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Capitolo 10



10.

Settembre 2003

Sono appena tornato a casa. Mezz'ora e sono da te.

Samuele aveva trascorso una settimana al mare con i nonni, sull'isola di Ischia, e Lorenzo aveva atteso un suo messaggio per tutto il pomeriggio del giorno del suo ritorno; era impaziente di rivedere l'amico per tanti motivi. Il più importante, quello che gli muoveva una curiosità viscerale, era Bianca. L'estate che stava per volgere al termine era stata contrassegnata da una lunga serie di prime volte.

Il primo live dei Fandango, la prima canna fumata tutti insieme con l'erba della Sposa, soprattutto la prima volta di Samuele con una ragazza.

Bianca aveva lasciato che Samuele s'infatuasse di lei, che fosse pervaso dal sapore del suo corpo, poi, dopo una breve serie di intense scopate, si era dileguata. Aveva scelto da sola di rompere con Samuele, senza farlo sapere al ragazzo. Non rispondeva più alle sue chiamate, ne ai suoi messaggi.

Per Samuele staccare la spina e rilassarsi al mare era sembrata la soluzione migliore, ma non era servito a molto. Nelle brevi chiamate a Lorenzo tutto ruotava sempre e soltanto intorno a Bianca, solo una volta avevano parlato della possibilità di andare al concerto dei Placebo a Roma.

Lorenzo, mentre aspettava che Samuele lo raggiungesse a casa, accese il computer nella sua camera e cercò sul sito di Trenitalia gli orari dei treni per Termini. Li appuntò velocemente su un foglio e sperò che la prima fuga da Napoli con i suoi amici andasse in porto. Il concerto dei Placebo, infatti, era ancora un'incognita poiché i biglietti non erano acquistabili, ma si potevano vincere solo attraverso un codice che era presente sulle fascette delle bottiglie di Coca Cola. Daniele aveva avuto la fortuna di vincerne due al primo tentativo e aveva scelto di portare Luciano con sé.

Lorenzo, che non si era allontanato da casa neanche per una fugace giornata al mare, aveva pianificato quel viaggio centinaia di volte. Il brivido della fuga derivava anche dall'aver deciso che, in caso avesse vinto i biglietti, non avrebbe detto niente ai suoi genitori.

Lorenzo, ormai, viveva in totale autonomia. Spesso preparava il pranzo da solo, usciva di casa senza dire dove andasse e faceva finta che i suoi genitori fossero degli estranei con cui parlare sporadicamente. Suo padre e sua madre, quasi non s'incontravano più in casa.

Il padre, dopo la promozione a direttore, si attardava sempre più spesso a lavoro e anche l'abitudine della cena tutti insieme divenne un'eccezione. Sua madre, invece, trascorreva intere giornate fuori casa sempre per una scusa diversa e non si curava più di rientrare prima di suo marito.

Lorenzo era cresciuto, non era più l'ingenuo ragazzino che non era in grado di darsi risposte, da lungo tempo sapeva che tra i suoi genitori non ci fosse alcun legame. Né un sentimento, né un ricordo, soltanto lui, un figlio che si sentiva una zavorra per la stessa libertà dei genitori. Sua madre e suo padre non avevano avuto il coraggio di dirsi addio, di separarsi, Lorenzo si sentiva in cuor suo responsabile, allo stesso tempo sapeva che era lui a pagarne tutte le conseguenze.

Lorenzo guardò l'orologio e vide che era quasi trascorsa mezz'ora da quando aveva ricevuto il messaggio di Samuele; spense il computer e, dopo pochi minuti, riconobbe il rombo della moto del signor Tondo. Dalla strada sentì il clacson della moto strombettare e si affacciò alla finestra. Samuele, abbronzato come mai prima, scese dalla moto reggendo sottobraccio una confezione di bottiglie di Coca Cola da due litri.

Il signor Tondo, approfittando delle ferie da lavoro, aveva fatto crescere ancor di più i suoi baffi; sembrava uno sceriffo del vecchio west, con una moto al posto del cavallo.

"Ciao, Lorè. Tutto bene?" disse il signor Tondo alzando la testa verso la finestra della sua camera. Gridò per coprire il rumore del motore della motocicletta. "Ti vedo un po' pallido." aggiunse in tono ironico.

"Come sempre, non più del solito." disse Lorenzo.

"Se non vincete adesso questi biglietti, siete davvero sfortunati."

Il signor Tondo indicò la confezione di Coca cola, poi prese il casco di Samuele e lo ripose sotto la sella. "Speriamo bene per voi." Salutò, accelerò e partì a tutta velocità.

Lorenzo aspettò Samuele sull'uscio della porta di casa sua. Si aprirono le porte dell'ascensore. Sbiancò.

Al fianco di Samuele, c'era sua madre.

Lorenzo non aveva previsto che rientrasse proprio in quel momento; aveva imparato i suoi orari, quasi mai tornava a casa prima delle sette di sera. Era diventato così bravo a nascondere ogni cosa ai suoi genitori e a tenerli fuori dalla sua vita, che la presenza di sua madre insieme a Samuele e una semplice confezione di Coca cola, gli provò uno stato d'ansia. Temette di essere scoperto.

"Lorenzo, se prepari il caffè a Samuele lascia un goccio anche per me." disse la signora Forti entrando in casa, sorrise, si guardò nello specchio del corridoio e andò in camera da letto.

Lorenzo e Samuele andarono in cucina e poggiarono le bottiglie di coca cola sul tavolo.

"Adesso che le dico?" disse Lorenzo sottovoce.

"Non devi dirle proprio niente," Samuele ruppe l'involucro di plastica che avvolgeva la confezione e prese una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca. "in ascensore mi ha chiesto a cosa ci servisse tutta questa Coca Cola e le ho detto che stiamo organizzando una festa per stasera a casa di un amico che abita qui vicino." Samuele stava per accendere la sigaretta.

"Aspetta, fumi dopo." Lorenzo prese la moka e preparò il caffè. "Cazzo, io temevo già che fosse fallito il nostro piano."

"Ma quanto sei paranoico! A parte che tu sei il primo a dire che i tuoi genitori non se ne fottono di un cazzo. Figurati se tua madre capisse qualcosa solo da una confezione di coca cola. Poi non è ancora detto che li vinciamo 'sti biglietti."

"Per piacere, non portare sfiga." gli disse Lorenzo socchiudendo la porta della cucina. Samuele prese la prima bottiglia, staccò la fascetta e inviò, tramite sms, il codice che era riportato sul retro. Due minuti dopo arrivò la notifica. Non avevano vinto.

"Merda, la prima possibilità è andata." disse Samuele.

"Allora, sei riuscito a sentirla?" chiese Lorenzo; nonostante la porta fosse socchiusa, continuò a parlare con un tono di voce più basso del solito.

Erano anni che parlavano di ragazze, ma qualcosa era cambiato. Non si trattava più di baci, toccatine o seghe; parlare di sesso li proiettava in un mondo diverso, da adulti, e Lorenzo entrava in questa nuova realtà in punta di piedi. Samuele, adesso, aveva una nuova luce agli occhi di Lorenzo: era il primo ad aver perso la verginità. Il primo a poter raccontare dettagli che erano esclusiva di due amanti.

"Macché, mi ha mandato un messaggio stamattina. Ha detto che non devo cercarla più, che è stata una storiella e che devo dimenticarla." Lo sguardo triste di Samuele stonava con la sua abbronzatura.

Lorenzo staccò un'altra fascetta dalla bottiglia di Coca Cola e gliela passò. "Tieni, invia anche questo codice. Io ho già finito i messaggi della promozione estiva." si alzò e controllò la moka. "Comunque, non ci pensare più, Samuè. È solo una stronza se fa così."

"Sì, ma io penso di essermene innamorato." Seguì un lungo silenzio che fu interrotto dal canticchiare della signora Forti in camera da letto. Era allegra, felice, sembrava spensierata come una ragazzina. "Cioè, non proprio innamorato, ma so che mi piace tantissimo. Credevo che fossi io a poter decidere come dovessero andare le cose, invece, è stata lei a prendermi in giro." aggiunse Samuele.

"Dovevi capirlo da come si comportava la sera del concerto al Key Club. Prima faceva la gatta morta con quel suo amico, poi ha usato quel suo tono da stronza, è uscita con te dal locale e ti ha baciato dopo due secondi." disse Lorenzo; cercava di mostrare Bianca all'amico per ciò che era realmente. "Si è voluta divertire con te, avete scopato, e Amen. È finita."

"È stato il mese più bello della mia vita." disse Samuele. Il suo cellulare squillò e anche il secondo codice che aveva inviato non era vincente.

"E ci credo." sospirò Lorenzo cercando di immaginare quanto fosse bello fare l'amore con una ragazza. Non aveva mai avuto il coraggio di dire a Samuele che anche lui si era invaghito di Bianca dal primo istante che l'aveva vista, e che se le cose fossero andate diversamente adesso sarebbe stato lui a raccontare la sua prima volta.

"Se fosse incinta?" disse Samuele, sembrava più una paura che una domanda.

"Perché dovrebbe? Mi hai detto che tutte le volte che l'avete fatto hai usato il preservativo". Lorenzo sentì la Moka gorgogliare e spense il gas.

"L'ultima volta l'abbiamo fatto senza." disse Samuele, distrattamente staccò ancora un'altra fascetta dalla bottiglia di Coca Cola. Lorenzo mescolò lo zucchero nel caffè direttamente nella Moka e lo versò nelle tazzine blu.

"Cazzo, e me lo dici solo adesso?" disse Lorenzo prima di sorseggiare il caffè bollente.

"È capitato. Non era mica mia intenzione farlo senza preservativo, li avevo finiti. Stavamo da me, i miei non c'erano, e avevamo voglia di rifarlo e non sono sicuro di essere venuto fuori." Samuele digitò un altro codice e lo inviò, quasi non riusciva più a pensare all'idea di andare al concerto. Nella sua testa girava soltanto l'ipotesi di una sua precoce paternità.

"Come, non sei sicuro? O dentro o fuori." disse Lorenzo incuriosito.

"Mica è così facile, in quel momento ero preso da lei. È una sensazione troppo bella, Lorè. Non posso spiegartela così, con poche parole." Samuele, senza aver ancora assaggiato il caffè, fissava il fondo della tazzina, come se sotto la superficie nera si annidasse la risposta ai suoi dubbi.

"Sì, ma se anche fosse, io so che non si scopre subito di essere incinta. Cioè l'ultima volta che sei stato con lei era una decina di giorni fa, giusto?" Lorenzo cercò di essere ragionevole, nonostante mentre parlava si rese conto di non sapere molte cose sull'argomento.

"Sì, esattamente dieci giorni fa, poi il giorno dopo non si è fatta più sentire." disse Samuele bevendo il caffè.

"Allora puoi anche escludere che sia incinta, di certo non l'ha scoperto dopo un giorno. Secondo me, aveva già deciso di non vederti più."

Lorenzo si zittì sentendo i passi di sua madre nel corridoio. La donna aprì la porta della cucina, comparve vestita di tutto punto con una gonna stretta sui fianchi e una maglia scollata sovrastata da una lunga e spessa collana di gemme. Ai piedi indossava un paio di scarpe con tacchi che la facevano sembrare altissima. Sembrava che gli anni per lei non passassero mai, era sempre giovane e fresca. Era stata un fulmine nel cambiarsi d'abito, sembrava pronta a uscire nuovamente di casa.

"Che buon odore di caffè!" disse avvicinandosi al ripiano della cucina. "Adesso vediamo anche se sei diventato bravo a farlo."

Ne versò un po' in una tazzina e lo sorseggiò, assaporando tutto l'aroma. "Buonissimo, forse è anche migliore del mio."

Lorenzo non disse una parola; ogni volta che vedeva sua madre pronta a uscire di casa, vestita di tutto punto, aumentava la sua consapevolezza che avesse qualcosa da nascondere.

Il suo profumo alla lavanda era pungente al punto che Lorenzo non sentì più l'odore del caffè mentre lo beveva.

Sua madre guardò sul tavolo, "Mi raccomando, dopo lava quelle tazzine e posale." disse poggiando nel lavandino la tazzina da cui lei aveva bevuto. Aveva totalmente ignorato le bottiglie di coca cola senza etichette. "Allora, divertitevi e buona festa. Stasera anche io festeggio, è il compleanno di una mia amica. Andiamo a cena fuori."

"Arrivederci, signora." disse Samuele.

Lorenzo non le disse nulla, aspettò solo che richiudesse la porta d'ingresso alle sue spalle. Appena restarono soli, Samuele prese la sigaretta dal pacchetto e finalmente l'accese. Fece un tiro lunghissimo, come per recuperare tutto il tempo in cui non aveva fumato.

"Lorè, ma tua mamma esce sempre con 'ste amiche," disse Samuele. "ma in tanti anni che ci conosciamo non ne ho mai vista una qui in casa tua, che ne so, per un caffè, una cena."

"Ho capito quello che vuoi dire, Samuè." disse Lorenzo "a parte Carmela, che è la sua migliora amica, non saprei chi siano tutte le altre." strappò un'altra fascetta, ormai ne mancavano solo tre prima di perdere le speranze di vincere i biglietti. "Se te lo stai chiedendo, anche io credo che mia madre si veda con qualcuno."

"Qualcuno, intendi un altro uomo?"

"Sì" Lorenzo si sporse dalla finestra della cucina e accese anche lui una sigaretta. "Ho ripensato a tutte le volte che quando ero più piccolo e lei era sempre a telefono, oppure è capitato che fossi solo in casa e chiamava un uomo che chiedeva di lei. Credo che sia una cosa che va avanti da molto tempo."

"E tuo padre?" chiese Samuele.

Lorenzo restò fermo con il fumo della sigaretta che lo avvolgeva, come se non si fosse mai interrogato su come vivesse suo padre l'intera situazione. Era effettivamente strano; non aveva mai collegato il comportamento burbero di sua padre con tutta l'incomunicabilità verso sua moglie.

"Non m'interessa, Samuè. Sono problemi loro." disse Lorenzo, fumò velocemente, come per evitare che qualcuno lo vedesse dalla finestra. "tu invece, che vuoi fare con Bianca?"

"Niente. Se è finita, è finita."

"Perché non provi a chiederle direttamente se è incinta? Almeno ti togli tutti i dubbi."

"Come no, ora le mando un messaggio e le scrivo ehi, ciao, scusa volevo sapere se fossi incinta." disse ironicamente Samuele.

"No, effettivamente così non va bene." sorrise Lorenzo.

"È andata com'è andata. Mi resteranno bei ricordi, soprattutto del suo corpo." Arrivò un altro messaggio sul cellulare di Samuele. "Lorè, anche questo codice è andato male. Abbiamo altre due possibilità. Poi io non spendo più soldi in coca cola per vedere i Placebo."

"Hai ragione. Va a finire che tra la coca cola, i biglietti del treno e una camera per la notte viene a costarci un capitale." Lorenzo spense la sigaretta e la gettò dalla finestra.

"Chi ti dice che affittiamo una camera d'albergo?" sorrise Samuele "se dobbiamo fare un'esperienza rock'n'roll dobbiamo farla fino in fondo. Staremo per strada, poi aspetteremo il primo treno al mattino per ripartire."

"Se dovesse succederci qualcosa?"

L'ansia che gli era stata trasmessa da suo padre era già pronta a manifestarsi.

"Poi dici che io porto sfiga! Saremo in quattro, se proprio non vogliamo andare in giro aspetteremo in stazione la partenza del treno e torniamo. Però sai che figata girare di notte per Roma." Samuele sembrò recuperare parte del suo entusiasmo e inviò velocemente gli ultimi due sms con i codici.

"Sai che risate se Luciano fuma anche lì. L'erba lo rende troppo un filosofo." disse ridendo Lorenzo. Anche Samuele, immaginando l'amico vaneggiante, rise.

"Dai, dobbiamo troppo andarci a questo concerto! Ci sta proprio chiamando." disse Samuele e spense la sigaretta.

"Butta la cicca e la cenere nella pattumiera." disse Lorenzo e andò in bagno a lavare i denti. Quando fumava in casa diventava paranoico, faceva di tutto per dissipare la puzza di fumo nell'aria e da se stesso. Spruzzò del deodorante sulla sua maglietta e fece lo stesso in cucina. Samuele neanche più badava a tutte le piccole manie dell'amico. Conosceva bene il signor Forti e sapeva quanto fosse pedante in determinate situazioni.

Il cellulare squillò e Samuele lesse il messaggio in preda all'agitazione. Sapeva che gli ultimi due messaggi potevano far sfumare tutti i progetti che avevano fatto per il loro viaggio romano. Lorenzo lo fissò cercando di capire se dovesse esultare o meno.

"Cazzo, cazzo, cazzo." Samuele accartocciò tutte le etichette della Coca Cola che erano sul tavolo e saltò dalla sedia.

Avevano vinto i biglietti.

"Chiama subito Potter e digli che andiamo anche noi al concerto." disse Samuele.

Lorenzo era incredulo, finalmente, dopo tanti anni, avrebbe visto un vero primo grande concerto. Andò in camera sua e mise il cd dei Placebo nello stereo, lasciando che, traccia dopo traccia, immaginasse già il gran giorno. Samuele, in cucina sistemò le bottiglie di coca cola in due grosse buste di plastica, poi lo raggiunse.

Lasciarono che la musica fosse l'unica forma di comunicazione tra di loro; non parlarono, non suonarono, restarono lì in camera ad ascoltare le parole di Brian Molko.

Il volume della musica era talmente alto che non sentirono la porta di casa chiudersi. Improvvisamente il signor Forti si affacciò alla porta della camera. Lorenzo prontamente abbassò il volume dello stereo.

"Quante volte ti ho detto di non alzare troppo il volume, se dovessero suonare il citofono o il telefono neanche li sentiresti." lo ammonì.

"L'ho acceso da poco, neanche dieci minuti fa." cercò di giustificarsi Lorenzo. Samuele salutò il signor Forti che rispose con un ciao pieno di nervosismo.

"Che ci fa tutta quella coca cola in cucina?" Suo padre non si era lasciato scappare alcun dettaglio. "Perché non ci sono le fascette?"

"Dobbiamo andare a una festa, ognuno porta qualcosa, noi portiamo le bevande." disse Lorenzo tutto d'un fiato per non far capire che stesse mentendo. Ma non sapeva come spiegare l'assenza di etichette.

"C'era scritto il prezzo sulle fascette e le abbiamo tolte per non far sapere quanto abbiamo speso." intervenne Samuele.

Il signor Forti li guardò con introspezione, percepì che non fosse la verità. Borbottò qualcosa tra se e se e tornò in cucina. Samuele, per evitare che la discussione proseguisse fece segno a Lorenzo che era meglio uscire e andare altrove.

"Forse è ora che ci avviamo, Lorè". disse Samuele.

"Dove andiamo con tutta quella coca cola?" disse sussurrando Lorenzo.

"Possiamo andare a casa dei miei nonni, prendere una pizza e vedere un film da loro." suggerì Samuele sottovoce. Lorenzo annuì; per lui andava bene tutto, purché lontano da casa. Entrambi andarono in cucina per prendere le buste con le bottiglie di coca cola e andar via.

Il fumo si era dissipato, ma, nonostante il deodorante spruzzato da Lorenzo, permaneva un leggera puzza. Il padre di Lorenzo era a telefono, dal suo volto si capì che squillasse a vuoto, riagganciò stizzito. Vide sul tavolo le tazzine blu. Le prese e le poggiò nel lavandino. "Le hai usate tu?"

"Sì prima, ho fatto il caffè a Samuele."

"Fai attenzione con queste tazzine." disse con il suo solito tono duro. Accese il televisore, si sedette in poltrona e si allentò la cravatta.

Samuele prese le buste con le bottiglie di coca cola e si avviò alla porta d'ingresso. Lorenzo, sull'uscio della porta della cucina, stava per lasciare suo padre nella solitudine disarmante della casa, quando si bloccò.

"Ormai con te non ho più speranze. Almeno evita di fumare in casa." disse suo padre. Una. Due. Tre lame pugnalarono il petto di Lorenzo. "La vita è tua, fai quello che ti pare. Ma lontano dai miei occhi."

Lorenzo non rispose, non aveva senso replicare. Non ne aveva alcuna voglia, ne desiderio.

"Dov'è andata tua madre?" chiese infine mentre con il telecomando cambiava freneticamente i canali.

Lorenzo fece finta di non sentirlo e sbatté la porta di casa alle sue spalle.

Ricordi quando tuo padre ti ha raccontato di queste tazzine blu?





Una goccia d'acqua sfiorò il braccio di Lorenzo penetrando dal finestrino aperto dell'auto. Si affrettò a chiuderlo prima che suo padre, fisso con gli occhi sul traffico, si accorgesse che la portiera interna fosse rigata dalla pioggia che imperversò all'improvviso. La radio era un sottofondo impercettibile che trasmetteva ancora le canzoni estive piene di solarità che contrastava con il cielo tempestoso di quel tardo pomeriggio.

Via Marina era un complesso ingorgo di persone che rientravano da lavoro e di giovani patentati che, felici della loro conquista, sorridevano ai vicini di corsia.

Lorenzo ripulì con la mano le gocce di pioggia che erano colate all'interno della portiera e cambiò stazione radiofonica. Si era pentito immediatamente di aver accettato un passaggio da suo padre, si era addirittura stupito di avergli detto in parte la verità su dove stesse andando; non gli avrebbe mai raccontato del concerto a Roma dell'indomani e non poteva immaginare che suo padre dovesse uscire e prendere l'auto. Lorenzo avrebbe preferito impiegare il doppio del tempo e arrivare a casa di Samuele con i mezzi pubblici.

Suo padre non disse una parola per tutto il tragitto. Fece un paio di telefonate in cui parlò di lavoro e imprecò quando un motorino colpì a tutta velocità lo specchietto della portiera.

"Maledetto traffico." disse suo padre riversando sul clacson tutta la rabbia che cercava di contenere. Strombazzava con furia, sembrava volesse fracassare il volante.

Lorenzo stringeva tra le sue gambe lo zaino Eastpak nero, ricoperto dai loghi delle band che ascoltava più frequentemente, impressi con un pennarello grigio indelebile. Appoggiò la testa al finestrino seguendo le linee delle gocce che cadevano condensandosi con quelle già presenti sul vetro. La bocca era serrata, e dal naso si espandeva il suo respiro che s'imprimeva sul finestrino. Lorenzo percepì le note di un brano che conosceva, che adorava. Istintivamente, fregandosene del fastidio che avrebbe procurato a suo padre, alzò il volume.

Wake me up, wake me up inside, I can't wake up,

wake me up inside, save me,

call my name and save me from the dark.

Lorenzo semplicemente godeva ascoltando alcune canzoni. Godeva individuando i cambi degli accordi di chitarra. Godeva ascoltando le parole che erano pronunciate delicatamente o urlate come un inno di rivoluzione. Godeva con la musica, non conoscendo ancora i gemiti di piacere di una donna.

Bring me to life degli Evanescence era un brano che conosceva bene, che aveva suonato dal vivo al Key Club, che l'aveva accompagnato per tutta l'estate. MTV aveva trasmesso il video ininterrottamente.

Avrebbe voluto raccontare a suo padre che aveva suonato quella canzone davanti a un pubblico, che era stato applaudito e che tutti gli avevano fatto i complimenti. Non lo fece; suo padre fu contrariato dal volume alto della radio e la spense senza la minima considerazione per suo figlio.

Lorenzo ripensò alle parole che suo padre gli aveva detto pochi giorni prima sul ciglio della cucina e ne fu disgustato.

Ormai con te non ho più speranze. Come se Lorenzo fosse una marionetta da plasmare a sua immagine e somiglianza, invece suo figlio era diverso da lui. Sapeva apprezzare le piccole gioie della vita, come un momento con gli amici, una canzone, una giornata piena di sole.

Non era questione di essere adulti o adolescenti, il punto di vista sul mondo del signor Forti era inviolabile, non era possibile fargli cambiare idea su niente. Aveva deciso che la musica non doveva essere il centro della vita di suo figlio e aveva continuato a ignorare tutto ciò che Lorenzo facesse per sentirsi pienamente se stesso.

Lorenzo vide in lontananza il palazzo di Samuele, e nonostante piovesse a dirotto decise di fare l'ultimo tratto di strada a piedi. Aveva portato con se un piccolo ombrello in previsione di pioggia a Roma.

"Lasciami qui, tu gira per questa strada, così torni indietro." disse Lorenzo. Non si sforzò di salutare, aprì la portiera e altre gocce di pioggia s'infransero al suo interno, correndo veloci fino al bordo, gocciolando, infine, nelle pozzanghere che ricoprivano la strada. Senza dire una parola, aprì l'ombrello e chiuse la portiera mentre suo padre era già pronto a ripartire dopo un semplice laconico va bene.

Lorenzo si districò tra alcune auto che erano incolonnate in attesa che il semaforo diventasse verde. Via Marina sembrava un unico grande parcheggio all'aperto. La pioggia che cadeva sulle automobili produceva ritmi diversi, quel mutamento atmosferico improvvisamente per Lorenzo sembrò bellissimo.

Il Vesuvio era circondato da nuvole che parevano voler riversare su Napoli un temporale senza fine. Il porto era illuminato ma nessuno aveva osato prendere il mare. La pioggia aveva bloccato l'intera città, via terra, via mare.





"Quanto ci mette ad arrivare Potter?" Samuele imprecò guardando attraverso la finestra dello studio il traffico giù in strada. Via Marina si era trasformato in un canale di Venezia con tanto di gondole a motore.

"Prova a richiamarlo." disse Lorenzo osservando la sconfinata collezione di dischi del signor Tondo.

Nello studio si era aggiunto un Marshall Jcm 2000, l'amplificatore di Samuele, e era scomparsa la scrivania. Era stata rimpiazzata da un tappeto persiano di bassa qualità utilizzato dai Fandango come spazio per comporre le loro canzoni. Si sedevano in circolo e con chitarra acustica alla mano provavano a mettere in musica le parole che Lorenzo e Samuele scrivevano.

Luciano, a gambe incrociate sul tappetto, rollò una sigaretta. I lunghi capelli biondi gli coprivano parte del volto mentre chinava la testa per evitare che anche una sola manciata di tabacco cadesse sul tappeto.

Un fragoroso tuono fece oscillare i vetri della finestra.

"Sarei dovuto andare io." Samuele scorse la rubrica del suo cellulare e camminò seguendo i fronzoli dei bordi del tappeto.

"Rilassati." disse Luciano leccando la cartina della sigaretta.

"Credimi, è in ritardo a causa del temporale. Ho impiegato una vita ad arrivare qui con l'auto."

"Che cosa? Ti ha accompagnato tuo padre?" disse Samuele in attesa che il cellulare squillasse.

"Già. Un evento. Ma credo che dovesse uscire ugualmente di casa per fare qualcosa, altrimenti non mi avrebbe mai accompagnato di sua spontanea volontà." Lorenzo si chinò e prese la sigaretta dalle labbra di Luciano.

"Stronzo, mi devi una sigaretta." disse Luciano, e iniziò a rollarne un'altra tutta per sé.

"Prenditela pure, c'è il pacchetto nello zaino." Lorenzo fece tre tiri e la passò a Samuele. Aspirò così in fretta che Lorenzo vide porgersi nuovamente la sigaretta dopo alcuni secondi.

"Me la darai domani, che sicuramente finirò il tabacco a Roma." disse Luciano raccogliendone alcuni fiocchi caduti sul tappeto. "Samuè, dimmi che hai comprato le Pringles, ti prego. Mi sta salendo una fame assurda."

"Sì, ma ci servono per domani." Samuele restò in attesa mentre il cellulare continuò a squillare. "Perché non risponde! Cazzo!"

Luciano si alzò, accese la sigaretta e si diresse in cucina alla ricerca di cibo. La casa vuota fu invasa dal fumo dopo pochi minuti e la pioggia battente impedì di far arieggiare aprendo la finestra.

"Hai avuto qualche notizia di Bianca?" chiese Lorenzo inarcando lo sguardo per far capire a Samuele di cosa stesse parlando.

"No, e non credo sia incinta." disse Samuele "Se così fosse stato si sarebbe già fatta sentire. Ma tanto ormai..." aspirò la sigaretta, lentamente, con una lunga pausa che anticipò ciò che stava per dire "neanche penso più a lei."

"Ecco, questo è lo spirito giusto. Che vada a farsi fottere, lei, le sue enormi tette e i suoi oh!" disse Lorenzo sorridendo.

"Avresti dovuto sentire come diceva oh mentre scopavamo." Samuele sorrise. Non era un sorriso sereno, era ancora velato dalla delusione di un addio che non aveva scelto lui. L'incredibile voracità con cui si era consumata la loro relazione avrebbe aiutato Samuele a dimenticarla. Giorno dopo giorno, Bianca sarebbe definitivamente scomparsa dai suoi pensieri e dalle sue fantasie.

Squillò il cellulare e Samuele s'illuminò pensando che fosse Daniele. Rispose senza neanche controllare il nome sullo schermo, era suo padre; avvisava che lui e sua madre non sarebbero rientrati per cena, si sarebbero attardati a casa dei nonni e avrebbero aspettato che spiovesse. Poi Samuele sorrise e riagganciò.

"Lorè, metti su MTV. Finalmente sta facendo l'Icon dei Metallica. Mio padre lo sta vedendo anche lui." disse Samuele.

"Grande! Finalmente riusciamo a vederlo, è la terza o quarta volta che lo trasmettono." disse Lorenzo, andò in camera di Samuele e accese il televisore. Sullo schermo comparvero i Sum 41 che omaggiavano la band suonando Enter Sandman.

"Sei sicuro che possiamo stare tutti e quattro qui, stanotte?" chiese Lorenzo, abbassò il volume del televisore lasciando che fosse un sottofondo.

"Quante volte ancora dovrai chiedermelo? Mia madre ha già preparato il divano letto nel soggiorno. Dovrete stringervi in tre, ma almeno domani mattina dieci minuti a piedi e saremo in stazione." rispose Samuele.

Lorenzo, adorava questi momenti di condivisione che fortificavano l'unione della band. La loro storia personale si arricchiva sempre più di piccoli ricordi che avrebbero reso inscindibile la loro unione. Oltre la musica stessa.

"Lucià, sta facendo l'Mtv Icon dei Metallica, vieni a vedere." disse Lorenzo sporgendosi nel corridoio. Luciano non rispose.

"Ma che stai facendo in cucina? Se stai mangiando le Pringles sappi che sei uno stronzo." disse Samuele. Stava per andare a controllare quando qualcuno bussò alla porta di casa. Samuele e Lorenzo si precipitarono ad aprire, Luciano non si mosse dalla cucina. Daniele comparve sul ciglio della porta completamente fradicio.

"Perché c'hai messo tutto questo tempo, Potter?" disse Samuele gridandogli contro.

"Grazie per il ringraziamento, eh!" Daniele entrò in casa, i suoi occhiali rotondi erano appannati e ricoperti da gocce d'acqua e sudore. Si piegò in due per riprendere fiato. "Non puoi neanche immaginare che casino arrivare qui a piedi con questa pioggia."

"Perché non hai preso la metro?" disse Luciano uscendo dalla cucina. Masticava sguaiatamente le patatine.

"E che cazzo, Lucià. Ci servivano per domani." disse Samuele.

"Le ricompreremo, no problem." Luciano allungò il tubo di patatine agli altri amici, ma fu ignorato.

"Infatti, perché non sei venuto in metro?" disse Lorenzo "avevi paura che ci fosse qualche cane poliziotto?" disse ridendo tra i denti.

"No, cretino. Figurati se alla metro di Piazza Dante ci sta la polizia. Era tutto allagato, la metro non partiva, quindi ho dovuto venire fin qui a piedi. Sotto la pioggia!" Daniele era talmente zuppo che l'acqua gocciolava dai suoi vestiti.

Samuele prese un asciugamano dal bagno e la diede a Daniele. "Inizia ad asciugarti, dopo ti prendo una mia maglia e un pantalone e ti cambi. Almeno potevi rispondere al cellulare."

"Neanche l'ho sentito squillare mentre correvo. Non ho mai visto un acquazzone simile." disse Daniele togliendosi la maglietta bagnata.

"Dicci almeno che l'hai presa." disse Luciano con la bocca piena di patatine.

"E secondo te, potevo tornare a mani vuote?"

Daniele frugò nelle tasche e tirò fuori una bustina piena d'erba. L'entusiasmo dei quattro ragazzi era alle stelle. Stavano per vivere l'esperienza più intensa della loro vita e La Sposa aveva fatto il suo dovere, aveva venduto verdi dosi di felicità.

Mancava un solo ricordo per salutare l'estate e renderla definitivamente indimenticabile. Il treno per Roma Termini, per i Placebo, per l'ultima scorribanda dei Fandango prima del ritorno in classe, era da prendere al volo al mattino seguente.



Remember me when whenever noses start to bleed.

"Preso." gridò Lorenzo.

Un pugno chiuso sovrastò il mare di folla che riempiva fino all'inverosimile piazza San Giovanni in Laterano a Roma. Lorenzo, in prima fila, strinse nella sua mano il plettro che Brian Molko dei Placebo aveva lanciato sul pubblico.

Samuele lo scosse freneticamente. Gridava, sorrideva, saltava, come se tutta la stanchezza di un viaggio su un treno regionale intervallato da decine di fermate in piccole cittadelle dimenticate da Dio e una lunga giornata sotto al sole, fosse svanita di colpo.

Il temporale che il giorno prima si era abbattuto su Napoli era solo un ricordo: Roma era una fornace a cielo aperto. Gli artisti si erano alternati sul palco sin dal primo pomeriggio.

Marlene Kuntz, Articolo 31, Skin, e, infine, Placebo.

Remember me special needs.

"L'hai preso, cazzo! Hai preso il plettro di Molko!" Samuele continuò a scuotere Lorenzo. Le casse amplificarono i suoni e le sue percezioni alterate. Luciano alle sue spalle fece l'equilibrista; incurante delle persone che lo sballottavano avanti e indietro, rollò una canna. Al suo fianco Daniele cantava con voce gracchiante tutte le canzoni dei Placebo. L'odore dell'erba si mescolò al tanfo di sudore che si propagava tra le prime file ammassate sotto al palco sin dal mattino.

"Dai, fate fumare anche me." disse Laura, una ragazza che si era insinuata in prima fila; era giunta da Firenze da sola esclusivamente per Brian Molko. Una maglietta nera aderente marcava i suoi piccoli seni che sobbalzavano a ogni salto a ritmo di musica. I piercing sul naso e sulle labbra, i capelli viola e un tatuaggio sul polso mostravano chiaramente la sua essenza punk. Laura era una ribelle, piccola e scheletrica; il suo viso smunto e lentigginoso era pervaso dalla estasi del momento. Aveva trovato il suo spazio in prima fila tra Lorenzo e Samuele che la guardavano ammirati. Non avevano mai conosciuto una ragazza come lei.

Laura aspirò a fondo. Una, due, tre volte. Si gettò alle braccia di Lorenzo, poi lasciò che Samuele la prendesse sulle spalle. Poteva quasi toccare il cielo con un dito; alle sue spalle si estendeva un mare di gente indefinibile a vista d'occhio.

Lorenzo, circondato dai suoi amici, era felice e frastornato. Era libero.

Brian Molko dal palco socchiuse gli occhi; perso nell'estasi del momento girò ripetutamente su se stesso e suonò un solo con la chitarra che sembrava avesse radice nei meandri della mente, in un loop dopo un trip di acidi. Il concerto finì con la benedizione di Molko e la magia di Pure Morning.

"Certo che hai avuto un culo assurdo a prendere il plettro." disse Laura.

Le parole arrivarono deboli alle orecchie di Lorenzo ancora frastornate. Nella sua testa rimbombava ancora la musica.

"Ho fatto un salto assurdo quando l'ha lanciato." rispose Lorenzo. "Che concerto, ragazzi." sospirò soddisfatto.

"Ma voi riuscite a sentire?" chiese Luciano, si era seduto a terra ai piedi delle transenne. Era visibilmente fatto. "Io sento come se avessi un disco volante che mi passa in testa."

"Ecco che inizia a dire le sue stronzate da erba." disse Samuele. Si piegò in due dalle risate, anche lui non era per niente lucido. Nessuno di loro lo era.

"Ragazzi, vi dispiace se resto con voi stanotte? Ho il treno che parte domani mattina e preferisco stare con voi che aspettare in stazione." disse Laura.

Daniele e Lorenzo alzarono di forza Luciano da terra e si allontanarono dal palco.

"Nessun problema, anche noi abbiamo il treno domani mattina." Samuele si avvicinò a Laura e tentò di abbracciarla. Era molto più bassa di lui e riuscì ad appoggiarle il braccio sulle spalle.

Piazza San Giovanni era un fiume di gente che rompeva gli argini e si riversava nei vicoli di Roma, mente gli operai smontavano velocemente il palco. Una notte romana di quasi metà settembre era spettatrice di storie diametralmente opposte e incredibilmente simili.

"Quanta erba avete comprato?" chiese Laura sbiasciando le parole.

I suoi occhi erano rossi come il fuoco dell'inferno. Non era importante rispondere, non le interessava realmente. Era una domanda dettata dai giri a vuoto dei pensieri.

Si sedettero ai piedi dell'obelisco lateranense della piazza. Daniele e Luciano dopo pochi minuti sembrarono dei sonnambuli parlando a vanvera tra la veglia e il sonno. Lorenzo lesse la parola che Laura aveva tatuato sul polso. Freedom.

"Ha un significato particolare quel tatuaggio?" chiese.

"Sì," disse Laura, "l'ho fatto dopo che i miei genitori hanno divorziato e hanno iniziato a contendermi come se fossi un giocattolo. È stato il mio modo per dire che voglio essere libera. Da tutto. Dalla mia famiglia, da chi mi dice cosa devo fare, come devo vestirmi, chi devo essere per vivere meglio. Voglio essere libera perché voglio decidere io come deve essere il mio futuro. Nessun altro."

Lorenzo ascoltò le sue parole, non sapeva se gli sembrarono bellissime perché riflettevano ciò che spesso era capitato anche a lui, o semplicemente perché il fumo gli amplificava tutte le sensazioni.

Laura si sdraiò tra le braccia di Samuele e sovrappose le sue gambe scoperte a quelle di Lorenzo. Un sottilissimo pantaloncino corto accentuava la magrezza delle sue gambe, mostrando soltanto un accenno di carne sulle cosce.

"Guarda quei due come dormono." disse Samuele indicando Luciano e Daniele, era in un mondo tutto suo. Viaggiava con la mente e si perdeva fissando il vuoto.

"Ci credo, hanno fumato per tutta la giornata. Ora sono proprio collassati." rispose Lorenzo. Ci fu un breve istante di silenzio, in cui sentì gli occhi chiudersi, ma la notte non poteva trasformarsi soltanto in una lunga attesa per ripartire e tornare a casa.

Laura avvicinò la sua testa a Samuele, si sporse e gli sfiorò il viso con la punta del naso, poi impetuosamente lo baciò. Dall'esterno delle loro bocche si vedevano i movimenti veloci e irregolari delle loro lingue. Lorenzo annebbiato dal fumo e dall'incapacità di razionalizzare era spettatore dell'ennesima conquista di Samuele.

Laura distese le gambe su Lorenzo. La coscia calda e snella della ragazza sfregò conto il suo jeans nero. Come un'urgenza che non poteva essere più taciuta, un'erezione vinse sulla voglia di simulare disinteresse. Laura spostò lo sguardo verso Lorenzo, si voltò verso di lui, cercò di creare un gioco di sguardi ma fu impossibile. I loro occhi percepivano forme umane senza contorni e la voglia di far prevalere gli impulsi era ormai irriducibile. Lo baciò.

Poi tornò da Samuele e infine ritornò da Lorenzo.

Silenziosamente, senza svegliare Daniele e Luciano, si spostarono, lontano dai pochi occhi indiscreti dei temerari notturni che attraversavano la piazza. Gli operai continuavano a lavorare senza sosta per ridurre il palco a un cumulo di tubi metallici e cavi elettrici.

"Ecco, qui va bene." disse Laura, indicando il retro di una lunga serie di bagni chimici, un maleodorante nascondino in cui dare libero sfogo alle loro pulsioni.

Laura, con baci umidi, si alternò tra Lorenzo e Samuele poi scomparve dalla loro vista e sbottonò i pantaloni di entrambi. La sua bocca unì i piaceri del basso ventre di Lorenzo e Samuele.

Sui volti dei due ragazzi, inizialmente imbarazzati, prevalse l'eccitazione. La volontà di seguire una strada in cui perdersi. Il calore della bocca passava dal sapore di Lorenzo a quello di Samuele. In una sincronia di movimenti tra la bocca e le mani, i due ragazzi raggiunsero l'orgasmo nello stesso istante, tenendosi saldi tra di loro; un braccio di Lorenzo era poggiato sulla spalla di Samuele e viceversa.

Sorrisero entrambi alla ragazza ancora in ginocchio e l'aiutarono ad alzarsi. Laura abbracciò entrambi, poi si alzò sulle punte dei piedi e baciò prima Lorenzo, poi Samuele.

Essere l'uno parte dell'altro.

L'apoteosi del piacere condiviso.

Il preludio del passaggio di testimone.

"Allora? Quanta erba avete ancora?" disse Laura.

Scoppiarono tutti e tre a ridere, senza alcun motivo. Con difficoltà, Samuele rollò un'altra canna. La fumarono in silenzio e poi tornarono dagli altri. Si sedettero al loro fianco e si strinsero in un solo abbraccio e la notte all'aperto fu meno fredda.

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