5.
Pensavo di esserne in grado? No, ma lo rifarei.
Perché sono stanco, e per quanto lo ami non riesco davvero più a sopportare l'idea che lui abbia tutto questo controllo sulla mia vita.
«Sei un pezzo di merda», urlo con tutto il fiato che ho in corpo sfogando la rabbia che ho accumulato per anni.
Lui reagisce istintivamente, è nella sua natura e nonostante l'assurdità della situazione resto affascinato dal modo in cui si gira e mi piazza una gomitata in pancia con una precisione che mi mozza il fiato.
«E allora vattene, Deku! Che cazzo vuoi da me?»
La mia gamba si muove da sola, perché è anche la mia natura. Siamo uguali, più di quanto entrambi vorremmo ammettere ora. Tiro un calcio alla sua caviglia con forza con l'intento di farlo cadere, lui stringe automaticamente le dita attorno ai miei vestiti per trascinarmi giù con lui in un turbinio di esplosioni e lampi verdi.
«Vorrei andarmene, non sai quanto vorrei!»
Urlo ritrovandomi a cavalcioni su di lui; tiene le mie mani con le sue, io gli blocco il bacino a terra con le gambe.
Nessuno dei due parla, ansimiamo forte e cerchiamo di riprendere aria senza mai abbandonare gli occhi dell'altro.
I fiori mi si incastrano lungo la trachea, pizzicano e so che a breve tirerò fuori anche l'anima.
Respiro ancora, ma dentro mi sento morire.
«Vorrei con tutto me stesso andarmene e lasciarti indietro senza preoccuparmene», mormoro abbassando la testa. «Vorrei fingere di non sapere cosa siamo stati, vorrei fregarmene come fai tu. Vorrei che tu non fossi importante nella mia vita. Vorrei smettere di giustificare il modo in cui mi tratti nella convinzione che tu sia più di questo perché è evidente che non lo sei. Non con me, almeno. Lo sei con i tuoi amici, lo sei con...»
Non riesco a dire il suo nome, mi sento a pezzi.
I miei occhi si riempiono di lacrime, a dirla tutta penso di essere durato anche troppo senza piangere.
Lui non reagisce, mi fa incazzare. Lui, che esplode alla minima occasione, sembra non avere armi per difendersi.
Anche perché probabilmente non pensa di doversi difendere da qualcosa.
Mollo la presa sul suo corpo e mi tiro su senza un minimo di grazia. Inciampo, sbuffo, lui non dice una parola mentre sente i miei polsi sfuggire alle sue dita.
Sembrano passare ore prima che si decida a spiccicarne una.
«Non lo penso.»
È il mio turno di rimanere in silenzio.
«Non l'ho mai pensato davvero», si muove per recuperare il cellulare caduto nello scontro. «Non vuol dire che... insomma è ovvio, ti odiavo. Dico solo che se tu lo avessi fatto davvero, non credo sarei mai stato in grado di perdonarmelo.»
È ovvio, mi odiavi.
«Questo si chiama senso di colpa, Kacchan. È umano, se tu non lo provassi sarei davvero preoccupato per te.»
Dubito che si aspettasse la freddezza nella mia voce. Nemmeno io me la aspettavo.
Gli do le spalle e riprendo a camminare soffocando qualche colpo di tosse contro la manica del costume.
«Che ti prende? Volevi una risposta, no? Te l'ho data.»
Non mi fermo, non ha senso. Sono il solito cretino, credo nelle favole e mi ritrovo a scavare merda a mani nude. Perché cosa mi aspettavo, in fondo?
Nella mia testa passano come a rallentatore i ricordi di una vita insieme e puntualmente mi ritrovo alla sera del suo compleanno quando Kirishima gli teneva il viso con le mani.
Un altro colpo di tosse, questa volta il guanto si macchia di rosso ed io impreco inevitabilmente tra i denti.
«Deku! Fermati, cazzo, non lo penso!»
Ringhio tra me e me, il bruciore al petto mi sta dando alla testa.
«Mi spieghi una cosa?» mi fermo di botto, Kacchan va a sbattere contro la mia schiena colto alla sprovvista. Se non fossi terribilmente ferito, riderei.
«Cos'ha Kirishima che io non ho?»
L'ho detto.
Non credevo che l'avrei mai fatto, ma alla fine mi è sfuggito perché non ho davvero più nemmeno le forze per sentirmi patetico. Devo sapere cos'ha di speciale. So che è da sfigati, ma è l'unico modo che mi è rimasto per affrontare tutto quello che mi aspetta.
Kacchan sgrana gli occhi, leggo il panico puro nel rosso delle sue iridi e mi rendo conto di aver toccato un tasto che nemmeno pensava esistesse. Aggrotta la fronte, posso giurare di sentire il suo cuore battere all'impazzata sotto gli strati neri e arancioni della divisa.
«Che c'entra adesso?» chiede dandomi l'impressione di voler prendere tempo.
Peccato che io, di tempo, non ne ho più da buttare.
«Ho cercato di starti vicino per una vita intera. Nei miei primi ricordi, tu sei già presente. Ho fatto di tutto perché tu mi notassi. Non ti ho mai chiesto niente in cambio, volevo solo che prendessi quella cazzo di mano. Ti ho seguito, ho sopportato in silenzio i tuoi atteggiamenti di merda, ho giustificato ogni livido che mi hai fatto addosso perché pensavo di conoscerti. Mi dicevo che eri solo arrabbiato. Che sarebbe andata meglio. E poi arriva lui» mi rendo conto di aver buttato fin troppo disprezzo su quell'ultima parola, ma a quel punto non sarei in grado di fermarmi nemmeno volendo. Respiro a fondo, sento il sapore di sangue sulla lingua e la cosa non mi piace per niente.
«Perché diamine lui è riuscito a fare in pochi mesi quello che io non ho fatto in quindici anni? Perché lui può metterti una mano sulla spalla senza rischiare che tu gliela strappi a morsi? Perché non guardi me come guardi lui? Ero il tuo migliore amico.»
Sullo zigomo di Kacchan, appena sotto l'occhio destro, sta iniziando a formarsi un livido a cui lui non sta minimamente badando.
Ha le labbra schiuse, le mani strette a pugno, lo sguardo di chi sta lottando con un mostro enorme. Cerca di dire qualcosa, poi cambia idea e lascia perdere.
Riesco a leggere tutta la difficoltà che prova nel modo in cui arriccia il naso.
Vorrei davvero non conoscerlo così tanto, mi sta distruggendo e non posso fare niente per evitarlo.
Alla fine, dopo quelle che sembrano ore, prende un respiro e rilassa le spalle come se si fosse arreso.
«Lui è... è diverso. Con lui è diverso.»
Non dice altro, fissa il pavimento perché sbattermi in faccia che non sono abbastanza è qualcosa di troppo difficile da fare guardandomi negli occhi.
Eppure, io aspetto. Perché sono un povero illuso e non riesco a credere che quella sia la sua unica spiegazione.
Con lui è diverso, davvero?
«Va bene» dico dandogli le spalle per riprendere a camminare.
Il mio mondo è appena crollato i pezzi su sé stesso ma cerco di non darlo a vedere. Sono diventato bravo a fingere, tanto da prendere in giro anche me stesso ogni tanto.
Un altro colpo di tosse fa apparire un paio di petali, li prendo al volo stringendoli con rabbia tra le dita mentre mi guardo intorno in cerca di una via di fuga.
«Va...cosa?» sento la voce di Kacchan alle spalle. Ovviamente mi sta seguendo, perché l'unica volta in cui dovrebbe solo evitarmi ha deciso di non volersene andare.
«Va bene, hai risposto alla mia domanda» sbotto mentre tento di trovare un vicolo dove rifugiarmi.
«Tutto qui? Va bene?»
Respiro a fondo, mi costringo a farlo perché la voglia di dargli un altro cazzotto in faccia sta diventando davvero insopportabile.
«Mi sembra di aver parlato abbastanza, non credi?» chiedo guardando verso destra e camminando verso una piccola radura di alberi.
«Vuoi fermarti? Dove cazzo vai?»
«A pisciare, Katsuki» sbotto voltandomi di scatto e fulminandolo con lo sguardo. «Posso farlo o vuoi controllare anche questo aspetto della mia vita?»
Non so cosa lo destabilizza di più, se il suo nome sfuggito alle mie labbra o il fatto che ho perso ogni briciolo della pazienza che mi ha contraddistinto per tutto quel tempo. So solo di aver ottenuto quello che volevo, non mi segue più.
Ha smesso di muoversi, forse anche di respirare.
«Ci rivediamo a scuola», aggiungo prima di sparire tra gli alberi.
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