Capitolo 3 -Krales-
«Facciamo una gara. Cosa ne pensi, Cerelia?»
La nebbiolina del mattino nasconde i rami più bassi degli alberi, rendendo il cielo un'enorme e densa nuvola biancastra. L'aria pungente mi pizzica le guance e rende i miei capelli più crespi al tatto. Li lego in una coda alta per evitare che mi ostacolino la vista.
«Volete davvero che io inizi a correre insieme a voi nel bosco, solo per un vostro capriccio?» Allungo leggermente il collo sopra la spalla. Cerelia è ancora dietro di me, con il fiato corto e le mani a reggere la gonna ampia del suo abito da ancella. Mi ha seguita giù per due rampe di scale, urlandomi di rallentare, ma io non le ho dato ascolto.
«Puoi sempre tornare in casa e far finta di non avermi vista.» Sorrido. «Infondo, non sei stata proprio tu a dirmi che il meglio che possa fare per me stessa e la mia famiglia è diventare più forte?» Fletto, quindi, i muscoli delle gambe. Prima da un lato, poi dall'altro, rilassandoli là dove li sento intorpiditi dalle ore di riposo forzato.
«Il mio suggerimento non vi istigava a venir meno al volere di vostro padre, andandovi ad allenare contro i suoi comandi.» Si acciglia. «Neppure Drystan sarebbe d'accordo.»
Mi stringo nelle spalle, frustrata.
Drystan è di nuovo sparito: il suo letto vuoto e gli abiti accumulati nell'angolo della sua camera ne erano una chiara prova.
Una prova che non potrò in alcun modo usare contro di lui, dato che se solo sapesse che sono scesa di nuovo nell'ala est, probabilmente darebbe di matto.
«Signorina ve ne prego.» Cerelia si incurva con la schiena verso il suolo, tanto che, per un attimo arrivo a credere che i suoi capelli ramati si mescolino al terreno fangoso ai suoi piedi.
«Andiamo, Cerelia. Sai benissimo che mio padre non lo verrà a sapere. Devi solo tornare in camera mia e fare quello che fai tutti i giorni.»
Ho bisogno di allenarmi. Ho bisogno di un po' tempo lontana dal palazzo... non rinuncerò al mio benessere solo per timore di mio padre.
«Cos'è che il caro Narchin Aramis non dovrebbe venire a sapere?» Ezio sposta un ramo basso con il suo taccuino, facendosi strada verso di noi, con la matita appuntata dietro l'orecchio e un sorrisino furbo ad incorniciargli il viso pallido. Alzo gli occhi al cielo.
«Nessuno vi ha mai insegnato il valore di farsi i fatti propri?» Dopo le parole di Drystan la notte scorsa, mi sono ripromessa di dargli una seconda possibilità.
Eppure, adesso, nel sentire i suoi occhi che si posano su di me, guardandomi dall'alto in basso, non riesco a non chiedermi se sia davvero il caso di farlo.
«Credete che possa fare la spia?»
Assolutamente sì.
«No, voglio solo che vi teniate fuori dai guai.»
Complimenti Morana, quasi sembri una persona cordiale.
Forse lo pensa anche lui, perché d'un tratto la sua espressione si fa meno tirata, come se qualcuno avesse smesso di trattenere i cordini invisibili che legano i suoi muscoli, rilassandoli.
«Vi state per mettere nei guai?»
Si avvicina a me e abbassa la voce, dopo essersi guardato intorno brevemente. Il taccuino a coprire le labbra.
«Forse.» Non posso fare a meno di ridacchiare.
«Vengo con voi.»
«Ezio.»
«Non potete impedirmelo. Sono un vostro ospite, non un vostro prigioniero.» Arriccia le labbra.
Cerelia scuote la testa, esasperata, poi mi guarda.
Mi sta supplicando silenziosamente di tornare dentro, e di portare Ezio con me.
Forse è persino la cosa giusta da fare, ma non quella che farò io.
«Rimani nelle mie stanze e non uscire fino a quando non sarò di ritorno.» Il mio tono non ammette repliche. «Per quanto riguarda voi.» Fulmino Ezio. «Tenete il passo.»
Non aspetto che nessuno dei due mi dia cenno di aver capito. Semplicemente affondo con il piede sinistro nel terreno molliccio, e scatto in avanti.
Le piccole goccioline d'acqua che si annidavano sulle foglie dei rami più bassi, comincino a cadere sulla mia testa, dandomi la sensazione di un picchio fastidioso che continua a beccare sui miei capelli, imperterrito ed arrogante.
Le radici spuntano fuori dal terreno.
Cerco di non guardarle, allenando i miei piedi a percepirle, piuttosto che evitarle.
«Arriverò per primo. Scommettete?» Ezio accelera, affiancandomi.
La sua figura, una scia di colori in mezzo al verde cupo della natura.
Si muove veloce accanto a me, sorridendo in modo infantile e genuino.
«Volete scommettere? Vi ricordo che è così che avete perso la vostra fionda preferita, da bambini.» Lo provoco, saltando su un ramo caduto, solo per atterrare più in là, in un cumulo di fango e foglie.
I miei stivaletti di cuoio affondano, appesantendomi i piedi.
«Non abbiamo più dodici anni, no?» Il suo entusiasmo non si affievolisce, mentre cita le parole che gli ho rivolto io stessa.
Al contrario, il suo corpo pare essere travolto da una nuova ondata di energia, che lo slancia, facendolo accelerare ancor di più.
«Non sapete nemmeno dove stiamo andando. La vostra fiducia in voi stesso è ammirabile.»
Ezio è un corridore esperto ed implacabile, ma la sua eccessiva velocità lo pone in svantaggio sulle lunghe distanze. Potrebbe arrivare a battermi soltanto su un circuito limitato.
Mi basterà allungare di poche decine di metri il nostro percorso, e la sua rapidità calerà considerevolmente, assicurandomi la vittoria.
Impedisco, quindi, a me stessa di inciampare e cadere, mentre cambio direzione in modo repentino, cominciando a correre in direzione del fiume.
Seguo il rumore scrosciante dell'acqua e l'odore penetrante delle piante bagnate sulle sponde. Lascio che si mischi al mio respiro, sentendone il gusto amaro sulle labbra secche a causa del vento. Ezio mi tiene il fianco.
«Stanco?» Urlo, ma lui non cede alla provocazione.
Ci vogliono quattro deviazioni e due giri in più intorno alla radura, prima che inizi a perdere terreno, permettendomi di tornare a correre sul percorso originale.
Comincio ad intravedere nuovamente i tiepidi raggi del sole, mentre il paesaggio si trasforma, aprendosi in un ampio spiazzo. Cadenzo il respiro, cercando di tenere a bada il ritmo furioso del mio cuore.
«A chi tocca prima quell'albero!»
Ezio non ha neppure il tempo di capire a quale delle numerose piante mi sto riferendo, prima che io sbatta la mano sulla corteccia umida della sequoia che ho davanti.
«Avete palesemente barato!» Si piega su se stesso. Le mani sulle ginocchia, alla ricerca di fiato. Solo allora mi rendo conto che porta ancora il taccuino con sé, stretto tra le dita affusolate. Lo stringe tanto forte da rendere le nocche bianche. Della matita, però, non vi è più alcuna traccia.
«Saremmo potuti arrivare qui decine di minuti fa, se solo non vi foste diretta a nord!»
Si lamenta. La voce roca e affannata. «E poi chi mi assicura che questa sia davvero la vostra meta?»
«Nessuno ha mai specificato che ci fossero delle regole. E neppure quale fosse il traguardo.»
Mi appoggio al tronco dell'albero, ostentando disinvoltura, ma anche io sono a corto di fiato.
«Touché.» Ezio stringe leggermente gli occhi, passandosi una mano sulla fronte, per spazzare via il sudore che vi si era addensato sopra.
Devo ammettere che è migliorato. E' stata dura reggere la competizione.
Se solo fossi stata leale nei suoi confronti, sarebbe stato lui a raggiungere per primo il traguardo.
Ma i combattimenti non sono mai leali, e la vittoria non spetta a chi agisce secondo la legge. Questo è quello che ho imparato dai miei libri di storia; dalle cronache di guerre combattute nel passato, traboccanti di anti–eroi.
Per vincere una battaglia è necessaria furbizia e un po' di sana fortuna.
«Pare che tu stia di nuovo infrangendo le regole.» Mi volto, al richiamo della voce, in tempo per vedere una massa di capelli neri ondeggiare nella brezza mattutina.
«Aesira!»
Lei non si muove, continuando a strofinare con cura il panno sulla lama del suo pugnale, lucidandolo con cura, come se si stesse prendendo cura di un bambino; come se volesse evitare di fargli del male.
E' coperta solo da una canotta consunta, che le fascia i fianchi e le copre parte delle gambe, lasciando il resto della pelle scoperta.
«Dovresti essere a palazzo.» Se ne sta seduta su di un ramo spezzato, all'ombra di un abete pieno di tagli e piccole rientranze. Sono certa che se mi avvicinassi per guardarli, ricorderei ciascuno di quei segni in maniera vivida. « E non qui.» La sua carnagione olivastra brilla, coperta di sudore. Mi chiedo come faccia ad essere sudata, anche se le temperature sono così basse.
«Anche io sono contenta di vederti, Aesira.» Mormoro.
Gli unici movimenti visibili sono quelli delle sue mani sottili, intente a pulire il coltello.
«Dovresti regolare meglio la respirazione.» Sospira lei. «Sei talmente impacciata che ti ho sentita correre da miglia di distanza.» Salta dal ramo, atterrando finalmente sull'erba, senza emettere alcun suono. «Perché hai girato in tondo così tante volte?» Adesso riesco a vedere chiaramente i suoi occhi neri, contornati da violacee occhiaie.
«Lo sapevo che avevate barato!» Ezio urla, ancora seduto a terra, molle come un budino.
Aesira mi raggiunge in un attimo, tira indietro la mia schiena, per aggiustarne la postura, poi si affaccia dietro di me, guardando il mio accompagnatore.
«E voi sareste?» La cicatrice che le attraversa il viso, dalla tempia fino al mento, si fa più frastagliata, mentre il sopracciglio si alza.
«Maël Ezio Delvaux, secondo figlio del Narchin di Mudrest.» Non si alza neppure. «Sono un amico di Morana.» Specifica alla fine.
Aesira mi lancia un'occhiata, ma io sono già tornata accanto ad Ezio.
«Non siamo amici.» Lo calpesto con il piede.
«Oh andiamo. Credevo stessimo affrontando le nostre divergenze.»
Lui si mantiene il fianco, là dove l'ho colpito, mostrandomi il labbro inferiore.
Infantile.
«Mi avete sfidata e siete stato battuto. Il minimo che possiate fare è starvene in silenzio.»
Lo minaccio. Lui mima il gesto di cucirsi le labbra, poi sorride.
«Amico o meno, nessuno di voi dovrebbe trovarsi qui adesso.» Aesira si allontana, rigirandosi il pugnale tra le mani, facendolo volare, per poi riprenderlo, più e più volte, prima di lanciarlo sull'albero sopra il quale era sta appollaiata fino a poco fa.
Un'altra cicatrice sulla corteccia viva.
«Non lascerò gli allenamenti solo perché mio padre pensa sia giusto così.» La seguo.
«Tu e tuo fratello non fate che lamentarvi di lui, eppure siete più simili ad Aramis di quanto vi piaccia ammettere.» Un sorriso inquietante le oscura il viso smunto.
«E questo cosa dovrebbe significare?» Ormai siamo al limitare della radura, al lato opposto in cui si trova Ezio.
Mi chiedo se stia fingendo di non ascoltarci, o se sia sul serio disinteressato a noi.
Se ne sta lì, proprio dove l'ho lasciato, con il taccuino in bilico sulle gambe e la matita tra le labbra. Ero convinta che l'avesse persa durante il tragitto, ma a quanto pare, deve essere stato tanto lungimirante da tenerla al sicuro. Un punto per lui.
«Evander è venuto qui all'alba.» Spiega Aesira. «Gli ho detto che come capo delle guardie, non sarei andata contro la decisione del Narchin, così continua a lanciare frecce contro quell'albero laggiù.» Indica un punto indefinito del bosco.
Per un attimo, mentre seguo la direzione del suo dito con gli occhi, sono quasi certa di sentire persino le frecce raggiungere la corteccia del tronco, rimbombando nell'aria.
«Aspetto il momento in cui verrà qui piangendo perché le sue dita hanno cominciato a sanguinare.» La donna afferra un paio di spade, lanciandomene una.
«Ha litigato di nuovo con nostro padre?» La afferro al volo. «Credevo che la fase della negazione gli fosse passata.» La memoria muscolare mi fa mettere in posizione di difesa, anche se sono certa che Aesira non mi attaccherà. Non prima di aver terminato la conversazione, almeno.
«Non credo che gli passerà mai.» Sospira.
«Ma lui è l'unico figlio maschio della famiglia. Sta a lui prendere le redini di Nezia dopo nostro padre. Diventerà Narchin. E' il suo futuro.» Il solo pensarci mi fa accapponare la pelle, ma anche se volessi -e lo voglio davvero tanto- non avrei modo di aiutarlo.
«Avere dodici anni non vuol dire che non sia maturo abbastanza da scegliere il cammino che intende percorrere.» Aesira fa cenno di avvicinarmi. «Ora. Che ne dici di saltare la parte in cui ti affliggi per tuo fratello, e non mi fai vedere quello di cui sei capace?»
«Credevo non saresti andata contro la decisione di mio padre.» Sorrido.
«Sto ancora tentando di insegnare dei valori a tuo fratello.» Lei si stringe nelle spalle. «Con te, invece, ho smesso anni fa. Tu sei libera, ribelle... la tua mente viaggia fuori dagli schemi. Impedirti di perseguire nelle tue decisioni frenerebbe il tuo potere, anziché accrescerlo.»
«Stai dicendo che mi permetterai di fare ciò che voglio?» Passo dopo passo, mi faccio sempre più vicina, fino a quando non mi accorgo che Aesira sta indietreggiando, o meglio, si sta spostando lateralmente, facendomi inconsciamente girare in tondo.
«Non esagerare, ragazzina. Per fare ciò che vuoi dovresti essere forte, oltre che libera.»
«Quindi mi basterebbe batterti in duello, no?»
La mia presa di posizione le fa alzare gli occhi al cielo, mentre ride di me.
«Pensi che sia il tuo giorno fortunato?» Si ferma. Immobile come una statua, in bilico sulle punte dei piedi coperte dagli stivali di cuoio. E' un serpente pronto ad attaccare, fisso con gli occhi sulla preda. Un solo movimento e me la ritroverò attaccata al collo, senza neppure rendermene conto.
«Credi che lo sia, solo perché hai primeggiato su quel moccioso?» Indica con un cenno del capo Ezio, inducendomi a guardarlo io stessa.
Gli do un'occhiata. Un solo istante.
Il tempo di vedere che ha posato il taccuino sull'erba, e ci fissa, rapito.
Un istante, che ovviamente, diventa per me fatale.
L'elsa della spada di Aesira si scontra con il mio petto, facendomi finire a terra.
«Questo è barare!» Mi lamento, consapevole che io avrei fatto lo stesso se solo fossi stata in lei.
«Non è il tuo modo preferito di fare le cose?» Appunto. «In piedi.»
«Mi stai facendo la morale?» Mi alzo, rimettendomi in posizione di difesa.
«No, sto solo cercando di farti capire che il tuo punto di forza, può facilmente trasformarsi nella tua debolezza. Non puoi affidarti solo su stupidi tranelli e scappatoie. Devi essere in grado di difendere te stessa anche senza questi mezzi.» Si stringe nelle spalle, come se quello che si ostina a ripetermi, sia un dato di fatto che io avrei dovuto già conoscere nel profondo.
«Devi sapere quando è il momento di barare, e quando è giusto combattere lealmente.»
«Quello che dici non ha senso.»
«Se avrai di fronte un nemico potente, non ti basterà essere più furba di lui. Devi essere più agile, più forte, più decisa. Devi batterlo su tutti i fronti, o la tua non sarà una vera vittoria.»
Il suo sorriso si fa più spigoloso. «Vuoi che te lo dimostri?» Il cuore mi batte all'impazzata, mentre gli occhi di Aesira si chiudono leggermente. «Avanti, attacca.»
Prendo un respiro profondo, e bilancio la lama tra le mani, calibrandone il peso, in modo da sentirmi meno impacciata nei movimenti. Le abilità di Aesira con la spada sono nettamente superiori alle mie. Non riuscirò mai a batterla onestamente, come lei vuole. Devo ragionare maggiormente d'astuzia se voglio prendere il controllo della situazione. Le dimostrerò che con la furbizia posso facilmente prendere il sopravvento sulla sua forza bruta.
Prendo, quindi, la rincorsa e mi lanciai su di lei, con la spada in direzione del suo petto.
La mano di Aesira si sposta fulminea, parando il colpo con agilità e scioltezza.
«Puoi fare di meglio.»
Lo scontro delle lame da vita ad un frastuono tanto forte da farmi perdere l'equilibrio e arretrare di mezzo passo. E' un movimento impercettibile, eppure Aesira lo usa per trarne vantaggio, avanzando su di me, e coprendomi di numerosi colpi, che riesco a parare con difficoltà, uno dopo l'altro.
La corsa nel bosco si fa sentire, e anche se abbiamo appena iniziato, i miei polmoni sono già a corto di fiato. Sciolgo i muscoli e torno all'attacco, mirando verso il basso. Sono certa che Aesira si farà nuovamente scudo con la sua lama, lasciando scoperto il busto, ma al contrario, lei salta, evitando il contatto. La sua lama volteggia elegantemente nell'aria, con tale leggerezza, che quando si scontra con violenza contro la mia, quasi stento a crederci.
Lascio la presa sull'elsa, cedendo alla pesantezza del colpo, mentre la mia spalla destra sbatte contro la superficie rugosa di un albero.
La mia spada vola lontano da me, conficcandosi nell'erba bagnata.
Alzo lo sguardo. Il pugnale che Aesira aveva conficcato nella corteccia al mio arrivo, riflette i tiepidi raggi del sole, riversando i suoi colori su di me.
«Morana!» Ezio urla.
Aesira sta correndo verso di me.
Provo ad allungarmi per recuperare la mia spada a terra, annaspando verso di essa, ma la donna è già su di me. Punta la lama alla mia gola, mentre con il braccio mi tiene ferma, stretta contro il suo corpo statuario.
Riesco a sentire il suo calore: come se la sua energia si espandesse attorno a lei, attraverso l'alta temperatura.
«Sei rigida, goffa... Credevo di averti insegnato un po' di eleganza nei movimenti.»
«Forse non sei così brava ad insegnare come credi.»
Sorride, sprezzante, prima di afferrarmi il braccio, e con una torsione del polso, farmi cadere a terra. Il sapore di terra e pioggia mi fa tossire, sputacchiando qualche filo d'erba che si è incastrato sulle mie labbra.
«Dovresti lasciare che la tua lama sia più affilata della lingua, e non il contrario. Mi pare di averti insegnato anche questo.»
Aesira si siede comodamente sulla mia schiena, sopprimendomi i polmoni e rendendomi ancor più difficile respirare. I capelli le ricadono sulla fronte rilassata, coprendogli la cicatrice che le attraversava il sopracciglio, prima che lei li soffi via.
È troppo faticoso tendere il collo per guardarla, così appoggio nuovamente la testa nel terreno paludoso, sfinita.
«Grazie per avermelo ricordato ancora una volta.»
Sono anni che continuo ad allenarmi con lei, eppure a dispetto di quanto ci provi, o di quanto migliori nel combattimento, ad Aesira basta un solo minuto per mettermi al tappeto.
«È il mio dovere, Maël.» Scioglie la presa, e mi aiuta a tornare in piedi.
Non attendo che un'istante, prima di far scivolare la mano sotto la cintura che porto in vita, sfoderando il suo stesso pugnale.
Sono riuscita ad afferrarlo, prima che lei fosse su di me, e adesso lo punto alla sua gola, con calcolata freddezza.
«Fine dei giochi.» Sento il potere scorrere veloce dentro di me. Mi intorpidisce le dita.
Ce l'ho in pungo.
«Te l'ho detto ragazzina. Essere furba non serve a nulla quando sei debole.»
Ma lei scoppia a ridere.
«Che...?» Non appena sposto leggermente lo sguardo verso il basso, vedo la sua spada ad un millimetro dal mio fianco.
Se avesse voluto, mi avrebbe già uccisa.
«Maledizione.» Mi ha stretta nella sua morsa, senza che neppure me ne accorgessi.
Non ha mai smesso di avere il controllo della situazione.
«Rifacciamolo.»
Aesira è una delle maestre d'armi più giovani ed accattivanti del regno.
Della sua vita prima che cominciasse ad addestrare me, Drystan, e poi Evander, non si sa granché, se non che sia stata un'allieva di Lysandra, l'eremita di Eritles.
Non le è mai piaciuto parlare di quel periodo, così, le uniche informazioni che ho a riguardo, sono semplici dicerie: secondo alcuni, è stata rapita ancora in fasce ed educata da Lysandra all'arte della guerra, riuscendo a scappare soltanto da adolescente, per poi rifugiarsi a Nezia, chiedendo asilo a mio padre; altri, invece, credono che sia un'orfana di guerra, e che Lysandra l'abbia accolta con sé per salvarla da morte certa.
Qualunque sia la verità, dopo quattordici anni a Nezia, il suo passato è tanto lontano da non scalfire più nessuno.
«Sei migliorata con i pugnali.»
Aesira si lascia cadere a terra, sedendosi con disinvoltura su di un cumulo di foglie secche.
Persino in questo momento, dopo aver passato l'ultima ora a combattere, pare essere nel pieno delle sue energie, come appena uscita da un rigenerante bagno tra le acque scure del lago.
Se non fosse per il sudore che le scende copioso dalle tempie e le cola sul suo corpo tonico, nessuno crederebbe abbia fatto alcuno sforzo.
«Hai davvero una pessima cera.»
Non mi serve uno specchio per capire che Ezio si stia riferendo a me, e che il suo non sia solo un modo di prendermi in giro, ma la pura verità.
Sento i capelli appiccicosi sulla fronte, e le guance rosse a causa dello sforzo.
Passo la manica della mia tenuta sotto al naso, asciugandolo da qualsiasi cosa stia colando dalle mie narici screpolate dal freddo.
«Sei stata fantastica, Ana.» Evander saltella entusiasta verso di me, non perdendo l'occasione per lanciare uno sguardo tagliente nella direzione di Aesira.
«Per un attimo ho quasi creduto che potessi avere la meglio su di lei.» Regge una borraccia piena d'acqua, che si affretta a porgermi, quando i miei occhi si spostano su di lui. Vedere il suo viso emozionato e caloroso, mi risolleva un po' il morale. Anche l'acqua fresca, che bevo a grandi sorsate, è un toccasana.
«Non sarò mai davvero migliorata, fino a quando non riuscirò a batterla.»
Gli scompiglio i capelli biondi, tanto lunghi da finire sotto il suo naso, coprendoglielo del tutto. Lui se li rimette in ordine con una smorfia, ma non si lamenta.
«La vera forza, non è nel riuscire a battere il proprio nemico, ma nel coraggio di affrontarlo senza paura, e ovviamente senza scorciatoie.» Aesira si guarda le unghie smaltate di nero, sprofondando un po' di più nella montagna di foglie.
«La mancanza di paura non allontana dalla morte, però.»
E' Ezio a risponderle, alzando la voce per farsi sentire, dal limitare della radura. E' rimasto tutto il tempo ad osservarci, come farebbe qualcuno che ha tutto da imparare.
Ne sono orgogliosa e allo stesso tempo spaventata: la capacità di osservare e analizzare ciò che lo circonda, è una delle qualità che rende Ezio un nemico temibile.
Se volesse sfruttare quello che ha visto, contro di me, sono certa che saprebbe distinguere con precisione ogni mio punto debole.
«Dovresti tornare a palazzo, o Theron finirà per radere al suolo la tenuta Solimano, nel tentativo di trovarti.» Dico, eppure in un antro profondo e nascosto di me, sento di fidarmi.
Inconsciamente, sono certa che sia dalla mia parte.
Ho persino abbandonato i modi di cortesia, dandogli del tu...
Senza neppure pensarci.
«Perché non lo accompagni, Evander?» Aesira aggrotta le sopracciglia scure, rivolgendosi a mio fratello. «Pare che entrambi siate nel posto sbagliato.»
Lui si rabbuia, abbassando il capo.
Quando mio padre lo rimprovera, alza la cresta come un gallo, eppure ora che Aesira gli tiene gli occhi puntati addosso, lui si rintana dietro i suoi stessi capelli, come un cucciolo ferito.
«Tu conosci questa foresta meglio di lui. Per favore guidalo a palazzo.»
Appoggio una mano sulla sua spalla, sorridendo teneramente.
«State parlando di me come se non ci fossi.» A guardarlo, Ezio pare persino più giovane di Evander, con le labbra imbronciate e le braccia incrociate al petto.
«Siete appena tornati amici, volete veramente cominciare a discutere con lei, Signorino?»
Aesira fa per alzarsi, come ad affrontarlo, ma subito lui si mette le mani davanti al volto, scuotendolo.
«Certo che no. Sono felice di andare.» Si affretta ad alzarsi.
«Non siamo amici.» Chiarisco in un sussurro.
«Stai tranquilla. Sono comunque certo che tuo fratello sia una guida migliore di te.»
Ezio si avvia verso il più piccolo, camminando all'indietro, per non darci le spalle.
Riesco a percepire i passi di entrambi allontanarsi, seguiti dall'eco delle loro voci, prima di rilassarmi.
«Bel tipo, il tuo amico.» Aesira ridacchia.
«Non è mio amico.» Sbuffo.
«E' solo nato nella famiglia sbagliata. Non fargliene una colpa.»
Ed io, invece? Io sono nata nella famiglia giusta?
Mi rigiro il pugnale tra le mani, guardandolo con maggiore attenzione.
L'impugnatura d'osso è elegantemente decorata con fili d'oro che si intersecano tra loro, agevolando la presa, in modo da non far scivolare le dita durante il movimento. La lama è leggermente ricurva, tanto sottile da fendere l'aria senza alcun attrito.
«Non avevo mai visto niente di simile.» Non ha l'aria di essere un'arma creata dagli armaioli di Nezia. Persino maneggiarla è strano.
«E' un pugnale di Krales.» Aesira mi guarda, poi volge lo sguardo al pugnale.
Lo guarda, come se fosse la prima volta anche per lei.
«Krales? La Krales che è stata rasa al suolo?» Per poco non lascio cadere l'arma nella terra bagnata. «Credevo non esistesse più nulla associato ad essa. Dopo la rivoluzione degli abitanti di Krales...»
«Ci sono tante cose del vecchio mondo che perdurano nella nostra realtà. Dobbiamo soltanto domandare a noi stessi se vogliamo chiudere gli occhi davanti alla verità, o affrontarla con tutto ciò che abbiamo.» Non l'ho mai vista così imperturbabilmente seria.
«Stai dicendo che Krales esiste ancora? – La curiosità prende velocemente il posto della preoccupazione.
«Sto dicendo che dovremmo essere disposti ad allargare i nostri orizzonti, per comprendere appieno l'essenza della nostra vita.»
«D'accordo. Smetti di essere enigmatica per un attimo e rispondi alla mia domanda: come hai avuto un'arma del genere, Aesira?»
«E' un regalo... o qualcosa del genere.»
Penso al mio apparecchio per la musica, al sicuro nella sacca di tela. Anche quello è un regalo. Anche quello proviene dal vecchio mondo.
«Sai una cosa? Dovresti tenerlo tu.» Aesira fa un cenno del capo verso l'arma.
«Tenerlo? Questo pugnale potrebbe valere una fortuna, se venduto alle persone giuste.»
«Le persone giuste di cui parli avrebbero paura di un oggetto simile.»
«Ti è stato regalato. Non potrei mai privartene, deve essere qualcosa di prezioso per te.»
«Proprio perché mi è stato regalato, voglio fare lo stesso con te. Vedilo come l'inizio di una nuova tradizione.» E' la prima volta che la colgo in difficoltà con le sue stesse emozioni.
Ha l'aria di qualcuno che non sappia come esprimere ciò che prova. Forse perché di solito le nostre conversazioni sono incentrate sull'arte del combattimento, sulle tattiche di guerra o sulle possibilità di fuga dal pericolo.
«Non si ottiene mai nulla in cambio di nulla, Aesira. Sei stata tu ad insegnarmelo.»
La fisso placidamente negli occhi. Gli stessi occhi nei quali ho imparato a leggere fiducia e stima, e nei quali in questo momento percepisco solo malinconia.
«Quindi dimmi: quale sarebbe il prezzo da pagare per questo pugnale?»
«Voglio che tu mi faccia una promessa.»
«Una promessa?» Lei annuisce
«Voglio che tu mi prometta che qualsiasi cosa accada, non smetterai mai di lottare nel modo in cui ti ho insegnato. Anche se questo dovesse significare lottare senza trucchi e scappatoie; anche se questo dovesse significare lottare contro qualcuno che ami.»
Mi afferrerà le mani, saldamente. Il rumore delle foglie che si accartocciano sotto di lei è l'unico percepibile, e quando si spegne, non rimane altro che il silenzio.
Sento la pressione dell'impugnatura del pugnale tra le dita, mentre i pensieri diventano sempre più sfuocati.
«Perché mi parli come se stessi per abbandonarmi?»
Rido, ma sento un nodo stringermi la gola.
«Non dire simili assurdità. Non ti abbandonerei mai.»
Ormai il sudore ha smesso di scenderle dalle tempie, mentre i capelli, adesso liberi sulle spalle, volteggiano intorno al suo viso, dando movimento alla sua figura, altresì immobile.
«Anche tu hai dovuto fare una promessa a colei che te lo ha donato?»
Non posso fare a meno di domandare. Non abbiamo mai affrontato argomenti tanto personali, eppure adesso, mi sembra sia giusto così.
«Cosa ti fa pensare che sia stata una donna a donarmelo?»
Aesira sbatte le palpebre, dando l'impressione che i suoi occhi siano ancora più grandi e limpidi.
«Intuito.»
Sta per rispondere, ma proprio mentre le sua labbra si aprono per pronunciare qualcosa, al limitare della radura, appare Drystan.
«Dobbiamo andare.» Non saluta nemmeno, ma si dirige verso di me a passo di carica, afferrandomi per il polso. I suoi occhi sono puntati sulla mia figura, ma sono certa che abbia lanciato uno sguardo anche ad Aesira. Uno sguardo infuocato.
«E' successo qualcosa?» Mi alzo in fretta, e con un gesto fluido, metto il pugnale nella cintura di cuoio, evitando che Drystan se ne accorga. Aesira mi fa un cenno, notandolo.
«Ti proteggerà.» Mima con le labbra.
Per un attimo mi chiedo se si stia riferendo al pugnale oppure a Drystan, ma quando quest'ultimo mi tira nuovamente verso di sé, lascio che il pensiero evapori, sostituito dal fastidio.
«Potresti smetterla di essere così rude?» Drystan si ferma, lasciando la presa.
«Dovremmo andare.» Prova a dire nuovamente.
«Io però...» Voglio parlare ancora con Aesira, chiederle di più.
Voglio sapere tutto quello che c'è da sapere sul pugnale e sul posto dal quale proviene.
Sono disposta ad allargare i miei orizzonti e ad accettare la verità, così come ha detto lei.
Ne ho bisogno.
«Avremo tempo per parlare, te lo prometto.» Aesira sorride. «Ora va'.»
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