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Capitolo 4 -In ogni modo, mio-

All'interno delle mura l'atmosfera è elettrica. L'eccitazione e l'attesa sono palpabili nell'aria, mentre una lieve brezza mi scuote le vesti, ed io cammino tra i corridoi, attenta a non inciampare in nessuno dei servitori.
Sono tutti assorti nel proprio lavoro, e corrono di qua e di là, come delle formiche operaie, posizionando fiori, accendendo candele profumate, e trasportando vassoi carichi di prelibatezze. Afferro un dolcetto alle noci e uva passa, prima che quella che riconosco essere Jertrude, passa accanto a me. Le rivolgo un sorriso, a cui lei non risponde, poi salgo le scale, in direzione dell'ala ovest, dove risiede mio padre, insieme ad alcuni membri della sua guardia.
«Signorina, la festa comincerà tra poche ore. Non dovreste andarvi a preparare?»
Uno dei soldati, posizionato a guardia delle sue stanze,  mi blocca non appena accenno un passo avanti, dopo l'ultimo scalino. Non lo riconosco.
«Stavo solo cercando Aesira, l'hai vista per caso?» Allungo il collo, alla ricerca della diretta interessata, ma tutto ciò che riesco a vedere sono delle ancelle, che passeggiano allegre davanti alla camera da letto padronale. Una di loro mi vede, e aggiustandosi la spallina dell'abito, in modo da coprire le sue nudità, si affretta ad uscire dalla mia visuale.
«Il capo delle guardie non è qui.» Se potesse, probabilmente la guardia mi spingerebbe via con la forza. E' chiaro che non abbia la minima voglia di discutere con me, così come è chiaro che è la sua prima volta nell'ala ovest. «Le vostre ancelle vi staranno di certo attendendo nelle vostre stanze, Signorina.» All'inizio sono sempre così. Ligie al dovere e desiderose di compiacere il volere del Narchin. Si limita, quindi, a fare un passo in avanti, costringendomi ad arretrare.
Dietro di lui qualcuno chiude la grande porta in legno grezzo che isola l'ala, azzerando ogni mia probabilità di riuscire a trovare ciò che sto cercando.
«D'accordo.» Alzo le mani in aria, in segno di resa.
Sono passati due giorni, ma da quando abbiamo lasciato la radura, Aesira e Drystan sono praticamente scomparsi. A nulla sono serviti i miei tentativi di sgattaiolare in camera di Drystan, o di intercettare Aesira durante i suoi turni di guardia. Nulla. Sembrano essersi dileguati. 
Mio fratello lo ha attribuito alla festa di stasera, confortandomi nel pensiero che entrambi si stiano preparando a ricevere i nostri ospiti in piena sicurezza.
Io trovo solo che sia strano.
«Questa giornata diventa sempre più deprimente.» Trascino i piedi sul pavimento, priva di buone maniere. Tanto a nessuno importa. Sono tutti così presi dal ballo, da evitare persino il mio sguardo, mentre si agitano intorno a me come dei cavalli da corsa.
Un'ancella per poco non mi fa capitolare per le scale, intenta com'è a non far cadere delle tartine dal suo stracolmo vassoio in oro. Nemmeno si scusa.
Si assicura soltanto che il suo carico sia intatto, prima di riprendere il cammino.

«Non capisco cosa ci sia di così entusiasmante in uno stupido ballo.»
Sprofondo un po' di più nel soffice divano a due posti, proprio accanto a mio fratello. 
Mi sono rifugiata nell'unico posto in cui credevo di trovare un po' di pace.
Ma anche questo piccolo barlume di speranza, è stato spazzato via, non appena i miei occhi si sono posati sulle poltrone davanti a me. Una delle quali è occupata da un placido Ezio, nascosto dietro al suo taccuino.
«Così come non riesco a comprendere come mai anche tu sia qui, Ezio.» La mia voglia di litigare è direttamente proporzionale alla mia voglia di vederlo. Ma sono troppo stanca per discutere.
Lui alza lo sguardo, sorridendomi lievemente, prima di tornare a disegnare. Mi chiedo come faccia a farlo in ogni momento della giornata, e quali siano davvero i suoi soggetti. Gli chiederei persino di mostrarmeli, se la mia antipatia nei suoi confronti non superasse così tanto la mia curiosità.
«Dovresti lasciarlo in pace. Non ci sono molti svaghi in questa casa per un ospite straniero.»
Mio fratello mi si avvicina. Non mi ero neppure resa conto che si fosse alzato, ma adesso è proprio davanti a me, e mi porge una tazza di quello che sembra latte caldo, sulla cui superficie galleggia un piccolo fiore di camomilla. «E poi, se lo avessi lasciato gironzolare per il palazzo, avrebbe di certo ostacolato il lavoro di qualcuno.» Mi fissa, facendomi istantaneamente sentire in colpa.
La finestra è chiusa, eppure nell'attimo in cui rimaniamo in silenzio, riesco a sentire il rumore del vento attraverso gli alberi. Quanto vorrei uscire...
Prendo un respiro profondo, poi un sorso di latte.
«Questo non risponde alla mia domanda.» Borbotto alla fine.
«E' tradizione, qui nella regione di Nezia, festeggiare l'apertura della stagione di caccia con una festa in onore della compassionevole ed amorevole madre Natura; così come è usanza del popolo, riempire le strade del colore più verde che riescano ad avere, indossando abiti accessori dello stesso, per omaggiare il dono della vita.» Theron, in piedi alle spalle di Ezio, guarda fisso davanti a sé, poi si rivolge a me. «E' per questo che il signorino è qui.»
«Non credo che Morana necessitasse di una lezione di storia.» Ezio colpisce il ragazzo con il taccuino aperto.
«Volevo solo rispondere alla domanda della Signorina. Pareva essere a disagio, nel non ricevere una risposta.» Si giustifica, lui. Ezio alza gli occhi al cielo.
«Ha ingoiato un manuale di storia contemporanea o cosa?» Rido.
Evander si stringe candidamente nelle spalle. Non è nella sua natura giudicare qualcuno, e la sua gentilezza gli impedisce allo stesso modo, di darmi torto in maniera diretta.
«Tentava solo di aiutarti ad alleviare lo stress.» Ezio chiude con un colpo secco il taccuino, appoggiandolo sul tavolino basso che ha davanti.
«Il mio stress non è nulla che riguarda lui, ne tantomeno te.»
«Questo non ti autorizza a prenderti gioco di quello che dice.» I suoi occhi sono fiammeggianti.
«Quando smetterete di litigare come due poppanti?» Evander si passa una mano tra i capelli biondi, portandoseli indietro. Sono tanto lunghi da permettergli di legarli dietro la nuca, ma dei ciuffi gli sono sfuggiti dalla treccia accennata, coprendogli le guance. 
«Ha cominciato lei.»
Ezio mi indica con l'indice, facendo brillare l'anello della famiglia Delvaux nel cono di luce che attraversa la finestra. Un brivido mi percorre la schiena, facendo ondeggiare il fiorellino sulla superficie del latte.
E' solo nato nella famiglia sbagliata. Non fargliene una colpa.
«D'accordo. Mi dispiace.» Sospiro.
«Sei così altezzosa e viziata che...» Ezio si blocca. «Aspetta, cosa?»
Sembra sorpreso quanto me, dalle parole che hanno appena lasciato le mie labbra.
«Hai sentito. Non farmelo ripetere una seconda volta.» Svuoto in un sorso il resto della tazza e mi alzo. «Adesso vado a prepararmi.» 
Non ho nemmeno il coraggio di voltarmi, ma sono certa di vedere con la coda dell'occhio mio fratello sorridere. Scuoto la testa ed esco. 


Faccio un bagno caldo, ringraziando che l'acqua corrente non sia una delle "tecnologie" abolite, e lascio che i miei capelli si asciughino nella brezza, mentre ammiro la superficie del lago riflettere la luce rosea del tramonto, affacciata al terrazzino che si sporge sul giardino principale. L'aria è piena del rumore delle carrozze, e dello scalpiccio ritmico dei cavalli al trotto. Mi rigiro il pugnale di Aesira tra le mani, concentrandomi sul mio respiro, fino a quando non diventa regolare, man mano che la lama mi scivola tra le dita, calibrandone il peso. 
«Signorina!» Fulminea, infilo l'arma sotto la vestaglia, agganciandola alla giarrettiera di pelle.
«Gli ospiti sono già qui.» Cerelia corre fuori, trafelata.
«Dovresti vivere con maggiore serenità, Cerelia. Finirai per lasciarci le penne se continui ad affannarti così.» La rimprovero. 
«Non mi è permesso morire prima di voi, Signorina.»
La serietà con la quale lo afferma è tale da farmi rabbrividire. C'è davvero una clausola nel suo contratto che le impedisce di passare a miglior vita prima che lo faccia io? E' terribile...
«Non fate quella faccia corrucciata. Stavo solo scherzando.» Lei ride, ed il suo viso si illumina.
«Il tuo modo di scherzare è davvero pessimo.» Le sue labbra si curvano ancor di più, lasciando i denti scoperti. Sono leggermente asimmetrici, ma rendono i suoi lineamenti dolci, genuini. Mi prende per il braccio, trascinandomi con sé.
«Forza Signorina, non abbiamo altro tempo da perdere.» 

«Siete davvero magnifica.»
La modista ha mantenuto la sua promessa, portando il vestito a palazzo il giorno dopo la nostra ultima prova. Si è persino offerta di vestirmi questa sera, ma io ho gentilmente rifiutato. Non potrei sopportare ancora le sue domande indiscrete, così ho lasciato che Cerelia e le altre ancelle mi assistessero nella preparazione.
Cerelia mi fa voltare verso lo specchio, facendo un passo indietro per impedire che la sua figura sia nella mia visuale. Ci sono solo io. La seta mi fascia il corpo, rendendo i miei movimenti meno fluidi, ma più eleganti. Il corpetto, decorato con graziosi fiori sintetici, si apre verso le maniche sblusate, anch'esse ricoperte di motivi floreali, e lascia il petto scoperto.
Come da suggerimento, Miss Blanca ha rinforzato la sua struttura esterna, rendendolo simile ad una gabbia interamente rivestita in oro, che si incrocia sul seno e raggiunge il collo, addolcendo la scollatura profonda, ed equilibrandone le linee.
Cerelia he legato i miei capelli alla base della nuca, intrecciandoli ordinatamente, e lasciando ricadere il resto delle ciocche mosse sulle spalle, decorandole con delle margherite selvatiche e piccoli rametti di mughetto. L'odore mi solletica le narici, facendomi arricciare il naso.
«Ci sono dei gioielli che volete indossare?»
Neev, la più giovane delle ancelle, intreccia l'ultimo fiorellino al nastrino verde nei miei capelli, canticchiando un allegro motivetto, parlando con il suo solito tono di voce pacato. Istintivamente porto la mano al collo. Il ciondolo della mamma è ancora qui.
«No, mi basta questo.» E' un semplice cuoricino d'argento, sul quale ci sono incise le nostre iniziali. Mia madre lo ha sempre indossato, e quando è venuta a mancare, me ne sono fatta carico, con la promessa di non toglierlo mai, proprio come aveva fatto lei. «E' una festa per celebrare la natura, non il lusso.» Sorrido.
«Come desiderate.» 
Neev continua a canticchiare, rendendo l'atmosfera piacevole. 
Un rumore, però, interrompe la sua spontanea allegria.
Mi blocco, cercando di capire da dove provenga.
Sembra un rumore di passi, sono pesanti, e veloci.
Si fermano, proprio davanti alla mia porta. La mia mano si appoggia sulla gonna, all'altezza del pugnale. 

«Maledizione.» Senza nemmeno bussare, Drystan entra nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovici sopra con forza. Neev si nasconde istintivamente dietro di me.
«Signorina. Devo parlarvi. » E' affannato, trafelato. Scocca un'occhiata in tralice alle mie ancelle, suggerendo indirettamente loro di andarsene, ma senza un mio esplicito ordine, le ragazze rimangono ferme al mio fianco. Alternano gli sguardi confusi tra me e Drystan, indecise sul da farsi.
«Mio signore, non potete fare irruzione nella camera di una dama in questo modo, benché meno in quella della Signorina. » Yvaine, è la prima a parlare. E' rimasta in disparte tutto il tempo, eppure ora che Drystan è entrato nella camera, pare illuminarsi alla sua vista, avvicinandosi con uno sguardo malizioso che non ha nulla a che vedere con le parole da lei appena pronunciate.
«Dovreste uscire.» Si appoggia su di lui, cercando di spingerlo fuori. Ovviamente senza alcun risultato, se non il chiaro fastidio negli occhi di lui.
E' evidente che stia tentando di attirare la sua attenzione, così come è evidente che la mia guardia non abbia occhi che per me. Mi supplica silenziosamente di intervenire, ma io rimango immobile, così lui sospira.
«Il mio ruolo è quello di proteggere la Signorina. E posso farlo solo se le sono accanto.» La sua voce è dolce, canzonatoria. «Credo, quindi, che il mio posto sia proprio qui, in questa stanza.» Sposta Yvaine con la sola forza di un braccio, quasi sollevandola dal pavimento, per farsi strada verso di me.
«Ironico che tu lo dica.» Alzo una mano, facendolo fermare. «Non parevi di questa stessa opinione, prima di entrare da quella porta.» Ore, giorni. Ecco da quanto non è al mio fianco.
«Morana.» Tenta.
«Lasciateci soli.»
Al suono della mia voce, tutte le ragazze si affrettano alla porta. Tutte, tranne una.
 Yvaine corre verso Drystan, quasi cadendo ai suoi piedi.
«Mio signore, voi sembrate essere ferito.» Guarda la sua gamba, e impallidisce.  «Santo cielo, cosa vi è successo?» Prova ad analizzare i danni, scostando leggermente il tessuto dei pantaloni. Drystan serra la mascella.
«Vieni qui, Yvaine. Sono certa che la Maël possa occuparsi da sola della questione.»
Cerelia le afferra un lembo della camicetta, cercando di tirarla via con sé, ma lei non accenna a spostarsi.
Neev abbassa lo sguardo. Sono certa che se potesse, se ne andrebbe da sola.
«Non sapevo che tra le mansioni delle ancelle vi fosse anche quella di prendersi cura delle guardie ferite.» Mantengo la calma, e mi siedo placidamente sul baule al fondo del mio letto, accavallando le gambe. «Devo dedurre che non ti siano stati spiegati bene i tuoi doveri?» 
«Perdonatemi, Signorina.» Cerelia accenna un inchino, aggrappandosi a Yvaine, in modo che si pieghi anche lei. «Forse sono stata troppo indulgente nei miei insegnamenti.» Yvaine si ribella, ma la presa di Cerelia la costringe a rimanere con lo sguardo chino. 
«Non prenderti colpe che non hai, Cerelia.»
Non è la prima volta che una delle domestiche più giovani provi interesse per Drystan.
Ho persino l'impressione che lui si intrattenga con una o più di loro, nel suo tempo libero... eppure, tentare un approccio di questo tipo davanti ai miei occhi... Lo trovo del tutto fuori luogo, e mi fa perdere il controllo. Drystan è mio.
«A quanto pare mio padre non ha badato a spese per la festa di stasera.» Colgo un fiorellino sfuggito dalla mia treccia e me lo rigiro tra le dita. «Le cucine saranno di certo sprovviste di mani esperte e gentili come le tue.» Ne strappo petali. Uno ad uno. «Se sei così desiderosa di dare una mano a qualcuno, dovresti andare lì, e beneficiare di questa esperienza per capire a fondo quale è il ruolo che ricopri all'interno di queste mura.»
«Signorina, io...» Yvaine si abbassa un po' di più, questa volta senza l'aiuto di Cerelia.
«Uscite fuori.» Non ha più la mia attenzione. «Tutte voi.» Indico la porta con un cenno.  
Yvaine tentenna, ancora una volta, ma Neev le si avvicina, prendendole il braccio e tirandola via. Fa un mezzo inchino nella mia direzione, poi si dilegua dietro la porta.
«Chiedo scusa, Signorina.» Cerelia è l'ultima ad uscire.
«Assicurati solo che non entri più nelle mie stanze.» Dico. Lei fa un cenno del capo, poi si chiude la porta alle spalle, lasciandomi da sola con Drystan.
«Dove sei stato?»
Lo squadro, dalla testa ai piedi. E' sudato, e sporco di fango.
Ormai lo vedo solo in questo stato.
«Ciao anche a te, Ana.»
Si scioglie dalla posa ingessata che aveva assunto in presenza delle ancelle, e mi viene incontro, sedendosi sul bordo della toeletta, prima di attirarmi verso di sé. Le gambe accavallate mi fanno perdere l'equilibrio, e gli finisco praticamente addosso.
«Sei bellissima.» Persino con i tacchi, rimango più bassa di lui quasi di una spanna. «Soprattutto quando sei arrabbiata.» Lo specchio dietro di lui riflette l'ombra delle sue spalle larghe, coperte dal maglione nero a collo alto. Da questa angolazione la sua schiena pare ancora più ampia, e i muscoli che guizzano ad ogni suo movimento, ancor più definiti. Appoggio le mani sui suoi bicipiti e mi scosto leggermente. «Anche quando non capisco il motivo della tua ira.»
Alza un sopracciglio.

«Non fare il finto tonto. Yvaine stava cercando di sedurti. Era chiaro.»
Stavolta mi allontano del tutto, facendo un passo indietro.
«Così come era chiaro che non avrei risposto alle sue provocazioni.» Mi afferra velocemente per il polso, tirandomi nuovamente su di lui. «Non davanti a te, comunque.» Ammicca.
Dio, come lo odio. Ero arrabbiata con lui per essere sparito ancora, ma adesso... adesso la lista delle cose per cui nutro rabbia si stanno accavallando. 
Lo colpisco sul petto. Un colpo troppo leggero per fargli male, eppure lui trasalisce ugualmente, reprimendo un gemito di dolore.
Probabilmente la ferita alla gamba non è l'unica che ha.
«Ti sei allenato con Aesira?» Spiegherebbe il perché non sono riuscita a trovare nessuno dei due.
Ma non spiegherebbe tanto altro.
«Morana.» Supplica, ma io non lo sto ascoltando. Gli tasto le braccia, poi il petto, la vita...
Uno dei lati dei pantaloni è strappato, e lascia scoperta una lesione che sembra causata dalla lama di una spada.
«Deve esserci andata giù pesante, considerato che ti manca un bel po' di stoffa.» Alzo il bordo del suo maglione malconcio, passando con l'indice sul pezzo di pelle adesso visibile, dove fa bella mostra di sé un enorme ematoma violaceo. Drystan trasalisce nuovamente, prima di stringere la mia mano con la sua, per evitare che continui a torturarlo.
«Non è stata Aesira.» Trattiene il fiato. 
Quindi è stato ferito durante un combattimento vero?
Si è trovato in pericolo, ed io non ero con lui.
«Allora chi?» Per qualche strano motivo, anche se ormai è diventato una guardia, nella mia testa Drystan dovrebbe continuare a rimanere soltanto al mio fianco, sotto una campana di vetro, lontano dalle situazioni che potrebbero attentare alla vita di entrambi.
Una visione che in quel momento sembra così ironica ed infantile, da farmi provare vergogna per me stessa. «Dimmi chi è stato, Drystan.» Le mie dita sono ancora intrecciate alle sue, calde e piene di calli. Per un attimo la pressione tra di esse aumenta, prima di cessare del tutto.
«Non è qualcosa che dovrebbe riguardarti.»
Adesso lo ammazzo. Con le mie stesse mani.
«Continui a non parlarmi. Continui ad allontanarmi.» 
Vorrei prenderlo a pugni. Forse il dolore e la violenza sono le uniche parole che conosce davvero. E vorrei urlare. Permettere alla frustrazione di venire fuori, e mettere a soqquadro questo posto. Vorrei che non ne rimanesse altro che cenere. 

Tutto quello che riesco a fare, però è tirare fuori un sussurro appena udibile, come se di fronte a me ci fosse un bambino impaurito, e non un uomo adulto, alto quasi il doppio di me.
«Non ti sto allontanando.» Il tono esprime esattamente l'opposto. «Sono qui, no?»
Scoppio a ridere. Se non avessi questa treccia tra i capelli, me li strapperei uno ad uno.
«Certo, sei qui. Ma è come se tu non ci fossi sul serio.» Mi dovrei sentire ferita, ma in realtà mi sento soltanto privata di qualcosa che dovrebbe essere mio.
Drystan mi appartiene. La sua vita è nelle mie mani. Pensare di poterlo perdere, in qualsiasi modo, mi rende irrequieta.
«Le cose sono diventate complicate, ultimamente.» Si stringe nelle spalle.
«Parlamene. Dimmi cosa c'è che non va. Dimmi dove sparisci ogni giorno. Dimmi. Cos'è che stai cercando di fare, veramente?»
Odio. Odio davvero quando le situazioni mi sfuggono di mano, e temo che con Drystan le cose stiano convergendo verso un punto troppo lontano da me.
«Sai perfettamente che l'unica cosa che voglio è che tu sia al sicuro.»
E' sincero.
Ma questa volta la sincerità non basta.
«Tenermi all'oscuro di quello che ti succede, e impedirmi di vederti quando ne ho voglia, sono cose che ti fanno credere che io sia al sicuro?» E' partito come un rimprovero, ma si trasforma in una supplica man mano che i nostri corpi tornano a toccarsi.
Percepisco le labbra di Drystan sfiorarmi la guancia, il suo fiato solleticarmi il collo.
«Sei l'unica alla quale devo la mia vita e la mia fedeltà.»
Sussurra su di me.Un brivido mi percorre la schiena leggermente scoperta, mentre la sua mano mi risale il fianco, mi accarezza la vita, poi il braccio, la spalla... si ferma sulla mia schiena, attraendomi a sé.
I suoi muscoli. Li percepisco sotto il mio petto, che si alza e si abbassa in modo troppo veloce, troppo agitato. I suoi occhi castani sembrano infuocarsi, quando alla fine smetto di fare resistenza e passo una mano sul suo viso. Le mie labbra ad un centimetro dalle sue.
«Sei davvero una pessima guardia.» Lo bacio. E dapprima il contatto è leggero, gentile... poi diventa più feroce. Bisognoso.
Drystan mi stringe a sé, mentre le sue labbra si muovono sulle mie. La sua lingua le sfiora, prima di raggiungere la mia, assaporarla.
Dio, mi era mancato.
«E tu una pessima Maël.» 
Maël. Sì. Io sono una Maël. Sono la figlia del Narchin di Nezia.
Drystan è la mia guardia. Il mio soldato.
Lo scosto lentamente dal mio corpo e mi pulisco le labbra con il torso della mano, prima di prenderlo per l'orlo della maglietta e trascinarlo verso il letto, sul quale lo spingo, stando attenta a non sgualcire le pieghe del mio abito.
Spero che non lo abbia macchiato con lo sporco che ha addosso.
Mi sorride, malizioso.
«Togliti i pantaloni, e anche quello stupido sguardo dalla faccia.»
Fisso brevemente le mie vesti, assicurandomi che non ci siano segni di alcun tipo.
«Non credevo che alla Maël piacesse approfittarsi delle pessime guardie ferite.» <
Drystan puntella le braccia sul materasso, guardandomi dal basso.
«Chiudi la bocca e fa ciò che ti dico.» Tolgo le scarpe, così da essere più veloce, e raggiungo la cassettiera a piedi nudi. «Hai bisogno di cure, se vuoi tener fede ai tuoi propositi, e proteggermi questa sera.»

Il pavimento è freddo, e mi da modo di schiarire un po' la mente, prima di tornare verso il ragazzo, con un bauletto di legno tra le mani. Lo appoggio accanto a lui, che intanto ha arrotolato i pantaloni fin sopra al ginocchio, lasciando scoperto il taglio arrossato e sanguinante.
Apro il bauletto. All'interno ci sono varie bende di cotone, creme naturali e disinfettanti alle erbe. «Saresti mai capace di farmi del male?» Il suo sguardo è fisso su di me.
«Potrei farti del male in più modi di quanti tu me ne creda capace.» Afferro una boccetta di disinfettante e la verso sul taglio. Senza il sangue che lo incrosta, sembra subito meno grave. Un taglio superficiale causato da uno scontro veloce, o da una mossa affrettata.
Chiunque glielo abbia inferto, non è che un principiante. «Ma oggi puoi stare tranquillo. A preoccuparsi dovrebbero essere i pretendenti che mio padre porterà.» Mi assicuro di pulire bene la pelle attorno alla ferita, prima di coprirla con una striscia di cotone pulita, facendo qualche giro intorno alla gamba, per poi annodarla. «Perché me lo chiedi?» Mi siedo accanto a lui. 
«Non partecipare alla festa. Resta qui.»  
«Fai sul serio?»
«Dì alle tue ancelle che non ti senti bene. Rimani qui, fino a quando il ballo non sarà finito.»
Mi prende per le mani, tanto calde da riscaldare le mie, gelide.
«Drystan, dimmi cosa sta succedendo.»
Sono giorni che si comporta in modo strano. Sospettavo che ci fosse qualcosa di strano in lui, ma adesso ne ho la certezza. Il suo atteggiamento negli ultimi tempi è sempre stato freddo, incostante... evasivo.
Mi nasconde qualcosa.
Drystan abbassa lo sguardo. Rimane in silenzio. Combatte con se stesso.
«Parlami.»
Ogni briciolo di empatia e preoccupazione si dissolve, mentre pronuncio quest'unica parola.
La mia non è più una richiesta, è un ordine.
Drystan pare capirlo all'istante, perché, come tirato da fili invisibili, il suo corpo assume una postura più formale, così come il suo sguardo. Le sue mani smettono di cercare e rincorrere le mie, appoggiandosi, invece, in modo ingessato sulle sue gambe.
«Sembra che qualcuno abbia preso di mira il Narchin.» Ammette. «Abbiamo ricevuto delle minacce, o qualcosa di simile.» Io aggrotto le sopracciglia. «Abbiamo setacciato il confine alla ricerca di informazioni utili, insieme ad Aesira, giorno e notte, ma fino ad ora non è stato trovato assolutamente nulla. Solo un grosso buco nell'acqua.» Ora mi guarda.
I suoi occhi trafiggono i miei.
«Se non siete riusciti a trovare nulla, o nessuno, allora come hai fatto a ferirti?»
«Questo? Beh, questo non c'entra nulla, in realtà. Sono stato punito.» Scuote leggermente la testa. «Ma sai che non è questo il vero problema, adesso.» Indica se stesso.
«Infatti. Il problema è che qualcuno sta tentando di uccidere mio padre, e lui ha comunque voluto dare questa stupida festa.» Ho sempre pensato che fosse un amante dell'eccentrico, ma da qui ad attentare alla sua stessa vita, per un futile evento mondano... «Drystan, tu devi impedirlo. Aesira dovrebbe provare a farlo ragionare. Sarebbe pericoloso non solo per lui, ma anche per il resto di noi. Qualcuno potrebbe farsi male, o peggio: morire per colpa sua.» 
La situazione mi tiene sulle spine, ma non quanto l'espressione sul viso di Drystan.
Gli occhi bassi, le labbra dischiuse, il petto che si muove su e giù, velocemente.
«Aspetta. Come ho fatto ad essere così stupida.» Mi alzo di scatto. «La festa è soltanto un pretesto, non è vero? E' per questo che non gli impedite di farla.»
«Non siamo riusciti a trovare nulla fuori di qui.» Ripete.
«Quindi vi è sembrata un'ottima idea, invitare i nemici di mio padre dentro casa sua?» 
Aesira non è stata solo una maestra d'armi per me: mi ha insegnato la logica, le tattiche di guerra e i provvedimenti del paese in caso di conflitto, insieme ai sistemi che il regno utilizza in casi di pericolo. Quello che Drystan sta prospettando è un piano drastico che porterà ad una vittoria schiacciante o ad una strage di sangue senza precedenti.
«E' una follia, lo riesci a capire?»
«Ascoltami bene, tuo padre è il Narchin di Nezia. Ci sono almeno duecento guardie al suo servizio qui dentro, ed un'intera schiera di funzionari e cittadini devoti che sarebbero pronti a combattere per lui in qualsiasi momento. Se c'è un posto nel quale i suoi nemici potrebbero arrendersi, è il palazzo.» Mi supplica. «È l'unico modo che ho per tenerti al sicuro.»
«Non mentire.» Sputo. «Non a me, Drystan.» Cammino avanti e indietro, troppo scossa per rimanere ferma. «Se fossi stato certo che questa cosa avrebbe funzionato non saresti qui a supplicarmi di rimanere in camera mia.» La testa ha cominciato a fare male, come se i miei pensieri avessero di colpo preso fuoco, annebbiandomi la vista.
«Se lo sai, allora promettimelo: promettimi che non farai nulla di avventato. Promettimi che almeno per questa sera ascolterai quello che ti dirò, e che resterai sempre dove posso vederti. Non potrò proteggerti se non ti avrò vicina.» Si inginocchia, incurante della ferita alla gamba, incurante delle sofferenze che quel gesto gli sta procurando.
«Sono stata educata a combattere per me stessa.» Mi fermo davanti a lui.
«E io sono stato educato a combattere per difendere te.»
Sentirselo dire da lui fa più male di quanto immaginassi.
«Me lo devi promettere, Morana.» Il mio nome tra le sue labbra è piacevole come dolce veleno.
«Tu puoi promettere che non ti farai uccidere per salvare la mia vita?» Mi inginocchio anche io. Ora siamo alla stessa altezza.
«Sai che non posso farlo.» Sembra un bambino.
Gli accarezzo una guancia. La barba appena pronunciata mi graffia la pelle.
«Quello che non puoi fare, è venire meno ai miei ordini.» Lo prendo per il mento. «E questo è un ordine, Drystan.»

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