10. Come un fiore d'inverno
Appena la porta si richiuse alle sue spalle Calum arricciò il naso, già arrossato dal freddo. Il vento si era alzato nelle ultime ore e la strada era completamente deserta, se non per alcuni fogli di giornale sparsi e accartocciati al suolo. Producevano un fruscio sinistro mentre ruotavano in mulinelli, per poi finire la loro corsa negli angoli degli edifici. Al buio. C'era poca luce in quel quartiere. Il locale sul lato frontale bloccava quella dei lampioni, posti sulla strada principale.
Scosso dai brividi, sollevò il cappuccio della giacca fin sopra la testa e si sistemò dietro alle orecchie alcuni ciuffi ribelli, mentre scandagliava con lo sguardo ogni dettaglio del vicolo. Non si accorse subito della figura raggomitolata in un angolo delle scale, confusa fra le ombre proiettate dalle ringhiera. Sembrava così piccola ed esile, a differenza di come si mostrava sempre. Fragile. Calum l'aveva sempre definito fragile, fin dalla prima volta in cui aveva incrociato le sue iridi umide di lacrime. Non in senso negativo, no, era soltanto una parte del suo essere. E il Seelie avrebbe davvero voluto essere abbastanza forte per entrambi, ma era anche consapevole del fatto che la testardaggine del suo migliore amico non glielo avrebbe mai permesso. Aveva smesso di rimproverarlo da anni ormai. Non ha senso discutere del futuro con chi ha già scelto il fine ultimo della propria esistenza, si diceva. E, tuttavia, non poteva smettere di preoccuparsi per lui.
Sospirò, sfregandosi le mani fredde lungo le braccia. Una nuvoletta di vapore gli offuscò per pochi secondi la visuale, dopo i quali si decise finalmente a mettere da parte il proprio buon senso. Gli si sedette accanto, ma un gradino più in basso, in modo da poter appoggiare la testa incappucciata sul suo ginocchio. Pronto, ancora una volta, a farsi carico dei problemi dell'altro come se fossero i propri.
L'odore di fumo impregnava l'aria circostante e i vestiti di Haley. Calum ne trovò l'origine nelle cicche di sigarette ormai spente ai piedi del fae. Ne contò cinque, più di quante fosse solito consumarne in passato. Aggrottò la fronte. Era sicuro che avesse smesso anni addietro, quando le erbe che usava per prepararle, alcune di specie rare, erano state proibite alla vendita. Haley aveva sostenuto che cercarle nei mercati illegali sarebbe stato un inutile dispendio di energie, motivo per cui Calum non aveva avuto dubbi in merito alla fine di quel vizio. Probabilmente, invece, ne aveva conservata qualcuna. Si appuntò mentalmente che doveva essere particolarmente sotto stress in quel periodo e che gliel'avrebbe lasciata passare, per quella volta.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, stringendosi sotto i colpi taglienti del vento. Fu solo quando le raffiche sembrarono attenuarsi che il Seelie si decise a sollevare lo sguardo, cercando di incrociare quello dell'amico. Si era impresso sulle labbra il suo solito sorriso smagliante, ma Haley non lo vide. Aveva già voltato il capo di lato, in modo da non trasmettergli i propri pensieri con gli occhi. Calum notò tuttavia che l'Unseelie non si era mosso di un millimetro alla sua ricerca di contatto, cosa che, a dispetto delle apparenze, ritenne un buon segno. Solo nei suoi periodi peggiori il fae si trovava a rifiutare ogni tipo di contatto fisico, anche nei confronti di Calum. Il biondo dunque si fece coraggio, prendendo la sua, per quanto fredda, accoglienza come un invito a restare. E a fare domande. «Hai ripreso a fumare?» si trovò così a mormorare. E sul momento si sarebbe davvero preso a schiaffi per la frase che, fra tutte quelle possibili, aveva scelto di pronunciare. Sperò non la prendesse come un rimprovero, la sua era una semplice costatazione. Non l'avrebbe mai giudicato.
Lo sentì sospirare, pur rimanendo calmo. «È la prima volta da tempo. Ne avevo bisogno.»
«Ti succede spesso ultimamente, vero? Di averne bisogno, intendo.»
Haley scrollò le spalle, nel tentativo di sciogliere i muscoli contratti dai brividi. «Dove vuoi arrivare, Cal?»
«Non fare il finto tonto con me, sai che non attacca. Da quanto tempo vai avanti in questo modo? Da quando siamo arrivati qui? Cosa è cambiato? Oppure stavi già -»
Haley si mosse di nuovo, costringendo Calum a sollevare la testa di malavoglia. Questa volta, però, lasciò che il Seelie lo guardasse negli occhi. «Non so di preciso da cosa dipenda. Pensavo di essermi liberato di questo peso, almeno in parte. Ma, da quando ho saputo di questa missione, da quando Ivy mi ha consegnato quella dannata ghianda, è come se fossi tornato indietro di decenni. Io...» Si fermò. Deglutì e spostò lo sguardo sulla strada di fronte, le pupille in febbrile movimento lungo le crepe che segnavano il cemento. «A volte lo sogno ancora, sai? Vorrei dimenticarlo, ma lui torna sempre. E non penso di poterlo sconfiggere ancora una volta.»
Calum si sentì congelare a quelle parole. Avrebbe voluto sentire qualsiasi altra cosa purché non fosse quella. I ricordi delle condizioni di Haley nei loro primi anni di convivenza gli si stamparono dietro le palpebre, diventando più vivide a ogni battito di ciglia. Abbassò lo sguardo, sentendo gli occhi inumidirsi. No, non poteva sopportare di vederlo ancora in quel modo. Non dopo gli sforzi che entrambi avevano fatto per cambiare le cose. Non avrebbe permesso a Haley di farsi ancora del male in quel modo.
Gli prese le mani di slancio, obbligandolo a concentrarsi su di lui. Aveva uno sguardo vuoto che, tuttavia, cercò di ignorare. «No, Ley. Puoi farlo tutte le volte che vuoi. Sei più forte di lui. Per quante volte ti attaccherà, altrettante lo sconfiggerai. È tutto nella tua testa, okay? Hai solo bisogno di rilassarti, tutta la tensione e le responsabilità che ti sei addossato per questo caso non ti fanno bene. Vedrai che con il tempo ci farai l'abitudine. Non è poi così male qui, no? A parte quei cosi rumorosi con le ruote. Quegli aggeggi sono malvagi» aggiunse poi, cercando di buttarla sul ridere, e sottolineò la sua affermazione con una smorfia offesa.
Haley si espresse in un debole sorriso, ma per i suoi standard era un gran passo avanti. Lo vide abbassare per qualche istante gli occhi ai suoi piedi, con cui calciò giù dai gradini i mozziconi ridotti all'osso. Poi si rialzò, ancora stretto nel cappotto nero di un paio di taglie più grande che lo faceva sembrare agli occhi di Calum ancora più alto e magro di come già fosse. Così simile ad un fiore in mezzo alla neve e altrettanto delicato. E tenace, molto tenace. «Torniamo dentro. Voglio parlare con entrambi, ora che... ora che è passata.»
Calum annuì. «Certo, certo. C'è anche lo gnomo, vero.»
«È un bugul, Cal. Lo sai come sono fatti gli gnomi.»
Il biondo roteò gli occhi. «Beh, sono molto difficili da distinguere quando non sei lucido, okay? E ora entriamo, mi si sta congelando il sedere su questi gradini di ghiaccio.»
Trovarono Cedar intento a esaminare alcuni documenti, seduto composto sul divano consumato. A dispetto dell'ora ormai tarda, sembrava concentrato e attento, come se stesse cercando qualcosa di specifico in mezzo a tutte quelle parole di inchiostro. Haley si morse un labbro, sentendosi in parte colpevole per il comportamento che negli ultimi giorni aveva assunto nei confronti del consigliere. Era stato molto freddo con lui, ai limiti dell'arroganza. Non era affatto bravo a esprimere l'ammirazione che provava nei suoi riguardi, o qualsiasi altra emozione. Sapeva di non poter biasimare se stesso per qualcosa su cui non aveva potere, ma gli dispiaceva comunque non poter rendere più semplice il lavoro di un personaggio tanto illustre e dall'ingegno acuto come la punta di uno spillo.
«Cedar» lo richiamò, senza alcuna inflessione nella voce che tradisse i suoi pensieri. Il bugul sollevò il capo dai fogli, portando subito una mano a massaggiarsi il collo contratto. «Haley. Ti senti meglio? Calum mi ha detto di lasciarti sbollire, per questo non sono venuto a –»
«Non c'è problema, davvero» lo interruppe l'Unseelie, sforzando un breve sorriso. «È stato solo un momento di debolezza. Non accadrà nuovamente.»
Cedar scosse il capo, riponendo i documenti accanto a sé in una pila ordinata. «Non devi giustificarti. Va bene essere deboli, Haley. È normale.»
Il fae si irrigidì. «Non mi hanno educato in questo modo, posso contenermi. Ma non è di questo che voglio parlare ora. Ho già preso fin troppo alla leggera il nostro compito. Mauve ci ha dato delle informazioni, ma mi ha vincolato a sé con un patto. Ci siamo lasciati sfuggire due Cacciatori impreparati perché non eravamo sufficientemente armati, né carichi di Energia. Il nostro informatore è stato ferito e non si riprenderà fino a domani o dopo» aggiunse, lanciando uno sguardo alla camera in cui avevano adagiato il corpo in via di guarigione di Rhys. «Dobbiamo smetterla di muoverci a tentoni. Non siamo ragazzini inesperti e qui ci sono in gioco molte vite» disse, avvicinandosi ai fogli di Cedar e sfilando da essi la piantina di un quartiere della città. «Dobbiamo organizzarci, dividerci i compiti. La città non è grande, ma non abbiamo quasi nessun indizio su cui fare ipotesi. Cedar, tu sai se i morti vengono trovati in posizioni specifiche, sono collegate fra loro in qualche modo?»
Il bugul annuì e prese dal mucchio un'altra mappa, estesa a tutta l'area cittadina, spiegandola poi sul tavolino. Posò un dito in un punto nella periferia del paese, per poi muoverlo in direzione di cinque altri punti, segnati con inchiostro rosso. «Era quello a cui stavo lavorando. Guarda, è come se ogni corpo venisse posto sul raggio di una circonferenza che ha centro in questo punto. In effetti, quando abbiamo trovato quella ragazza avevo pensato che potesse essere stata spostata dopo l'omicidio. Era stata dissanguata, ma a terra non c'era abbastanza sangue per testimoniare una simile azione.»
Calum si affacciò sulla cartina con un cipiglio confuso in volto. «Perchè li mette tutti da questo lato? Preferisce la destra alla sinistra?»
Il consigliere roteò gli occhi. «No, Calum. Dall'altro lato, sotto terra, comincia Faerie. Sulla superficie invece, simmetricamente ai punti rossi, sono stati trovati cadaveri di fae, sia Seelie che Unseelie. Li stavo ancora segnando.»
«Ah» si limitò a commentare il biondo. «Bello.»
Cedar lo guardò con l'espressione di uno psichiatra che si sta interrogando sulla malattia del proprio paziente. Haley sorrise scuotendo la testa. «Quindi, sappiamo dove troveremo gli altri corpi. Tuttavia, non sappiamo dove e con quale criterio vengono uccisi. Né per quale motivo, né da chi.»
Calum si sedette a terra sbuffando. «Non sappiamo niente, insomma.»
«No, Cal. Abbiamo la meta, dobbiamo solo arrivarci per una strada diversa da quella più veloce. E a questo proposito si inserisce il mio piano.»
«Ovvero?»
Haley portò una mano alla tasca del cappotto, per poi estrarne un proiettile avvolto in un fazzoletto. Calum strabuzzò gli occhi, mentre Cedar corrugò la fronte scura. «Quando ho svuotato la pistola di quei Cacciatori ho fatto in modo di tenere in mano uno di questi. Volevo inizialmente fare un incantesimo di localizzazione per provare a individuare la loro posizione. Fuori poi l'ho guardato meglio e mi sono accorto di una cosa.» Allungò il braccio, inclinando il polso per esporre allo sguardo degli altri un punto preciso della pallottola. Sulla superficie metallica spiccavano incisi i caratteri di una parola. «Si tratta probabilmente del nome della fabbrica o del negozio in cui sono stati acquistati. Sono più propenso alla seconda opzione: per ottenere proiettili in questo materiale devono essersi rivolti a qualcuno che conosce la nostra natura e il modo migliore con cui offenderla, e questo deve avere un'attività in proprio.»
«Vorresti quindi andare dritto nella tana del lupo? Non so tu, ma io avrei qualcosa di più interessante da fare, tipo, sopravvivere» borbottò Calum incrociando le braccia al petto. Aveva indosso uno strano maglione a righe colorate che, con quel broncio, lo faceva assomigliare a un bambino capriccioso.
Haley posò il proiettile sul tavolino, accanto alla mappa, per poi afferrare una penna e scribacchiare il nome del produttore sul margine di un foglio. «Eppure sarà proprio quello che farai tu, Calum» replicò infine, porgendo all'amico il bigliettino, dopo averlo strappato dal resto della pagina.
Il biondo socchiuse la bocca, pronto per rifiutarsi, ma lo sguardo deciso di Haley lo fece capitolare. Prese la sua condanna a morte con un gesto brusco, rimettendosi a braccia incrociate l'attimo successivo, ancora più imbronciato di prima. «Ecco cosa si guadagna a essere sempre disponibili» sembrava sibilare fra sé, ma Haley non poteva esserne certo. La sua voce era attutita dalla lana del maglione, in cui il fae aveva affondato la faccia.
Sospirò e tornò a rivolgersi al bugul. «Sono sicuro che in questo modo Cal riuscirà a rintracciare il ragazzo. Io invece ho pensato di seguire la sorella. Lui mi sembra il classico stereotipo del Cacciatore, mentre lei ha qualcosa di strano. Credo sia più facilmente manipolabile e allo stesso tempo più testarda dell'altro umano. Ragionando ancora per luoghi comuni, sembra la tipica figlia ribelle che rifiuta la rigida educazione imposta dalla famiglia per entrare in contatto con altri umani. Proverò a cercarla nei luoghi di riunione di giovani mortali. Scuole, locali, parchi. Se farò un buco nell'acqua, saremo sicuri di trovarla a casa propria. In questo modo basterà seguire il fratello e troveremo entrambi. Tu invece indagherai sul luogo al centro del cerchio» gli spiegò con calma.
Cedar annuì pensieroso. «Penso si possa fare. Non vedo alcuna falla che possa compromettere la riuscita del piano. Sicuramente il ragazzo andrà a rifornirsi domani stesso dopo che hai buttato tutti i suoi proiettili. Non può chiederli ai genitori perché ha agito contro il loro volere e verrebbe punito. Sì, funziona.»
«Funziona? La mia morte quindi fa parte della buona riuscita del piano!» esclamò Cal, riemergendo dal suo groviglio di braccia.
Haley lo afferrò per le spalle, accucciato davanti a lui. «Non morirai. Devi solo seguirlo da lontano, non deve vederti.»
Calum fece una smorfia. «Se lo faccio mi porti la colazione a letto per un mese?» cercò di trattare.
«Due settimane.»
«Tre! E voglio i pancake ai mirtilli.»
L'Unseelie alzò gli occhi al cielo. «Okay, okay, affare fatto. Ora vuoi andartene a dormire? Dobbiamo svegliarci all'alba e mancano solo quattro ore.»
Calum saltò in piedi e corse nella sua stanza imprecando, senza salutare nessuno. Haley scosse la testa e sorrise. L'indomani sarebbe stata una lunga giornata.
~•~
La zona era buia, gli alberi coprivano la poca luce della luna che già le nuvole contribuivano a nascondere e l'erba era già diventata la dimora delle piccole creature della notte. Gli anthousai, piccole fate dalla forma di fiori, cominciavano già a scambiarsi pettegolezzi e le loro voci acute si confondevano con il frinire dei grilli. Una larga distesa erbosa si apriva infatti in quel punto, isolata dalla civiltà al punto da essere frequentemente utilizzata dai fae cittadini per le loro feste danzanti, fra balli infiniti e bevande incantate che impedivano di percepire la stanchezza. Luogo di allegria e spensieratezza, di malefici e follia e, ora, luogo di morte.
Questa era la vista che si apriva davanti all'uomo mentre si avvicinava all'albero più vicino. Un albero vecchio di secoli, che era diventato cavo in seguito a un temporale. Dall'esterno non sembrava altro che un semplice tronco, avvizzito per l'inverno e dai rami sottili come dita ossute. La figura incappucciata si fermò davanti a un grosso nodo della corteccia posto in basso. Si abbassò a quel livello e strappò dalla sua sede quel pezzo di legno circolare, rivelando una nicchia tappezzata di muschio e odorosa di terriccio. Al suo interno numerose ampolle scarlatte riflessero la poca luce lunare in modo inquietante. Nell'ombra davano l'impressione di tanti occhi assottigliati in espressioni accusatorie. L'uomo tuttavia sorrise, costatando che fosse tutto al proprio posto.
Estrasse da una tasca interna della giacca l'ennesimo contenitore e lo mise all'interno con gli altri. Sistemò poi il muschio il modo da renderlo stabile, prima di richiudere il nascondiglio e sigillarlo con un leggero incantesimo. Era sempre consigliabile farlo: per quanto insospettabile, i fae avevano una curiosità spiccata e c'era sempre il rischio che si immischiassero nei suoi affari, creandogli inutili problemi.
Si alzò in piedi subito dopo, spazzolandosi la terra dalle ginocchia e ritornando sui propri passi. La notte era ormai al suo compiersi, non gli era rimasto molto tempo per portare avanti i suoi compiti.
Stava già uscendo dalla radura quando scorse un movimento estraneo alla sua destra, fra il fogliame. Si fermò all'istante, seguito subito dall'intruso. La vegetazione era ora immobile, se non per le piccole foglie mosse dal vento. Non ci fu nessun rumore per minuti interi, durante i quali l'incappucciato non diede più segno di volersene andare.
Poi, una parola venne sussurrata e l'estraneo cadde a terra. L'uomo se ne accorse a causa del frusciare improvviso che seguì al suo incanto. Sorrise e riprese a camminare, calpestando fra stridii di dolore una piccola fata dei fiori. Non se ne curò. Aveva ancora molte cose da fare prima di potersi prendere una pausa.
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