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Capitolo 30.

Non riusciva a credere ai suoi occhi. Quello che aveva davanti, in quel momento, bastò a fargli passare la voglia di camminare. Si fermò, ammirando quelle due figure che ora si guardavano, leggendo le frasi nascoste dietro il battere delle palpebre. Ricordò perfettamente quando riusciva a leggere anche lui quello che Hanji stava pensando, e, nel frattempo, anche a risponderle, facendosi capire con un semplice sguardo. Era la chiave che riusciva ad aprire la serratura nel suo cuore. Si chiese come avesse potuto lasciarla andare, ma si giustificò subito: non aveva notato quanto fosse importante per lui. Aveva avuto fra le mani una pietra preziosa e bellissima, ma lui aveva preferito buttarla in acqua, non appena essa gli graffiò la candida pelle. E cercò di gettarsi a riprenderla, nonostante riconoscesse l'impossibilità del ritrovare quella stessa pietra, fra altre; tutte simili, ma non uguali. Quella donna era la sua pietra preziosa.
La bimba sorrise e poggiò il suo dolce sguardo sul piccolo viso di Levi, che sgranò gli occhi, incapace di parlare. Non ci fu neanche il tempo di reagire, per l'uomo, che scoprì un altro sguardo intento a scrutarlo. La donna notò fin da subito le occhiaie, fattesi più profonde, scure, sul viso dell'uomo. L'altra, invece, aveva il volto rilassato di una madre che, anche se da sola, riusciva a godere di tutto l'amore ricevuto da sua figlia. Gli tornò in mente la sua infanzia, come era solita farsi rivedere durante la notte, proprio in quei sogni che temeva rifare. Quasi pensò che Hanji non lo avesse riconosciuto. In fondo, erano passati anni dall'ultima volta che si erano guardati negli occhi, anche solo per un secondo. Avanzò di un passo, mentre la bambina analizzava la scena, prima in silenzio, poi mormorando frasi che arrivarono anche alle orecchie dell'uomo: «Mamma, conosci questo signore?». Levi tenne gli occhi fissi in quelli di Hanji; se solo avesse potuto farlo, avrebbe preso il suo volto e cancellato quelle lacrime che ora le cadevano lungo le guance. «Mamma?» continuava a chiamarla la piccola, che li fissava, senza riuscire a sciogliere la curiosità. Ma lei sembrava non volerla ascoltare, neanche quando i suoi brevi singhiozzi cessarono. «Quattrocchi...» cominciò lui, a pochi centimetri di distanza. L'incantesimo finì e la donna scosse il capo: anche se rivederlo le fece fare un salto verso il cielo, la caduta fu più brutale. «Tesoro, andiamo.» intimò la madre, ricominciando a camminare e cercando di cancellare quello che era appena successo.
«Oi, Hanji!» la chiamò lui e, alla donna, parve di sentire il cuore spezzarsi in due.
«Parliamone.» continuò, seguendola, come avrebbe voluto fare molto tempo prima, invece che preferire scappare da tutto. Ma Hanji sembrava sempre più avvilita: perché era ancora lì? Cominciò anche a chiedersi perché fosse ancora vivo, ma sotto i gemiti del suo cuore, non poté far altro che darsi mentalmente dell'idiota. Alla fine, averlo rivisto, era anche stato un sollievo; come a volerle ricordare che lui c'era sempre stato, anche se lei non lo vedeva. Eppure, tutto ciò scomparve, sotto il peso del "Non mi è stato accanto, neanche quando Moblit è morto."

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