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0.2 - James Elgort

- Michael's pov -


Butto tutte le carte posate sulla cattedra per terra, spingendo Luke contro di essa. L'uomo mi guarda famelico prima che lo baci con foga, mordendogli le labbra di tanto in tanto. Abbandono quelle labbra tanto dolci solo per attaccare il suo collo, baciandolo e mordendolo mentre Luke mi stringe il sedere in evidente eccitazione.

«M-michael, sei così sexy... Perché non me ne sono mai accorto prima?», chiede ansimando, mentre io gli sbottono la camicia.

Lo faccio sedere sulla cattedra per poi mettermi a cavalcioni su di lui; gli stampo un bacio sul petto che lo fa trasalire. «Sei circondato da puttanelle che te la danno facile, ecco perché», borbotto indispettito, salendo verso il suo orecchio, «Ma adesso sono io la tua puttanella. Fa di me ciò che vuoi, Luke».

Luke geme eccitato. «Forse la dovresti smettere di pensare al tuo collega che ti scopa a sangue su di una cattedra, però».

Guardo Luke confuso. «Che intendi?».

«Intendo che la devi smettere di pensare al tuo collega che ti scopa a sangue su di una cattedra, Michael! Sei disgustoso!», esclamò Calum, riportandomi definitivamente alla realtà.

Sospirai, quando mi resi conto di star sognando ad occhi aperti di nuovo. Beh, a dire la verità, quello più che un sogno ad occhi aperti era un incubo. Immaginare di far sesso con la persona che odiavo di più al mondo? Il mio cervello mi odia, a quanto pare.

«Odio tutto questo!», sbottai nervoso, spegnendo la sigaretta nel posacenere davanti a me ed accendendomene un'altra, visto che la prima era stata consumata quasi interamente dal vento che spirava dalla porta-finestra aperta.

Calum rise. «Secondo me ti piace», disse con il suo solito tono saccente, rubandomi la sigaretta dalle dita per fare un tiro.

Cercai di ignorare le parole di Calum più che potevo. Luke che mi piaceva? Che grandissima stronzata. «Te l'ho detto, Cal, puoi prenderne una se la vuoi», dissi, prendendo il pacchetto di sigarette da terra e rivolgendolo a Calum, che rifiutò con un sorriso prima di ridarmi la sigaretta accesa.

«Mi concedo massimo un tiro. Devo smettere completamente, o almemo resistere. Lo sai che lo faccio per Lizzie», spiegò, sospirando rammaricato non appena menzionò sua moglie, in quel momento in ospedale vittima della chemio. Aveva un tumore al seno da cui stava guarendo, seppur lentamente.

Annuii. «Lo so, lo so. Ma tecnicamente non fumeresti davanti a lei».

Calum alzò gli occhi al cielo. «Smettila di cercare di corrompermi e non cambiare discorso», borbottò, facendomi alzare un sopracciglio.

«Che discorso?», chiesi stupidamente.

«Oddio. Luke che ti piace! Ecco quale discorso», sbottò, scoppiando a ridere quando quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.

«N-non mi piace, no», dissi con voce roca, cercando di riprendermi dal mio accesso di tosse, «Perché dovrebbe piacermi?».

Calum ridacchiò. «Forse perché immagini di fare sesso con lui? Insomma, secondo me non immagineresti di fare sesso con lui se non ti piacesse neanche un po'».

Scossi la testa veemente, facendo soltanto ridere Calum di più. «Sono solo... Sessualmente frustrato, ecco. Sono mesi che non vado a letto con qualcuno e ormai immagino di scoparmi chiunque», spiegai, mentendo al 50%.

Beh, sì, un po' frustrato lo ero, ma immaginavo di scopare solo con il mio arcinemico, quell'idiota del professore di Storia, per chissà quale motivo inspiegabile al genere umano. Il mio cervello mi odiava di sicuro. Oppure cercava di mandarmi dei segnali - segnali che io non avrei colto, comunque. Non volevo neanche pensare di essere attratto da Luke, nonostante prima che aprisse bocca per fare uno dei suoi commentacci acidi avevo immaginato le peggiori cose su di lui. Ovviamente, prima che mi insultasse perché troppo giovane per insegnare, lo trovavo dannatamente attraente - come chiunque, del resto: chi non era attratto da Luke Hemmings? Era il sesso piazzato su due gambe dannatamente lunghe e compresso nelle giacche eleganti che indossava per darsi un'aria fittizia da filosofo. E forse, se non mi trattasse così male, qualche pensiero su di lui - consapevole, si intende - lo farei ancora...

«Michael?», mi richiamò Calum, facendomi voltare verso di lui, «Ti sei incantato a fissare il vuoto. Pensavi a Luke, non è vero?».

Scossi la testa. «Per niente. In realtà pensavo a... a James Elgort, sì», mi inventai su due piedi, arrossendo quando mi venne in mente l'uomo che avevo appena menzionato.

James Elgort era un professore di filosofia che mi faceva il filo (scusate il gioco di parole) da un bel po' di tempo, da più o meno nel momento in cui ero arrivato al Queen Victoria, fresco di laurea e volenteroso. James era un uomo davvero attraente, e nonostante io avrei voluto accettare volentieri le sue avances già da parecchio, qualcosa mi spingeva a non farlo, a rifiutare ogni volta. Forse era la mia eterna insicurezza, che mi spingeva a credere che James volesse soltanto usarmi per chissà cosa; o forse era il fatto che non credevo che James volesse davvero aver qualcosa a che fare con me. Insomma, lui era qualcosa come un raro e prezioso Van Gogh perduto da tempo e io un vasetto di Merda D'Artista, per intenderci. Non esisteva neanche nel più remoto universo parallelo un accostamento simile, e non sarebbe esistito mai.

Calum alzò un sopracciglio, ma fece comunque finta di credermi. «Certo; pensavi a James Elgort».

«Te lo giuro», mi lamentai, ottenendo un'occhiata scettica, «Non stavo pensando a Luke».

«Michael, nessuno ha messo in dubbio che non stessi pensando a Luke!», borbottò Calum, scoppiando a ridere, «Ma la tua insistenza nel farmi credere che non lo stessi facendo non fa altro che convincermi di più del contrario, lo sai?».

Scossi la testa. «Sei uno stronzo».

«Oh, ti voglio bene anch'io».

***

«Non capisco perché mi avete trascinato fin qui a forza», mi lamentai con mia madre, sforzando un sorriso quando i flash delle fotocamere ci investirono.

«Tuo padre voleva che ci fossimo tutti, come una bella famigliola solida e riunita per celebrare i suoi successi, ovviamente», replicò lei, ancora più seccata di me nonostante non lo desse a vedere.

«Ma se lo sanno tutti che tu non lo sopporti e che state divorziando perché ti fa le corna con la sua segretaria».

Mia madre mi strinse la mano in modo non proprio amichevole. «Senti Michael, è nostro dovere di famiglia esserci per conservare le apparenze. E sì, è vero che non sopporto tuo padre, e che stiamo divorziando perché mi fa le corna con una donna più bella e più giovane di me, ma facciamo buon viso a cattivo gioco per stasera, okay?», mi chiese, implorante.

Annuii, intristendomi alle sue parole. Le posai un braccio sulle spalle. «Giusto perché tu lo sappia, tu sei la donna più bella in questa sala», la rassicurai, guardandola speranzoso.

Mia madre sbuffò una risata. «Sei gay e sei mio figlio, direi che non vale molto», disse sarcastica, facendomi imbronciare, «Io vado a prendere qualcosa da bere, ho bisogno di alcool per sopportare questa serata», aggiunse, lasciandomi un bacio sulla guancia prima di sparire, diretta come al solito al tavolo degli alcolici. Mia madre aveva un bel problema con l'alcool, ma stava passando un bruttissimo momento nella sua vita, quindi non me la sentivo di dirle qualcosa a proposito nonostante mi preoccupassi. Avrei dovuto prendermela con quel pezzo di merda di mio padre, il famosissimo e rispettabile Daryl Clifford (insomma, rispettabile si dice per dire), quello che aveva mandato in rovina mia madre e che ancora pretendeva che partecipassimo alle sue serate di beneficenza giusto per dare l'impressione di essere una famiglia normale, quando in realtà sapevano tutti di quanto i Clifford stessero andando a scatafascio; insomma, mio padre non era proprio discreto nei suoi rendez-vous con la sua segretaria/modella di costumi da bagno/amante che aveva praticamente la mia stessa età e mia madre trovava sempre il modo per ricordare al mondo quanto suo marito - quasi ex marito - fosse un pezzo di merda durante queste serate. L'unico che subiva tutta questa pressione negativa, comunque, ero io. Loro due alla fin fine non venivano mai colpiti dall'occhio critico dei media, nonostante fossero dannatamente incasinati; quello che ci finiva sotto ero io, il figlio unico, quello che tutti credono faccia uso di droghe perché depresso a causa di tutto ciò che stava succedendo ai miei genitori - quando poi, a dirla tutta, a me non fregava un bel niente dei miei genitori, avrebbero potuto scannarsi quanto volevano, non erano cose che mi riguardavano. Almeno non più.

Essendo rimasto solo nel bel mezzo della sala, decisi di andare a cercare anch'io qualcosa da bere, giusto per non dover sopportare mio padre da troppo sobrio; non avevo certo intenzione di ubriacarmi, ma sapevo benissimo che non avrei potuto sopportare mio padre senza alcool in corpo.

Mi pentii subito, però, della mia decisione; non appena raggiunsi un tavolo su cui veniva servito del Whisky, mi ritrovai davanti la persona che meno volevo vedere al momento - una delle tante, a dire il vero: James Elgort, che mi rivolse un sorriso malizioso mentre mi porgeva un bicchiere colmo del liquore ambrato che riusciva a mettermi sempre nei guai, in un modo o nell'altro.

«Buonasera, Michael. Sei davvero elegante stasera», commentò, ammiccando all'antipatico smoking che stavo indossando soltanto per mia madre, una vera pignola quando si trattava di quelle cose. Se non fosse stato per lei in quel momento avrei avuto addosso i miei soliti vestiti sgualciti.

Afferrai il bicchiere di Whisky dalle mani di James, bevendone un sorso tempestivamente. «Oh, grazie James. Anche... anche tu, sì», ribattei, deglutendo mentre osservavo il corpo di James fasciato alla perfezione in quello smoking che sembrava fatto apposta per lui. E Dio, se Policleto l'avesse visto avrebbe scritto un trattato chilometrico su di lui e sulla sua bellezza mozzafiato, avrebbe scolpito il suo volto in tutti i suoi bronzi.

«Comunque, tu che ci fai qui? Non pensavo avessi contatti con mio padre, in qualche modo», chiesi curioso, affiancandolo mentre attraversavamo la sala, gli occhi di tutti puntati sull'Adone che mi stava accanto - insomma, se qualcuno si fosse trovato davanti Il Doriforo e La Gioconda con i baffi di Duchamp avrebbe sicuramente guardato la scultura invece dell'imitazione parodistica di un quadro che a dirla tutta non era poi così sensazionale. Ma ormai ero abituato ad essere quello, lo scarto dell'arte e della vita. Non mi toccava così tanto, anzi, era piacevole non essere guardato.

«Era il mio professore di Storia Moderna all'università», rispose James, riportandomi alla realtà con la sua voce, «Di solito sono sempre presente a questi eventi... eppure non ti vedo mai», mi fece notare, poggiando la mano sulla mia schiena.

Quel contatto mi lasciò interdetto; passarono secondi di silenzio in cui, fissando James, mi rendevo conto che c'era qualcosa che non andava. Cercai di non far trasparire il mio disagio, però. «Uhm, di solito me ne sto in disparte, ma stasera mia madre voleva che stessi con lei, sai com'è - in tempi di guerra la famiglia resta unita o giù di lì».

James alzò un sopracciglio. «Dovrei chiederti cosa vuol dire, ma sento come se tu non voglia parlarne. Ed è un peccato, perché mi piace sentirti parlare. Hai questa voce così roca ed affascinante... eccitante, per certi versi».

Arrossii veemente e sgranai gli occhi, quasi facendo cadere il bicchere per terra; James fu veloce e lo prese prima che potesse frantumarsi in mille pezzi, ridacchiando della mia reazione. Non c'era niente da ridere, io ero terrorizzato! Non volevo le sue avances, per niente, e in un luogo del genere era pure peggio...

«Che c'è, Michael? Non dirmi che tu ho messo in imbarazzo», mi prese in giro, ridendo intenerito mentre tentava di accarezzarmi una guancia.

Io mi scansai repentinamente, facendo imbronciare James. «Sì che mi hai messo in imbarazzo! Non puoi dirmi una cosa del genere, okay? Almeno non qui!», protestai, allontanandomi da lui.

James si mordicchiò il labbro inferiore. «Non era mia intenzione metterti in imbarazzo, Michael, lo giuro», tentò di scusarsi, facendomi scuotere la testa.

Lasciai James solo, con la scusa di aver bisogno di aria fresca e scappando via, finendo in un enorme giardino. Mi nascosi dietro dei cespugli di rose rosse, sedendomi sull'erba fresca mentre mi accendevo una sigaretta per calmarmi, senza riuscirci. Non riuscivo a capire perché quel commento mi avesse scombussolato tanto, anche se sapevo benissimo perché. Non volevo ammetterlo, però - non volevo ammettere che io avevo immaginato Luke, al posto di James, mentre mi diceva quelle cose in una situazione un po' più compromettente di quella con James. Stavo impazzendo, decisamente.

***

[A/N] buon pomeriggio! Dio santo, mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto per questo obbrobrio, ma non avevo proprio ispirazione e forza di volontà per continuare a scrivere, infatti neanche il risultato finale mi piace tanto T-T ma comunque, non potevo lasciarvi senza capitolo per così tanto tempo e quindi, sono uscita  con questa schifezza - spero possiate perdonarmi per la lunga assenza, comunque ahahah

A mercoledì prossimo! ♡♡

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