Introduction. - "Nuova vita, nuove cose."
Nell'anno 1981, a Los Angeles negli Stati Uniti d'America fu fondato un nuovo marchio di abbigliamento dai fratelli statunitensi: Georges, Armand, Paul e Maurice Marciano.
Guess è un marchio specializzato nella produzione di abbigliamento e accessori moda. Il marchio non indica solo abbigliamento ma anche occhiali, borse, scarpe, orologi, underwear, beachwear, bigiotteria e accessori. Guess è apprezzato dal pubblico femminile per la produzione di abbigliamento e calzature, dalle linee sensuali e glamour.
Guess viene indicato con un punto di domanda, visto che letteralmente "guess" significa "indovina".
Year 2001
Cojimar, September
«Alejandro, le valigie sono pronte?» chiese Sinuhe mentre sorrideva.
«Sì, cara.» rispose lui con amore.
Loro erano la famiglia Cabello, composta da Sinuhe Cabello, Alejandro Cabello e dalla piccola bambina di nome Camila. La piccola stava giocando con la sua amichetta del cuore, Ashlee Juno.
«Mila, muovi bene la macchinina per terra, lo sai che non volano.» disse l'amica mentre guardava Camila che teneva la macchinina sospesa per l'aria.
«Però mi viene male farla camminare in terra...» disse la bambina mentre si metteva con le ginocchia sull'erbetta.
«Oh, ma dai...» sospirò l'altra.
«Ti voglio bene, Ash.» disse la bambina sorridendo. «Non voglio andare via da qui.» confessò.
«Non voglio nemmeno io... Però devi. Ti voglio bene anch'io, Mila.» disse l'amichetta e l'abbracciò forte, Camila ricambiò.
Ad un tratto le porte della casa si aprirono e gli sguardi tristi delle bambine si posarono sui genitori di Camila. «Karla, andiamo.» disse la madre della bambina e quest'ultima si alzò.
«Dobbiamo andare?» chiese.
«Sì, dobbiamo. Lo sai come sono le cose ormai.» disse Alejandro mentre guardava la figlia.
«Lo so, Ashlee?» chiese. «Che farà?» gli sguardi dei genitori si incrociarono tra loro e sospirarono.
«Ash resterà qui.» disse Sinuhe e Camila schiuse gli occhi con dolore.
«Dai Mila, non importa, ci vedremo presto!» sorrise la bambina mentre si avvicinava a Camila per poi avvolgerla tra le sue braccia. «Mi mancherai, ma so per certo che ci vedremo in un modo o in un altro...» disse con le lacrime agli occhi.
«Sì...» sospirò Camila e abbracciò anche lei l'amichetta. Non voleva che quell'abbraccio finisse, non voleva più separarsi dalla sua migliore amica. Non voleva lasciare la sua terra, la sua casa, non voleva lasciare il suo cielo che tanto amava guardare.
«Dai, Karla.» la chiamò il padre e la bambina andò da lui dopo alcuni minuti. Tutti caricarono le proprie valigie sulla macchina, anche se la piccolina ci mise fatica. Dopo essere saliti sul veicolo, Camila non si mise la cintura, si girò non appena la macchina partì e guardò per l'ultima volta Ashlee che rincorreva la macchina.
«Mi mancherai.» disse la bambina poggiando la mano sul vetro.
Il tempo era piacevole, c'era un caldo che ancora spaccava le pietre, le ruote della macchina scorrevano sull'asfalto, Camila si sedette non appena la macchina girò a destra. La bambina si mise la cintura e non disse nulla. Era doloroso per lei tutto questo, sapeva che non sarebbe riuscita ad integrarsi con i nuovi compagni. Sapeva che era dura, Camila era pronta, più o meno. Lo sguardo infantile osservava le casette muoversi velocemente, come il vento. La vegetazione fioriva ogni giorno, il sole era sempre bellissimo e splendente. Camila aveva sempre avuto un amore segreto per quella grandissima palla infuocata. Amava il sole, incandescente.
Dopotutto la rispecchiava, Camila era una bambina piena di energia, con le batterie sempre cariche. Era l'amore dei suoi genitori. In quel momento però, la bambina sentiva tutto il male del mondo, aveva appena perso la sua migliore amica e di conseguenza tra poche ore avrebbe perso pure la sua terra d'origine.
Camila guardò un po' il profilo sorridente della madre. «Mamma.» la chiamò quasi con paura.
«Dimmi Karla.» rispose Sinuhe.
«Quando torniamo?» chiese.
«Non lo so, Mija.» rispose piano la madre mentre si girava per guardare la figlia. Il suo sguardo divenne ancora più triste.
«Mai?» chiese sempre la piccolina.
«Un giorno, potremmo.» disse Alejandro tranquillo mentre sorrideva.
«Andrò da qualcuno?» chiese curiosa Camila.
«Cioè?» corrugò le sopracciglia la madre.
«... Ad un asilo?» tirò ad indovinare Camila.
«Sì, un asilo. Conoscerai nuovi bambini e ti divertirai.» disse la madre sempre.
«Capisco... Io non voglio andare.» sospirò la bambina.
Ci fu un attimo di silenzio, il padre della bambina era piuttosto triste nel vedere la sua piccola principessa in quello stato. Alejandro considerava sua figlia come il più bel dono di questo mondo.
La macchina camminò lungo le strade asfaltate che mostravano i bei campi di grano. Erano quasi arrivati all'aeroporto per andare a Los Angeles.
Un mese prima la nonna di Camila, la madre del padre, decise di lavorare sodo per guadagnare dei soldi. Quei soldi sarebbero andati alla famiglia, appunto per andare negli Stati Uniti d'America a cambiare vita.
La famiglia Cabello non era messa bene sul fattore economico. Per questo che la nonna decise di dare a loro una mano d'aiuto. Alejandro era così fiero, amava sua madre. Ora finalmente, stavano per cambiare aria, Camila osservò le grandi mura grigie, senza vita dell'aeroporto.
«Siamo arrivati?» chiese la bambina.
«Sì, piccola.» disse Sinuhe.
Dopo ore, finalmente l'aereo stava partendo, la macchina l'avrebbero portata con la nave. Camila guardava il suo laccio della scarpa slegato. «Mamma, mi leghi la scarpa?» chiese.
«Certo.»
La bambina alzò la gambina mettendo il piedino sul sedile azzurro per farsi legare la scarpa destra dalla madre, la donna iniziò ad allacciarle la scarpa con dolcezza.
Il padre sorrise vedendole, prese un quotidiano e iniziò a leggere le varie notizie. Lesse qualche aggiornamento sull'attentato delle Torri Gemelle. «Purtroppo non si è ancora capito cosa sia successo lì.» disse Alejandro.
«Hanno trovato altri morti?» chiese Sinuhe.
«Sì...» sospirò.
L'aereo iniziò a decollare e Camila si affacciò al finestrino poggiando le sue piccole manine sul vetro leggermente graffiato.
Camila chiuse gli occhietti, si lasciò andare dopo alcuni minuti in un sonno profondo.
L'aereo aveva superato le nuvole già da un po' il silenzio perenne era più assordante del chiasso del motore del grande aereo. Camila dormiva rannicchiata a sé con il suo pollice in bocca, lo sguardo di Sinuhe si rivolse a quello di Alejandro che tra un paio di minuti sarebbe crollato dal sonno pure lui.
«Secondo te Camila riuscirà a superare questo?» chiese la donna.
«Ah? Scusa cara, sono stanco...» sospirò l'uomo e Sinuhe gli fece una carezza sul viso per poi poggiarsi a lui.
I sogni erano così tanti per molte persone. Molti giovani volevano volare, ma i propri cari riuscivano comunque a spezzare le loro ali. Ovviamente era sempre stato così, ogni persona cerca di portare negatività al nuovo sognatore, imponendogli di varcare la vita da persona semplice.
Ogni giovane doveva volare. Nessuno si meritava il male nel privare i propri sogni perché quella persona non è riuscita a farli fiorire.
Il mondo ormai stava già andando alla rovina.
L'aereo con un piccolo tonfo atterrò sull'asfalto dell'aeroporto di Los Angeles. Finalmente erano arrivati a destinazione.
Alejandro sobbalzò dallo spavento non appena sentì la voce della hostess avvisare che il volo era terminato a buon fine. «Oh... Siamo arrivati.» disse sbadigliando.
Sinuhe era già sveglia e Camila si stava strofinando l'occhietto destro mentre si guardava intorno. «Siamo arrivati?» chiese lei.
«Sì, piccola, siamo arrivati finalmente.» sorrise la madre mentre la prendeva con sé, intanto scesero dall'aereo e andarono dentro a prendere le valigie.
Camila aspettava che uscisse la sua valigia viola, sorrideva un pochino, era tutto così nuovo e luccicante. Per la bambina era tutto nuovo tutto perfetto, non sapeva cosa avesse la vita in serbo per lei. I suoi occhi brillarono non appena prese la sua valigia e inseguì i suoi genitori per andare a recuperare la macchina. Camila inciampò un po' sullo stesso laccio slegato della scarpa. «Mamma...» la chiamò sospirando cercando di raggiungerla. Sinuhe si fermò e guardò la bambina.
«Di nuovo?» chiese.
«Già... Si slaccia.» si lamentò la bambina.
La donna decise di fermare Alejandro e di aspettare un minuto in modo tale da sistemare la scarpa della figlia. Sinuhe lasciò la valigia per una frazione di secondo, si piegò e aiutò la bambina di quattro anni a legarle la scarpa. La piccola Camila poggiò le manine sulle sue spalle e guardò la madre fare un fiocco perfetto. «Grazie.» disse piano Camila e Sinu le diede un bacio sulla fronte.
La famiglia riprese a camminare raggiungendo la macchina bianca e caricarono tutto al loro interno. Andarono a cercare casa, ne presero una in affitto al momento. Los Angeles era davvero enorme e Camila non poté fare altro che osservare le luci dei mille negozi e di osservare le tante persone che camminavano velocemente.
Il suo alito dolce si scontrò sul vetro del finestrino della macchina, le sue pupille erano dilatate e piene di desiderio, voleva scendere dal veicolo e correre verso un negozio di giocattoli. Camila aveva pochi giochi, ma quel poco che aveva riusciva a farselo durare per anni e anni.
Nella sua valigia aveva giusto tre Barbie, nel suo piccolo cervellino sperava di stringere amicizia con qualcuno. «Che lavoro pensi di cercare, caro?» chiese Sinu guardando il marito.
«Non lo so, dipende da quello che trovo, se no sceglierò il solito.» sospirò.
«Il muratore?» chiese la donna.
«Sì, penso che qui si guadagni di più che a Cojimar.» disse deciso e Sinuhe sorrise un po'.
«Speriamo.»
Dopo aver preso la casa e firmato alcune cose, la famiglia arrivò finalmente alla nuova abitazione. «Oh, è carina.» disse la donna guardando lo spazio.
«Mia madre mi ha dato dei soldi per comprare dei mobili.» disse il grande.
«Facciamo le cose per volta, tesoro.» disse la donna dando un dolce pugnetto sulla spalla.
«Va bene.» disse l'uomo.
«Ho fame.» disse la bambina mentre tirava fuori dalla sua valigia le sue Barbie.
«Andiamo in pizzeria?» chiese Sinu sorridendo.
«Va bene, dobbiamo trovarne una per festeggiare tutto questo.» rispose il marito.
«Evviva!» esultò la bambina.
«Si mangia la pizza.» urleggiò felice.
La famiglia aveva bisogno di un bel bagno, in modo da essere belli e puliti per la bella serata che si sarebbe svolta. Camila fece il bagnetto con la mamma, nella stessa vasca, la bambina schizzava la donna e rideva un po'. Camila da quel poco che riusciva ad essere felice, il suo sguardo diventava cupo in meno di un secondo, forse perché ricordava la sua migliore amica Ashlee Juno.
«Non essere triste, Karla.» disse Sinu sorridendo per poi metterle un po' di schiuma sul nasino della bambina.
«Mamma!» la rimproverò Camila pulendosi il naso.
«Uffa.»
Dopo essere uscite dalla vasca, Sinuhe aiutò la bambina ad asciugarla per bene. Le avvolse i lunghi capelli in un asciugamano e le mise le mutandine bianche. La donna disse alla figlia di aspettare un secondo che si sarebbe asciugata e che poi ci avrebbe pensato lei.
Alejandro bussava alla porta e Sinu guardò la bambina per poi la lastra in legno. «Sì?»
«Posso entrare?» chiese l'uomo.
«No, è occupato non senti?» rispose la donna mentre si asciugava. Si mise l'intimo e aprì la porta. «Dai, entra. Io vado a prendere l'asciugacapelli, così asciugo Camila in camera.» disse dolcemente la madre avvisando l'uomo.
Il marito dopo aver sorriso ad entrambe le sue donne entrò in bagno per lavarsi. Sinuhe intanto andò ad asciugare i capelli della bambina. «Ma', piano!» si lamentò toccandosi la testa.
«È troppo caldo?»
«Sì.» disse con il broncio e la madre regolò il phon e asciugò i capelli alla bambina.
Dopo aver finito con la bambina, Sinuhe iniziò ad asciugarsi i capelli lunghi fino alle spalle. Intanto la bambina guardava la madre con amore, si teneva le manine e sorrideva con dolcezza. «Sei bellissima.» disse la bimba.
«Amore di mamma.» sorrise mentre continuava.
Passati i pochi minuti Sinuhe aprì la valigia e prese un vestitino rosa confetto per la bambina e glielo mise. «Allora? Ti piaci?» chiese la madre e Camila annuì facendo una piccola piroetta.
«Aspetta ancora, non muoverti.» disse la madre e prese un fiocchetto bianco e lo mise sulla testa della bambina. Era così tenera ed elegante. La donna si vestì con un semplice jeans e una maglietta lunga e bianca. Si mise giusto la sua collana di perle e sorrise.
Il marito andava vestito con una giacca e dei pantaloni, grigi. Voleva andare ben vestito, voleva che questo fosse l'inizio di qualcosa di grande.
La famiglia cercò un ristorante, ce n'era uno lì vicino. Era bellissimo, ben allestito e accogliente. Una grande porta separava la famiglia dalla grande sala composta da quattro ranghi.
La famiglia entrò dentro quel grande spazio, andò verso un tavolo e si misero a sedere con calma in una tavolata da quattro persone.
L'uomo chiamò subito un cameriere che venne immediatamente da lui. «Buonasera, signori.» disse il ragazzo e i due lo salutarono.
«Siete solo in tre?» chiese.
«Sì.» rispose l'uomo e il cameriere sorrise.
«Date un occhiata al menù.» disse poggiando i libricini colorati sul tavolo. «Torno subito.» disse prendendo il coperto libero e andò via.
Camila guardava il libricino e lo aprì. Non ci capì niente, il suo sguardo era confuso quelle lettere erano così difficili. Il suo sguardo innocente si rivolse verso le luci gialle e illuminavano la sala rendendola ancora più lussuosa.
Camila dondolava le gambine mentre stava seduta sulla sedia, si sentiva così piccola piccola. C'era molta gente lì, la bambina voleva fare amicizia con qualcuno giusto per passare un po' il tempo.
Dopo cinque minuti, il cameriere tornò con un dolce sorriso accogliente. «Prego, ditemi tutto.» disse gentile e Alejandro parlò.
«Due pizze margherite e una alle patatine.» mormorò.
«Scommetto che quella alle patatine è per la principessa» disse facendole l'occhiolino e Camila sorrise.
«Sì, è per lei.» sorrise l'uomo.
Il cameriere prese i libricini e andò via, Camila sospirava un po' annoiata. Sinuhe prese il suo Nokia e glielo diede giusto per farla giocare.
La bambina giocherellava con il telefono, premeva i tasti piano cercando di capire come funzionasse quell'aggeggio.
Dopo un po' il cameriere iniziò a servire la famiglia, Sinu prese il coltello e la forchetta per poi iniziare a tagliare la pizza della bambina.
La piccola lasciò il telefono alla madre e iniziò a mangiare i pezzettini di pizza con cautela. I suoi occhi color cioccolato si mossero con velocità, andando verso una bambina che giocava con una macchinina.
«Chi guardi?» chiese la madre e Camila la indicò con il ditino, la madre sorrise. «Poi se vuoi andare, vai da lei.» la incoraggiò.
Camila continuò a mangiare con appetito, il suo cuoricino batteva di felicità e i suoi occhietti brillavano.
La pizza finì e iniziò a mangiare le poche patatine rimaste sul piatto con calma, la bambina non aveva fretta, sapeva che ci sarebbe stato tempo per giocare.
«Ti piace?» chiese il padre mentre versava l'acqua nel bicchiere di vetro della bambina, quest'ultima lo prese e se lo portò alle labbra.
Finito il pasto, la piccola si alzò e andò verso la bambina che giocava con quel veicolo nero.
«Ciao.» disse e la bambina alzò la testa per guardarla, visto che era seduta. Lo sguardo verde andò a fissare quei due occhietti marroni. «Ciao anche a te.» disse.
«Come ti chiami?» le chiese Camila e la bambina misteriosa socchiuse gli occhi.
«Non parlo con gli sconosciuti, mamma mi ha insegnato questo.»
«Possiamo fare amicizia, no?» la guardò sorridendo e la bimba guardò il tavolo dove c'erano i suoi genitori. I suoi occhi verdi si incontrarono con quelli del padre che le sorrise dolcemente e alzò il pollice all'aria.
«Va bene.» sospirò. «Mi chiamo Lauren Michelle Jauregui Morgado.» disse con voce tranquilla e con un pizzico di tenerezza.
«Oh, Lauren Michelle Jauregui Morgado.» ripeté Camila e Lauren negò.
«Solo Lauren Jauregui.» disse con un po' di acidità.
«Va bene...» sospirò Camila per poi sorridere. «Mi chiamo Karla Camila Cabello Estrabao, ma per gli amici mi piace di più Camila.» disse fiera.
«Va bene, Karla.» disse Lauren riprendendo a giocare con la macchina. La bambina la guardò.
«Mi ricordi la mia amica.»
«Chi? Perché?» la guardò.
«Usavo le macchinine con lei.» rispose e Lauren fece spallucce.
Cabello la considerava davvero antipatica. «Boh, okay.» disse piano la bambina dagli occhi verdi.
«Quanti anni hai?» le domandò e Lauren ringhiò un po'.
«Ti interessa davvero?»
«... Sì.» disse Camila e Lauren negò con la testa.
«Ho cinque anni. Tu?»
«Ne ho quattro.» disse Camila facendo il numero quattro con le dita.
«Ho capito che hai quattro anni.» sbuffò.
«Di dove sei?» la guardò Camila.
«Non ti interessa.»
«Oh, andiamo...» sospirò.
«New York. Sono venuta con i miei genitori qui tanto per cambiare un po'.» disse.
«Capito...» disse Camila. «Giochiamo?»
«Non gioco con le sconosciute.» disse Lauren e Camila ebbe per un attimo gli occhi lucidi.
«Non fare così.» disse Lauren guardandola. «Va bene, hai portato qualcosa con te?» chiese.
«Non ora...»
«Devo avere qualcosa nella borsa di mamma... Vado a prenderla, controlla la mia macchinina.» si alzò e andò dalla madre.
«Che fai?» chiese la donna dolcemente e Lauren non rispose. «Lauren?»
«Sto cercando un gioco.» disse Lauren concentrata.
«Va bene, lei, come si chiama?»
«Chi? Lei? Karla.» sorrise un po'.
«Capisco, capisco.» disse la madre.
«Clara, tesoro.» la chiamò il marito e la donna gli diede subito attenzioni.
Lauren trovò la macchinina e andò via da loro e si mise seduta. «Hai controllato?» chiese Camila.
«Certo!» sorrise la piccola alla sua affermazione e Lauren ricambiò.
«Bene, Karla, giochiamo.» disse e diede la macchinina bianca alla piccola.
«Mi piacciono i tuoi occhi.» disse Camila.
«Anche i tuoi sono belli.» disse Lauren.
«A me i tuoi ricordano gli smeraldi che fanno vedere in televisione.» disse con amore Camila, felice.
«Hai visto smeraldi solo in TV?» chiese. «Io a casa sono piena.»
«Hai gli smeraldi delle principesse?» chiese.
«Non sono giochi, sono vere.» disse Lauren e Camila sorrise.
«Voglio vederli.» disse.
«No, non li ho qui. E poi questa sarà l'unica volta che ci vedremo, Karla.» disse.
«Hai ragione... Come sono però?» chiese Camila curiosa.
«Smeraldi.» fece spallucce Lauren.
Quella bambina era l'acidità fatta a persona, Camila non sopportava questi comportamenti, la facevano rimanere male. Chissà chi era Lauren Jauregui. Era così misteriosa quanto scontrosa.
«Che colore ti piace?» chiese Camila e Lauren rimase a riflettere.
«Il giallo.» disse. «Ma anche il nero.»
«Il nero?» la guardò Camila. «Perché? È triste.»
«Non è triste. È un colore di classe.» la sua parlata era diversa quella della bambina, sembrava capire certe cose che ancora la piccola ancora non conosceva.
«Di classe? Che significa?»
«Credo che sei troppo piccola per capire.»
«Sei più grande di me di un solo anno però, non vale...» disse Camila sospirando.
«In un anno puoi imparare tante cose.» disse Lauren seria.
In effetti, in un anno si potevano imparare tantissime cose. Camila in tutti gli anni della sua vita avrebbe imparato a conoscersi, a conoscere il mondo intorno a sé, avrebbe conosciuto l'amore della sua vita o meglio, io suo principe azzurro.
Camila era una bambina molto romantica, quando andava al parco con la madre a Cojimar, Camila giocava al principe e alla principessa con un bambino.
Lo adorava.
La bambina però, non sapeva che tutto questo sarebbe cambiato in futuro. Non sapeva cosa sarebbe successo alla sua famiglia, a suo padre o a sua madre. Non sapeva se il giorno dopo sarebbe stata ancora viva.
«Vorrei scoprirle.» disse curiosa la piccola.
«Piano piano.» disse Lauren.
Le bambine giocareno tutto il tempo insieme, Camila sorrideva tutto il tempo e Lauren ogni tanto l'accompagnava.
Camila pensò che la sua vita non era tanto facile, ed era così.
«Mi piace la tua macchina.» disse la piccolina e Lauren sorrise fiera.
«Anche a me. Adoro le Porsche.» disse.
«A me piacciono semplici.» disse Camila.
«Io da grande vorrei guidarla.» disse Lauren sorridendo.
«L'avrai?» chiese Camila.
«Posso avere tutto quello che voglio.» sorrise sempre Lauren.
«Hai tanti giochi, quindi.» disse con entusiasmo Camila e Lauren negò.
«No, non mi piacciono i giocattoli. Ho giusto qualche macchinina, ma altri giochi, no.»
«Ma i giocattoli sono belli.» disse Camila facendo il labbruccio e Lauren negò.
«Mia madre dice sempre che la cosa più bella siano i soldi.»
«E perché?» la guardò curiosa.
«Perché senza quelli non puoi fare niente.» disse Lauren e Camila rimase a pensare.
«Cioè?» la guardò la piccola.
«Perché senza i soldi, non puoi curare i tuoi cari.»
«Tu hai soldi?» le domandò.
«Tanti, Karla.» ammise Lauren e Camila rimase in silenzio e fece scorrere un po' la macchinina.
«Tu?» la guardò Lauren.
«No, non molti.» Camila schiuse gli occhietti con dolore.
«Mi spiace, Karla.» disse solamente.
Le bambine giocarono con le macchinine.
Lauren girò per un attimo il viso e vide la sua famiglia alzarsi dal tavolo «Uhm.» l'espressione della bambina si fece triste.
«Che c'è?» la guardò Camila e Lauren sospirò.
«Non voglio tornare.» disse e Camila guardò la famiglia avvicinarsi a loro.
«Andiamo?» chiese Clara e Lauren negò con la testa.
«Lauren, non iniziare.» disse severa Clara. «Abbiamo i tuoi fratelli a casa, sai benissimo che dobbiamo tornare.»
«Non voglio, voglio stare qui con Camila, per altri cinque minuti.»
Camila la guardò, rimase un po' sorpresa visto che Lauren non l'aveva chiamata Karla.
«Vado a pagare con tua madre. Poi ce ne andiamo, va bene, piccola?» propose il padre e Lauren annuì.
I due si allontanarono e Lauren rimase con Camila. «Hai fratelli?» le chiese Camila e Lauren sbuffò.
«Sì.» rispose fredda.
«Davvero?» gli occhi di Camila brillarono.
«Già.» mormorò e Camila sorrise.
«Senti, tieni.» disse Lauren ad un certo punto. Camila la guardò non capendo, rimase a guardarla. La bambina più grande le diede la sua Porsche nera.
«Ma come... Questa è tua.» disse Camila sorpresa.
«Tienila.» disse Lauren insistendo. «Sicuro questa sarà l'ultima volta che ci vediamo.» le sorrise.
«Dici davvero?» chiese Camila e Lauren le sorrise.
«Certo, ma ti prego, trattala bene.»
Camila prese la macchinina e con la mano libera afferrò la mano di Lauren e andarono al tavolo dei suoi genitori. Camila iniziò a frugare nella borsa della madre.
«Che fai?» chiese e Camila sorrise prendendo la sua Barbie.
«Tieni.» disse Camila. «Così siamo pari.» sorrise dolcemente e Lauren prese la bambola.
«Oh, grazie. È la mia prima bambola questa.» disse Lauren e Camila l'abbracciò.
Lauren la strinse dolcemente. «Grazie, Karla.» disse la bambina.
«Prego.» sorrise la piccola mentre si dondolava.
Dopo un po' arrivò Mike che prese in braccio la bambina. «Scusate il disturbo.» sorrise e Sinu lo guardò e ricambiò il sorriso.
«Non disturbava.»
«Ora dobbiamo andare, mia moglie si sta innervosendo.» sospirò il marito e guardò Clara mentre si teneva i fianchi impaziente.
«Va bene, stia tranquillo.» diss e Alejandro.
«Arrivederci.» mormorò Mike e se ne andò con Lauren in braccio.
«Davvero le hai dato una tua bambola?» la guardò Alejandro.
«Sì! Mi ha regalato questa.» disse Camila felice mostrando la macchina al padre.
«Una Porsche, eh? Bellissima.»
Camila sorrise e guardò Lauren che piano piano si allontanava, i loro sguardi si incrociarono e sorrisero entrambe.
La famiglia Cabello si alzò dal tavolo e andarono a pagare il conto, Camila teneva la mano della madre mentre con l'altra teneva sospesa la macchinina.
«Che stai facendo? Sai cosa ti direbbe Ashlee in questo momento?» la guardò e Camila rise.
«Le macchine non volano.» disse imitando la voce della sua amica ormai a distanza.
La famiglia entrò nella macchina, il padre diede vita al veicolo e tornarono a casa.
Camila giocava un po' con le ruote, le faceva scorrere con le sue ditina. Dopo un po', la bambina schiuse gli occhi facendosi trasportare dal sonno.
La bambina si addormentò in macchina.
Arrivati a casa, Alejandro parcheggiò e scese. Sinuhe aprì lo sportello e vide Camila con il pollice in bocca. «Camila.» disse la donna chiamandola.
«Uhm...» si svegliò mettendo un dolce broncio. «Ciao.» disse.
«Ciao.» rise la madre e prese in braccio la bambina. La famiglia entrò in casa dopo aver chiuso per bene la macchina.
«Casa dolce casa.» disse il padre aprendo la porta. La bambina scese dalle braccia di Sinu e corse dentro.
«Mettimi il pigiama!» urlò alla madre ridendo.
«Subito!» rise Sinuhe e la spogliò dolcemente e andò a prenderle il pigiamino rosa. «Eccomi.» disse tornando e le mise dolcemente il pigiama.
La bambina con la compagnia della madre andò in camera sua. Camila salì sul letto e si mise la coperta fino sotto al mento. «Caldo.» disse. «Mi racconti la storia della Sirenetta?»
«Certo, piccola. C'era una volta, un re e una regina...» la donna iniziò a raccontare la storia fino a quando la bambina non chiuse gli occhi e si addormentò.
Dopo aver visto la figlia addormentata, la donna si alzò e andò dal marito. «Si è addormentata subito, era molto stanca.» disse.
«Si è trovata davvero bene con quella bambina.» sorrise dolcemente il padre e Sinu annuì.
«Sei pronto per domani?» chiese la donna e Alejandro sorrise.
«Certo.»
Domani finalmente sarebbe giunto il momento di dare una svolta al loro futuro. Alejandro sarebbe andato alla ricerca di un nuovo lavoro.
Un lavoro che cambierà la vita dell'intera famiglia.
OH YEYEYEYEYE
Eccomi che aggiorno, ho deciso di ripubblicare questa storia e di concentrarmi solo su questa. Gli aggiornamenti saranno veramente pochi, ovvero, uno alla settimana. Sto cercando veramente di mettercela tutta in tutto e per tutto, di stare bene e di stare senza troppi pensieri per la testa. Auguro buon 2019 così, spero che sia ricco di amore, salute e ricchezza per tutti voi.
Per le altre storie, si aspetterà e molto anche. Ho preso la decisione severa che ognuna di esse verrà pubblicata dopo che la storia attualmente in corso, sarà finita.
Spero di cavarmela e spero che questa storia possa tornare ad essere al top come prima. Vi voglio bene.
Xx
-BeingAsAnHurricane.
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