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Capitolo 26.

«Non ci riuscirò mai»
«Un passo alla volta» le consigliai con tono pacato e rassicurante.
«Non ho molto tempo, l'esame di riparazione è la prossima settimana» buttò la testa in avanti ed iniziò a massaggiarsi furiosamente i capelli.

Sicuramente vi starete chiedendo cosa è accaduto dopo quel pomeriggio e anche se non fosse così, ve lo spiego comunque.
Quella giornata si concluse nel migliore dei modi, per quanto fosse entusiasmante un pomeriggio alla caffetteria e una cena in famiglia abbastanza tranquilla.
Il giorno seguente, andai a lezione dove evitai qualunque tipo di contatto con  gli individui della mia specie. Di Jonathan, per fortuna, non c'era traccia e la giornata spedì noiosa e monotona per la sua direzione. Tornata a casa spensi il cellulare, non volendo ne parlare o sentire qualcuno e mi limitai a guardare il soffitto fino all'ora di cena. Non aspettavo altro se non il ritorno del mio amico a ravvivare le mie giornate e mi tirasse un po' su di morale. Neanche Clara c'era riuscita ed era sempre più convinta che, il mio stato d'animo abbattuto e asociale, era dovuto dagli effetti dell'amore per il "gran pezzo di gnocco", come lo chiamava lei, di Jonathan.

«Male che vada cerco di scopiazzare qualcosa» borbottò con la testa china. Fortunatamente ebbi una novità da aggiungere alla mia routine, ovvero le ore di ripetizioni che avrei dovuto fare per avere crediti extra. Ogni due pomeriggi alla settimana dovevo recarmi nella biblioteca dell'istituto con Taylor, la ragazza a cui dovevo fare lezione. Era molto simile a me, per quanto avevo avuto modo di conoscere, inoltre non sembrava una ragazza scansafatiche come mi aveva fatto credere il professore, ma bensì aveva solo problemi nel concentrarsi.
Lo capii immediatamente quando tentai di spiegarle una vecchia lezione, all'inizio sembrava che mi stesse ascoltando ma poi chiedendole di ripetermi quello che aveva capito, rimase a bocca aperta cercando di leggere qualcosa dal libro di testo.
«Cosa fai ora?» le domandai esasperata. Una bambina di cinque anni mi avrebbe dato meno da fare...
«Scrivo» incuriosita dalla sua risposta, cercai di sbirciare il foglio bianco su cui stava scrivendo da tutta la lezione.
Era uno spartito musicale su cui erano appuntate e cancellate varie note poste su diversi livelli. Aveva composto una canzone e in quel momento stava cercando di attribuire a ogni riga una frase.
«Forse ho trovato un modo per farti memorizzare le nozioni che ti serviranno per l'esame» annunciai prendendole da sotto il naso i fogli osservandoli.
«primo punto, ridammi i miei spartiti; secondo punto, abbiamo già provato ogni metodo, non ci riuscirò mai»
«Visto che la musica è la tua passione ed è anche la cosa che ti riesce meglio, perché non provi a scrivere una melodia alla quale associ gli argomenti che devi imparare? Pensala come una canzone» non rispose per un po' limitandosi a studiarmi con lo sguardo. Ok forse era una proposta insolita la mia, ma non sapevo più dove andare a parare per aiutarla è quella, mi sembrò l'ultimo tentativo possibile da fare.
«Non dici niente?» continuai tornando seria.
«Stavo pensando» accennò guardando un punto fisso davanti a lei senza sbattere ciglio.
«A quale melodia usare» sorrisi soddisfatta e tornammo a lavorare sulla materia.

Un'ora più tardi finii di aiutarla e per la prima volta riuscii a farle apprendere qualcosa senza esasperarmi. Anche le ore di lavoro passarono velocemente e riuscii a rilassarmi un'intera mezz'ora senza correre tra i tavoli per servire. Quel giorno che, inizialmente si prosperava lungo, sembrò passare come un lampo e senza accorgermene si fece presto ora di cena.

Arrivata a casa mi feci una doccia beandomi della sensazione rilassante dell'acqua calda a contatto con la mia pelle.
Cercai di asciugarmi i capelli con l'asciugamano senza l'uso del phon non avendo voglia di passare un'altra ora in bagno. Il mio unico obiettivo era di sdraiarmi sul letto senza ascoltare o vedere qualcuno per almeno mezz'ora.
Il mio "buon proposito" però, durò pochi secondi giusto il tempo necessario per sedersi sul letto. Cercai di ignorare il suono del campanello pensando che se fossero stati Kayl, Jet, Kelly o mio padre avrebbero usato sicuramente le chiavi.
Ma il rumore non cessava e fui costretta ad alzarmi grazie all'intento di sbraitare contro il molestatore del mio riposo.

«Si può sapere chi è» aprii la porta e rimasi a bocca aperta.
«Così accogli il tuo amico appena tornato da un lungo viaggio?» chiese retorico.
«Thomas» gli saltai letteralmente addosso abbracciandolo come non mai.
«Abby anche tu mi sei mancata ma altri dieci secondi così e morirò»
«Scusami» risi allentando leggermente la presa. Sembrava diverso e non era legato al fatto che avesse un leggero accenno di barba e qualche grado di abbronzatura in più.

«Non mi sembra di aver disturbato qualche particolare avvenimento. Quindi, vorresti venire a cena a casa di mia madre?»
«Si...ma non saprei» Stessa casa. Io. Jonathan. Frecciatine. No, grazie.
«Mio fratello non ci sarà» aggiunse.
«Non è per lui» mentii.
«Fallo per me. Ho tante cose da raccontarti e devo anche presentarti una persona molto speciale.»
«Ma-»
«Ti prego» mugugnò con gli occhioni enormi e la bocca inclinata verso il basso, in una smorfia più da cane bastonato che da cucciolo.
«Non cercare di comprarmi» lo avvertii.
«Per favore» continuò.
«Sei appena tornato e già ti detesto» sbuffai. «Va bene. Cinque minuti e ti raggiungo»
«Si sapevo che sarebbe funzionato. Ti aspetto qui» urlacchiò con la soddisfazione stampata in viso.
«Non ti sopporto»

Presi un paio di jeans neri, una maglia bianca e un cardigan nero completando il tutto con un paio di stivaletti. Dalla mia borsa tirai fuori alcuni prodotti per il trucco rendendomi almeno presentabile. Una volta cancellato ogni segno di stanchezza, potei finalmente dire di essere pronta. Prima di uscire presi il mio cellulare, che era rimasto in carica per tutto il tempo, e la mia inseparabile borsa.
«Finalmente sono quindici minuti che ti aspetto.» esclamò Thomas seduto comodamente nella sua auto.
«Così impari a fare la faccia da cucciolo con me» ribattei salendo sul posto del passeggero.

Mi raccontò tutto ciò che gli era accaduto nel periodo della sua assenza e di quanto fosse bello il mare in quel periodo dell'anno. Entrambi ci raccontammo cosa era accaduto in quei giorni ma entrambi sapevamo che l'altro stava nascondendo qualcosa omettendolo in modo evidente.
Dalla mia parte, non volevo che sapesse dei giorni trascorsi con Jonathan...ma dalla sua parte? Cosa stava nascondendo?

Parcheggiò di fronte all'abitacolo e, una volta prese alcune valige dal portabagagli ci avvicinammo alla porta d'ingresso.
«Carina la valigia rosa con l'adesivo» lo schernì facendo riferimento alla scritta Princess.
«Non è la mia»
Una volta suonato il campanello entrammo e ad accogliermi non ci fu Joelin ma una ragazza castana pressoché della mia età.
«Abby ti presento la persona famosa di cui ti parlavo» iniziò Thomas una volta posate le valige in un angolo che non dessero fastidio.
«Abby lei è Becky. Becky lei è Abby» aggiunse e ci stringemmo la mano.
«Tu sei la famosa Abby. Thomas mi ha parlato molto di te. Dice che sei una ragazza davvero speciale, ma non dire che te l'ho detto» bisbigliò l'ultima parte.
«Anche se parli a bassa voce ti sento ugualmente» constatò Thomas seduto sul divano.
«Vorrei dire lo stesso di te ma a quanto pare non sono abbastanza speciale per saperlo» cercai di farmi sentire dal mio amico che iniziò a ridere di gusto.
«Non biasimarlo. Saprai sicuramente come è, vuole essere sicuro di trovarsi nel momento giusto. Per questo non ha parlato di me con nessuno.» mi spiegò.
«Abby lei è la mia ragazza per questo sono partito per tre giorni; non solo per la vacanza ma anche per prenderla e portarla qui.» mi spiegò Thomas afferrando Becky e farla sedere sulle sue gambe.
«Sono così felice congratulazioni» esclamai.
«Mia madre non verrà l'ora di vederti. Perché non vai a salutarla?» mi fece presente Thomas e mi maledii mentalmente per non averlo fatto prima.
Lasciai i due piccioncini da soli e andai in cucina dove sicuramente avrei trovato Joelin all'opera.
«Cara da quanto tempo non ci vediamo» disse non appena mi vide.
«Ciao Joelin» dopo aver parlato del più e del meno, la aiutai ad apparecchiare la tavola.
«Sei mancata a tutti. A volte penso che mia madre ti consideri come sua figlia» sussultai al suono della voce e una posata mi cadde dalle mani. Il rumore metallico risuonò all'interno della stanza e Thomas si girò di scatto verso la mia direzione.
«Merda» lo sentii imprecare.

«Ciao Jonathan» lo salutai raccogliendo la forchetta che era caduta.
«Tu che ci fai qui?» accorse il fratello guardandolo sorpreso, stranito ma anche preoccupato forse per una mia conseguente reazione.
'Non c'è problema' mimai con le labbra senza farmi vedere da Jonathan.

«Ragazzi a tavola» annunciò Joelin calmando quella tensione creata.
Durante la cena io e Becky parlammo molto insieme alla madre dei due unici ragazzi che non facevano altro che scagliarsi sguardi di tensione tra di loro.
«Come mai sei qui?» disse ad un certo punto Thomas interrompendo la conversazione tra noi ragazze.
«Sorpreso?»
«Non avevi una festa?» chiese Joelin posando una mano su quella di Thomas per farlo calmare.
«Si al NTC ma non ci volevo andare» a quelle parole di Jonathan la donna sorrise all'istante, alzandosi dalla sedia per poi andare a baciare il figlio con affetto.
«Sono contenta di saperlo»

La cena per il resto proseguì tranquilla e Thomas sembrò più rilassato rispetto all'inizio. Potei capire che anche per Joelin era la prima volta che incontrava Becky ed era molto interessata a conoscerla meglio. Il mio cellulare squillò e, scusandomi, mi alzai uscendo sulla veranda.

Da Kayl:
"Dove sei? Ci stiamo preoccupando..."

Sbuffai e risposi al suo messaggio con:
"Devi stare più tranquillo e non preoccuparti alla mia minima assenza. Sto a casa di Thomas con la sua famiglia. Ci vediamo domani, ti voglio bene <3"

Riposi il cellulare nella mia tasca dei jeans e, da quella del cardigan tirai fuori il pacchetto di sigarette con l'accendino. Cercai di accendermene una ma la scintilla non dava accenno neanche a una piccola fiamma.
«Tieni questo» al mio fianco comparve Jonathan che mi porse un clipper.
«Grazie»
Avvicinai la fiamma alla sigaretta posta tra le mie labbra e, una volta fatto il primo tiro per farla accendere, porsi l'accendino al suo mittente.
«Puoi anche tenerlo» disse tirandone fuori subito un altro per accendersi la sua sigaretta.

Rimanemmo in silenzio a guardare il cielo sopra di noi per qualche tiro. O perlomeno io cercavo di concentrarmi su qualcos'altro che non fossero i suoi occhi puntati su di me.
«Da quanto?» mi chiese osservando ogni mio singolo movimento e giuro che in quell'istante sarei voluta entrare nella sua testa per sapere cosa stesse pensando.
«Non da molto»
«Dovresti..» gli feci cenno di fermarsi prima che iniziasse una delle solite prediche.
«Non intendevo dirti nulla inerente a quello che pensi tu.» spostai lo sguardo dal cielo a lui aspettando che continuasse.
«Sono l'ultima persona che potrebbe darti consigli o addirittura avvertimenti» sorrise amaramente.

Finimmo le nostre rispettive sigarette che spegnemmo poi nel posacenere sul tavolo di legno.
«Dentro continueranno a parlare ancora per molto ed io non ho intenzione di ascoltare altro così stavo pensando di andare a fare una passeggiata» disse alzandosi.
«Va bene»
«E tu verrai con me» prima che potessi parlare mi prese per il polso facendomi alzare. Sentii il cellulare cadermi dalla tasca e fortunatamente con lo schermo all'insù. Prima che potessi raccoglierlo mi iniziò a portare verso un piccolo cancello della recinzione ed uscimmo.

Non feci resistenza e mi lasciai trascinare dove voleva lui. Forse glielo permisi solo per la curiosità o per provare qualcosa di nuovo. Però stranamente mi fidavo e per la prima volta non ebbi paura di abbandonarmi al momento.

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