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4.


E così, arriviamo ad oggi.

Sono passati cinque giorni dalla sera del compleanno di Kacchan ed io non ho ancora combinato niente.

Non perché io non abbia voglia, anzi. Ogni giorno mi sveglio con l'idea che sia il momento giusto per parlargli; invece, finisco per dare di matto e scappare.

Scappare è oggettivamente più facile che ammettere di non avere il coraggio di lasciarlo andare, perché è di questo che si tratta. Per quanto cerchi di negarlo a me stesso, sto solo rimandando il momento in cui perderò o lui o il suo ricordo. È una sconfitta in ogni caso e non mi piace più perdere.

Caccio un sospiro e guardo verso l'alto mentre sistemo meglio la cintura della divisa da eroe all'altezza del bacino.

Lunedì e mercoledì sono diventati i giorni che più amo e, contemporaneamente, quelli che più odio.

Se da un lato ho la possibilità di passare del tempo con Kacchan grazie al tirocinio, dall'altro ho l'impressione che la vicinanza con lui aumenti esponenzialmente la quantità di petali che vomito sistematicamente appena rimetto piede nella mia stanza.

Ci fermiamo raramente, non abbiamo molto tempo a disposizione e quel minimo di conversazione che riusciamo a tirare fuori riguarda per lo più strategie e commenti sui nostri stili di combattimento.

Vorrei parlargli davvero, anche perché non posso più aspettare. A volte mi lancia quei suoi commenti taglienti e spietati, ma in fondo è anche merito della sua brutale onestà se ho realizzato molti dei limiti nell'utilizzo del mio Quirk.

Mi rendo perfettamente conto di aggrapparmi agli specchi con cui ho rivestito la mia mente quando mi convinco di vedere cose che a quanto pare non esistono, ma non riesco a non pensare a quanto siamo imbattibili insieme.

Non sono solo io a leggergli nel pensiero, lo fa anche lui con me ed è evidente in battaglia più che mai.

Siamo una coreografia impossibile da riprodurre, passi che non si possono insegnare.

Per quanto probabilmente odi ammetterlo, Kacchan mi conosce come se fossi un'estensione del suo corpo e gli viene naturale indirizzare lo scontro in un modo che ci permette di lavorare come fossimo una cosa sola.

Siamo complementari, non può negarlo.

Usa le sue esplosioni per lanciarmi in aria, stringe la mano intorno al mio polso ed io mi tuffo in avanti concentrando tutta la mia potenza in un unico colpo perché lui sa che faccio ancora fatica a trovare un equilibrio nel modo in cui il mio Quirk si propaga attraverso il mio corpo.

Saremmo una squadra pazzesca.

O forse sono solo io a volerla vedere così ad ogni costo.

Faccio di tutto per credere che ci sia qualcosa di speciale nel nostro rapporto, qualcosa che ci lega in modo indissolubile.

Anche adesso, mentre camminiamo silenziosamente spalla contro spalla, ho l'impressione che tra di noi ci sia pura energia elettrica.

È una ronda insolitamente tranquilla, nessuno dei due ha fiatato per più di quaranta minuti.

Ogni tanto lo guardo con la coda dell'occhio, osservo il profilo perfetto del suo naso e le labbra schiuse che cacciano un filo di condensa nella brezza serale.

È bello da fare male. Quando ha smesso di essere un bambino ai miei occhi?

«Ehi, Kacchan?»

Non so nemmeno io, con esattezza, come diavolo iniziare il discorso. Voglio solo che mi guardi.

E lo fa. Dio, se lo fa.

Volta la testa verso di me, le iridi scarlatte incredibilmente luminose e prive di qualsiasi tipo di emozione.

Se non altro, non vedo disprezzo. È un passo avanti.

«Ah, hai finito di guardarmi e basta quindi?»

Mi strozzo con la mia stessa saliva, come un perfetto idiota, affrettandomi a distogliere lo sguardo prima che noti il colorito rosso acceso della mia pelle.

«Io non...»

«Risparmiamelo, ti conosco. Se hai qualcosa da dire, dilla e basta.»

Se ho qualcosa da dire?

Aspetta, da dove comincio?
"Ehi Kacchan, credo di amarti e questo mi sta letteralmente uccidendo."

Non male, come inizio. Non ti farebbe di certo scappare a gambe levate.

Stringo appena i pugni e guardo un punto indefinito vicino alle mie scarpe. Quante altre possibilità avrò, in fondo?
Giuro di riuscire a toccare la tensione con le dita, il mio cuore batte all'impazzata. Vorrei quasi dirgli di fare silenzio, sta facendo un casino assurdo ed ho paura che lui se ne accorga.

La voce di Shoto mi riempie le orecchie come un avvertimento, mi ricorda che non ho tempo e che devo smetterla con queste stronzate. No, quest'ultima cosa l'ho aggiunta io, ma gli ho promesso di risolvere quella situazione e forse è davvero arrivato il momento per lo meno di provarci.

«Lo pensi ancora?»

Alzo la testa, dalla sua espressione mi rendo conto che quella domanda non ha assolutamente senso senza un contesto.

A volte vorrei non essere così imbranato. Nonostante questo, sostengo il suo sguardo e mi sforzo di non vomitare dal nervoso.

«Pensi ancora che sarebbe stato meglio se mi fossi buttato dal tetto della scuola?»

Si ferma in modo talmente improvviso che mi ritrovo a fare cinque o sei passi avanti prima di rendermi conto del fatto che non è più al mio fianco.

Mi fermo anche io guardando fisso davanti a me, non sono sicuro di avere il coraggio di girarmi.

Sento i battiti del mio cuore rimbombare nelle orecchie in modo più ovattato, mi aspetto quasi di esplodere senza possibilità di scappare.

Non esplodo, non ancora almeno.

Cade un silenzio irreale però e questo mi costringe a voltarmi solo per essere sicuro che non se ne sia andato senza dirmi niente.

È lì, esattamente dove l'ho lasciato.

Tiene la testa bassa, i pugni stretti, le spalle curve in modo innaturale; eppure, riesco quasi a sentire lo stridio dei denti che sfregano tra loro.

«Che cazzo di domanda è, Deku?»

Sento i muscoli del viso contrarsi impercettibilmente.

Non ho paura di lui, non credo di averne mai avuta. Quello che mi impediva di affrontarlo era piuttosto il timore di infastidirlo tanto da convincerlo a sparire definitivamente dalla mia vita.

Ad essere totalmente onesto con me stesso, non ho mai dimenticato il modo in cui mi ha detto di uccidermi quel giorno in terza media. Non sono arrabbiato, l'ho perdonato.

Eppure, l'idea che non mi abbia mai espressamente detto di esserne pentito mi dilania dal profondo.

Non ho mai voluto accettare l'idea che quel giorno potesse essere stato serio.

Ho bisogno di capire, e sento di meritare scuse che siano più concrete di un borbottio riversato sul mio braccio mentre pensava che stessi dormendo.

Ho bisogno di capire lui, il suo odio nei miei confronti, ma soprattutto capire me stesso; ho bisogno di dimostrare che c'è un motivo se ho passato circa quindici anni della mia vita ad amare questo stronzo.

Ho bisogno di chiudere un cerchio prima di decidere che vale la pena cancellare dalla mia mente la risata di Kacchan o morire per essa.

«Rispondimi e basta. Lo pensi ancora? Perché non ne posso più di giocare ogni giorno ad indovinare i tuoi sentimenti».

La mia voce suona irreale, quasi estranea.

È spezzata eppure incredibilmente dura.

Lui probabilmente se ne rende conto, perché alza la testa di scatto e nei suoi occhi non c'è altro se non confusione e nervosismo.

«Chi cazzo ti ha mai chiesto di indovinare i miei sentimenti, eh?»

«Vuoi rispondere alla mia domanda?»

Non so dove trovo tutta questa intraprendenza, qualcuno la definirebbe "disperazione". E forse è vero, mi sento sul baratro e non posso più tirarmi indietro. A questo punto non ho davvero più niente da perdere.

Faccio un passo verso di lui, Kacchan ne fa uno indietro come se avesse paura. Sembra lui quello indifeso, in questo momento, il che quasi mi fa ridere. Mi guarda come se lo stessi minacciando con un'arma letale; invece, gli sto chiedendo di farmi entrare nel suo mondo, che a pensarci è decisamente peggio.

«Sei il solito coglione», sputa allargando le braccia. «Che cazzo te ne frega dei miei sentimenti, pensa ai tuoi».

Ah, saresti sorpreso di sapere quanto sto pensando ai miei sentimenti in questo momento. Vorrei davvero saperlo spiegare.

Sulle mie labbra appare un sorriso che non ha nulla di allegro, anzi. Sfocia in una leggera risata dai toni amari e vedo chiaramente la determinazione di Kacchan vacillare.

Faccio un altro passo, questa volta non gli do il tempo di muoversi. Stringo le dita sulla stoffa della sua divisa e lo tiro vicino a me con una rabbia che non pensavo di poter provare.

«È proprio perché penso ai miei sentimenti che ho bisogno di sapere se lo pensi ancora. E da come ti comporti, la risposta mi sembra evidente».

Ci guardiamo in cagnesco per qualche secondo; ogni fibra del mio corpo sta urlando pregandolo di darmi una qualsiasi risposta che mi faccia cambiare idea. Perché per lo meno, se davvero devo dimenticarlo, vorrei farlo sapendo che non mi voleva morto sul serio.

Lui resta in silenzio, sembra aver perso totalmente la facoltà di parola. Ed è di fronte a quegli occhi sgranati che mi arrendo.

Lo lascio andare spingendolo indietro, ho perso la battaglia.

Ho perso lui.

«Mi hai rotto le palle, Deku», la sua voce è tagliente come una coltellata quando si riprende. «Pensi di sapere sempre tutto, ma non sai un cazzo. Non sai niente, hai capito? Quindi smettila con questa stronzata del-».

Non riesce a finire la frase.

Il contatto tra le mie nocche ed il suo zigomo è più forte di quello che mi aspettavo. Riesco a sentire le ossa nelle mie dita scattare tutte insieme mentre la sua testa si piega inevitabilmente verso sinistra a causa del pugno che gli ho appena dato in faccia. 

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