il pittore
La luna illuminava quel vasto prato, colorato da margherite e viole. Le lucciole punteggiavano con il loro colore la notte stellata., mentre le cicale suonavano la loro "ninna nanna", accompagnando così tutta la natura tra le braccia di Morfeo. Una casa umile e fatta di mattoni sovrastava quel campo. Quella era la dimora di un uomo che aveva perduto tutto e che cercava tranquillità nel sonno. Ma i suoi sogni erano annebbiati, confusi e distrutti da un solo periodo della sua vita: la guerra. Si dimenava tra le coperte, mentre la sua mente gli ricordava tutto quel sangue, tutte quelle urla e tutti quegli spari. E pensare che era stato lui a offrirsi volontario come soldato, forse accecato da una gloria che non arrivò ne per lui ,ne per molti. Eppure sembrava fantastico essere un soldato della "Grande Guerra"...
All'improvviso, si svegliò di scatto urlando per la paura. Quando riconobbe il soffitto ,polveroso e fatto di assi di legno , sulla sua testa , si rese conto di aver fatto l'ennesimo incubo. Era sopravvissuto per miracolo, ma le cicatrici che si portava dietro bruciavano , creando così una lenta tortura che ogni notte lo costringeva a non dormire . Da quando non dormiva, poi? Non se lo ricordava neanche lui. Ma questo lo portò a distruggere gran parte della sua personalità. L'uomo si mise a sedere sul letto, passandosi, prima, le mani sulla faccia e ,poi , facendole scivolare tra i capelli, mentre le coperte coprivano ancora le sue gambe. Il suo sguardo, vuoto e perso, cadde sulla finestra della stanza che permetteva alla luce della notte di entrare solo per mostrare le sagome di quello che era riposto tra le quattro mura. Pennelli, tele, carbonici e bozzetti, ricoprivano il vecchio tavolo di legno sotto il davanzale della finestra e un po' del pavimento. I suoi occhi scivolarono su quei attrezzi , compagni di una vita, e quel sentimento di malinconia che si portava ogni giorno si trasformò in tristezza che sfociò nel pianto. "Perché" pensava "perché sono stato così stupido?" . Non c'era da biasimarlo, anche se la parola "stupido" non era una delle più approvate. Forse" ingenuo" andava meglio. Invidiava chi era morto in guerra: avevano avuto un obiettivo da inseguire,ovvero innalzare la Germania come una grande nazione. Ma chi era sopravvissuto, aveva visto il futuro. Lui aveva conosciuto il seguito di tutto quel male e solo quando era stato emarginato ed etichettato come un degenerato , si era sentito veramente solo. Ancora con le guance rigate dalle lacrime, si alzò dal letto e , dopo aver spostato il tavolo, si affacciò alla finestra che era posta davanti alla nuova tela a cui stava lavorando. Quello era il miglior posto per lavorare poiché sfruttava la luce solare. Lo schizzo, scarabocchiato sulla patina bianca con poca convinzione, era illuminato da un raggio lunare. Otto, il nome dell'uomo, decise di fumare un sigaro , in modo da calmare il battito accelerato del suo cuore. La scatola del tabacco era posta sul banco, in mezzo alla sua solita confusione. Infatti, prese un pennello apposto di uno dei sigari. Lo fece in modo distratto , per via del sonno. Quando mise in bocca l'attrezzo e cercò di accederlo, si blocco sul colpo realizzando ciò che stava facendo. La fiamma dell'accendino ,illuminava appena la punta che era usata per dipingere. Sfilò l'oggetto dalle labbra e rimase per qualche minuto a guardarlo. Lo esaminava , lo studiava ,come se per tutti quei anni fosse rimasto ignoto di quello che usava per dipingere. Eppure era quello il suo mestiere. La pittura era tutto ciò a cui si era dedicato. Piccoli frammenti di vita vagarono nella sua mente, mischiati ai pensieri. "Artista degenerato", adesso lo chiamavano così. E perché poi? Cosa aveva fatto di male? Semplicemente aveva denunciato. Le sue opere erano delle forme di denuncia, non di quelle aggressive ma di quelle spiazzanti. Il velo di ogni quadro nascondeva un significato preciso e questo al Nazismo non piaceva.
Strinse con forza il pugno, intrappolando il pennello tra il palmo e le dita. Poi, quasi in modo indifferente, cominciò a seguire la traiettoria che quell'astro nel cielo notturno , aveva disegnato dalla finestra fino ad arrivare al bozzetto dell'opera al centro della stanza. Quando le sue pupille incrociarono la tela bianca con sopra disegnate linee che non avevano ne capo ne cosa, un idea gli sollevò il morale. Aveva dipinto guerra e politica... perché non rappresentare la società da lui conosciuta? Senza peli sulla lingua. La verità nuda e cruda che meritiamo tutti di sapere ,una volta nella vita.
Raccolse i suoi materiali, sistemandoli sul tavolo. Accese tre campi gas,portate da un parente, per illuminare di più il locale. Si alzò le maniche e seguì con gli occhi i segni abbozzati. E già in mente ebbe il disegno completo. Intinse uno degli utensili nel nero e comincio a dar vita alla tela. Nel frattempo pensava. Pensava a tutto ciò che aveva visto durante la sua vita. I suoi pensieri seguivano il corso del sangue,fino ad arrivare alla mano, per poi mescolarsi tra le dita. Partì disegnando all'angola una vecchia con una gobba. Una strega che guardava solo davanti a sé, quasi a non interessarsi a ciò che gli succedeva intorno. Mentalmente la presentò:" ecco a voi l'Avarizia. La donna più brutta che possa mai esistere". Sopra la sua schiena curvata come se fosse un tavolo, disegno suo figlio: L'invidia. Ancora più brutta della madre; con due occhi a palla che quasi uscivano dalle orbite. Con quelli cedeva tutto ciò che non aveva s che voleva a qualsiasi costo. Per un minuto, Otto pensò di disegnarli dei piccoli baffetti per onorare quella brava persona che nel suo paese era chiamato " fuller". Un sorriso solco le sue labbra, ma scarto quell'idea. Meglio non combinare altri guai. Il pennello si mosse con abile leggerezza, dando vita ad un'altra creatura. Questa era un mostro selvaggio con tratti umani. E che cosa poteva rappresentare se non l'Ira? Pronta a far saltare fuori i nostri istinti primordiali. Affianco a questa apparve l'Accidia: uno scheletro consumato, senza occhi né cuore, sciolto da quel sentimento acido che lo aveva reso un fantoccio in cerca di vittime. E poi che altro? L'uomo fermò la sua mano e rimase per un momento a pensare. Si immerse tra i suoi ricordi e , in seguito, ricominciò a dipingere. Disegnò la Lussuria: quella sentimento che poteva sembrare da una parte bello , ma d'altra trasformava chiunque in un oggetto del piacere.Un piacere che , avvolte ,poteva causare danni e sofferenze . E come un lampo gli venne in mente il sesto peccato capitale: la Superbia. Quante volte da bambino aveva ignorato i suoi genitori tappandosi le orecchie con le mani? Tante volte, finché non imparò ad ascoltare. Infatti , quella era semplice superbia infantile, la maggior parte delle volte innocua. Ma il pittore disegnò una Superbia che rende l'uomo pericoloso,incapace di ascoltare. Sulla tela il pennello giocava col nero,rosa e viola,creando così l'immagine di un volto enorme,gonfio come un pallone sul punto di scoppiare. Le orecchie di quella cosa erano tappate da delle piccole mani, mentre la bocca arida era capace solo di espellere escrementi. Infine, creò la Gola, tanto ingorda da sfamarsi sulle spalle degli altri. L'utensile volteggiava fra le sue dita mentre si creava, colore dopo colore, un uomo ,tanto ingordo, da rimanere incastrato nella pentola che sembrava prendere vita.
Quella corsa sfrenata finì così e all'uomo sembrò che ricominciasse a respirare. Il cuore rallentò, il sangue nelle vene si raffreddò e i suoi occhi cominciarono a sentire il peso di quella notte insonne. Fece due passi indietro e osservò la sua opera non ancora finita. C'era qualche imprecisione da ritoccare, ma tutto sommato era soddisfatto. Più guardava il quadro, più il sorriso sulle sue labbra si allargava. Ed eccola lì la società tedesca di quel epoca: rappresentata in tutti i suoi difetti. Ma la contemplazione del duro lavoro, durò poco. Le palpebre cominciarono a pesare sulle sue pupille e i muscoli cominciarono ad afflosciarsi. Posò i colori e il pennello su quel tavolo. Aprì la finestra per far entrare l'aria mattutina dell'alba, poi si stese sul letto, oramai tranquillo e stanco. E mentre il sonno se lo portava via, cullandolo tra le dolci braccia come se fosse una madre, i primi raggi di Sole cominciarono a riscaldare l'atmosfera fuori la casa. uno spicchio di quella stella illuminò la tela come aveva fatto la Luna durante quelle ore notturne. Pian piano, ogni cosa si svegliò e fu la mattina di un nuovo giorno.
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