Capitolo 6 - Beating heart -
La musica riempie l'aria, mentre le piccole lampade ad olio appese alle pareti, donano all'atmosfera una sfumatura lugubre e allo stesso tempo magica. Le fiammelle al loro interno oscillano insieme ai danzatori, quasi fossero impegnate anche loro in una danza lenta e ripetitiva.
Picchietto agitata una mano sul bracciolo stretto della mia seduta.
Il ragazzo vestito di bianco non si è ancora unito alle danze, al contrario, se ne sta in disparte in un angolo della sala, proprio accanto ad altri ambasciatori stranieri, in visita.
Weylin è accanto a lui. Intrattiene una discussione con un uomo che non conosco, e quasi rido.
Pur essendo più alto di me, al confronto con il ragazzo in bianco, sembra quasi un bambino.
La sua gracile figura è ancor più sottolineata, se paragonata ai muscoli definiti dell'altro, percepibili anche dalla mia distanza. Per qualche secondo fisso entrambi, attenta a cogliere ogni singolo particolare dello sconosciuto, poi la mia curiosità prende il sopravvento.
«Avete idea di chi sia quell'uomo, Padre?» Mi avvicino al suo viso, per non essere ascoltata da altri. Lui prende un sorso del suo vino.
Una piccola gocciolina di liquido rosso gli scende dall'angolo delle labbra, prima di essere catturata dalla verde seta del tovagliolo di una delle sue donne di compagnia.
Mi allontano leggermente, disgustata, ma altrettanto desiderosa di ricevere una risposta.
«L'uomo accanto al Maël di Akrasia» Lo indica con la coppa di vino. Io annuisco. «Sembra abbia destato la curiosità di molti ospiti, oltre che la tua.» Ride. «Hai davvero buon occhio, mia cara.»
Il suo tono non promette nulla di piacevole. Rimpiango già di aver aperto bocca, e maledico me stessa per non essere stata brava a celare la mia avidità di informazioni.
«Si è presentato come uno dei figli maggiori del Narchin di Emona. Il suo nome è Calian.»
Calian. Persino il suo nome è portatore di luce, tanto quanto il suo aspetto. «Non credevo che il mio invito fosse arrivato fin lì.» Gongola, felice. Neanche un briciolo di sospetto aleggia sul suo volto. Premo un palmo sulla fronte, rimanendo in silenzio.
Emona è uno dei regni più piccoli e sconosciuti delle terre del nord di Vlatka. I suoi abitanti sono ritenuti dei conservatori, ai quali non piace dare troppa mostra di sé. Sono decenni che nessuno di loro mette piede fuori dai propri confini, o almeno, è questa una delle voci che gira a riguardo. Eppure eccone qui il Mael, che presenzia alla nostra festa come se facesse parte della nostra cerchia ristretta. Potrebbero essere loro ad aver minacciato mio padre?
No. Aesira se ne sarebbe di certo accorta. Non avrebbe mai permesso a dei nemici, di mettere piede nel nostro palazzo. Se sono passati al suo controllo, non c'è nulla da temere.
A meno che...
Aesira non si fa vedere da un po'. Fino ad ora l'ho trovato strano, ma adesso sembra ancora peggio. Come ho fatto a non preoccuparmene prima? E' il capo delle guardie.
Dovrebbe essere qui. Dovrebbe proteggere mio padre. Evander. E me.
Incontro di nuovo lo sguardo di Drystan, dall'altro lato della stanza. Sembra capire che qualcosa non va, e la sua espressione diventa interrogativa, mentre sento il cuore battermi nella cassa toracica come se volesse scappare a gambe levate.
«Vado a prendervi qualcosa da bere, Signorina.» Cerelia, che se ne è rimasta in disparte fino ad ora, mi si avvicina cautamente. «Sembrate averne bisogno.»
Non mi da neppure il tempo di rispondere, che è già sparita tra la folla.
La musica assume dei toni più leggeri. Note allegre e sinfonie conosciute, che gli invitati cominciarono ad intonare, e poi a ballare. Vedo Ezio camminare lungo il muro, probabilmente in fuga da qualche dama pronta a ballare con lui. Non è mai stato il tipo da ballo, ma sono contenta che sia qui. Vederlo tra la folla di sconosciuti, al fianco di Theron, mi rende più tranquilla.
Guardo nuovamente verso l'ingresso, ma Drystan non c'è. Lo cerco tra la calca, calmandomi soltanto quando adocchio i suoi occhi castani a pochi metri da noi.
Sta venendo qui.
Ha i muscoli tesi, l'andatura leggermente zoppicante.
E' chiaro provi ancora dolore.
«Smettila di avere quell'aria afflitta, e va' a ballare con chi merita davvero la tua compagnia e il tuo interesse. Drystan se la caverà.»
Anche se sta chiaramente parlando con me, mio padre non si prende nemmeno la briga di voltarsi, quasi sia troppo dispendioso dover rivolgere a me anche la più piccola delle attenzioni. Devo aver consumato la mia dose giornaliera, poco fa, quando ha dato risposta alla mia sete di interesse.
«Voi mi fraintendete, padre. Sono solo preoccupata per la salute di Drystan.»
Mi sforzo di sorridere ingenuamente, togliendo comunque gli occhi dalla guardia.
«Per la sua salute?» Si ficca in bocca un'oliva, solo per sputarne il nocciolo nel piattino che un'altra delle sue donne gli tiene davanti.
«Drystan era ferito questo pomeriggio.» Provo a non far caso al mio stomaco che si torce. «Voglio solo assicurarmi che la mia guardia sia capace di adempiere alle proprie mansioni, in caso di necessità.» Stringo i pugni. «Punirlo nel modo in cui avete fatto voi...»
Alle mie ultime parole, finalmente la sua attenzione si sposta su di me.
I suoi occhi chiari, tanto simili a quelli di Evander, mi legano alla sedia, sulla quale affondo le dita, come se potesse salvarmi da lui.
«Punirlo? Perché avrei dovuto punirlo?» La sua fronte adesso è corrugata, mentre posa il bicchiere sul bracciolo del trono, infastidito.
«Quindi, non siete stato voi a ferirlo?» Non riesco a mormorare nient'altro.
«Perché dovrei ferire una delle mie guardie più valorose? In un giorno del genere, poi.»
Si agita sul posto, facendomi di colpo zittire. E' infuriato. Glielo leggo nelle rughe del volto.
Non gli importa della mia opinione a riguardo, non gli importa del pensiero negativo che mi sono fatta di lui. E' arrabbiato soltanto perché mi sono permessa di dire la mia su qualcosa che non dovrebbe neppure riguardarmi. Punizione o no, dovrei starmene al mio posto.
Dovrebbe essere Drystan a prendersi cura di me, e non il contrario.
«Mio signore, posso rubare la vostra attenzione per qualche istante?» Ai piedi del trono, Frost, il secondo in comando delle guardie, ha un ginocchio puntato a terra, e la mano appoggiata all'elsa della spada. Così come Drystan, indossa l'alta uniforme, che per l'occasione, è stata fatta fare su misura per ognuno dei soldati: un completo in tinta unita verde petrolio, decorato di stemmi, e piccoli stendardi in oro.
Non appena mio padre si volta verso di lui, io mi rilasso sulla seduta.
Dio, vorrei poter combattere con lui come faccio con Aesira. Sarebbe davvero soddisfacente una volta tanto. Forse dovrei proporre di attaccare un suo ritratto sul padiglione per il tiro con l'arco.
Di certo mi sentirei più motivata nel colpire il bersaglio.
«Spero per te che sia davvero importante.»
Il Narchin aggrotta le sopracciglia, ma dopo aver lanciato un'occhiata ad Evander, si allontana insieme a Frost. Li guardo, fino a quando non raggiungono la porta dietro al palchetto, dileguandosi nell'oscurità.
«Credo che la mamma stia dando di matto.» Mio fratello si affloscia sul suo trono in miniatura, appoggiando il mento su una mano. I suoi occhi si fanno più piccoli, nascondendo un po' del loro celeste naturale. «Non sembrava particolarmente felice quando nostro padre le ha detto che non avrebbe potuto partecipare alla festa di stasera.» Sbuffa.
«Credi che sia lei il problema?» Non è la prima volta che quella donna crea disagi all'interno del palazzo. E' dalla nascita di Evander che continua a fare richieste riguardo al suo ruolo e alle sue mansioni; forse troppo innocente, o troppo ignorante, per capire che il suo unico scopo per il Narchin, è stato quello di dare un seguito alla sua dinastia.
Ad Aramis non importa di lei, di quello che prova, ne tanto meno delle sue aspirazioni a corte. D'altronde, questo è il destino di tutte le sue concubine, utili o meno che siano ai suoi scopi.
Probabilmente per mia madre la morte è stata una piccola salvezza.
Ha risparmiato a se stessa una vita piena di tradimenti e sofferenze. Una vita che in qualsiasi caso, non sarebbe stata mai propriamente sua.
«Credo solo che sia ingiusto.» Mio fratello si raggomitola ancora di più nel trono, comunque troppo grande per lui. «Non mi aspettavo che nostro padre la prendesse in moglie. Quel ruolo era solo ed unicamente di tua madre, e dopo la sua morte... insomma.» Si ferma, poi sospira. «Penso solo che impedirle persino di avere una vita sociale sia crudele, e inumano.»
«E' per questo motivo che non vuoi essere il nuovo Narchin?» Non risponde.
«Dovreste sorridere di più. E' una festa, non un funerale.» Drystan si posiziona alle mie spalle.
E' in piedi, fermo dietro di me, così come si conviene ad una guardia.
«Non ancora, almeno.» Il mio commento sussurrato viene coperto dalla voce calda di Evander.
«Drystan!» Si alza, avvicinandosi al più grande con un sorriso. «Dovresti prenderti una serata libera. Non sembri molto in forma.» Gli da una pacca sulla spalla.
Quando si comporta in questo modo sembra un adulto fatto e finito. Un piccolo Narchin.
«Se mia sorella ti tratta male, puoi sempre proteggere me.» Mette una mano davanti alle labbra, ma non accenna ad abbassare il tono di voce, rendendo chiaro che voglia essere ascoltato.
«Valuterò l'offerta.» Drystan ridacchia, rivolgendogli un sorriso intenerito.
«Eve, perché non vai a parlare con gli invitati? Sembra che la mancanza di nostro padre stia facendo sorgere domande da parte di alcuni di loro.» Indico un gruppetto di uomini che si sono riuniti ai piedi del palchetto, discutendo animatamente. Evander si fa un po' più cupo.
«Perché no. Ne approfitterò per mangiare qualcosa.» Sorride ugualmente.
E' davvero bravo a fingere. Dovrei prendere esempio da lui.
Aspetto che si allontani, prima di prendere il bicchiere di vino che mio padre ha lasciato sul suo bracciolo, e sorseggiarlo piano. Cerelia non è ancora tornata, e io ho bisogno di bere, se voglio mandare giù il nodo che mi si è formato in gola.
Il gusto amaro del vino mi scende lungo la trachea. Un lieve bruciore si irradia nel petto.
«Mi hai mentito?» Drystan accenna un passo verso di me. Adesso ci divide soltanto il bracciolo.
«A cosa vi state riferendo?» Entrambi teniamo lo sguardo fisso davanti a noi, come se non vi fosse alcuna conversazione in atto. Drystan ci tiene comunque ad usare i modi di cortesia.
Non mi parla mai in modo informale quando c'è qualcuno in ascolto.
«Non è stato mio padre a punirti.» Sputo.
«Non vi ho mai detto che fosse stato lui a farlo.» Con la coda dell'occhio noto i suoi muscoli irrigidirsi, mentre le nocche si fanno più chiare.
«Allora chi?» Stringo il calice con più forza.
Ferire Drystan è come ferire me.
Chiunque lo abbia fatto, ne subirà le conseguenze. Per mano mia.
«Ascoltatemi, Signorina. Questo non è ne il luogo, ne il momento per parlarne.»
Due delle donne di compagnia di mio padre se ne stanno accanto a noi, imboccandosi l'un l'altra con della frutta secca. Quando le guardo, smettono di muoversi, prima di allontanarsi in fretta. Sospiro.
«E' stato uno dei tuoi compagni, non è vero? Ti prendono di mira perché sei mio.»
Non erano esattamente le parole che avrei voluto rivolgergli, ma quando me ne rendo conto, è già troppo tardi. Drystan ora mi fissa.
«A nessuno piace chi scala le gerarchie solo perché ha delle conoscenze, e a nessuno piace chi viene trattato in modo differente.» Stringe i denti. «Comunque, non è qualcosa della quale potete occuparvi, o di cui dovreste preoccuparvi.»
«A quei codardi andrebbe solo data una lezione.» Mi acciglio.
«Così la vostra soluzione sarebbe farmi vedere ai loro occhi esattamente per quello che credono che io sia.» Ride, ma gli occhi rimangono spenti, di un castano cupo. «Tipico di voi.»
«Tu sei un soldato capace. Una guardia impeccabile.» Lo afferro per la manica.
«Tu sei migliore di loro.»
«Io sono soltanto il cagnolino fedele della Maël.»
Rimane impassibile mentre lo dice, ma sento il peso delle sue parole gravare sul mio petto come una lama affilata puntata sul mio cuore.
La mia mano, stretta nella stoffa della sua divisa, scivola verso il basso, scontrandosi con il calice di vino, che cade a terra con un tintinnio stridulo.
«Il vino non è di tuo gradimento, mia cara?»
Mio padre è di nuovo qui. In piedi, davanti al suo trono. L'espressione infastidita è stata sostituita da qualcosa più simile alla frustrazione, allo sconforto. Fa cenno alle sue donne di avvicinarsi, mentre lui si riaccomoda sul trono con un sospiro. Provo a leggere nei suoi occhi cosa pensa, ma lui non mi guarda. Come sempre.
«Il vino non ha nulla di male, Padre.» Faccio per riprendere la coppa, ormai vuota, ma le mani di uno dei camerieri sono già su di essa, come un rapace a picco sulla preda.
«Drystan, dovresti tornare alla tua postazione.» Il Narchin non si volta neppure.
«E tu Morana... potresti unirti alle danze... Pare che il Maël di Akrasia sia sprovvisto di una dama.» Non ho alcuna voglia di ballare, tanto meno con Weylin.
«Certo, non vedo perché dovrei rifiutare.» Così come Evander poco fa, però, mi alzo, dando un'ultima occhiata a Drystan.
I suoi muscoli sono tanto rigidi da essere visibili ad occhio nudo.
Sta per bloccarmi, ma deve rendersi conto che farlo in questo momento, proprio davanti a mio padre, sarebbe un affronto troppo grande.
«Con il vostro permesso.» Si allontana, quindi, precedendomi.
«Comportati come si conviene ad una Maël. Almeno stasera.»
Sento la voce di mio padre, mentre scendo gli scalini, e gli riservo lo stesso trattamento che lui ama dare a me. Faccio finta di non udirlo, e cammino per la mia strada.
Intercetto Cerelia a pochi metri di distanza, e mi dirigo verso di lei: incespica nei suoi stessi passi, con un bicchiere di cristallo tra le mani. La raggiungo e bevo tutto d'un fiato.
Senza dirle una parola.
«Signorina.» Mi avverte, con la mano ancora a mezz'aria.
Il petto va a fuoco. Una sensazione che mi distrae da tutto il resto.
Adesso annegare le mie preoccupazioni nell'alcool non mi sembra una cattiva idea.
Magari potrei dimenticare che potrei essere vittima di un attentato, che la mia guardia è stata ferita per colpa mia, che mio padre mi odia, e che mio fratello è infelice... forse se bevessi abbastanza vino, potrei persino sperare di trovare piacevole la compagnia di Weylin.
«Dovresti berne uno anche tu, Cerelia.» Mi avvicino al tavolo più vicino con facilità, e le porgo una coppa, incoraggiandola a berne il contenuto.
«Signorina, non credo che sia il caso.» Lei arriccia il naso.
«Forza, tutto d'un fiato.» Seguo il mio stesso consiglio, bevendo dal mio bicchiere, per poi afferrarne un altro, mentre l'ansia lascia il posto ad una sorta di soffusa serenità.
«Signorina.» Prova a ripetere Cerelia.
Si guarda intorno, come in cerca di qualcuno che possa aiutarla.
Io sorrido. Non lo troverà.
Drystan è tornato alla sua postazione all'ingresso, ed anche se volesse, non potrebbe allontanarsi da lì. Sento comunque i suoi occhi puntati su di me. Riesco a provare la sua stessa preoccupazione, mentre bevo un altro sorso dal nuovo bicchiere, questa volta con più calma.
«Andiamo, Cerelia. Non c'è cosa peggiore che bere in solitudine.» Mi lamento, porgendole ancora una volta il secondo bicchiere che mantengo nella mano sinistra.
«Qualcosa di peggiore potrebbe esserci...» Il vino mi viene sottratto.
A prenderlo, però, non è Cerelia.
Mi ci vuole un attimo per capire chi è.
«Vi dispiace?» Il Maël Calian mi fissa con aria di superiorità, poi, senza aspettare il mio assenso, beve dal bicchiere con un sorriso.
Mi guardo le mani. Ha preso quello nella mano destra. Quello da cui stavo bevendo io.
«Affatto, Mio Signore.» Probabilmente non ci fa neppure caso, ma io vorrei assestargli un bel gancio destro sulla guancia squadrata che si ritrova.
«Volete sapere cosa penso, Signorina?»
Decisamente no.
Se ne sta semplicemente qui, in piedi davanti a me, con i suoi occhi neri che sembrano una colata di petrolio in una pozza infinita di oscurità.
Ora che è così vicino a me, mi rendo conto di quanto in realtà sia più attraente, e alto... devo alzarmi sulle punte per riuscire ad essere alla sua altezza, a discapito dei tacchi che indosso.
«Vi prego di illuminarmi.» Non avrei potuto essere più ironica, eppure la sua faccia è tanto seria da non riuscire a capire se mi stia prendendo sul serio, o se semplicemente sia disinteressato al mio disappunto nei suoi confronti.
«Mi rende triste vedere una donna giovane e avvenente come voi, perdere la propria lucidità nel fondo di un bicchiere.» La sua voce è roca, profonda, terribilmente accattivante.
«Chi vi dice che io stia perdendo la lucidità?» Bevo un altro sorso, tanto per contrariarlo.
«Quindi mi state dicendo, che se adesso io vi invitassi a ballare, i vostri piedi sarebbero fermi, come quelli di ogni altro danzatore cosciente?»
Dovrebbe essere un modo creativo per invitarmi a ballare?
Oppure è una sfida, quella che mi sta lanciando?
Dalla sua faccia compiaciuta, direi più la seconda.
Probabilmente vuole mettermi in imbarazzo davanti al mio stesso popolo. Forse crede di riuscire a mettermi in cattiva luce con i presenti.
Quali che siano i motivi, comincio a sentire il formicolio dell'eccitazione attanagliarmi il ventre, e non posso fare a meno di ridere.
«Non saprei, Maël...?» Gli porgo la mano libera, in attesa che si presenti.
«Calian Drabek Choi. Maël di Emona.» Si esibisce in un teatrale inchino, baciandomi la mano.
Le sue labbra ne sfiorarono leggermente il dorso.
«Allora, Calian Drabek Choi di Emona...» Scimmiotto il suo nome. «Vogliamo scoprirlo?»
Per un istante si limita a fissarmi, senza capire. Poi fa un passo di me, inebriandomi del suo profumo. Ha lo stesso odore della foresta: selvaggio e solitario, come se il bosco fosse il suo habitat naturale, e ne avesse portato un po' con sé. Ne riesco a percepire l'essenza, mentre lui si sporge pericolosamente sul mio viso. Sento il suo respiro sul collo, i suoi capelli che mi solleticavano la spalla.
Vedo Cerelia trattenere il respiro, e faccio lo stesso.
«Non credo che questo ti serva.» Calian mi toglie il bicchiere dalle mani, appoggiandolo sul tavolo dietro di me, non prima di averne bevuto il contenuto, senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Siete piuttosto schietto.» Ribatto, quando si allontana.
«E' una delle mie più grandi qualità.» Stringe la mia mano nella sua, e per poco non mi pianto con i piedi per terra. Non indosso neppure dei guanti, eppure lui non si fa scrupoli a toccare la mia pelle nuda. Ad Emona non insegnano le buone maniere?
Sto per chiederlo a voce alta, ma abbiamo troppi occhi puntati addosso, così fingo di essere del tutto a mio agio e lo seguo. O meglio, lascio che lui segua me, passandogli davanti, per guidarlo verso il centro della pista. Cerelia ci rincorre per qualche metro, poi si ferma. Leggo il dubbio nei suoi occhi argentei. Non ha la minima idea di cosa fare.
Neppure io, mia cara Cerelia.
«Divertiti.» Le mimo, quindi, con le labbra, prima di sparire in mezzo alla calca.
Sospiro.
«Siete già stufa di me?» Calian si ferma, così di colpo che la mia schiena va a sbattere sul suo petto. Provo a sfuggire dalla sua presa, senza troppo successo.
Non sono neppure brilla, eppure la sua presenza mi fa sentire come se avessi bevuto troppo.
«Non di voi, Mio Signore. Solo della musica.» Mi volto verso di lui e sorrido.
Si è creato un vuoto di persone intorno a noi. Ci hanno lasciato lo spazio per ballare, ed ora è come se fossimo all'interno di una piccola bolla.
Non riesco a distogliere lo sguardo dal suo, mentre sento l'adrenalina cominciare a scorrere nelle vene, come droga dalla quale non ci si può liberare. Non ho scampo.
Calian lascia la presa su di me, facendomi aggrottare le sopracciglia.
Lo vidi dirigersi verso l'orchestra, parlando a voce bassa con il direttore.
La musica sfuma, fino a divenire silenzio.
Adesso oltre agli occhi, anche le orecchie sono attente ad ogni mio più piccolo sospiro, respiro, fiato. Nessuno ha il coraggio di emettere un suono.
«Spero che i miei gusti non vi deludano.» Calian torna da me.
La sua mano mi cinge la vita, abbracciandomi teneramente, ed io mi ritrovo con il respiro spezzato. Riesco a notare di sfuggita il viso corrucciato di Weylin, mentre si avvicinava a noi, insieme a Ezio e Theron, e alle altre innumerevoli facce sconosciute che adesso ci fissano apertamente, curiose ed estasiate della novità che stiamo apportando alla serata. Vorrei guardarli meglio, capire cosa stanno pensando, ma Calian mi prende il mento, costringendomi a guardarlo.
«Dovreste concentrarvi su di me.» Il suo è un ordine nascosto in una richiesta, e quasi sorrido, perché per la prima volta non sono io a farlo.
Adesso i miei occhi sono puntati nei suoi. Sento la sua mano bruciare sulla mia schiena.
Le dolci e semplici note di una ballata romantica si diffondono nell'aria, mentre i nostri petti rimangono a qualche millimetro di distanza l'uno dall'altro, tanto vicini da permettermi di sentire quello di lui alzarsi ed abbassarsi a ritmo del suo respiro irregolare.
Il suo viso è privo di espressione, ma i suoi piedi si muovono incerti sulla prima nota, rovinandone impercettibilmente l'armonia.
«Mi sembrate piuttosto impacciato, Mio Signore.» Volteggio su me stessa, in un turbinio di verde stoffa, prima di tornare tra le sue braccia. Sono ferme, e forti. Salde sulla mia pelle. Scivolano su di me, amalgamandosi ad i movimenti sinuosi del mio corpo.
«Sono pur sempre un uomo.» Sorride, e quasi dimentico che la sua è una risposta ad una mia provocazione. «L'arte della danza non è nelle mie corde.» Ammette. «Non quanto quella del combattimento e della disciplina, almeno.»
«Ci vuole disciplina anche nella danza.» Ribatto, creando un arco sul pavimento con il piede, abbassandomi all'indietro, pigramente.
«Ma anche talento.» Mi tira di nuovo su di sé ed io scoppio a ridere.
«Appurato che voi non ne abbiate per il ballo.» Lascio che la sua mano si spostino verso l'alto, guidandomi in un lento giro. I suoi occhi sono ancora puntati nei miei. «Qual'è l'arte per cui credete di aver talento?» La seduzione magari...
«Passate del tempo con me, e arriverete a scoprirlo.» Sogghigna.
Io mi allontano stizzita, piroettando, e saltando a mezz'aria, fino a quando non arrivo al limitare del cerchio intorno a noi.
Mi giro di nuovo verso di lui e sorrido solare.
Solo quando inizio a prendere la rincorsa, lui sgrana gli occhi.
«Non vorrete farlo sul serio.»
Vedo l'accenno di panico nei suoi occhi, ma è troppo tardi, mi sono già lanciata verso di lui, che allunga le braccia, e mi prende appena in tempo, prima che possa cadere. Mi fa girare in tondo, stretta sul suo petto, mentre il mio abito si apre, dando vita ad un ventaglio di verde.
Sorrido, ma lui non perde tempo a rovinarmi l'umore.
«Sei piuttosto pesante, te lo hanno mai detto?» E' affannato, ma al contrario delle sue parole, mi fa scendere con leggerezza, usando il suo corpo come appiglio, in modo lento, calibrato, sensuale.
«E voi siete piuttosto rozzo, ve lo hanno mai detto?»
«Spesso, in realtà.»
Parlare gli fa perdere la percezione della musica, rendendogli più difficile seguirne il ritmo. Me ne rendo conto non appena il suo piede si muove in avanti qualche attimo prima del necessario, quasi pestando il mio.
«Vorrei dire di esserne sorpresa, ma non lo sono affatto.»
Agli occhi di chi ci sta guardando, probabilmente potrebbe sembrare persino un ottimo ballerino, ma io percepisco in un istante che tutto quello che Calian sta facendo, non è altro che analizzare i miei passi, imitandone la sequenza e la cadenza. Non ha la più pallida idea di quello che sta facendo, ma è bravo a creare l'illusione.
«Percepisco dell'ironia nella vostra voce.» Mi fa piroettare.
«E io avverto menzogna nella vostra.»
Stringo un po' più forte la presa della mia mano sulla sua spalla.
«Cosa vi fa pensare che io stia mentendo? E su cosa, in particolare?» Calian perde nuovamente il conteggio dei passi, scoordinando i movimenti fluidi della danza.
«Siete davvero un pessimo bugiardo, oltre che ad un pessimo ballerino.» Lo spingo via, volteggiando nuovamente da sola, inebriandomi della sensazione della seta che si aggroviglia alle caviglie, mentre il lampadario perde concretezza, diventando un'unica, mutevole sfera luminosa... Mi sento leggera.
«Non vi lascerò scappare. Non prima di aver sentito le vostre ragioni.» Calian mi riafferra.
La sua presa è così... così...
Forse mi sarei dovuta fermare al primo bicchiere, perché sono inebriata dalle sensazioni che il suo tocco scatena in me.
Provo a concentrarmi.
Rientro in contatto con la musica, con il battito del mio cuore accelerato.
«Ogni Maël riceve la stessa educazione.» Lascio che le mie mani cerchino le sue, sfiorandole leggermente. «E' insolito vedere un nobile ballare nel modo in cui lo fate voi.»
«Questo mi rende un impostore?» Socchiudo gli occhi.
«Il vostro linguaggio non è abbastanza formale. A causa della vostra disattenzione, un paio di volte vi siete dimenticato di usare con me i modi di cortesia, dandomi del tu, invece che del voi. Mi avete presa per mano, anche se non indosso i miei guanti.» La musica comincia a sfumare, rallentando. «La vostra presentazione è stata pessima. Non credo che il vostro modo di approcciare sia da considerarsi adatto ad un uomo del rango che tentate di impersonare.»
Gli permetto di sollevarmi leggermente dal suolo, girando insieme a lui, come un carillon.
«E per finire, Maël.» Soffio, a qualche centimetro dal suo viso. «Il Narchin Koa di Emona ha soltanto due figli dichiarati. Due gemelli di sei anni, se non erro. Se anche voi foste suo figlio, lui non pare avervi riconosciuto il titolo che vantate di avere.» Sono soddisfatta della mia stessa capacità intuitiva, e sorrido ancora.
Sono certa che Calian non sia affatto chi dice di essere, eppure il mio cuore non accenna a smettere di battere per l'eccitazione, piuttosto che per la paura.
«Aesira non mentiva sulle tue doti.» Questa volta sono io ad incespicare nei miei stessi passi.
«Non credevo che una principessina come te potesse essere tanto bella, quanto scaltra.»
Calian, però è più veloce di me. Mi prende, prima che possa cadere. Appoggia una mano sulla mia schiena nuda, lasciando che la mia défaillance si trasformi in un lento casqué.
La sua goffaggine svanisce, sostituita da un sorriso furbo.
«Come fate a conoscere Aesira?» Chiedo.
Ma la musica è finita, e gli ospiti, che hanno assistito alla nostra esibizione, stanno applaudendo.
«Sorridi, Morana.» Non gli ho mai detto il mio nome, eppure lui sembra sapere perfettamente chi sono.
Ovviamente.
Sono la Maël di questa regione, non dovrei sorprendermene, eppure...
Il mio nome tra le sue labbra pare celare qualcosa di più.
Calian si volta verso il pubblico, mostrandosi in un profondo inchino.
E io vorrei continuare a ballare con lui, parlargli, capire chi è e cosa vuole, ma un attimo prima sono tra le sue braccia, e l'attimo dopo Evander è al mio fianco, mentre mi trascina fuori dalla calca. Mi parla, ma io non sono attenta.
«Maël Morana?» Mi volto al suono della sua voce, solo per un'istante.
Abbastanza da ricadere nella pozza scura dei suoi occhi.
«Vi ringrazio per avermi dato prova della vostra sobrietà.»
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