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1.

Il ragazzo con il berretto nero se ne sta poggiato al palo della luce, il profilo che si staglia contro il rossore del tramonto. Indossa un paio di jeans larghi e una maglietta verde acido a maniche corte; il vento gli muove i capelli lunghi e neri, che gli finiscono negli occhi. Quello fa un movimento con la testa per riportarli indietro. È l'unico segno di dinamicità in quella visione altrimenti immobile. La visiera di quel maledetto berretto gli copre il viso, ma Anna è sicura che, se non ci fosse, i lineamenti del ragazzo sarebbero solo un groviglio di fili indefiniti. L'unica cosa visibile, nel suo viso, sono gli occhi. Cangianti. Vanno dal nocciola al viola al grigio, e poi ancora al viola. Mandano lampi dall'interno.

    Poi l'immagine inizia a svanire. I contorni si confondono, i colori si sbiadiscono. Rimangono gli occhi, due puntini nella nebbia, fissi a guardare chissà cosa. Ci vuole un po' perché anche quelli se ne vadano.

    È il sogno che fa tutte le notti da dodici anni e due mesi a questa parte. Quasi tre, ormai. All'inizio si svegliava con il fiatone e gli occhi pieni di lacrime. Una sensazione di impotenza gli affondava nelle vene. Ora è vecchia e ci ha fatto l'abitudine: non soffre più. C'è solo quell'incertezza che le divora il cervello e, qualche volta, il dubbio che abbia immaginato tutto. Con il passare dei giorni, i ricordi si fanno più flebili e assumono contorni onirici, diventano gli incubi di una mente folle. C'è qualche giorno, di quelli in cui anche solo alzarsi le provoca un dolore indicibile alle ossa, in cui si persuade. Non è mai successo, si dice. È che sono vecchia e sto perdendo il contatto con la realtà.

    Deve essersi svegliata presto, questa mattina. Di solito, verso le nove di mattina il sole inonda la stanza. Quelle tende traslucide sono inutili e hanno discusso più volte di sostituirle, ma per lei non cambierebbe molto: si sveglia quasi sempre prima delle nove. Oggi, però, solo una lama di luce fioca s'intrufola nella camera. Lambisce il cuscino su cui dorme lei e a tratti, quando le tende si muovono, le investe la guancia e le finisce negli occhi. Le dà fastidio, quindi cerca di allontanarsi dal calore spingendo il letto con le gambe. L'unico risultato che ottiene è lo sfregare violento delle sue ossa: deve mordersi la lingua per non urlare.

    Che ore sono? È luglio, e in questo periodo la stanza è piena di luce anche prima delle nove. Quindi sarà passato poco tempo dall'alba. Quanto, di preciso, non può dirlo: l'orologio a muro è dall'altra parte della stanza e lei non ci vede, soprattutto nell'oscurità.

    Rimane a letto supina con lo sguardo fisso sul soffitto. Sta ferma quanto più possibile, perché la mattina il male freddo che si annida nelle sue giunture è più affamato. Man mano la luce inizia a rivelare la stanza. Due letti per lato, una porta che conduce al bagno alla sua destra, quella che si apre sul corridoio a sinistra. Le pareti sono bianche, appena intonacate, ma nella camera c'è puzza di umido. Le altre dormono ancora. Franca, a fianco a lei, se ne sta a pancia in su, le mani incrociate sul petto, la coperta di lino che la copre fino al bacino. Le rughe le afflosciano il viso, la bocca è dischiusa. La scambierebbe per morta, se non fosse per l'ansito rauco che emette quando dorme. Solo a vederla la prende una sensazione di calore e il sudore inizia a scorrerle lungo il corpo. Si disfa del lenzuolo sotto di lei, poi ne usa un lembo per farsi aria. Il sudore le si asciuga addosso.

    Si alza quando l'orologio segna le otto. Cammina in punta di piedi, massaggia un po' le ginocchia per alleviare il dolore. Nel tragitto, però, sente le ginocchia che cedono e sbatte con la tibia contro la sbarra del letto di Franca. Quasi le precipita addosso. Rialzandosi, scopre che la botta non gli ha causato dolore. Quello arriva sempre dopo. La compagna, però, si è svegliata, e la guarda con quegli occhietti neri che non stanno mai fermi. Ha il petto che si solleva e si abbassa nervosamente e quello che viene fuori dalla sua bocca, adesso, è qualcosa a metà tra l'ansito di prima e il boccheggiare di chi è senza fiato.

    «Scusami» dice Anna, stringendosi nelle spalle.

    Franca la guarda ancora. Gli occhi ora si sono riempiti di lacrime, ma l'ansito si è acquietato. Le braccia sottili che spuntano dalla veste mostrano i tendini fragili.

    Quella donna le mette un po' d'inquietudine. Soffre di una malattia mentale, crede, o di qualche cosa simile. Qui le malattie sono segreto professionale. La guarda negli occhi che vagano e un'apprensione si prende il suo cuore. Non è intimorita, no; è che la spaventa vedere come può arrivare allo sfacelo la mente umana.

    «Aahhh!» dice Franca, con la stessa voce rauca. Però il suono le viene basso.

    Anna decide di lasciare stare e si avvia verso la porta a destra. Si sciacqua la faccia, si lava i denti. Seduta sul gabinetto, spalma un po' di Voltaren sulle ginocchia e sulle caviglie. Poi torna nella stanza e l'attraversa. Si sono tutte svegliate e lei dice: «Buongiorno».

    Maria e Lara rispondono, ma Franca non dice niente. Continua a fissarla con gli occhi piccoli e sbarrati, che Anna si sente addosso fino a che non lascia la stanza. Si dirige verso la sala comune. Sulla tibia inizia a crearsi un formicolio caldo, che man mano aumenta d'intensità.

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