Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 4.

Era impossibile distinguere i suoi lineamenti con la flebile luce che emanava quel vecchio lampione.
Un altro sasso raggiunse la mia finestra e il mio nervosismo aveva superato, di gran lunga, il mio livello di sopportazione.
Aprii la vetrata di scatto, preparandomi a urlare contro quel ragazzino. Ma ancora prima di dare aria ai polmoni, il respiro mi si mozzò.

«Finalmente. Pensavo di rimanerci tutta la notte» quello che prima consideravo essere un ragazzino, parlò facendomi rimanere sconcertata.
Ironia del destino: l'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento, si trovava invece sotto la finestra della mia stanza, disturbando il mio sonno.
«Come hai saputo dove si trovava la mia casa?» chiesi.

«Ti ho seguita» ammette passandosi una mano tra i suoi capelli e, anche se non riuscivo a vedere il volto, sapevo benissimo che aveva la sua solita espressione beffarda stampata in volto.

A volte non servono particolari conoscenze per giudicare una persona.
«Cosa vuoi?» gli chiesi cercando di essere più fredda possibile.
«Hai dimenticato questo.» mi tirò un oggetto che cadde sul pavimento della mia camera per colpa dei miei riflessi troppo lenti.
Lo raccolsi e fui sorpresa nel vedere il portafortuna che mi aveva regalato mio fratello quando eravamo più piccoli.
«Grazie» dissi rotolandomi tra le mani quel portafortuna.

«Vieni. Hai dimenticato un'altra cosa. Ma vedendo i tuoi riflessi, non credo sia il caso che te la lanci da qui»
«O-Ok» presi la felpa di Kayl che aveva dimenticato giorni prima nella mia stanza e la indossai sopra la maglietta troppo leggera per il clima esterno.
Cercai di essere più silenziosa possibile ma come sempre, la mia mancata delicatezza e attenzione, mi fece urtare contro un mobile provocando un rumore orrendo.

«Cosa succede? Abby cosa stai facendo?» Kayl uscì e, sbadigliando, cercò di formulare una domanda comprensibile per quanto gli fosse possibile.
«Ho sete» dissi d'istinto, usando la prima scusa banale che mi venne in mente. Non rispose e tornò nella sua stanza, sbadigliando ancora una volta.
Feci un sospiro di sollievo e questa volta, con molta più attenzione, riuscii a raggiungere la porta di casa, che lasciai leggermente socchiusa.
Raggiunsi il giardino sul retro dove poco prima avevo visto Jonathan. Continuai a camminare fino a quando non fui bloccata per l'ennesima volta al muro di mattoni della casa.

Sono sempre stata convinta che quel ragazzo si vedesse troppi film americani. Quella situazione sembrava proprio la scena di un classico film romantico, con l'unica differenza che noi non eravamo innamorati l'uno dell'altra. Io per prima non ci tenevo ad esserlo.

«C-Cosa...emh, cosa» non sapevo da dove iniziare, avendo come risultato diverse frasi spezzettate senza un senso logico che davano l'impressione della mia totale insicurezza. Provare a liberarmi sarebbe stato tutto inutile, di certo non potevo competere con la sua forza. I suoi occhi mi guardavano ed io abbassai i miei per cercare di non essere vittima di quello sguardo. Lo ammetto, per quanto potevo odiarlo, quegli occhi avevano una capacità innata di ammagliare. Sicuramente erano anche capaci di ottenere tutto ciò che volessero, ma non con me. Se voleva vincere, avrebbe dovuto usare tutt'altra strategia invece di un semplice sguardo.

Mi alzò delicatamente il mento per farmi portare gli occhi su di lui, ma continuai a guardare in basso. Si avvicinò pericolosamente alle mie labbra e di impulso cercai di allontanarlo.
Tutto d'un tratto si fermò, inarcando le sue labbra in un ghigno.

«Facile» disse lasciandomi. Sentii le guance a fuoco e non ne conoscevo neanche il motivo.
«Cosa?» chiesi timidamente non capendo cosa intendesse con quella sua semplice affermazione.
«Sei una ragazza facile» continuò dandomi le spalle.
«Cosa? Non è vero. I-Io non sono una ragazza facile. Tu non sai niente di me e non ti permetto di giudicarmi» come si permetteva di giudicarmi? Come si permetteva di darmi della ragazza facile quando in realtà l'unica ragazza facile era la sua ragazza?
Mi sentii il sangue pulsare nelle vene e, se fino a quel momento ero riuscita a trattenermi, doveva solo che aspettarsi una grossa sfuriata da parte mia.

«Tu? Non permetto a nessuno di dirmi cosa fare. Tanto meno a te Abby Taylor» diede un pugno al muro vicino la mia testa e, colta alla sprovvista, sussultai. Mi rivolse un ultimo sguardo prima di tornare sui suoi passi verso la strada principale.
«Ci vediamo Abby.»

Corsi in casa e mi chiusi la porta alle spalle lasciandomi cadere sul divano assorta da mille pensieri.
Passò così una buona mezz'ora e i miei occhi facevano sempre più fatica a tenersi aperti. Presi l'ultimo briciolo di forza che mi era rimasta per raggiungere la mia stanza. Appena toccai con il corpo il letto morbido, non ebbi neanche tempo per pensare che gli occhi mi si chiusero all'istante facendomi sprofondare in un sonno pesante.

-----

Il sole mattiniero, anche se leggero per via della stagione, riuscì a disturbare il mio sonno picchiando sul mio viso. Mi stropicciai gli occhi e mi misi a sedere sul letto aspettando che la vista si facesse più nitida. Con mia sorpresa, trovai Kayl seduto sul mio letto e Jet addormentato con la schiena appoggiata al muro.
«Buongiorno, ragazzi» li salutai stiracchiandomi e alzando di poco la voce per farmi sentire dai due addormentati.

«Abby...Abby come ti senti?» mi chiese Jet alzandosi e avvicinandosi al letto con estrema cautela. Sembrava avesse paura di una mia reazione avventata. Aveva l'aria preoccupata e gli occhi spalancati come se avesse visto un fantasma.
Nello stesso istante anche mio fratello aprì gli occhi avvicinandosi anche lui con una maschera preoccupata in volto.
«Abby, come stai?» mi chiese Kayl abbracciandomi talmente forte che dovetti sorreggermi con le mani contro il materasso.
«Bene. Ma cosa è successo?»
«Sono contento. Mi hai fatto davvero preoccupare.» disse Kayl aggrottando la fronte.
«Cosa è successo?» ripetei, ma ci fu un attimo di silenzio con scambi di sguardi tra Jet e Kayl.

«A-Andiamo a fare colazione.» parlò per primo Jet facendo un sorriso più che finto.
Sapevano bene quanto io odiassi cambiare discorso senza un motivo apparente.
«Mi volete dire cosa è successo?» chiesi per l'ennesima volta alzando il volume della voce assumendo un tono autoritario.
«Questa notte mi sono svegliato per vedere se stessi dormendo però, quando sono arrivato nella tua stanza, ti ho sentito respirare in modo strano. Mi sono preoccupato tantissimo e non riuscivo a calmarti. Non aprivi gli occhi e-» si fermò per riprendere fiato e mi afferrò le spalle. I suoi occhi verdi erano velati da uno strato di paura al solo ricordo dell'accaduto, glielo si leggeva chiaramente.

Notai, inoltre, delle occhiaie pesanti sotto i suoi occhi e divenni poco a poco più preoccupata per lui.
«Tu...Abby» mi abbracciò forte.
«Mark ha detto che hai solo fatto un brutto sogno e non c'era niente di cui preoccuparsi. Però abbiamo preferito rimanere qui in caso la cosa si sarebbe ripetuta. Ma per fortuna stai bene.»

«Abby all'età di cinque anni, dopo la morte della mamma, faceva sempre incubi e ogni tanto veniva colpita da qualche attacco di ansia. Ma la cosa sembrava essersi calmata» spiegò Kayl a Jet.
Alcuni ricordi del passato vennero a galla come se la pietra che ci avevo messo sopra si fosse spostata o non bastasse per contenerli. Mi ricordai di quel giorno quando io e Kayl giocammo e i miei pensieri finirono sulla mamma che mi mancava tantissimo. Mi sentii male e non riuscii a respirare. I vicini mi portarono all'ospedale, mi ricoverarono immediatamente e quello che successe in seguito è solo un vuoto.

«Io sto bene» mi alzai dal letto e andai in cucina evitando di pensare ancora a quel passato con cui non volevo più averci a che fare. Appena Kelly mi vide mi abbracciò forte e i suoi occhi si velarono di lacrime.
«Ti senti bene tesoro?» mi chiese.
«Si sto bene.»
«Vuoi mangiare qualcosa?»
«Te ne sarei grata.» mi porse un piatto con delle frittelle che addentai una ad una. Poco dopo arrivarono anche Kayl e Jet, che mi guardarono stupiti.
«Ho fame» dissi con la bocca piena di frittelle. Iniziarono a ridere ed io li fulminai cercando di immaginarmi la faccia buffa che avevo.

Finii di mangiare ed io, Kayl e Jet ci vedemmo un film. Mi misi tra di loro e, essendo molto più piccola di costituzione, non riuscivo neanche a vedere la tv che era coperta dai loro fisici.
Mio padre entrò a grandi passi e andò da Kelly.
«Dove è? Si è svegliata?» chiese con tono preoccupato. I miei occhi diventarono lucidi ma cercai di non piangere. Era preoccupato per me, una novità.
«È in salotto caro.»

Lo guardai e lui guardò me. Quella persona che mi evitò per anni, quella persona della quale avevo paura, era preoccupata per me. Si inginocchiò e mi sfiorò con una mano la guancia.
«Come ti senti?» mi chiese con un sorriso nostalgico.

«Bene» cercai di sorridergli, ma la rabbia e la tristezza degli anni passati,
ancora presente, non me lo permise. Se ne andò leggermente deluso ed io mi raggomitolai vicino a Kayl guardando il vuoto. Mi accarezzò la testa delicatamente avendo compreso la situazione, sapeva pene come io mi sentissi.

Purtroppo le persone non dimenticano, fanno solo finta di dimenticare. Alcune persone archiviano il ricordo mettendoci, ad esempio, una pietra sopra. Ma altre che, come me hanno visto fin troppo, non le bastano le pietre. Questo è il problema principale: affrontare ciò che invece vogliamo dimenticare. Ed io, forse, non ne ero ancora pronta.

«Dove stai andando?» mi chiese Kayl quando mi alzai.

«Devo lavorare, ricordi?»
«Ti accompagno» disse cercando di stiracchiarsi.
«Non serve» presi la mia borsa e andai verso la porta.
«Stai attenta» mi girai dalla sua parte inarcando un sopracciglio. Per chi mi aveva presa?
«Si, si» uscii e mi diressi verso il NosParis.

«Abby» mi sentii chiamare e girandomi fui sorpresa di vedere Clara.
«Amica. Cosa ci fai qui?» le chiesi abbracciandola.
«Stavo cercando qualche posto dove possa lavorare ma ancora non ho trovato niente se non un lavoro di volantinaggio. E tu?»
«Sto andando a lavoro. Alla NosParis»
«Hai iniziato a lavorare anche tu, ma è fantastico»

«Se venissi con me potremmo provare a chiedere a Mary se può assumere anche te. Che ne pensi? Ti piacerebbe lavorare come cameriera?» aggiunsi sorridendole.
«Si sarebbe fantastico» detto ciò ci incamminammo verso il luogo di lavoro, parlando e scherzando.
Arrivammo e Clara si presentò alle ragazze e, dopo una prova, ottenne il posto.
«Su a lavorare ora» Clara ed io ci andammo a cambiare e iniziammo a far entrare i primi clienti. Sembrava così naturale per lei, io al contrario, ero molto più timida e mi risultava difficile rapportarmi con i clienti. Andai alla porta per accogliere un gruppo di ragazzi e notai alcune facce famigliari. Ma di certo non mi sfuggirono quei due occhi grigi in mezzo al gruppo.

«B-Benvenuti al NosParis. P-Prego accomodatevi.» li feci sedere a un tavolo e presi le ordinazioni. Per mia fortuna non mi conoscevano al contrario di lui che non faceva altro che  fissarmi, osservando ogni mio movimento.
Li servii e velocemente cercai di allontanarmi finché qualcuno mi bloccò.

«Ho chiesto un caffè, non un latte e caffè.» disse con tono arrogante.
«Scusami. Provvedo subito» presi il bicchiere e gli portai il suo caffè.
«Ecco a te.» sorrisi cercando di non fargli cogliere la mia tensione.
«Io ho finito. Ti aspetto fuori» dissi a Clara, prendendo la mia borsa. Uscii velocemente prendendo a pieni polmoni una boccata d'aria, e solo in quel momento mi resi conto di un bruciore sulle mie guance.

«Ciao zuccherino» disse un ragazzo avvicinandosi. Aveva un viso famigliare e probabilmente era un amico del signorino OcchiGrigi. Solo al pensiero feci una smorfia di disgusto, non molto gradita dal ragazzo biondo.

«Dove stai andando bellezza?» mi chiese. Ma io non gli risposi continuando sui miei passi. Mi stavo comportando da vera stronza e forse quel ragazzo neanche se lo meritava.
Mi sentii afferrata per una spalla e probabilmente si era arrabbiato per via del mio comportamento.
Aveva una smorfia di rabbia in volto, ma come biasimarlo, mi odiavo anche io. Ad un certo punto però la sua espressione di rabbia fu rimpiazzata con una molto più sconcertata. La sua mano si spostò dalla mia spalla e venni spinta all'indietro finendo con il fondoschiena sul cemento del parcheggio.
Un altro ragazzo mi si mise davanti bloccandomi la visuale.

«Lasciala stare» disse con tono protettivo.
«Ma, amico.»
«Cosa penserà Jenna?» disse lui.
«Sei uno stronzo Jonny, sappilo» disse il biondo tinto. Jonathan si girò verso di me e mi guardò con uno sguardo indecifrabile.
«G-Grazie» dissi.
«Mh»

«Perché?» stava per andarsene e sentendo la mia domanda si fermò.
«Cosa?»
«Perché mi hai aiutata?»
«Odio quando le persone si mettono in mezzo ai coglioni. Rovinerebbe solo i miei affari.» disse.
«Io sarei un tuo affare?» chiesi incazzata dalla sua affermazione e lo sarei stata ancora di più se solo avessi sentito una conferma a ciò.
«Ci vediamo Taylor» disse chiamandomi per cognome. Non ho mai sopportato essere chiamata per cognome e sentirlo pronunciate da OcchiGrigi mi faceva imbestialire.

«Chi è quel ragazzo?» mi chiese Clara raggiungendomi. Ormai era montato in sella della sua moto sfrecciando verso la strada principale della città. Si sarebbe ammazzato sicuramente a quella velocità su una strada del genere...
«Lui.. È Jonathan.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro