Capitolo 1
Un tiepido calore mi solleticava la guancia e mi infastidiva gli occhi, il sole era già sorto. In lontananza potevo sentire il gallo prepotente cantare, che con il suo canto indicava che erano le sei di mattina, l'ora di alzarsi e di iniziare la giornata. Dalla finestra semi-aperta spirava aria fresca, di primavera, e il mio corpo era talvolta scosso dai brividi. Indossavo solo una camicia da notte di lino, che i miei genitori mi avevano regalato in occasione del mio compleanno pochi mesi prima. Non eravamo una famiglia povera, ma di ricchezze modeste, come tutto il paese. Un piccolo paese di montagna, ai piedi della Alpi, formato da circa cento casette e duecento abitanti. Il paese si stagliava a sua volta su un piccolo lago, dove si organizzavano feste, si pescava e si faceva il bagno. L'indomani infatti si sarebbe svolta una festività del luogo, la più importante perché indicava che da circa cinquant'anni esisteva quel piccolo paese che tutti invidiavano. Mi alzai dal letto, formato da paglia congiunta insieme da lacci di pelle e sopra posato, c'era un piccolo lenzuolo creato con la lana delle nostre pecore, l'unica cosa che potevamo procurarci in quel posto. Ancora intontita dal sonno, raggiunsi la sala successiva, dove passavamo la maggior parte del tempo, ovvero la cucina. Affianco al lavello emergeva una figura minuta, esile, dai capelli neri che incominciavano a dare sul grigio, nonostante la sua aria costantemente felice, indaffarata e sempre preoccupata per gli altri.
<< Buon giorno madre >>, mi limitai a dire. La donna si girò, regalandomi un sorriso dolce che si trasformò in stupore.
<< Elisabeth, sei ancora con la camicia da notte! Credevo che dopo aver compiuto il tuo diciassettesimo anno di età, fossi diventata più matura,- alzò gli occhi al cielo- comunque preparati, devi andare in centro e portare questi maglioni alla signora Elvira, ha già pagato, devi solo consegnarli. Prima però tieni. >> mi porse una tazza fumante con del the infuso dentro. Bevvi, velocemente, forse troppo perché mi ustionai la lingua, ma ero in ritardo.
Ritornai in camera e presi il mio normale vestito, quello che indossavo quotidianamente, tutti i giorni. Era color oliva e mi arrivava fino alle ginocchia, le spalline erano sottili, così sottili che una mi si strappò quasi subito e nonostante mia madre abbia cercato di ricucirla, quella si strappava in continuazione, così decisi di tenermi il vestito con una sola spallina. Cercai di pettinarmi i capelli con quello che doveva essere un pettine e li raccolsi in uno chignon. Uscii di casa e un'atmosfera dolce mi invase i polmoni, il sole era ancora in balia di sorgere e il lago rispecchiava il suo cammino regalando una vista spettacolare. Anche gli uccellini erano gioiosi e il loro cinguettare dava al posto quel che serviva per essere un paradiso. Mi incamminai al fianco del lago pensando al giorno a venire con in mano il cesto in cui erano depositati i maglioni della signora Elvira. La strada era unica, formata da un terreno duro come la pietra e conduceva sempre al centro del paese, raramente si trovavano persone venute fuori dal paese in vacanza, si perché questo era un villaggio nascosto, tra le montagne e così non c'erano mai visitatori. Al paese però andava bene così, vivere nella segretezza permetteva anche di vivere in pace. Il villaggio infatti viveva di serenità, da molti anni ormai non esistevano più malviventi, ladri e non c'erano più furti, omicidi. Anche la polizia aveva abbandonato quel posto, perché non c'era bisogno di lei, non esisteva neanche un sindaco, solo cittadini che vivevano in pace tra loro. Poco prima della città incontrai un buonuomo di circa cinquant'anni, con un carro, che stava trasportando ortaggi e frutta dal suo orto. Lo salutai con un cenno del capo e un sorriso a cui lui ricambiò. Lo conoscevo, si chiamava Gregor, quando ero piccola passavo intere giornate nel suo orto, a giocare con suo figlio, Michael, prima dell'incidente. Avevo dieci anni quando il fienile prese fuoco lasciando rinchiuso Michael all'interno, purtroppo non c'era stato niente da fare. Eravamo molto legati, era il mio migliore amico, ma ora bisogna andare avanti. Raggiunsi il centro, una piazza contornata da palazzi vecchio stile, dai mattoni rossi e grigi. La piazza iniziava a gremirsi di gente in occasione del mercato del venerdì, nel quale era possibile trovare di tutto a basso prezzo. Su un lato della piazza, si trovava una piccola stradina che si intricava tra le casette fino ad arrivare a un negozietto, dove lavorava la signora Elvira. Entrai dalla porta sempre aperta e giunsi all'interno, poche volte ero stata lì. L'interno era un po' lugubre, ma non troppo grande,era ricoperto da tappeti scuri, alle pareti erano appesi talismani, piccoli teschi e varie ampolle di diverse grandezze che contenevano oggetti di cui non saprei indicare la provenienza. Al centro ergeva una tavolo, varie carte e piccole sfere, insomma Elvira era una strega. Strega per così dire, era più una veggente che faceva predizioni e strane zuppe per dire. Ed eccola apparire, dal retro, ci si aspetterebbe una persona orribile spregevole, un abominio, ma lei era tutto il contrario, dolce, incantevole nonostante la sua età ed era una delle amiche più intime di mia madre.
<< Elisabeth!! Che piacere! Sei venuta a farti predire il futuro? >> disse abbracciandomi, tra poco non mi soffocò con i suoi riccioli rossi.
<< Elvira... >><< Zia Elvy!>> disse bloccandomi e non potei trattenere un sorriso, la conoscevo da quando ero piccola e lei aveva sempre voluto che la chiamassi così, anche se sembrasse più mia nonna e non fosse la mia zia naturale.
<< No zia..., mia madre mi ha mandato a portarle questo. >> e le diedi la cesta con i maglioni, anche se non avevo ancora capito a cosa gli servissero i maglioni che ormai era quasi estate.
<< Oh, grazie infinite! >> disse non smettendo mai di sorridermi, stavo accingendo ad andarmene quando mi bloccò di nuovo.
<< Bé? Non vuoi che ti faccia una predizione? Sai che per te è gratis, vero? >> il suo sguardo non mi permetteva di rifiutare, ma avevo tanto da fare...
<< Ok, ma veloce!! >> dissi infine sorridendo. Ci sedemmo al tavolo una di fronte all'altra. Prese il mazzo di carte e iniziò a mescolarlo, ne scelse una ventina tenendole sempre coperte, pronunciava parole strane, in una lingua che non conoscevo e che non sapevo neanche se era di questo mondo. Altre volte mi ero fatta fare una predizione da zia Elvy, ma non ci davo troppo peso, anche se a volte delle cose si avveravano. Alla fine mi fece scegliere tre carte, le posizionò sul tavolo a una distanza uguale tra tutte. E iniziò a girarle, una alla volta. Questo era il momento più importante, dove tutti i nervi erano tesi e pronti a ricevere notizie, anche se brutte. La prima carta rivelava un ragazzo con in mano un cuore.
<< Penso che saprai cosa indica questa carta, comunque conoscerai un ragazzo che ti ruberà il cuore... - sorrise maliziosamente - chissà tua madre cosa penserà di questo, eh,eh. >>.
Divenni subito rossa come un peperoncino e il cuore inizio a battere fortissimo, avevo paura che mi venisse un infarto, io? Un ragazzo? Quando mai, l'unico ragazzo che ho avuto è stato quando avevo cinque anni e giocavamo a lanciarci palle di fango, molto romantico. Elvira girò la seconda carta e un'aria truce si dipinse sul suo viso, la seconda carta indicava soldi. Forse sarei diventata ricca? Dalla sua faccia non si direbbe questo.
<< Allora, sono disegnati dei soldi, ma non saprei dirti con precisione cosa vogliano dire esattamente, allora girerò la terza carta. >> annuì piano, e mi accorsi che aveva la mano che tremava.
La terza carta mostrava un teschio, la morte. Elvira ebbe un sussulto, il suo volto trapelava molto chiaramente la preoccupazione.
<< Molto probabilmente la seconda carta e la terza sono collegate, il ragazzo dei tuoi sogni avrà a che fare con qualcosa di pericoloso, di segreto.>> .
Ci fu un attimo di silenzio per assimilare quello che avevo sentito, ma durò molto poco che Elvira mi fece spaventare con la sua voce allegra.
<< Si, ma non ti preoccupare, non credo che si avvererà, insomma quando mai una mia predizione si è avverata? >>.
La sorprenderei se le dicessi il numero, ma lasciai perdere, avevo bisogno di distrarmi ora. Uscii dal negozio salutandola con sorriso che diceva " non ti preoccupare, non ci darò peso". Anche se io ci davo peso, continuavo a pensare, avrei davvero conosciuto un ragazzo bello e affascinante? Il solo pensare positivamente mi faceva dimenticare le altre due carte. Raggiunsi di nuovo la piazza e feci un giro per il mercato, ovunque si potevano vedere i volantini per la festa di domani e la felicità nelle varie persone, che anche se non ti conoscevano ti salutavano e tu non potevi fare a meno di ricambiare. Comprai alcune spezie che servivano a mia madre per preparare pasti speciali in onore della festa. Infatti i cittadini si riunivano in riva al lago, portavano qualcosa, da mangiare e da bere e si cimentavano in danze popolari a suon di mandolino. I miei pensieri vennero interrotti da qualcosa di familiare, in fondo alla piazza c'era una bancarella, ma non una bancarella qualsiasi, era uno spettacolo di burattini. Io li adoravo, quando ero piccola venivo sempre qua il venerdì ad ascoltare le storie dei burattinai. Specialmente quella storia, la conoscevo molto bene "Raperonzolo". Rimasi incantata ad ascoltare quella storia insieme ai bambini fino alla fine del racconto. Aspettai che il burattinaio uscii fuori dalla sua bancarella per fargli i complimenti. Era un vecchietto, non grasso ma neanche magro e indossava un paio di pantaloni con le bretelle e una camicia consumata. Era conosciuto da tutti per la sua intelligenza e la sua saggezza e tutti gli volevano molto bene.
<< Elisabeth!! >> mi disse abbracciandomi. Un burattinaio che sa il mio nome e mi abbraccia? Strano vero? Bé lui è...
<< Nonno! >> si è mio nonno, il mio vero nonno, non come zia Elvy.
<< Non manchi mai eh? Allora, racconta un po' cosa stai facendo di bello oggi? >> e insieme iniziammo a camminare per il mercatino.
<< Ma niente di che, faccio due commissioni...sai che zia Elvy mi ha predetto il futuro? Si ha detto che tra poco troverò il ragazzo della mia vita.>>, non volli raccontargli il resto, meglio tenere tutto per me.
<< Ah! Quella strega, nel vero senso della parola... allora in tal caso ho qualcosa per te>> e tirò fuori una scatoletta, me la diede e io la aprii. Dentro c'erano due collanine di argento e con metà cuore ciascuno. Non ho mai avuto qualcosa di così prezioso.
<< quando avrai trovato il tuo ragazzo ideale, dopo avermelo presentato,-sorrisi-potrai dargli una collanina, segno del tuo amore. >>
<< Grazie nonno! >> lo strinsi forte e lo salutai incamminandomi per ritornare a casa. Giunta all'abitazione aiutai mia madre a cucinare pranzo, ortaggi bolliti. Non era una novità, mangiavamo quasi sempre quello. Le raccontai della mattinata e della predizione, a cui lei non diede ascolto.
<< Figurati! Qua in giro ragazzi belli non se ne trovano. >> mi aveva detto e io sorrisi lievemente amareggiata dalla sua osservazione.
<< Lo sai - continuò lei - che girano delle voci tra cittadini... alcuni dicono di aver visto un ragazzo, poco più grande di te. Hanno detto che era in giro a cercare un posto per passare la notte. L'hanno chiamato "Il Ragazzo dell'Ovest", perché dicono che sia americano, infatti porta jeans e camicie mai visti. Magari è lui. >>.
Mi sforzai di sorridere, anche se non ero troppo convinta. Non avevo mai incontrato un americano. Forse non l'avrei neanche incontrato. Finito il pranzo andai fuori a lavare i vestiti in un ruscello vicino a casa. Appena ebbi finito misi ad asciugare i vestiti e mi sedetti sull'erba bagnata. Spesso andavo lì a pensare, a piangere a giocare, era come una seconda casa. A chiunque sarebbe piaciuto stare in un posto così, come me. Stavo sdraiata su una discesa d'erba a guardare le nuvole. Poco più sotto, dai miei piedi il ruscello continuava il suo corso senza mai smettere, al contrario il suo fondale rimaneva fermo, imperterrito, pieno di sassi e rocce. Se chiudevo gli occhi potevo sentire un suono, quel suono. Potevo sentire la natura, ed ero in pace con me stessa. Quel posto mi dava un senso di beatitudine e di protezione, che finora nessuno o nessun altro posto aveva saputo darmi. Il vento muoveva lieve i miei capelli che sfioravano talvolta il mio viso, e le fronde degli alberi, alberi da frutta. Alberi di nostra proprietà che ci garantivano la sopravvivenza. Dall'altra parte del fiume si ergeva un bosco, molto fitto. I cacciatori ci andavano di inverno per procurarsi la legna e da mangiare. Era un bosco di conifere, dove alle volte si potevano scorgere caprioli e alci, ma anche lupi. Di estate, però, era un vero paradiso, era la pace assoluta. Poteva davvero esistere un posto così?
<< Ahi! Che male! Ma che diavolo...?! >>, una mela aveva rotolato dalla cima fino a colpirmi, era una mela del nostro frutteto. Era abbastanza strano, non era ancora il tempo della maturazione delle mele e infatti era acerba, si poteva vedere dal colore. Mi alzai e mi incamminai in salita verso il frutteto. Non c'era nessuno, solo una distesa immensa di alberi.
<< Mamma? Sei stata tu? >> provai, ma non ebbi nessuna risposta. Poi sentii un rumore, un albero a sinistra poco più avanti di me si era mosso. Poteva essere solo un uccello, oppure no. E successe tutto in un attimo, stavo avanzando per vedere meglio quando un uomo, cadde da quell'albero a faccia in giù sul terreno urlando. Mi precipitai dal lui, preoccupata.
<< Tutto bene? Si è fatto male? >>, ma subito mi ricordai che stava per rubare una delle mia mele e cambiai subito atteggiamento.
<< Mi può dire cosa stava facendo su un albero di mia proprietà?! >>, era ancora disteso a terra, ma non mi sembrava fosse dolorante, poi girò il suo viso verso di me e per poco non mi venne un infarto, che sarebbe stato il secondo in un giorno. Rimasi pietrificata, non era un uomo, era un angelo. Il più bel ragazzo che avessi mai visto, si perché non era un adulto, aveva più a meno vent'anni a vista d'occhio. Un giovane, dai capelli corvini leggermente lunghi, da farli ondeggiare sugli occhi, e gli occhi, si due occhi che ti trafiggevano l'anima, di un azzurro così intenso che il mare si sarebbe sentito intimorito. Aveva una muscolatura che sembrava quella degli antichi greci e il viso esprimeva bellezza e passione da tutti i pori. Indossava una camicia di lino bianca, talmente leggera e trasparente da far intravedere il petto così possente, e dei pantaloni di jeans che arrivavano alle ginocchia. Erano i primi modelli e non se ne vedevano tanti in giro. Doveva essere un signore di grande importanza. Esprimeva una aria spavalda e cocciuta, di chi sa di poter avere tutto ciò che vuole. Il sorriso malizioso che mi rivolse, anche se incantevole, mi distolse dai miei pensieri. Chi era questo spavaldo che si prendeva gioco di me? E come osava prendermi in giro dopo aver cercato di rubare nel mio orto? Oh, nonostante fosse un dio, non l'avrebbe passata liscia. Lo giuro sul mio onore.
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