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12. Ospiti sgraditi

A prima vista l'appartamento sembrava perfettamente intatto. Nessun soprammobile caduto, nessun bicchiere rotto, nessun segno di lotta. Era sporco, quello sì, ma Gavin non era mai stato un uomo che tenesse alla pulizia, da quel che Thomas ricordava. C'erano alcuni cartoni di pizza vuoti sul tavolo, unti di olio, e piatti di almeno una settimana nel lavandino. Il divano letto era aperto, pronto per la notte. Dubitava però che Gavin ci avesse dormito, la sera precedente.

Si inginocchiò accanto al materasso polveroso mentre si infilava i guanti in lattice. Li portava sempre con sé negli ultimi giorni, da quando avevano cominciato a trovare cadaveri ad ogni svolta. Spostò con cautela un angolo del divano per osservare fino a dove si era allargata la macchia di sangue. Lì, sulla moquette grigio scuro, aveva rinvenuto il corpo dell'uomo che per anni aveva rifornito di armi lui e la sua famiglia. Era un ex Cacciatore, un loro cugino di secondo o terzo grado, non ricordava bene. Aveva smesso appena suo padre era diventato maggiorenne, già stanco della vita sul campo, e si era ridotto ad agire dalla seconda fila. Abitava in un bugigattolo di una stanza sopra il suo negozio, ma sembrava andargli bene. Era un tipo alla buona e la sua morte non era stata migliore.

Disgustoso, non poté fare a meno di pensare Tom, notando la sporcizia al di sotto del mobile. Lo rimise subito nella sua posizione originaria, notando che le dimensioni della macchia erano di certo molto più piccole di quanto avrebbero dovuto essere. Anche Gavin era stato dissanguato, come le altre vittime, eppure nemmeno nel suo caso erano visibili i segni di un simile processo. Thomas era sempre più perplesso. E furioso, terribilmente furioso. Odiava non avere idea di come agire.

Ritornò alla piccola cucina e aprì il frigo per prendersi qualcosa da bere. Vi trovò due lattine di birra, di cui una già aperta, e uno di quei contenitori di plastica trasparenti che sua madre insisteva ad usare. Probabilmente era lo stesso che ritenevano perso da anni e che la donna si era disperata a cercare in ogni angolo della casa. Afferrò la lattina chiusa con un sospiro sconsolato e scese di nuovo nel negozio, aspettando l'arrivo di sua sorella fra pistole e paletti di sorbo. Aveva già fotografato la scena del crimine, ma conoscendo la macabra passione per gli omicidi di Will immaginava che la ragazza avrebbe voluto controllarla per conto proprio prima di tornare a casa. A volte si chiedeva che problemi affliggessero sua sorella, ma finiva sempre per definirla un caso clinico irrisolvibile e arrendersi all'evidenza.

Si passò una mano fra i capelli rossi, che odiava con tutto se stesso, e uscì sul marciapiede, appoggiando una spalla allo stipite della porta. Scorse un movimento repentino vicino alla finestra, ma quando guardò in quella direzione non vide nulla.

«Tommy!» sentì gridare in quel momento dalla voce squillante di Willow, cosa che gli fece alzare gli occhi al cielo. Quella ragazza non aveva mai saputo come comportarsi in pubblico. L'educazione privata che avevano ricevuto per la maggior parte della propria vita non le aveva giovato sotto questo punto di vista. Si voltò con un mezzo sorriso verso di lei, pronto a rimproverarla ironicamente come faceva sempre, ma qualcosa gli fece sparire ogni accenno di divertimento dal volto. O meglio, qualcuno.

Estrasse in un unico gesto un pugnale di ferro dalla cintura e lo puntò senza esitazione contro il nuovo venuto. «Fermo lì! Allontanati da mia sorella.»

Il fae rimase impassibile, se non per un sopracciglio inarcato in segno di disappunto. Arricciò il naso e indicò l'arma con un movimento del capo. «Dovrei essere spaventato o...»

«Cosa ci fai qui?» gli ringhiò contro Thomas, senza smuoversi di un millimetro. Era felice che l'incantesimo che copriva il negozio oscurasse in quel momento anche la sua immagine. I passanti l'avrebbero preso per pazzo, vedendolo da fuori. Non avevano idea di quale creatura avesse di fronte.

«Siete ripetitivi in famiglia. Fate tutti le stesse domande» commentò Haley sbuffando. Aveva preso a guardarsi intorno con aria preoccupata, finchè  posò gli occhi su un punto dietro di lui. Sorrise piano. Thomas immaginò che quello fosse il massimo che potesse offrire un volto tanto glaciale. «Sono qui per trattare. Siamo disposti ad allearci con voi, ma a determinate condizioni. Ne vorrei discutere con i vostri genitori.»

Il Cacciatore rise. «Te lo puoi scordare.»

«Tom!» lo riprese la sorella, fulminandolo con lo sguardo. «Gli ho detto che per me va bene e sono sicura che per te sia lo stesso.»

«Ti sbagli. Non sono per niente d'accordo. Assolutamente. Zero per cento.»

«Sì invece!» sbottò Willow.

Thomas rinfoderò il pugnale, ma non perse la sua aria combattiva. «No, Will, smettila.»

Haley li stava fissando con la fronte aggrottata, le sopracciglia sottili ravvicinate e gli occhi gelidi. «Per noi le promesse sono sacre. Per voi invece le parole sono solo emissioni di fiato, vedo.»

Thomas si irrigidì. «Non è così. Anche per noi le promesse sono importanti. E a te non ho promesso nulla.»

Il fae distese le labbra in un ghigno. «Ma tua sorella sì. Sei vincolato dalle sue parole. Ti avviso che non sono molto ben disposto verso chi infrange le proprie promesse.»

«Sei una creatura disgustosa» lo aggredì il ragazzo, digrignando i denti. Schiacciò la lattina ormai vuota e la gettò con forza a terra, ai piedi del moro. Haley la guardò per un solo istante. Quello successivo aveva già preso fuoco, sciogliendosi in una pozza metallica sul cemento umido.

Willow fissò stregata le fiamme azzurrognole spegnersi a poco a poco, mente Thomas strinse i pugni lungo i fianchi. «Se ti portiamo dai nostri genitori giuri di non provare ad attaccarci?»

Haley inclinò la testa, osservandolo con i suoi strani occhi luminosi. Erano attenti e profondi come quelli di un falco e Thomas si sentì messo in trappola. «Lo giuro, Cacciatore.»

«E su cosa giuri, fae? L'oggetto interessato cambia la forza del patto.»

Lo guardò sorridere fra sé, gli occhi subito resi opachi dai ricordi incombenti. «Non mi è rimasto nulla su cui giurare, ma Calum può farlo per me. Lui è un Sidhe.»

«Chiamalo, dunque.»

«Non ce n'è bisogno, amico, sono già qui» esclamò una voce acuta dietro al Cacciatore, che lo fece voltare di scatto. Il fae biondo e lentigginoso che aveva visto nel vicolo la notte prima si stava tranquillamente dondolando sulle punte dei piedi, le mani coperte dalle maniche del suo maglione giallo. «E anche da un po' di tempo a dire il vero.»

«Da dove diamine sei spuntato fuori?» gli sbraitò contro Thomas, sempre più frustrato.

Calum storse la bocca, confuso da quell'espressione. «Dal ventre di mia madre, da quel che mi hanno detto. Ma potrei anche essere stato adottato.»

Haley ridacchiò, raggiungendo l'amico per dargli un paio di pacche sulle spalle. «Mi sei mancato, Cal.»

«Davvero carino da parte tua, dopo avermi mandato qui alle cinque di mattina senza nemmeno un pancake» brontolò il Seelie, ma non si sottrasse alla presa familiare del suo migliore amico. Il ritrovamento di quel nuovo cadavere l'aveva lasciato più turbato di quanto desse a vedere. Odiava essere così debole, ma aveva sempre provato avversione verso ogni tipo di violenza e non poteva fare a meno di sentirsi male per quell'uomo, nonostante fosse un Cacciatore. Conoscere il passato di Haley, poi, lo rendeva ancora più sensibile. Alzò lo sguardo verso di lui e gli lesse negli occhi la comprensione per il suo stato d'animo. Sorrise. Non c'era mai stato bisogno di parole fra loro.

«Sto ancora aspettando» li richiamò il Cacciatore. Stava battendo un piede a terra, le braccia incrociate sul petto ampio e un'espressione irritata in volto. Calum si chiese per l'ennesima volta cosa Haley avesse in mente con quella proposta di alleanza. Non rientrava affatto nei piani. Cedar non ne sarà contento, pensò, prima di realizzare che, in effetti, non gliene importava granché. Così stirò le labbra in un largo sorriso e si rivolse al ragazzo dai capelli rossi. «Scusate, mio caro amico, se vi ho fatto aspettare. Vi giuro sulla mia vita che non attaccheremo alcun membro della vostra famiglia, né fisicamente, né con le parole. Fra cui, sottintesi, ci sono anche gli incantesimi. Specifico per voi comuni mortali» aggiunse ridacchiando. Haley fece un mezzo sorriso, ma subito scomparve.

«Sono in missione per conto della Regina Unseelie» si intromise a quel punto Willow, stringendo l'avambraccio del fratello. «Non possiamo ignorare un ordine reale. I patti –»

«Lo so, lo so. Li conosco, i patti.» Thomas contrasse la mascella, indispettito per l'entrata in gioco di una nuova variabile. Ci mancava soltanto la Regina a rimescolare le carte in tavola. Se fosse stato per lui avrebbe rimandato i suoi emissari dritti nel buco sotterraneo da cui erano usciti, a calci e il più in fretta possibile, ma le leggi glielo impedivano. Era alla base dell'essere un Cacciatore rapportarsi in modo civile con i sovrani delle Corti. Ciò gli vietava di fatto la possibilità di ignorare quei due strani individui e di proseguire per la propria strada. Sospirò. «Bene, allora. Se sostenete di essere emissari della Regina, cosa che controllerò appena arrivato a casa, siete i benvenuti. Ora muovetevi e seguitemi, papà non mi ha lasciato la macchina e dobbiamo farci tutta la strada a piedi. Ci vorrà un po'» comunicò con freddezza, per poi incamminarsi lungo la strada principale. La fusciacca della macchina fotografica, fuoriuscita dalla tasca della giacca, gli batteva contro una gamba segnando il ritmo rapido del suo passo.

Haley fissò per un attimo l'edificio scuro che stavano abbandonando. Prima di seguire il Cacciatore sollevò una mano e mosse le ombre in modo da celare ulteriormente la sua presenza a persone estranee. Aveva una brutta sensazione, tuttavia, che quel piccolo accorgimento non contribuì del tutto a far scemare.

L'eterogenea combriccola si mosse in silenzio fino a destinazione, ognuno perso nei propri pensieri o contrariato all'idea di dialogare con il proprio nemico naturale. Lasciarono il centro abitato in una ventina di minuti, dopo i quali si inoltrarono nel fitto del bosco. Haley lo posizionò a occhio e croce nello stesso punto che Cedar aveva rintracciato il giorno prima, l'area in cui convergevano i luoghi degli omicidi. Doveva essere nello stesso bosco, anche se a una certa distanza rispetto a dove si trovavano loro.

«A che gioco stai giocando, Ley?» gli domandò in quel momento Calum, risvegliandolo dal suo rimuginare confuso. Haley sbatté le palpebre e mise lentamente a fuoco gli occhi sospettosi dell'amico, in attesa di una risposta.

«Non avevo pianificato di unirci a loro, né ho intenzione di farlo adesso. Tralasciando la certa disapprovazione della Regina - ho già in mente di mandare un fuoco fatuo a Ivy per chiederle di tenerla all'oscuro di questa faccenda - nemmeno io sono entusiasta all'idea di fare squadra con dei cacciatori di taglie. Tuttavia, parlare con la ragazza mi ha fatto venire un'idea.»

Il Seelie fece un verso strozzato. «Odio le tue idee. Te l'ho già detto, vero? E sai che non posso mentire.»

«Lo so. Ma so anche capire quando qualcuno è disponibile a vendermi informazioni. Nonostante tutto, ho ricavato anche degli insegnamenti da quel periodo della mia vita. Willow» mormorò, indicando con il mento la Cacciatrice che camminava qualche metro davanti a loro, «è una ragazza curiosa. È stata educata a tenere le distanze dalla nostra specie, è vero, e si comporta come farebbe un qualsiasi Cacciatore di fate, ma negli occhi ha quella scintilla che ho visto anche nello sguardo di tutti i miei informatori. Desiderio di far parte di qualcosa di più grande, di partecipare attivamente dopo essere sempre stato confinato nelle retrovie. Sono sicuro di riuscire a farle confessare più del dovuto, mentre noi terremo per noi le informazioni più specifiche. Qualcosa dovremo dir loro, ovviamente, ma lascia fare a me. So come raggirarli» concluse il moro, rivolgendo all'altro un piccolo sorriso. Sarebbe quasi sembrato innocente se non fosse stato per quella luce che aveva costantemente nello sguardo.

Calum non l'aveva mai vista abbandonarlo, nemmeno quando l'aveva tenuto morente fra le proprie braccia. Era rimasta anche allora, resa liquida dalle lacrime, ma presente. «Quando parli in questo modo mi spaventi parecchio» si lasciò sfuggire, ridacchiando subito dopo. Haley era l'ultima persona al mondo che gli avrebbe fatto del male di proposito, di questo era certo.

L'Unseelie abbassò lo sguardo, pur mantenendo un debole sorriso a turbargli le labbra pallide. Si osservò le mani per un solo secondo, prima di infilarle con forza nelle tasche, deciso più che mai a non pensare in negativo, almeno per quella volta. Non voleva vedere ancora il sangue macchiargli la pelle troppo chiara, quasi malata, mentre stringeva fra le dita una spada troppo pesante per la sua età. È passato tanto tempo. Perché non riesco ad andare avanti? Si sforzò di riprendersi in fretta. Calum diventava sempre più bravo a intercettare i suoi momenti di debolezza. In quei giorni i suoi pensieri erano peggiorati parecchio, ma non poteva e non voleva che l'amico se ne rendesse conto. «La paura è utile a volte, non credi? Ti impedisce di fare cose di cui poi ti pentiresti.»

«Meglio pentirsi di aver fatto qualcosa che rammaricarsi per non averla fatta» se ne uscì invece Calum. Muovendo le sopracciglia con fare ammiccante, si produsse in una serie di goffe piroette fra le foglie del sottobosco. Ne uscì un po' barcollante, rischiando anche di cadere in mezzo a un cespuglio e attirando l'attenzione dei due Cacciatori, fino ad allora assorti in una serrata conversazione. Haley immaginava di essere stato il loro argomento centrale, almeno fino a quel momento.

«Cosa stai facendo, ora?» sbuffò Thomas, guardando male il fae saltellante. Calum si fermò solo un istante, il tempo necessario per ricambiare l'occhiataccia, prima di riprendere la sua strana danza per i sentieri del bosco. L'Unseelie lo osservò sparire fra i rami spogli e contorti, mentre canticchiava un qualche motivetto imparato all'ultimo Cerchio a cui avevano partecipato.

«È un tipo bizzarro» commentò Willow, affiancandolo. «Siete tutti così?»

Haley inclinò la testa, senza spostare lo sguardo dal punto in cui Calum era scomparso. «Non lo so. Ti sembra che io sia così?» le domandò di rimando.

La ragazza lo scrutò con attenzione. Aveva ancora la stessa patina di malinconia nello sguardo che le riempiva la mente di domande inespresse. «No. Non potreste essere più diversi.»

Haley la guardò negli occhi, pensieroso. «È vero. Eppure siamo più simili di quanto sembri.»

Willow avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse, ma Thomas li interruppe, richiamandoli da poco lontano. La casa era già in vista. Non era molto grande, una semplice villetta a due piani dalle pareti in legno e il tetto spiovente, circondata da un giardinetto tutto sommato curato. L'erba era forse un po' alta, ma Haley era troppo abituato alle foreste di Faerie per notarlo. Quello che notò, invece, fu l'aura pesante che emanava. Non ne comprese bene il motivo finché non sentì Calum emettere un gemito di dolore. Il Seelie aveva appena superato il cancelletto bianco, entrando nel prato senza chiedere il permesso, come suo solito. Ora se ne stava rannicchiato su se stesso, seduto e con le dita affondate nel terreno per ricavare l'Energia necessaria a rimettersi in piedi.

Haley si irrigidì di colpo. Corse da lui e lo trascinò lontano dalla casa, sul confine con il bosco, dove riprese a respirare con più facilità. Solo allora rivolse uno sguardo di fuoco ai due Cacciatori, rimasti immobili al proprio posto. «C'è del ferro nelle pareti?» ringhiò. «Per un Sidhe è letale, imbecilli! Avreste potuto ucciderlo.»

Thomas mise le mani avanti. «Se avessimo voluto uccidervi l'avremmo già fatto. Non vi avremmo portati in casa, ma nel capanno sul retro, dove teniamo le udienze con il Piccolo Popolo. Il tuo amico deve solo imparare a stare al suo posto.»

Haley non smise di fissarlo con fare omicida. «Vuoi sapere dov'è il tuo di posto, Cacciatore?»

«Smettetela! È stato un incidente. Papà ha messo dei blocchi di ferro freddo nelle pareti per impedire ai brownies di costruirci le proprie case. Qualche anno fa ci abitava una famigliola piuttosto numerosa» intervenne Willow sbuffando e cercando di calmare gli animi.

«Poveri brownies» commentò invece Calum, rialzandosi a fatica da terra. «Quella quantità di ferro ucciderebbe pure un mezzosangue.»

Thomas fece spallucce. «Sono precauzioni necessarie. Non siamo noi a venire a disturbare la vostra specie, ma il contrario.»

Haley rise fra sè. Sciocchi mortali. Credono di avere il mondo nelle proprie mani, quando non sono altro che una mandria di usurpatori. «Vorrei concludere questa visita il prima possibile, quindi, se non vi dispiace...»

Willow annuì e si premurò di incenerire il fratello con un'occhiata prima di accompagnare i due fae verso la casetta posta dietro all'abitazione principale. Consisteva in una stanza abbastanza larga, con un tavolo, una decina di sedie e un armadio a cassetti, probabilmente contenenti documenti vari. Pulita e austera. L'unico articolo di arredamento fuori dall'ordinario era una pianta verde in vaso, posta in un angolo della casetta, accanto all'archivio. Sembrava anch'essa soffrire di solitudine in un'atmosfera tanto vuota e anonima. «È anche adibita a secondo studio di mio padre. A volte preferisce lavorare qui. È per questo che è così... sterile, direi» spiegò Will, mentre i ragazzi andavano a sedersi uno accanto all'altro dall'altra parte del tavolo. Lontani dalla porta. Sembravano comportarsi come animali in gabbia, in quella casupola di pochi metri quadrati.

«Thomas è andato a chiamarli» aggiunse dopo un paio di minuti di silenzio. Si strinse fra le proprie braccia, restando sulla soglia della porta. Toccavano sempre a lei i compiti più ingrati, come quello di tenere sotto controllo i due fae. Come se loro potessero scappare, dopo essere giunti fin lì di propria spontanea volontà.

Calum sbuffò, restando rannicchiato sulla sua sedia, con le ginocchia sotto al mento. Non accennò a volerle rispondere e immaginò di non stargli molto simpatica. Haley, invece, la stava studiando con attenzione da quando erano arrivati. Era disturbante essere esposti a uno sguardo tanto serio e imperscrutabile, ma allo stesso tempo era affascinante da osservare. Le sembrava di trovarsi davanti agli occhi di un leone. «Non c'è bisogno che fingi benevolenza nei nostri confronti. Siamo abituati al disprezzo degli umani.»

Sussultò a quelle parole, pronunciate dopo lunghi secondi di tensione. «Non sto fingendo. Sono una Cacciatrice, ma ciò non toglie che la vostra specie mi abbia sempre incuriosita. Non disprezzo le fate in sé, solo quelle che infrangono la legge.»

Il fae sorrise, ma i suoi occhi rimasero spenti. «La legge è fatta da chi le regole le infrange. Non ho mai subito tanti torti da una fata comune quanti invece da chi detiene le cariche più elevate. È un mondo ingiusto, piccola umana, ed è sempre andata così.»

Willow aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non avere nulla da dire. In quello stesso momento percepì una presenza alle sue spalle e si scostò per far entrare nella stanza suo fratello e i genitori. Erano armati sotto ai vestiti, lo notò all'istante. Ed era certa che anche il fae se ne fosse accorto.

Suo padre fece un paio di passi in avanti, pesanti sul parquet scricchiolante. Si fermò proprio di fronte al moro. Tenne gli occhi fissi nei suoi, così come la figlia aveva fatto prima di lui, ma con sentimenti molto diversi. «Haley Nightshade» pronunciò secco, facendo salire i brividi lungo la schiena di Willow. Quel nome l'aveva già sentito e non in occasioni rosee. «Pensavo fossi morto.»

Il ragazzo sollevò il mento, fronteggiandolo. «Persino la Morte mi evita.»

«Oh, non temere. Ti farà visita molto presto» replicò l'uomo. Poi sorrise, portando una mano sotto alla camicia. «E dovrai ringraziare me per questo.»

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