più proficua di quanto avrebbe mai pensato, dopo essersi svegliato nella sporca stanza che aveva affittato alla locanda, solo e con una terribile emicrania. Mai si sarebbe aspettato di incontrare ancora una volta il ragazzo che l'aveva sbattuto in prigione decenni prima e, per di più, di fare un patto con lui. Rise ancora una volta fra sé per l'assurdità della situazione, ma non se ne sarebbe certo lamentato.

Con un movimento rapido del polso gettò il resto del liquore sul volto del fae addormentato, che si tirò in piedi di scatto, pronunciando pesanti improperi. Ma Alder non ci fece caso, mentre se ne tornava nella sua camera, troppo estasiato da ciò che aveva appreso dalla voce profonda di Haley. Non era mai stato tanto felice di sentirla prima di allora. È solo questione di tempo, Nightshade. Presto tornerò a riscuotere ciò che mi spetta e ti converrà far che io lo riceva senza troppi problemi, o le ali non saranno più l'unica parte del tuo corpo ad esser stata amputata. E io mantengo sempre le mie promesse, parola di assassino.

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