Capitolo 17.
Era passata poco più di una settimana da quell'accaduto e nel frattempo erano cambiate molte cose. Ero tornata quello stesso giorno a casa di mio padre e sembrava non esserci più quella tensione tra lui e Kayl. Anche mio fratello sembrava essere tornato alla normalità e non lo vidi più vagare per casa con l'aria sbronza. Pochi giorni dopo, tornai a vivere nella loro casa e mi impegnai a recuperare il rapporto con mio fratello e, anche se in parte, ci riuscimmo.
Con Jason non andava tutto per il verso giusto, dopo aver parlato con Jonathan, a cui stranamente credevo, mi ero allontanata da lui e gli incontri a seguire furono pieni di imbarazzo e pieni di litigi. Iniziavano con un "ciao" e finivano sempre allo stesso modo, con un "fanculo" urlato seguito dal forte rumore della porta che si chiudeva. Più cercavo di non darci importanza, più tempo passavo a capire che cosa era successo nel nostro rapporto. Lo amavo e ci soffrivo ogni volta. Il nostro era un rapporto malato che non poteva essere guarito in alcun modo se non con la distanza.
«Tutto bene?» mi chiese Kayl entrando nella mia stanza con espressione afflitta e colpevole.
«Benissimo» gli risposi asciugando l'ennesima lacrima che era caduta per colpa di Jason.
«Mi dispiace è anche colpa mia»
«Non voglio sapere il motivo delle tue scuse ma ti chiedo di non dirlo mai più. Ancora non capisco cosa mi stai nascondendo» lo guardai annuire con lo sguardo basso e tornai a guardare fuori dalla finestra con le mani posate sul davanzale di essa.
«Per qualunque cosa io sono nella camera a fianco» disse per poi uscire dalla stanza lasciandomi da sola.
Sarei rimasta molto volentieri tutta la giornata a guardare fuori la finestra la vita scorrere senza di me, ma non potevo mancare al mio dovere. Avevo perso le prime ore di lezione per via della discussione con Jason e non potevo permettermi di perdere un'intera giornata. Non potevo abbattermi così facilmente e non dovevo far vincere ancora una volta i sentimenti confusi che provavo.
Presi la mia borsa contenente il necessario e uscii di casa prima che potessi cambiare idea. Aveva iniziato anche a piovere ma non mi preoccupai di mettermi al riparo e continuai sulla mia strada. Mi sarei beccata sicuramente l'influenza il giorno dopo ma stare sotto la pioggia mi aveva sempre aiutato a rilassarmi.
Sono la classica ragazza che ama il sole caldo ma preferisce la pioggia, che ama le giornate calde ma preferisce quelle fredde per rinchiudersi in casa con qualcosa di caldo da bere.
Arrivai all'istituto e non scorsi alcuna anima viva per via del tempo cattivo. Si erano tutti rintanati all'interno di qualche edificio o nella caffetteria che sicuramente sarà stata stracolma di studenti.
A passo lento, mi recai alla lezione di culture straniere dove avrei incontrato Jonathan. A differenza delle altre volte però, dentro di me non si creò quella sensazione di adrenalina che usavo contro di lui, ma bensì un formicolio lungo la spina dorsale quasi piacevole.
Mi tolsi il parka zuppo di acqua scoprendo che quel formicolio non era causato da Jonathan, ma dalle gocce di acqua che penetravano all'interno del maglione. Mi insultai mentalmente per il pensiero che mi era passato e per quanto potessi essere stupida.
Entrai nell'aula incrociando volutamente lo sguardo di Jonathan che mi fece cenno di sedermi al suo fianco. Stringendo con forza il parka bagnato tra le braccia, camminai verso di lui raccogliendo tutto il coraggio che avevo in corpo. Aveva quel ghigno sulle labbra che prevedeva solo una grande sfilza di battute irritanti.
«Come va?» rimasi spiazzata e lo guardai con la bocca schiusa. Mi fece un sorriso e credo che in quel momento avessi l'espressione più strana al mondo.
«Ti preoccupi per me?» gli chiesi ricomponendomi e recuperando quel briciolo di dignità rimasta.
«Di mia spontanea volontà ho deciso di non essere stronzo con te e tu mi ricambi il favore facendo la dura?»
«Non mi fido» mi sedetti al suo fianco posando il materiale sul tavolo pronta ad iniziare la lezione.
«Però hai creduto alle mie parole» sussurrò sul mio orecchio provocandomi numerosi brividi. No non era lui a darmi quelle sensazioni ma il freddo... si proprio così, il freddo.
«Ti sarei grata se non ne parlassi» continuò a parlare non ascoltando la mia richiesta.
«Ho visto Jason questa mattina» quella semplice frase però, riuscii a rubare la mia attenzione.
«Era molto incazzato» rise portando lo sguardo altrove come a immaginarselo.
«Come fai a conoscerlo?» gli chiesi deviando la sua affermazione.
«Non abbiamo un rapporto di amicizia tranquilla. Quello stronzo mi ha rovinato la vita fin troppe volte»
«Perché?» fece finta di non ascoltarmi ma iniziò a guardarmi con gli occhi assenti mentre era assorto tra qualche suo pensiero.
«Devi credermi un'ultima volta. Jason e Eve-»
«Buongiorno ragazzi» il professore entrò in aula con uno strano sorriso in volto. «Farete un lavoro a gruppi di due su tutto quello che abbiamo fatto fino a ora. Impegnatevi affondo per questo compito assegnato vi servirà per l'esame»
Sentii gli occhi di Jonathan puntati addosso e sapevo già cosa intendesse quello sguardo furbo.
«Non ci penso proprio» dissi.
«Guardati intorno» feci come mi aveva detto e vidi tutti gli altri studenti parlare tra di loro per accordarsi del lavoro assegnatoci dal professore.
«Non hai altra scelta» aggiunse assumendo una postura soddisfatta con tanto di mani dietro la nuca.
«Non ci posso credere»
«Credici piccola»
A malincuore mi accordai con lui per il lavoro, dividendoci gli argomenti da cercare così da evitare incontri inutili. L'accordo era: entrambi lavoravamo al progetto separatamente e dopo averlo perfezionato avremo fatto una copia per entrambi così da averlo completo.
Non dovevamo incontrarci quindi età un'ottimo piano già di partenza.
Finita l'ora attesi Thomas nella caffetteria aspettandolo con una tazza di caffè fumante.
Dalla mia posizione potevo benissimo vedere il parcheggio dell'istituto e due degli edifici circostanti. In lontananza vidi due ragazzi che litigavano animatamente sotto gli occhi indiscreti dei passanti.
«Scontro finale?» chiese un ragazzo ad un altro studente che alzò gli occhi dal suo libro ridendo.
«Evelin lo farà nero questa volta» commentò facendo ridere anche il suo amico.
Rivolsi ancora una volta lo sguardo verso quel scena e pensai che se si fosse trattato di Evelin allora il ragazzo con cui stava litigando sarebbe dovuto essere Jonathan. Ma quella figura non somigliava neanche lontanamente a lui ed era difficile non riconoscerlo.
«Abby andiamo?» Thomas mi aveva raggiunto e dopo aver buttato il mio caffè finito lo seguii rivolgendo gli occhi alla scena alle mie spalle.
Finimmo ben presto tutte le lezioni e Thomas era appena andato via mentre io mi accingevo per tornare a casa.
«Ehi bellezza» un ragazzo dal volto famigliare stava venendo verso la mia direzione ma di sicuro non era riferito a me quel suo saluto.
«Stavo parlando con te» solo dopo essersi fermato esattamente davanti a me, capii.
«Ciao» lo salutai educatamente anche se l'educazione era l'ultimo dei miei pensieri in quel momento.
«Low ha bisogno di te è nei guai e-»
«Jason? Perché cosa è successo?»
«Vieni» titubante lo seguii e mi condusse verso la macchina di Jason.
«Bene qui possiamo parlare in pace. Il tuo ragazzo ha ancora molto da fare» rise e si sedette sul cofano della macchina tenendomi ben stretta a lui in modo che non potessi andarmene.
«Se te lo stai chiedendo, si ti ho presa per il culo» rise ancora e l'educazione andò a fottersi e iniziai ad arrabbiarmi seriamente.
«Cosa vuoi da me?» Urlai.
«Volevo parlarti del tuo amichetto Low, come ho detto è molto impegnato. Che ne dici di aspettarlo qui?» si sistemò meglio assumendo una postura più comoda per guardarmi negli occhi.
«Non pensavamo fosse così con le ragazze. Sembrava il solito figlio di papà ma ehi... mai giudicare un libro dalla copertina, non è così?»
«Ripeto la domanda: cosa vuoi da me?» chiesi esasperata sul punto di urlare come una matta contro quel ragazzo sconosciuto.
«Da te nulla mia cara» tirò fuori dalla tasca una cartina pronta e la accese portandosela alla bocca.
«Low e Matthison? Sei una grande intenditrice quando si tratta di stronzi» buttò fuori il fumo sul mio viso e si avvicinò maggiormente al mio corpo facendo scontrare le nostre ginocchia.
«Per tua sfortuna è arrivato lo stronzo» si aggiunse una voce alle sue spalle. Il ragazzo si girò dandomi le spalle ed io ne approfittai per andarmene verso Jonathan.
«Che ci fai qui?» gli sussurrai senza però ringraziarlo tenendo alto il mio orgoglio femminile.
«Ti salvo» la sua risposta mi lasciò spiazzata e con le guance in fiamme. Quella volta non potevo nascondere i miei sentimenti dato che erano ben visibili sul mio viso.
«Logan vattene. E impara a chiudere quella cazzo di bocca» gli ringhiò contro.
«Va bene, va bene. Ma volevo solo parlarle» borbottò divertito per poi andarsene.
«Quando vuoi potrai ringraziarmi» disse con un sorriso stampato con tanto di inchino.
«Quando ne sentirò la necessità, ti chiamerò»
«Oh andiamo. Possibile che devi essere sempre così?» mi chiese iniziando a seguirmi.
«Così come scusa?» proseguii i miei passi verso l'uscita dell'istituto e speravo tanto che Jonathan mi lasciasse andare.
«Così... così maledettamente tu» mi bloccai di colpo e gli rivolsi la mia piena attenzione per scrutarlo. Si passava la mano sul suo ciuffo ribelle, guardandomi con quegli occhi confusi, e non smetteva un attimo di picchiettare il piede sul terreno, sembrava agitato.
«Lasciamo perdere» aggiunse e questa volta mi ritrovai io a seguirlo lungo il marciapiede sotto lo sguardo attento di un gruppo di ragazze tra le quali scorsi Evelin.
«No ne parliamo. Cosa intendevi dire con quella frase?» gli chiesi con determinazione. Ma prima che ricevetti la risposta una risata nervosa si fece spazio nella mia testa mentre Jonathan pose gli occhi su qualcuno dietro le mie spalle.
«Matthison quante volte te lo devo dire. Lei è mia. Non te la porterai a letto» rise ancora Jason facendomi preoccupare seriamente per il suo stato.
«Non è tua e non me la voglio portare a letto» rispose a sua volta Jonathan avvicinandosi all'altro.
Da lontano vidi un gruppo di ragazzi che se la rideva alla vista di quella scena e senza saperlo confermarono i miei dubbi. Da lì a poco, nel parcheggio, sarebbe avvenuta una rissa e di certo non avrebbe avuto esiti positivi per nessuno dei due.
«Non fate scenate. Jason stavamo solo parlando e mi ha aiutato poco fa con un problema. Non trattarlo così non mi ha fatto niente. Mi dispiace ammetterlo ma ha ragione, non sono più tua o almeno credo. Sto dubitando seriamente su di te, su di noi, non farmi arrivare a conclusioni negative Jason» lo ammonì. Era rimasto sorpreso e cercava disperatamente di raccogliere tutta la calma possibile per non agire di impulso. Apriva e chiudeva la bocca come se non trovasse le parole giuste da dire, ma di parole non ce ne erano ed era meglio che rimanesse in silenzio se non voleva peggiorare la situazione.
«Ma sei la mia ragazza. Ti amo come fai a dire che non sei mia» boccheggiò con affanno.
«Mettitelo bene in testa» dissi convinta puntandogli il dito contro.
«Io sono solo di me stessa e di nessun altro» dopo questo girai i tacchi soddisfatta vedendo lo sguardo divertito di Jonathan che cercava in tutti i modi di trattenersi dal ridere.
Me ne andai verso casa con un sorriso sulle labbra e una determinazione mai vista prima. Jonathan se ne era andato e Jason era rimasto lì incredulo a rimarginare sulle mie parole. Era finito il tempo delle domande su Jason e me ne sarei fatta una ragione. Forse non lo amavo neanche più...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro