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Capitolo 39.

La mattina seguente, mi svegliai grazie all'odore di caffè proveniente dalla cucina.
I fatti avvenuti la sera precedente, mi investirono senza preavviso, ricordandomi delle rivelazioni fatte a Jonathan.

Non mi importava del giudizio degli altri ma con Jonathan, come del resto, era ben diverso. Avevo il timore che mi giudicasse per una bambina piagnucolosa.
D'altro canto però, non rimpiansi la mia decisione di avergli raccontato quella parte della mia vita. Aprirmi con lui, mi aveva tolto un grande peso dallo stomaco e dal cuore. Forse potevo finalmente iniziare a vivere il presente come mi ero promessa di fare mesi prima. Forse era arrivato il momento di mettere da parte il passato una volta per tutte.

Essendo immersa nei miei pensieri, non mi accorsi di essere arrivata in cucina, dove l'odore di caffè era più accentuato.
«Buongiorno» al mio saluto, Jonathan fece un salto all'indietro facendosi scivolare dalle mani un biscotto al cioccolato.
Risi di sottecchi nel vederlo con un'espressione spaventata e la mano sul cuore.

«Non mi ero accorto che fossi arrivata»
«Ho notato» con la coda dell'occhio vidi che mi stava fissando mentre prendevo dal ripiano un tazza per versarci del caffè.
Gli tolsi i biscotti da sotto il naso e mi sedetti su una sedia della cucina.
Incrociai il suo sguardo per pochi secondi, prima che si voltasse dandomi le spalle.
Si schiarì la voce, segno che doveva farmi una qualche domanda seria, di cui temeva la mia reazione. «Come stai?» mi chiese, confermando quanto avessi imparato a conoscerlo in così poco tempo.
«Bene» bevvi il mio caffè mentre il silenzio piombò pesante nella cucina.
«Grazie per questa notte e scusami se per la seconda volta ho rovinato i tuoi programmi»

Finalmente si girò dalla mia parte e mi analizzò con i suoi occhi grigi che avevano lo strano potere di trapassarti l'anima. Li incontrai per un attimo e mi parve di cogliere un grigio più cupo del solito, ma forse era stata solo una mia impressione.
«Se hai paura che ti giudichi per una lagnosa, farai bene a toglierti questo pensiero dalla testa» sbuffò sedendosi sulla sedia vicino la mia.

Non sapevo cosa dire ne come cominciare, il fatto che sapesse cosa stessi pensando, mi lasciò spiazzata e imbarazzata allo stesso tempo.

«Sono rimasto sorpreso che non ti sia lasciata andare prima. Non è da tutti riuscire a sopportare così tanto dolore per tutto quel tempo» continuò tenendo la testa bassa sulle sue mani. Le labbra gli si incurvarono leggermente, formando un sorriso amaro «Sei una ragazza tosta».

La mia bocca rimase aperta mentre cercavo di rielaborare i dati appena sopraggiunti nel mio cervello. Mi ammirava, mi vedeva come una ragazza tosta, era rimasto sorpreso, aveva dato voce ai miei pensieri come se sapesse in anticipo cosa mi era passato per la testa, sapeva come prendermi e come aiutarmi.
Mi ripresi e nel mentre formulavo una semplice parola di ringraziamento, Jonathan se ne uscì con una delle sue battute «Chiudi quella bocca, altrimenti ti entreranno le mosche»
Ci guardammo con aria di sfida.
Subito dopo scoppiammo a ridere e l'attimo a seguire unimmo le nostre labbra in un bacio.
In fondo, noi eravamo quello. Eravamo giusti a modo nostro. Eravamo due ragazzi strani e pazzi che si assomigliavano. Complicati e semplici allo stesso tempo. Così simili per alcune cose, ma due poli opposti per altre.

Più passavo il tempo con Jonathan, più acquistavo la consapevolezza che quello che provavo non era semplice attrazione fisica.

«Cosa facciamo oggi?» gli chiesi ponendo all'interno della lavastoviglie, le nostre tazze sporche di caffè.
«Pensavo di portarti a fare un giro questa mattina e di mangiare fuori. Poi verso pomeriggio torneremo a casa, così tu potrai cambiarti per la festa di sta sera»
«Festa?»
«Si, oggi è il compleanno di James e ha deciso di organizzare una festa in un locale per festeggiare.» non ero molto elettrizzata all'idea di una festa. Alcol, sudore e i classici giochi universitari.
Solo quando Jonathan continuò a parlare, pensai a quale assurda espressione avessi assunto. «Conoscendolo, non ci saranno molte persone e se nell'ipotesi dovessi annoiarti, ti riporterò subito a casa»
«Non voglio essere un peso»
«Infatti non lo sarai»
La proposta di Jonathan, mi allettava molto ma qualcosa mi impediva di accettare. Sesto senso?
Mi morsi l'interno della bocca, incontrando i suoi occhi ansiosi di ricevere la risposta finale.
Sospirai «Va bene»
«Perfetto» sorrise.

Mi andai a preparare per poter uscire, mentre Jonathan era rimasto in salotto. O così credevo, fino a quando aprii la porta che divideva il bagno dalla mia stanza, e lo ritrovai sul letto a leggere il mio libro.
Fortunatamente non mi aveva visto uscire o forse mi stava solo dando l'impressione che così fosse. Anche se indossavo il mio accappatoio bianco, lungo fino le ginocchia e sotto avevo il mio completino intimo nero, davanti ai suoi occhi, era come se non avessi nulla a coprirmi. Mi sentivo stranamente nuda e non era dovuto a causa delle rivelazioni sul mio passato. Anche Jason conosceva la mia storia e molte volte mi aveva visto girare in accappatoio, ma non mi era mai capitato di sentirmi così...in soggezione.

Tornai in bagno con alcuni vestiti presi alla rinfusa dall'armadio, cercando di fare il più velocemente possibile per evitare di stare ancora a subirmi il peso di quella nuova sensazione, che non riuscivo a gestire.
Una volta all'interno, analizzai i capi che avevo preso. Il risultato? Un abbinamento decisamente scoordinato. Di certo il pantalone di tuta grigio non era ideale per il maglione beige.
Decisi di indossare solo il maglione e, una volta tornata in camera, presi un paio di jeans neri.
«Possiamo andare» annunciai mentre ero alle prese con la scarpa destra che non ne voleva sapere di infilarsi al piede.

Il resto della mattinata, lo passammo tra il caos della città. Natale si stava avvicinando e i negozi come le strade, erano molto affollate.
Era una festività particolare che, come tale, aveva dei pro e dei contro. Uno tra questi ultimi, era sicuramente l'affollamento dei negozi, causato dai ritardatari a caccia delle ultime offerte per i regali.
Quell'anno, a differenza degli altri, ero riuscita a fare dei regali in anticipo per non ridurmi all'ultimo come ogni anno. A Clara avevo comprato la pochette che tento bramava da circa un mese; a Kelly e mio padre, io, Jet e Kayl, avevamo unito i soldi per potergli comprare uno di quei pacchetti viaggio, in cui si può scegliere la destinazione e l'hotel. A Jet regalai un biglietto per il concerto del suo cantante preferito. Gli unici che mancavano all'appello erano i regali per Kayl e per Jonathan, non che i più difficili.
Quell'uscita poteva servirmi a capire cosa gli potesse piacere, ma Jonathan non sembrava aver interessa per nessuna cosa.
Pensavo che il suo sarebbe stato il regalo più semplice però, come sempre, mi sbagliavo.

La passeggiata in città, se così si può definire il continuo slalom tra la gente che non prestava la minima attenzione al prossimo, a causa delle vetrine dei negozi, giunse al termine e, entrambi, non ne fummo che sollevati. La vita frenetica non faceva per me, per questo non amavo la vita in città e ancor di più, il periodo delle festività.

Tornammo a casa e ci improvvisammo dei cuochi per preparare qualcosa da mangiare. In frigo trovai solo delle uova e delle fettine confezionate di cheddar, nel congelatore invece della carne congelata. Mancava la presenza di Kelly in casa, e anche il frigorifero ne risentiva.
Tirai fuori la carne dal congelatore, passandola a Jonathan che la mise su una pentola.
«Hamburger» constatò ponendo la pentola sopra il fornello acceso «C'è del pane?» aggiunse iniziando a frugare all'interno della credenza.
Sbuffai «Fai come se fossi a casa tua»
Mi spinse fuori la cucina non proprio delicatamente, costringendomi a sedermi sul divano.
«Ci penso io a cucinare» sinceramente l'idea che Jonathan cucinasse per me, non mi dispiacque affatto, anzi, ero molto curiosa di vederlo all'opera.
Scomparì in cucina, lasciandomi sola nel salotto «Almeno mangeremo qualcosa di decente»
«Cosa stai insinuando?»
«Che non sai cucinare»
«Ehi» urlai offesa raggiungendolo in cucina «So cucinare molto bene»
Corrugò le sopracciglia con un'espressione che avrei solo voluto togliergli a forza di schiaffi. Non ero certo una delle migliori cuoche ma me la cavavo con lo stretto necessario.

Dopo venti minuti finalmente finì di preparare il pranzo, ponendomelo davanti con fierezza.
«Sappi che sarò molto critica» bofonchiò qualcosa in risposta con il panino già in bocca.
Era ufficiale Jonathan riusciva a sorprendermi ogni giorno di più.

Il pranzo come il resto del pomeriggio, passò nei migliori dei modi. Il panino che aveva preparato, era il più buono che avessi mai provato, però questo non glielo dissi.
Più passava il tempo più pensavo alla festa imminente. Mi pentii di aver acconsentito ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

Ero rimasta sola sul divano a guardare una vecchia puntata di Ghost, Jonathan era tornato a casa per farsi una doccia e cambiarsi e poi sarebbe tornato da me. Era passata circa mezz'ora da quando se ne era andato ed io non mi ero mossa dal divano per tutto il tempo.

Diedi un'occhiata di sfuggita all'ora mentre, di malavoglia mi alzai dal divano. Mi feci una doccia veloce, perdendo giusto un momento per bearmi dell'acqua tiepida che mi riscaldava il corpo. Ma forse fu più di un momento in quanto fui costretta a fare tutto molto freneticamente per farmi trovare pronta. Il campanello non smetteva di suonare e i miei "un attimo" e "arrivo" di certo non aiutavano a farlo smettere. Indossai velocemente il vestito blu che avevo precedentemente scelto, non badando alla scollatura che risaltava il seno. Se solo Clara mi avesse visto, avrebbe iniziato a complimentarsi e a schernirmi per la mia audacia. Non era da me...

Aprii la porta rivelando la bellissima figura di Jonathan che, proprio come stavo facendo io, mi scrutava attentamente. Un jeans nero gli fasciava le gambe muscolose, slanciando ancora di più la sua figura. Sopra, la camicia abbinata ai pantaloni, gli calzava perfettamente. Le maniche tirate su fino al gomito, lasciavano intravedere alcuni dei suoi tatuaggi sulle braccia.

«Non pensavo fossi capace di così tanta eleganza»
Mi guardò dritto negli occhi con una scintilla di sfida, pronto a rispondere a tono al mio commento «Non pensavo fossi così audace» incrociò le braccia al petto dopo aver chiuso la porta.

«Perché non vado bene così?»
Ci rifletté un secondo «se questa sera vuoi fare la spogliarellista, va più che bene»
«Esagerato» mi superò andando verso le scale. Lo seguii innervosita dal suo comportamento altrettanto snervante. Entrai nella mia stanza e lo trovai davanti al mio armadio mentre teneva in mano due capi; una gonna nera e un tessuto bordeaux che facevo fatica a distinguere. Più che altro non riuscivo a collegare quel tessuto a nessun capo che avevo dentro il cassetto, inoltre, non mi ricordavo minimamente di aver comprato un capo di quel colore.

I miei pensieri furono interrotti da Jonathan che mi lanciò i vestiti presi poco prima. «Metti questi»

Analizzai ciò che aveva scelto, complimentandolo, tra me e me, per il suo ottimo gusto. Non glielo avrei mai detto, ma ci sapeva fare sia nella cucina che con i vestiti. Insomma, era il ragazzo che tutte le donne avrebbero voluto avere e che, piano piano, lo stavo diseredando anche io.

Provai la gonna nera con la maglietta a maniche lunghe bordeaux che aveva qualche riflesso argento sparso qua e là. Non aveva uno scollo esagerato e dovevo ammettere, che mi sentivo molto più a mio agio vestita in quel modo. Ero più me.

«Ora va meglio, potrei dirti anche che sei carina» sospirai e ruotai gli occhi al cielo.
Era impossibile combattere con lui, non si dava mai per vinto e non si faceva sfuggire nemmeno un secondo per poter dire qualche battuta delle sue.

«Forza, faremo tardi. I tuoi amici ti staranno aspettando» mi incamminai verso la porta ma prima che potessi aprirla, Jonathan ci si appoggiò con la schiena, rendendomi impossibile il gesto.
«Sei stupenda.» disse incrociando le braccia al petto «volevo essere il primo a dirtelo»

Sorrisi lievemente, nascondendo anche quel poco imbarazzo che avevo iniziato a provare. Mi morsi il labbro inferiore, ripensando alle sue parole. Riusciva a smontare la mia durezza con poche parole e riusciva a farmi sciogliere con dei semplici gesti. Per quanto questo potesse essere bello, ne avevo tremendamente paura. Mi avrebbe potuto portare alla distruzione con la stessa facilità con cui riusciva a farmi cambiare umore.

Nessuno dei due parlò e il viaggio lo si trascorse in silenzio. La musica era a basso volume facendo da sottofondo. Era piacevole guardare il paesaggio, ormai notturno, della città. Mi trasmetteva tranquillità e pace. Ancora c'erano molte macchine in circolazione per le strade della città ma non come il giorno, e tutto sembrava più calmo. Nessun clacson e nessuna interruzione per via del traffico che di solito, vi era durante la giornata. I lampioni illuminavano l'asfalto, nascondendo però la luce delle stelle in cielo.

Le luci delle abitazioni erano accese e molti ragazzi e famiglie passeggiavano sui marciapiedi, chi per tornare a casa, chi per andare in qualche ristorante o pub dove divertirsi e passare il tempo di quella sera di dicembre. Le decorazioni mettevano allegria e riempivano giardini interi e la città di mille colori. Sorrisi involontariamente.

Per un attimo mi sentii spensierata e felice come da bambina, quando durante quelle sere, guardavo il passaggio dalla finestra della stanza sperando di vedere babbo natale arrivare in anticipo.

Se per alcuni versi le festività natalizie non mi entusiasmavamo, per altri, riuscivano a farmi provare gioia e meraviglia.

Dopo qualche minuto arrivammo a destinazione. La piccola insegna di un bar quasi invisibile a causa della poca luce, dava il benvenuto nel locale. Alcune luci natalizie erano poste intorno alla porta d'entrata e un albero decorato si trovava poco distante all'ingresso.
Jonathan mi aveva detto che il locale era stato interamente affittato da James e che non aveva badato a spese per la festa più "strepitospaziale" di sempre, come l'aveva definita lo stesso festeggiato.

La festa era iniziata da un po' e una volta entrata, constatai che effettivamente non c'era molta gente, proprio come mi aveva detto Jonathan. Giusto la squadra di football, alcuni amici del festeggiato e tre ragazze spogliarelliste con addosso solo un giacchetto a coprire l'intimo di pizzo abbinato, che ballavano sulla pista apposita.

«Jonny, finalmente stavamo aspettando giusto te per assaporare una di quelle bellezze in pista» disse il ragazzo con un'aria vagamente familiare.
A quell'affermazione storsi il naso, immaginando Jonathan strusciarsi con una di quelle ragazze a dir poco perfette.
«Niente da fare Trevor» passò un braccio intorno le mie spalle «oggi dovrete andare senza di me»

Il ragazzo davanti a noi spostò l'attenzione su di me allargando la bocca in un sorriso enorme.
«Oh amico» rise sorpreso. Prima che potesse giungere altro, il festeggiato biondo, James, si avvicinò a noi tenendo in mano due bicchieri con del liquido blu all'interno.

«Jonny finalmente, ti stavo per venire a recuperare» gli passò immediatamente il bicchiere, salutandolo con una pacca sulla spalla. «Ciao Abby» continuò passando a me, porgendomi l'altro bicchiere che aveva in mano.

«Non posso crederci, un altro del gruppo che ha messo a posto la testa» commentò Trevor scuotendo la testa per poi dare una pacca a James «dovremo iniziare anche noi a fare meno gli stronzi» tutti e quattro ridemmo divertiti.
«Un giorno, ma quel giorno ancora non è arrivato, quindi...» esordì
«Con permesso io e Trevor andiamo a divertirci con le more in pista»

Jonathan continuò a ridere spostando il braccio a fianco al mio «Andiamo dagli altri» annuii leggermente e non esitò a prendermi per mano e a trascinarmi al bancone dove erano tutti i suoi amici.

Da lontano vidi una chioma familiare appiccicata alla figura di quello che mi pareva essere Nash. Avvicinandoci riuscii a distinguere più facilmente i visi dei due ragazzi e rimasi sbalordita.
Nash e Clara.

«Clara» esclamai interrompendoli.
Si girò di scatto leggermente irritata ma, non appena mi riconobbe, sulle sue labbra si formò un sorriso amichevole «Abby» si alzò dalle gambe di Nash per venirmi ad abbracciare.

«Che ci fai qui?» mi chiese.
«Jonathan» le indicai il ragazzo che si era appena unito agli altri. «Ora capisco» esclamò.
«Tu devi raccontarmi tutto» le dissi punzecchiandole una spalla.
«Lo so, lo so. Per ora ti dico solo che...beh, ti presento il figlio del preside»

Nash era il figlio del preside?
Mi venne in mente la festa avvenuta qualche mese fa dove, dopo essersi mangiati con gli occhi, Clara e Nash avevano iniziato a baciarsi. Possibile che non si erano riconosciuti e non si ricordavano di nulla?
Sospirai sorridendo. Sempre la solita Clara.

Parlammo con gli altri ragazzi, ballammo, bevemmo qualche cocktail e ridemmo moltissimo. Ero totalmente spensierata e cercai di godermi al meglio quella serata senza esagerare con l'alcool. Avevo deciso di fermarmi al secondo bicchiere al contrario degli altri che ne avevano preso uno dopo l'altro perdendone il conto. Tutti tranne Jonathan che, dopo aver fatto due piccoli sorsi del bicchiere che gli aveva dato James, aveva passato la serata a bere dell' acqua.

Iniziai a parlare con Colton uno dei suoi amici, sui vari sport dell'istituto, intraprendendo anche conversazioni molto serie. Era un ragazzo veramente intelligente e simpatico, ed era un piacere parlare con lui. Era spagnolo e dal suo accento si percepiva notevolmente. Aveva la pelle abbronzata che risaltava grazie alla maglietta bianca a maniche corte che lasciava intravedere un piccolo segno nero sul polso. Gli occhi come i capelli, erano castani e questi ultimi erano tirati all'indietro in un modo perfettamente ordinato. Un leggero strato di barba gli contornava le labbra sottili e rosee facendolo sembrare più grande di quello che fosse.

«Vuoi ballare?» improvvisamente Jonathan piombò alle mie spalle, interrompendo la conversazione con Colton. «Scusa Colt, ma devo...» disse all'amico il quale rispose con un cenno di mano e un sorriso furbo sulle labbra.

«Come mai vuoi ballare?» gli chiesi iniziando a prendere il tempo della musica, spostando il peso da un piede all'altro seguendo il ritmo.
«Diciamo che avevo iniziato a sentire la tua mancanza»
«Diciamo che sei stato geloso di Colton» lo istigai.
«Non sono geloso»
«Davvero?»
«Davvero»
«Allora non ti dispiace se vado con il bel ricevitore biondo della squadra di football» feci un cenno con la testa verso il ragazzo in questione con cui spesso mi scontrai durante la serata.

Jonathan non rispose e allora iniziai a mettere a dura prova la sua gelosia e il suo autocontrollo.
Iniziai ad ondeggiare i fianchi a ritmo di musica portando le mani sopra la testa. Tenevo il mio sguardo di sfida puntato sul suo innervosito.

Anche lui accettò la sfida iniziando a strusciarsi contro il sedere di una delle ragazze spogliarelliste.

«Ehi» una voce dietro di me, mi distrasse da Jonathan e, girandomi scoprii essere proprio il ricevitore di cui stavamo parlando prima. Era un'ottima occasione quella che mi si stava presentando. Lui si stava divertendo con la mora? Bene, io mi sarei divertito con il ragazzo che avevo davanti gli occhi.
«Ciao, sono Drake»
«Abby» mi presentai impaziente.
«Non credi che ti serva un compagno per ballare? Non è divertente stare da soli in pista»
«Dico che hai proprio ragione»

Iniziammo a ballare al fianco dell'altra coppia, che non sembrava essere più così tanto attiva. Drake non si lasciò sfuggire l'opportunità iniziando a ballare sensualmente di fronte a me. Posò le sue mani calde e grandi sul mio bacino avvicinandosi maggiormente senza infierire. Però quel contatto fu interrotto con la stessa velocità con cui si era venuto a creare e, poco dopo, una mano mi strattonò fuori dal locale sotto lo sguardo di alcuni paia di occhi più curiosi. Mi ritrovai nel bel mezzo del parcheggio in cui non vi era alcun anima viva, se non io e Jonathan. Solo due pazzi potevano stare fuori al freddo a notte inoltrata, per giunta.

«Che problemi hai?» Mi liberò bruscamente dalla sua stessa presa, allargando poi le braccia in segno di frustrazione.
Incrociai le braccia al petto, rivolgendo lo sguardo verso l'entrata del locale «Non ho nessun problema»

«Ah no?» chiese ironico «Allora spiegami perché ti sei comportata così» il tono di Jonathan era molto alto e avrebbe attirato sicuramente qualche attenzione se non si fosse calmato.

«Come mi sarei comportata? Parliamo di te che invece ti sei comportato senza alcun ritegno» urlai a mia volta, stringendo la stoffa della mia maglia.
Iniziò a ridere istericamente portandosi una mano sul viso «Ritegno? Proprio tu parli di ritegno? Savi flirtando con Dexter»

«Si chiama Drake e non stavo flirtando proprio con nessuno» un pesante silenzio cadde su di noi interrotto solo da qualche macchina di passaggio e dalla musica proveniente dall'interno del locale.
«Lasciamo perdere, io me ne vado» annunciai poco dopo, incamminandomi verso la strada.

«Dove credi di andare, fermati» con pochi passi Jonathan mi raggiunse ponendosi davanti al mio corpo, in modo tale da bloccarmi il passaggio.
«Lasciami andare. Torna dentro dai tuoi amici, fai finta che non sono mai venuta alla festa e...» avrei potuto continuare ancora per molto, a causa della rabbia che stavo provando. Questo Jonathan lo aveva capito e, per non subirsi il mio monologo isterico, pensò bene di interrompermi...con un bacio.

Anche se ero arrabbiata e anche se il mio orgoglio diceva di non ricambiare, il mio corpo e il mio cuore stavano facendo tutt'altro. Ad ogni suo tocco, ad ogni suo bacio, il mio corpo reagiva ed io non potevo controllarlo. Nei romanzi, leggevo di scosse elettriche e di magnetismo nei corpi. Pensavo di aver provato queste sensazioni con Jason, però a quanto parve, mi sbagliavo.

«Ora che ti sei calmata, mi dici cosa ti è preso?» a causa dei miei pensieri, non riuscii a bearmi a pieno di quel contatto, che sembrava essere durato solo un attimo.
«Niente» insistetti, rimuginando sul tempo sprecato a parlare.

Si incupì assumendo un'espressione autoritaria «Voglio la verità»
«Mi ha dato fastidio il tuo comportamento con quella ragazza così ho reagito di rimando con Drake. Sei contento ora?»
Rimase spiazzato e sgranò gli occhi.

Probabilmente stava cercando le parole giuste per esprimere il classico discorso del ragazzo solo sesso e niente impegni.
«Ce n'è voluto di tempo» commentò.
«Cosa?» ero totalmente confusa che non sapevo se quello che stava accadendo, era frutto della mia immaginazione oppure era la realtà.

Un brivido lungo la schiena e la sensazione di calore che si propagava lungo il corpo, mi fece tornare con i piedi sull'asfalto.
Le labbra di Jonathan sulle mie e la sua lingua che cercava l'accesso, non risolse la situazione, anzi non fece altro che aggravarla. Ero in un film. Ero sicuramente in un film o in qualche strana soap opera televisiva della domenica mattina.

Una volta che ci staccammo, mi scrutò con i suoi occhi scintillanti, illuminati dal lampione della strada poco distante.
«Davvero non hai capito cosa intendo?» negai con un cenno della testa, aspettando la tanta attesa risposta che, con se, portò un uragano devastante di emozioni.

Si avvicinò al mio orecchio molto lentamente come se temesse una mia reazione avventata. E le sue paure non erano del tutto infondate, avevo veramente la voglia di fuggire e correre lontano.
Aprì la bocca, sospirò e parlò, togliendomi ogni pensiero.

«Abby, tu mi piaci»

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