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Capitolo 7 -In catene-

«Ho bisogno di fermarmi un attimo.»
Quasi mi lancio su una delle poltrone del salottino privato a ridosso della sala principale.
Nessuno degli invitati sembra essersi rintanato qui, così le mura coperte dall'orrida carta da parati, sono tanto silenziose quanto opprimenti.
Probabilmente sarebbe meglio se me ne andassi e basta... magari le stalle mi farebbero sentire meglio. Persino l'idea di sporcare il mio vestito con lo sterco di cavallo, adesso, è preferibile a quello che sto subendo.
Dopo essere stata letteralmente prelevata dalle braccia di Calian dopo il nostro ballo, infatti, ho provato a riavvicinarmi a lui in qualsiasi modo. Avrei voluto parlargli, ma tutto quello che sono riuscita a fare è stato camminare su e giù per il tavolo del buffet, bevendo e mangiando per evitare di essere invitata a ballare.
«Io credo di avere solo bisogno di un altro bicchiere di vino.» Ezio si lascia cadere al mio fianco con uno sbuffo. Non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
Ho fatto dei passi avanti nell'accettazione della nostra nuova, quanto datata amicizia, ma non riesco comunque a tollerarlo. Ciò nonostante, stasera abbiamo stipulato una sorta di silenziosa tregua, finendo persino per ballare insieme un paio di volte, tanto per sfuggire alle insistenti richieste di pretendenti che nessuno dei due aveva intenzione di accettare.
«Credimi, io di quelli ne ho avuti più che abbastanza.»
Ed eccoci qui, devastati ed annoiati, in cerca di pace e tranquillità.
Theron e Cerelia si sono appostati davanti alla porta, lasciandoci un po' di spazio. Con loro c'è anche Drystan, che ci ha seguiti, non appena ci ha visti uscire dalla sala.
Continua a fissarmi.
Mi chiedo se prima o poi la sua insistenza non mi farà evaporare, come una nuvoletta d'aria condensata. Forse finirò per morire di auto–combustione.
«Ho cambiato idea. Un altro bicchiere di vino non sarebbe affatto male.» Guardo male Drystan, poi alzo leggermente l'orlo della gonna ed appoggio i piedi al tavolino. Portare questi tacchi infernali si sta rivelando un allenamento più duro di quello che faccio tutti i giorni con Aesira.
Aesira... Non sono ancora riuscita a rintracciarla.
Possibile che quel Calian la conosca davvero?
Dio, ho così tante domande.
Se lei ha parlato di me a Calian, così come lui mi ha riferito, allora forse sono amici.
No, Aesira non ha mai avuto amici, figuriamoci amici provenienti da altre regioni. Sbuffo.
«Mi stai ascoltando?» Ezio mi colpisce con il suo taccuino.
O almeno, ci prova.
Per quanto io sia distratta e offuscata dall'alcol, infatti, il mio corpo agisce prima che lo faccia il cervello, afferrando l'oggetto ad un centimetro da me, evitandone il contatto con il mio corpo.
«Come è possibile che porti questo coso con te, persino in un'occasione del genere?»
Glielo sfilo dalle mani, nascondendolo sotto al braccio.
«Ridammelo.» Lui si lancia su di me, provandolo ad afferrare, ma lo allontano, calciando il suo petto con forza.
Un tacco gli si pianta nella giacca verde, bucandola. Ritiro la gamba con una smorfia.
«Sei davvero una stronza, lo sai?» Ezio prova a quantificare i danni, guardando la stoffa aprirsi sotto le sue mani sottili, quasi si creda capace di ripararla con il solo sguardo.
«Sei stato tu a colpirmi per primo.»
Mi metto comoda ed apro il taccuino, approfittando della sua distrazione per dare un'occhiata. Disegnato sulla prima pagina c'è il volto di un ragazzo.
I tratti sono bruschi e accennati, quasi violenti, ed in alcuni punti ha calcato così tanto la mano, che la carta è diventata sottile, trasparente, lasciando intravedere le linee del disegno della pagina successiva. Sembra essere un ritratto anche quello, probabilmente ritraente lo stesso soggetto. Sto per girare la pagina, ma non ci riesco.
«Oltre che stronza, sei anche un'impicciona priva di tatto.» Ezio si lancia nuovamente verso di me, questa volta riuscendo nel suo intento, portandomi via il quadernino.
«Non volevi essere mio amico?» Incrocio le braccia al petto, annoiata.
«Anche gli amici possono avere delle cose che vogliono tenere per sé.»
Si tiene stretto il taccuino al petto, proteggendolo come fosse la cosa più preziosa che possiede.
«Sì, forse hai ragione.» Borbotto.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante. Lui con il volto livido di rabbia, io con la testa da un'altra parte.  
«Vado a prendermi da bere.» Dico alla fine.
Non aspetto che lui mi risponda. Esco dalla stanza e mi avvio verso la musica.
Tutti stanno ancora ballando, si divertono ignari. Il solo guardarli mi mette in agitazione lo stomaco.
Faccio avanti e indietro per il corridoio un paio di volte, prima di decidere che non vale la pena ributtarsi nella calca, solo per prendere un altro bicchiere di vino.
Forse potrei andare nelle cantine, prendere una bottiglia e... No.Probabilmente quello che dovrei davvero fare, è cercare Aesira.
Gli occhi di Drystan mi penetrano la schiena.
«Per quanto ancora hai intenzione di startene lì a fissarmi?»
Non ho più voglia di avere il suo sguardo addosso. Mi avvicino, quindi, alla sua figura, e lo metto con le spalle al muro.
«Dimmi, Drystan. Dov'è Aesira?» Lui sbatte le palpebre, confuso.
«Ha dato l'ordine di controllare il perimetro. Lei è di guardia alla torretta esterna delle mura.» Soppeso le sue parole, aggrottando le sopracciglia.
«Il capo delle guardie ha deciso di lasciare il Narchin scoperto, per sorvegliare le mura?» 
«Non ci sarà nessun pericolo per lui, se Aesira difende l'entrata.» Spiega, cauto.
«Sempre che il nemico non sia già dentro...» Drystan mi fulmina. «Che c'è. Credevo fosse quello che volevate...» Sospiro, allora.
«Quello che vogliamo, è mantenere tutti al sicuro.» Si innervosisce.
«Portami via di qui.» Lo interrompo, troppo annoiata per continuare ad ascoltare i suoi pensieri. Lui abbassa lo sguardo.
«Non permetterò che accada nulla di male.» Mi prende la mano e se la appoggia al petto. Qualcuno potrebbe vederci, ma in questo momento non mi interessa.
Le sue labbra si avvicinano alle mie, le guarda, come fossero qualcosa di pericoloso e stupendo. Come se ne fosse rapito, quanto disgustato. Le guarda come io guardo lui.
«Hai bevuto un bel po'.» Probabilmente il mio alito è pregno di alcool, quasi quanto me. Rido. Una risata che suona più come un lamento.
«Non abbastanza.» Afferro il pugnale sotto la gonna e glielo punto al collo. «Portami via di qui.» Ripeto. Lui sbuffa.
«Lo avrei fatto anche senza un coltello sulla carotide.» Elude con un gesto la mia arma, torcendomi dolcemente il polso, per allontanarla da sé.
Sfrutta poi la presa per caricarmi in spalla. Mi lascio andare, a testa in giù sulla sua schiena, giocherellando con la mia lama. Il mondo è al contrario, ma tutto quello che vedo è il verde della sua giacca. Sorrido, cominciando a passare il pugnale sulla stoffa, in maniera così leggera da lasciare soltanto una linea bianca al suo passaggio. Disegno una mezza luna, poi un sole. Tiro le linee dei raggi, stando attenta a non applicare troppa pressione.
«Stai usando la mia schiena come tela?» Le vibrazioni della sua risata mi fanno perdere l'equilibrio, e per poco non strappo la stoffa con la lama.
«Stavi per rovinare la mia opera.» Mi lamento. Lui ride di nuovo, prima di appoggiarmi a terra. La testa gira per un attimo, solo fino a che non riesco a mettere a fuoco la vista.
Siamo in biblioteca.
«Credevo andassimo in camera da letto.» 
«Non posso allontanarmi dalla sala, e non posso allontanarmi da te.» Si stringe nelle spalle, mentre si appoggia al legno scuro della porta chiusa, come a sottolineare il concetto.
«Ed io che avevo pensato di divertirmi un po'.» Sussurro, rivolta al vuoto.
«Divertirti? Ma davvero?» Nella sua bocca piegata in un mezzo sorriso, traspare l'ironia delle sue parole. Agito una mano in aria con sufficienza e mi appoggio sul bracciolo del divano. Lo stesso dove questo pomeriggio ho dato ragione ad Ezio.
Adesso il solo pensiero mi fa innervosire. Passo, quindi una mano nei capelli.
A dispetto di tutto quello che ho combinato nelle ultime ore, le ciocche sono ancora intrecciate, in modo quasi perfetto.
«Se non puoi allontanarti dalla sala, allora perché sei qui?»
Di colpo la pettinatura mi sembra troppo stretta e fastidiosa, così decido di toglierla.
«Sono la tua guardia personale, prima di essere una guardia del Narchin.»
Sfilo i fiori dalla treccia, uno ad uno, lasciandoli cadere sul pavimento, illuminato solo dalla luce della luna che penetra dalle finestre alte.
«Eppure questo non sembra abbastanza per convincerti a dedicarti soltanto a me.»
Snodo i capelli con le dita, e soltanto quando sono soddisfatta delle onde che ricadono sulle mie spalle, alzo lo sguardo. La stanza, adesso, sembra più illuminata. I miei occhi si sono abituati all'oscurità. Riesco a percepire i lineamenti di Drystan. I suoi capelli legati all'altezza della nuca.
I suoi muscoli tesi sotto l'uniforme stretta.
Vorrei togliergliela. Vedere come stanno le sue ferite, punzecchiarlo dove la pelle ancora non si è rimarginata, solo per vedere il suo viso cedere alla debolezza. Farlo soffrire un pochino, solo per vendicarmi del modo in cui mi fa sentire, del modo in cui le sue braccia non mi stanno stringendo, in cui le sue mani non sono sul mio corpo.
«Non vuoi rispondere, Drystan?» Sorrido, mentre lui sospira.
«Non ho niente da dire a riguardo.» Incrocia le braccia al petto. «E tu hai bevuto troppo, per sostenere qualsiasi conversazione.» Non gli concedo nemmeno un'istante, prima di lanciare il mio pugnale con leggerezza.
La lama sferza lo spazio tra di noi con un fruscio, e si conficca nella porta dietro di lui, proprio sopra la sua testa.
«Credimi, sono abbastanza lucida.» Non batte ciglio, non tentenna.
Si limita ad allungare una mano dietro di sé. Prende l'arma e se la rigira tra le mani, prima di venirmi incontro.
«Va bene, Signorina.» Me la porge in silenzio.
«Fai sempre così.» Me ne sto ferma. Davanti a lui, che ancora stringe l'arma tra le mani, confuso. «Non appena dico qualcosa che ti turba, subito ti nascondi dietro il ruolo che interpreti.» Chiarisco.
«Non è il ruolo che interpreto. E' il ruolo che tu mi hai dato.» Adesso i suoi occhi sono fissi nei miei. Bruciano come le fiaccole dei corridoi che ci siamo lasciati alle spalle. «Sei la prima a nasconderti dietro il tuo titolo, quando le cose ti sfuggono di mano.» Soffia.
Stringe la presa sul pugnale, ed io faccio lo stesso con la stoffa rigida del bracciolo su cui sono appoggiata. Sento la pelle graffiarsi a contatto con esso, ma non accenno a diminuire la pressione del contatto.
«Attento a quello che dici.» Minaccio, eppure le mie parole vibrano nell'aria, incerte.
«Altrimenti cosa? Mi farai uccidere?» Ride di gusto. «Credi che la cosa mi spaventi? Morirei per te in qualsiasi momento. Anche se questo dovesse significare morire per mano tua.»
Si appoggia la lama del pugnale al petto. Vedo la punta scalfire lentamente la stoffa della sua giacca, e non posso fare a meno di appoggiare le mie dita sull'elsa.
«Smettila di giocare.» Tiro leggermente, ma Drystan sorride, premendo ancora di più.
«Avanti fallo. Non sarebbe la prima volta che soffro per te.» La dolcezza con la quale accarezza le parole mi lascia un vuoto dentro, all'altezza del petto.
Nel suo viso vedo l'uomo che è, il ragazzo che era.
Vedo la mia ombra riflessa nella sua, le mie mani che cercano le sue dita.
Il pugnale sfugge alla sua presa, ed io lo afferro con rapida agilità. Il rumore della lama che rientra nel fodero viene coperto dal suono della mia bocca che si scontra con la sua.
Le mie gambe gli circondano la vita, attirandolo a me. E' vicino.
Sento l'orlo della gonna cedere, e la stoffa strapparsi.
Non mi importa.
I capelli si annodano, sotto al tocco delle sue dita.
Non mi importa.
I suoi occhi si scontrano con i miei.
Non mi...
«Basta così.» Lui boccheggia, mentre lo spingo via.
«Credevo volessi divertirti.» Sorride. « Ma forse non è con me che vuoi farlo.» Si porta indietro un ciuffo di capelli scuri, sfuggito alla coda ordinata. «Ma infondo perché dovrei meravigliarmi. Sono sempre stato il sostituto di qualcuno.» Colgo alla perfezione il suo riferimento a Kieran, e stringo la mascella. 

Ha ragione. L'unico motivo che mi ha spinto a cercare l'intimità con lui, è stato quello di sfuggire alle attenzioni mancate dell'uomo che amavo.
Il primo bacio che gli avevo sottratto, era stato per sfogarmi. Lo avevo fatto per dimostrare a me stessa che non mi importava. Per dimostrare a me stessa che potevo ottenere comunque ciò che volevo. E poi avevo finito per affogare nel turbinio dell'eccitazione.
Drystan è sempre stato un'amante passionale, cruento... la giusta distrazione.
«Ho visto come lo guardavi.» Il mio pugno si scontra contro la sua guancia, zittendolo.
«Me ne vado.» Lo supero in fretta, ma lui mi blocca, trattenendomi dal polso.
Mi sforzo di non puntargli il pugnale al petto.
«Dovresti rimanere qui.» Sussurra.
«No. Tu dovresti rimanere qui.» Strattono via la mano, accelerando il passo.
Sono quasi arrivata alla porta, quando la sua voce mi raggiunge.
«Sai che non posso lasciarti andare.» Lo dice tra i denti, raggiungendomi con un paio di falcate. «Non posso seguirti, se ti allontani.» Non mi sta toccando, ma è quasi come se lo stesse facendo. Sento i suoi occhi su di me, così pesanti da tenermi ferma, con i piedi puntati a terra.
«Lo hai detto tu stesso, no? Sei la mia guardia, prima di essere una guardia del Narchin. Beh, adesso la tua Maël non ha bisogno di te. Sei congedato.»
«Certo, perché tu non hai mai bisogno di niente e di nessuno. Non è vero?»
«Stai esagerando.» 
«Avete ragione, Maël.» Si burla di me, mentre di piega in un inchino, tornando ad usare i modi di cortesia, soltanto per creare distanza tra di noi. Di nuovo.
«Questa è casa mia, Drystan. Uscirò da questa stanza da sola, che tu lo voglia oppure no.» 
«Voglio solo proteggerti, davvero non riesci a capirlo?» 
«Vorresti proteggere me?» Rido di gusto. «E come avresti intenzione di fare, quando non riesci a proteggere nemmeno te stesso?» Indico le ferite che io stessa gli ho bendato, insieme al livido violaceo che comincia a formarsi sul suo viso. Il labbro spaccato sanguina, proprio come il leggero graffio che si è procurato sul petto, con il mio pugnale.
«Non è la stessa cosa.» 
«Cosa vuoi che faccia, allora?» Sento che la pazienza va via via esaurendosi, lasciando posto alla frustrazione. «Se ti tratto come la mia guardia, ne uscirà ferito il tuo cuore, se ti tratto come qualcosa di più, ad essere ferito sarà il tuo orgoglio, e se lascio che siano i miei sentimenti a prendere il sopravvento...» Scuoto la testa. «Ho davvero bisogno di prendere aria.» 
«Morana.» Drystan tenta nuovamente di fermarmi. Si inginocchia davanti a me. E' così vicino da coprire i raggi della luna, oscurandomi con la sua stazza, a dispetto della posizione.
Sfilo la spada dal suo fianco, mettendola tra di noi.
«Tu non sei il cagnolino fedele della Maël. Dovresti dimostrarlo a te stesso, prima di provare a convincere qualcun altro. »
Silenzio.
Non risponde.
Ha le mani appoggiate alle ginocchia. Gli occhi castani che si sciolgono a contatto con i miei.
«Ho detto che potrei farti del male in più modi di quanti tu me ne creda capace.» Addolcisco la voce, adesso sono in inginocchio davanti a lui.
Mi guarda, mentre posiziono la lama della sua spada proprio sul taglio che si è inferto sul petto. «E credimi, se dovesse arrivare il giorno in cui la tua presenza mi sarà d'intralcio... se dovesse arrivare il giorno in cui i sentimenti mi saranno d'ostacolo...» Premo sul suo cuore.
Il sangue comincia a scivolare sui suoi abiti. Rosso scuro sul verde della sua giacca.
L'inno alla vita sporcato dalla morte.
«Infilzerò il tuo cuore incatenato, a costo di lacerare il mio.»

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