«Andrà tutto bene», non gli risposi e non riuscii tanto meno ad aprire bocca.
I macchinari che le avevano collegato iniziarono a fare uno strano rumore. A quel punto l'infermiera mi prese e mi fece uscire insieme a mio fratello Kayl facendoci un sorriso rassicurante.
Kayl mi abbracciò forte cercando di trattenere le lacrime.
«Andiamo» mi disse con voce tremante.
Il pianto e le urla di tristezza di nostro padre si facevano sempre più lontani però risultavano ancora molto forti alle mie orecchie.

Da quel giorno, l'allegria che era sempre presente in casa svanì e l'armonia fu spezzata dalla rabbia generale. Sembrava tutto così diverso quando invece le uniche cose diverse eravamo proprio noi.

Ero solo una bambina di cinque anni, come potevo sapere cosa era accaduto? Non capivo la rabbia di mio padre e la paura e la freddezza di mio fratello nei sui confronti. Non capivo perché la mamma non era più in casa a preparare la cena e ad aiutarmi con i miei disegni. Semplicemente non capivo. Mi ritrovai a pensare che la causa del suo allontanamento fossi io oppure che l'avessi fatta arrabbiare per qualcosa.

Ma ben presto alle mie orecchie giunse la verità e quella voglia di sapere fu rimpiazzata dalla tristezza. A soli cinque anni, fui costretta ad abbandonare la vita che solitamente facevano i bambini della mia età. Insieme alla felicità scomparve anche la mia spensieratezza, ed insieme alla mia spensieratezza, il mio solito carattere solare.

Ero cambiata, tutti dentro quella casa erano cambiati. Ero cresciuta velocemente venendo a conoscenza di alcuni mondi dove la droga e l'alcol erano il centro di essi.

Questo però non mi impedì di sognare, non smisi neanche un attimo di farlo. Volevo andarmene da quella casa, volevo allontanarmi al più presto da quella vita.

Un sogno che nessuno mai avrebbe attribuito alla bambina che ero e che morì quello stesso e maledetto giorno.