Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo due. - "Gucci."

Italy, Florence.

Una giovane bambina, di sei anni, si svegliò dal suo tenero sonno. Le coperte avvolte producevano il giusto calore.

La bambina si mise seduta sul letto, sbattendo per sbaglio la testa sul piano in legno del suo letto a castello. «Ouch...» sospirò toccandosi la testa. "È sempre la stessa storia." pensò.

La bambina si alzò e andò fuori. Come al solito non c'era nessuno a casa. Il padre, insieme alla madre, lavoravano sempre, la piccola si sentiva così sola, senza affetto.

Quasi quasi odiava il lavoro dei suoi genitori.

Voleva semplicemente più contatto, aveva bisogno di affetto, di un sostegno da entrambi, non da una domestica.

«Signorina.» la incontrò Francisca.
«Buongiorno.» disse la bambina.

«Pensavo dormisse. Le stavo portando la colazione.» sussurrò.
«No, non stavo dormendo. Me la porti sul tavolo?» chiese mentre si dirigeva in cucina.

La donna seguì la bambina mentre reggeva con le mani il vassoio d'acciaio. «Signorina Issartel, ha dormito bene?»

«Sì, perché me lo chiedi?» la guardò con curiosità.
«Così, volevo solo sapere.» disse la donna e poggiò il vassoio davanti a Keana.
«Grazie.»

La bambina davanti ai suoi occhi castani, trovò due croissant, una spremuta d'arancia, tre fette biscottate dove sul piano c'era della Nutella. «Mamma mia.» disse mentre i suoi occhi brillarono.

«Mentre lei mangia, io vado a sistemarle la camera.» disse la donna e girò i tacchi.

Keana Issartel, figlia dei Signori Issartel era una bambina di soli sei anni. La sua vita era composta da una noia mortale. Era il completo contrario di quella della sua amica Lauren Jauregui.

Loro due si conobbero l'anno scorso, ad un incontro tra stilisti lì a Milano. Gli occhi verdi della bambina timida si erano immersi in quelli castani della bambina.

Lauren non la considerava tanto come un'amica, dopotutto la sentiva poco e niente e questo le faceva male.

Keana adorava un sacco Lauren, quella sua prepotenza. Era così curiosa di lei, voleva conoscerla più a fondo. Il padre di Keana, non aveva mai un giorno libero, e quando lo aveva, cioè raramente, poteva sentire la sua amica tramite telefonata.

Keana unì i due toast e iniziò a mangiarli con gusto. «Mh.» ogni tanto guardava le foto appese alle pareti lilla.

Dopo aver voltato lo sguardo, si rivolse ad uno scaffale dove c'erano vari premi vinti dai suoi genitori. In quella stanza silenziosa, si sentiva solamente lo sgranocchiare del toast.

Dopo aver finito, iniziò a mangiare i croissant ripieni di crema. Mentre mangiava la bambina dondolava le gambine. Francisca ci stava mettendo troppo, ma non le interessava molto.

L'attenzione della piccola, venne attirata dal cucciolo di Rottweiler. «Oh, ciao bellissimo.» sorrise la bambina, era indecisa se scendere per fargli una carezza o no.

Il piagnucolare del cucciolo le scaldò il cuore. La bambina bevve un po' di succo d'arancia e scese dalla sedia per giocare con il cagnolino.

«Noir.» lo chiamò e il cagnolino corse da lei per poi lanciarsi. «No!» rise.

Mentre teneva il cagnolino, la bestiola le leccò tutto il viso. «Smettila!» continuò a ridere mentre la bambina era stesa sul pavimento freddo.

«Noir!» lo sgridò Francisca. «Esci fuori.» disse e il cagnolino ubbidì.
«Ma non mi stava facendo niente.» disse Keana sbuffando mentre si alzava da terra. -

«Signorina, lo sa, i suoi genitori non si fidano molto di quella razza di cane.»

«Non mi interessa. Noir sta imparando, piano piano lo sto addestrando.» sospirò Keana e uscì dalla casa nuovamente per poi andare in cortile.

Il cagnolino era offeso, messo nella sua cuccia. La piccola si avvicinò e lo guardò dalla porticina. «Noir, psst.» Lo chiamò e il cane venne da lei leccandole la manina. «Francisca non capisce niente.»

La bestiola alzò le orecchie come se stesse ascoltando la sua padroncina.

«Signorina Issartel!» la riprese la donna.
«Non scocciarmi. Sto giocando con Noir.» disse nervosa la bambina.

«È pericoloso.» disse piano. Il cucciolo intanto leccava gli stinchi della bambina facendole il solletico.

«Seduto!» ordinò la bambina e il cagnolino si mise seduto obbedendo.

Una goccia andò a sbattere contro il nasino di Keana. «Mh, sta iniziando a piovere, Francisca.» sospirò e legò Noir alla cuccia.

Dopo un po' entrò in casa, e andò a sedersi sul morbido sofà, prese il telecomando e mise un cartone animato.

«I suoi genitori arriveranno per le 15:00.» disse.
«Va bene, meglio.»

I signori Issartel lavoravano nella grande linea moda italiana Gucci.

Fondata nel 1921 a Firenze dal grande Guccio Gucci. Il S. Gucci era un immigrato italiano che lavorava in alcuni hotel di lusso. Proprio nell'anno in cui nacque Gucci, l'uomo si trasferì a Firenze e iniziò a lavorare in piccoli negozi che producono pelletterie.

Lavorava anche nella produzione di articoli da viaggio e per l'equitazione. I marchi della casa sono sempre riferiti all'ambito equestre.

Alle 15:00 vennero i S. Issartel, e Keana esplose di felicità. I capelli di entrambi erano un po' umidi per via della pioggia. «Ciao piccola.» disse il padre e la bambina lo abbracciò.
«Ciao papà.»

«Come stai, piccola?» chiese la madre dandole un bacio d'affetto sulla guancia.
«Bene, solo un po' annoiata...»

«Hai giocato?» chiese.
«Sì, con Noir, poi ho visto i cartoni animati.» disse.
«Hai fatto attenzione?»

«A cosa?» chiese.
«Al cane.» disse la madre.
«Ah... Sì.»

«Sicura?» chiese il padre e Keana annuì con la testa.
«Va bene.»

«Lo sai? Noir ubbidisce quando gli dico "seduto".» disse felice la bambina.
«Davvero? Oh, ma è grandioso.»

«Sì, esatto. Sono molto felice di questo.» sorrise la piccola e abbracciò i genitori ancora una volta.

Il rapporto che c'era tra i tre, era perfetto. Keana amava i suoi genitori, come loro adoravano lei. Keana adorava le loro preoccupazioni. Il loro modo dolce di prendere le cose. Il loro modo di fare, era grandioso.

Trattavano Keana come una principessa, le insegnavano di tutto al riguardo della moda ma anche altro. Il padre amava moltissimo la storia, appunto i suoi racconti erano sempre basati su quello, dalla preistoria, da Carlo Magno, fino alla seconda guerra mondiale.

Keana sapeva quasi tutto a memoria.

La madre invece, raccontava più che altro delle poesie, le vite degli autori e cose varie. Keana amava tanto il poeta Dante Alighieri.

INTANTO A LOS ANGELES...

«Papà è uscito?» chiese Camila alla madre mentre guardava i suoi movimenti.
«Alza i piedi.» disse Sinu intanto che passava lo straccio. «Comunque, sì.»

«Capito... Mi manca.» disse Camila piano e ogni tanto pensò alla bambina del locale. «Secondo te, Lauren si ricorderà di me?» chiese mentre alzava i piedini.

«Sono passati due settimane da quando siamo stati lì.» iniziò. «Penso di sì. Non è passato poi così tanto tempo.» concluse la madre.

«Che ne sai?» la guardò. «Magari le stavo antipatica...» mormorò.
«No, se ha giocato con te fin dall'inizio, non le stavi antipatica.»

«Mh, va bene.» sospirò. «Papà che lavoro fa ora?»

«Te l'ho già detto...» rise. «Lavora nella casa di moda Guess.»

«Guess.» ripeté la bambina e sorrise un po'. «Però mi sta antipatica.»

«Perché?»

«Perché mi sta portando via papà. Non lo vedo mai...» sospirò.
«Oh, piccola. Ma era scontato.» sorrise mentre lasciò lo straccio e si avvicinò a lei.

«Scontato?» chiese non capendo.
«Beh, siamo venuti qui per cercare lavoro, no?»

«Lo so... Ma quello che aveva prima era meglio...» fece il labbruccio.
«Guadagnava poco.» disse la madre.

«Però stava con noi.» disse Camila.
«Piano piano la nostra famiglia sta fiorendo grazie a tuo padre, grazie al suo bel lavoro.»

«Disegnare vestiti lo trovo inutile.» disse acida la bambina.
«Oh, andiamo, Mila.» rise.

«È vero, mamma.» disse mentre si mise con le gambe conserte. «È una perdita di tempo.»

«Però riusciamo a prendere molto.» disse. «Così possiamo fare tante cose, non credi?» la guardò e Camila rimase zitta.

«Tipo?» corrugò le sopracciglia.
«Beh, ad esempio, andare in quei parchi divertimenti.» disse sapendo che a Camila piacevano un sacco.
«Parco divertimento?»

«Già. Ma tu, vedi... Dici che è una perdita di tempo... Quindi.»

«Ora non è più una perdita di tempo se la metti su questo campo.» disse Camila mentre i suoi occhi brillarono. «È asciutto?» chiese.

«Sì.» La bambina poggiò i piedini coperti dal tessuto bianco della calza e andò a fare un disegno.

«Dove sei andata?» chiese Sinuhe alzandosi nuovamente mentre riprese lo straccio.
«A disegnare qualcosa, mamma.»

Camila era messa seduta sulla sedia in legno, la scrivania tutta pasticciata la metteva a suo agio. La bambina era piuttosto disordinata e pasticciona.

La piccola cubana, sapeva benissimo che se sarebbe stata in una casa di lusso, non sarebbe riuscita a vivere per il troppo ordine. Fosse stato per lei, avrebbe iniziato a mettere tutto in soqquadro.

Ogni tanto la madre sperava che col tempo, Camila riuscisse ad essere più ordinata.

Sperava anche in qualcosa di più importante. La donna sperava che la bambina riuscisse a intraprendere il lavoro del padre. Voleva che avesse quella vena stilistica e che la facesse volare.

Voleva che la bambina seguisse le orme del padre.

Sapeva che Camila ci sarebbe riuscita in un modo o in un altro.

La bambina iniziò a colorare il disegno, uscendo dai bordi della matita. La punta della sua lingua sporgeva leggermente dalle sue labbra, segno di concentrazione.

Mentre continuava, pensava a Lauren.

Camila sapeva che non si sarebbe mai dimenticata di lei, dei suoi occhi verdi che sembravano quei smeraldi che si vedono in televisione.

Si sentiva così legata a lei, le aveva ceduto la cosa più preziosa, la sua bambola. Era stata solo una sera, per puro caso. Cabello si era sentita meno vuota dopo una giornata così pesante.

Pensava di non aver fatto amicizia con nessun altro al di fuori di Ashlee.

Chissà cosa avrebbe fatto la sua amica del cuore. Chissà cosa faceva in quel momento. Sperava davvero il meglio per lei, voleva che la sua amica sarebbe diventata qualcuno. Qualcuno di importante.

Camila sapeva benissimo come sarebbe stato il suo futuro. Sapeva che un giorno avrebbe continuato le orme del padre.

Non era sicura.

Non era sicura di voler intraprendere questo viaggio, le sarebbe piaciuto fare altro, ad esempio la veterinaria o addirittura la dentista.

Camila ci contava su quei due lavori. Adorava aiutare gli animali con qualche problema. Quando la bambina stava ancora a Cuba, ogni volta che vedeva un uccellino in pericolo, lo aiutava, sempre.

La sua curiosità non le mancava però. Da un lato voleva pure provare a lavorare in Guess. Forse le sarebbe piaciuto. Avrebbe dovuto lavorare duramente però, si sarebbe dovuta allenare con il disegno.

La sua testolina elaborava già come affrontare un po' il suo futuro. Il suo cervello da bambina di quattro anni, per un attimo divenne come quello di una persona adulta.

Chissà cosa avrebbe risposto ai bambini alla domanda "cosa farai da grande?".

Era davvero curiosa della sua vita. Camila non vedeva l'ora di viversela nel giusto dei modi. «Camila.» la chiamò la madre.

«Ah?» la guardò.
«È la quinta volta che ti chiamo...»

«Scusa...» sospirò.
«Tranquilla. Ti volevo chiedere, e se oggi andassimo al parco?»

«Dici?» chiese.
«Secondo me, va bene, il tempo non è nemmeno brutto.» sorrise dolcemente.
«Quindi è un sì?» chiese la bimba.

«Sì, mi piacerebbe. È già due giorni che non usciamo.» sorrise.
«Andiamo!»
«Va bene. Vado a prepararmi.» disse la donna e andò via in camera sua.

Camila rimase lì ad aspettare che la madre tornasse. «Lauren, ti rivedrò mai?» si chiese ad alta voce.
«Mi manchi...»

La bambina sentiva tantissimo la mancanza di Lauren, la sua presenza le aveva trasmesso qualcosa. Sentiva come se Lauren avesse bisogno di affetto, di attenzioni. Ed era così. Dopo aver visto la madre, immaginò quanto fosse dura nei suoi confontri.

Voleva vederla, almeno un'altra volta.

Camila scese dalla sua sedia e andò in camera sua e aprì i cassetti. «Mh.» rimase indecisa su cosa mettere. C'era l'imbarazzo della scelta, dopo un po' arrivò la madre e le prese giusto un paio di jeans e una maglietta bianca a maniche lunghe. Dopo aver vestito la figlia, le mise le scarpe con gli strappi in modo che non si slacciassero.

«Così non cadi.» disse sorridendo la a donna.
«Va bene.»

IN MACCHINA...

«Quanto manca?» chiese Lauren stando dietro con Freddie.
«Ancora trenta minuti, piccola.» rispose Mike dolcemente e Lauren sbuffò.

«Non ci possiamo fermare?» chiese con tono annoiato.
«Lauren, ci siamo fermati già prima, dieci minuti fa.»

«A quanto pare, la signorina è impaziente.» disse Freddie e Michael rise.
«Hai ragione.»

«Non è vero. Non sono impaziente. Mi sto solo annoiando.»

«E quando saremo a Los Angeles che farai?» chiese.
«Boh, vado al parco con Freddie.» disse Lauren. «Non mi interessa molto.»

«Cosa?»

«Non mi interessa se ci saranno bambini più grandi di me, loro non mi metteranno un'altra volta i piedi in testa, io sono l'unica e sola, Lauren Jauregui, figlia di un gran uomo che lavora in una delle linee moda più belle.» disse Lauren freddamente e Mike sorrise sentendola.

«Fatti valere.» sorrise il genitore amorevolmente.

Lauren e Freddie vennero lasciati davanti al cancello del grande parco formato da piante, erbetta e con addirittura un laghetto.

Lauren guardò l'entrata per poi prendere la mano di Freddie ed entrare.

«È enorme.» disse Lauren guardandosi intorno.
«Già. Sembra molto tranquillo.» sorrise l'uomo.

Mentre stavano andando verso le panchine, Lauren si fermò e guardò un castello con uno scivolo. «Non pensavo ci fosse uno scivolo.» sorrise guardando.

«Vuoi andare?» chiese.
«No, non al momento. Non trovo il desiderio.» disse Lauren sorridendo.
«Va bene, Mh, andiamo a sederci lì?» chiese il maggiordomo e la bambina annuì.

I due andarono a sedersi in una delle panchine. Il maggiordomo mise un fazzoletto sul piano. «Prego.» disse e Lauren sorrise.
«Perché?»

«Così non si sporca, signorina.» mormorò e Lauren gli diede il fazzoletto.
«Non ho bisogno.» disse. «Siamo tutti uguali e abbiamo il diritto di sporcarci come tutti.» disse Lauren sedendosi.

L'uomo sorrise dolcemente, adorava tanto Lauren. «Va bene.» si sedette sulla panchina e si mise con le gambe accavallate. «Hai portato qualcosa?» chiese.
«Un libro.» disse l'uomo.
«Mh... Quale?»

«Nicholas Sparks.» disse lui e Lauren roteò gli occhi.
«Non mi interessa.»

«Va bene, signorina.» iniziò a leggere.

Ad un tratto Lauren si affacciò e vide le tante lettere che componevano delle lunghe frasi. La bambina iniziò a leggere, o almeno ci provava.

Lauren aveva iniziato già con gli studi, la bambina aveva un maestro per sé e studiava nella sua grande abitazione. La decisione di questo, era nata da Clara.

Al momento non si sapeva il motivo del perché decise di non far frequentare Lauren in una scuola normale.

Forse per i compagni?

Non si sapeva.

«Vedo che i suoi studi la stanno aiutando.» disse complimentandosi.
«Mh, per lo meno, ci provo...» sospirò con fatica.

La bambina piano piano stava imparando a leggere e a scrivere. Anche se la bambina avesse solo cinque anni, era già tanto.

Dopo essersi stufata, guardò il castello per poi guardare Freddie. «Posso andare a giocare adesso?» chiese cortesemente.

«Certo signorina, ci mancherebbe.» sorrise, Lauren si alzò e andò via da lui andando verso l'ondata di bambini che non smettevano di ridere e scherzare.

Era così piccola davanti a quel castello. Sapeva che le principesse ne possedevano uno.

Lauren si sentiva come una principessa a vivere lì, a casa sua. Gli occhi verdi della bambina, si incontrarono con un visino angelico. Rimase immobile davanti a lei.

Stava sognando o aveva visto la bambina di due settimane fa? La stessa che le aveva dato una bambola e che non se n'era andata da lei per il brutto carattere.

Quando la bambina alzò la testa incrociò gli occhi con quello di Lauren e rimase senza fiato.

Il piccolo cuore di Lauren stava battendo davvero forte dalla felicità.

«Ciao.» riuscì a dire e Camila sorrise sentendo imbarazzo.
«Lauren.» la guardò Camila felice.

Le braccia di Lauren, ad un tratto avvolsero il corpicino di Camila che l'abbracciava forte. «Mi sei mancata.»

Sinuhe notò la scena e sorrise. Aveva capito che quella bambina era Lauren, la stessa che Camila non smetteva di pensare. Era davvero un miracolo questo.

Sua figlia aveva incontrato qualcuno che sicuramente, nonostante la distanza, le sarebbe stata vicina. Sinuhe amava questo, finalmente poteva vedere negli occhietti di Camila felicità.

La bambina non era più sola.

La manina di Camila stringeva la Porsche nera di Lauren, la grande si sorprese. «»Vedo che...», «Hai ancora la mia macchinina.»

«Sì, la mia bambola?» la guardò Camila e Lauren sospirò.
«Non lo so.» mormorò. «Spostiamoci, andiamo in un altro posto.» disse Lauren prendendole la mano.

«Perché?» chiese.
«Ci sono troppi bambini, mi danno fastidio.» disse Lauren piano.

Camila dopo averle stretto la mano, andò con lei. Dopo essere arrivate in un posto tranquillo, decisero di sedersi sull'erbetta. «Allora?» chiese. «Cosa non sai?»

«Dov'è...» sospirò. «Non so dov'è la bambola.»

«Perché? Insomma... Avevi detto che...» i suoi occhi iniziarono ad inumidirsi.
«Camila, non lo so...» sospirò.

«Perché? Che è successo?»

«È stata mia madre. Ero fuori con il mio maggiordomo, Freddie.» disse indicando la panchina dovere era seduto l'uomo. «Si trova lì.» Camila annuì.

«Poi?» la guardò.
«I miei giochi erano: una macchina, un peluche e la tua bambola.» disse.
«La macchina c'è, la tengo sempre in un cassetto. L'amico mio, Blue e la bambola non ci sono.»

«Perché?»

«Perché mia madre me li ha portati via. Non so dove sono, sicuro me li ha nascosti da qualche parte, ma ti giuro, non è colpa mia...» disse Lauren.

Il cuore di Camila era un po' distrutto. «Quindi, sono persi?» chiese.
«No.»

Lauren si avvicinò a lei. Il braccino della grande si mise attorno al collo della minore e le fece carezze sulla testa. «Non piangere, Camila.» disse dolcemente.

Non riusciva a vederla così, non per colpa sua. «Non sto piangendo.» disse.

«Vedo le lacrime invece.» sospirò. «Non merito le tue lacrime.» disse Lauren prendendo un fazzoletto. «Alza la testa.»

Camila fece come le era stato detto, lo sguardo triste e gli occhi un po' arrossati erano evidenti.

Il dolore che sentiva per aver "perso" quella bambola a causa di una donna, era tanto.

Lauren iniziò a passare il fazzolettino sui suoi occhi in modo da togliere le lacrime. «Non piangere per me.» disse. «Finirai per terminare le tue lacrime.» sospirò.

«Va bene.» sospirò Camila e si strinse a Lauren dolcemente.
«Mi spiace per avere una madre del genere.» disse Lauren e Camila le strinse la mano.

«Che hai fatto?» chiese Lauren dolcemente e Camila strusciò la guancia sul letto di Lauren e quest'ultima sorrise un po'.

Le ricordava un gattino. «Cioè?» mormorò Camila non capendo la sua domanda.

«Intendo, che hai fatto in questo tempo che non ci siamo viste.» sorrise e poggiò le labbra sulla sua testa.
«Ah, non ho molto da raccontare. Esco quasi sempre a Los Angeles con mia madre.»

«Beata.» sorrise Lauren mentre coccolava la sua amichetta.
«Mio padre adesso ha un lavoro.»

«Davvero?»

«Sì! Lavora nella casa di moda Guess.» spiegò Camila e Lauren annuì.

«Sì, li conosco.» disse Lauren sicura.
«Lo pagano molto bene.» sorrise Camila felice.
«I fratelli Marciano, sono delle persone meravigliose.»

«Li conosci?» chiese.
«Certamente.» si vantò Lauren.
«Davvero?»

«Già, io considero i Marciano come degli zii. Ci vado molto spesso da loro.» disse Lauren. «Ci vado il lunedì, il giovedì e la domenica.»

«Perché?» chiese curiosa Camila.
«Perché mio padre va a portare i suoi lavori lì.» disse. «Magari per una collaborazione, non lo so.» mormorò Lauren.

«Capisco.» disse Camila. «Perché oggi non ci sei andata? È giovedì.» disse Camila.
«Perché volevo cambiare. Mi piacerebbe divertirmi una volta ogni tanto.» sorrise.

«Capito.» sorrise. «Magari, uno di quei tre giorni mi farò portare da papà.» disse. «Così ci vediamo, che ne dici?»

«Sarebbe possibile.» disse Lauren sorridendo dolcemente.

Molta gente era seduta un po' lontana da loro.

Dei passi veloci, spattevano sull'erba. Lauren alzò la testa e notò lo stesso gruppo di bambini dell'altra volta.

«Mh.» disse Lauren e si alzò. «Che c'è?»

Lauren non rispose.

«Eccola qua, di nuovo la mocciosetta.» disse Tom, il capo del gruppo.
«Allora, come sta tuo padre?»

«Sta che non te ne frega.» rispose acida.

«Oh, Tom, guarda.» disse Ludovic prendendo la Porsche dalle mani di Camila.
«No!» disse la piccola.
«È un bel modellino, ce lo terremo noi.» disse.

Lauren in un attimo stracciò la macchina dalle mani del bambino e la diede nuovamente a Camila. «Non ti permettere più.» disse con rabbia.

«Perché?» chiese l'amichetto di Tom.
«Perché non ti importa.»

«Ragazza dal nome strano non permetterti.» disse Tom spingendola facendola sbandare.
«Non un'altra volta.» ringhiò e spinse il bambino facendolo cadere e sbattere la testa sul terreno.

«Cazzo!» urlò dal dolore. «Ammazzatele di botte. Perdo sangue.»

Lauren rimase un po' stupita, era sorpresa che un bambino di sette o di otto anni dicesse già delle parolacce.

I bambini si accerchiarono su Camila, visto che era la più piccola, solo che Lauren decise di mettersi in mezzo non appena Ludovic cercò di darle un pugno.

«Ugh.» mugolò Lauren trovandosi il pugno affondato nell'addome. «Prendersela con i più piccoli non vi definisce maturi.» disse.
«Stai zitta.» gliene diede un altro.
«Camila, vai a chiamare qualcuno. Cerco di cavarmela.»

La bambina ubbidì e corse via andando a chiamare la madre e il maggiordomo visto che si ricordava la sua panchina.

Lauren intanto cercò di difendersi, rispondendo ai colpi. Il problema era che i bambini erano troppi e di un'età maggiore.

I colpi allo stomaco erano tanti, sempre più forti, stessa cosa quelli al viso e alla testa.

I bambini vennero separati dalle persone che c'erano lì, intanto mentre che Sinu chiamava il 911, Lauren cadde per terra priva di sensi.

La polizia arrivò, lo stesso l'ambulanza.

Freddie si avvicinò alla bambina disperato, ma una guardia medica lo fermò. «Non deve avvicinarsi.» disse l'uomo e il maggiordomo rimase a guardare Lauren che intanto veniva caricata sull'ambulanza.

«Sono il suo maggiordomo, la prego di farmi salire.» disse con rabbia.
«Ne è sicuro?» chiese il medico accompagnando Freddie all'ambulanza.
«Sì.» rispose.

L'uomo venne caricato, intanto la polizia si concentrò sui bambini chiamando le loro famiglie.

Camila guardò Sinuhe mentre gli sportelli del veicolo si chiusero e partì. «Mamma, voglio andare in ospedale.» disse prendendole la mani. «Portami.»

«Va bene.» rispose la donna e andò via con la figlia, verso la loro macchina.

Le due salirono sulla macchina e frecciarono via mentre seguivano l'ambulanza.

Dopo essere arrivati, Lauren venne subito ricoverata d'urgenza.

La donna con Camila si trovarono in corridoio, sedute, al suo fianco c'era Freddie che digitava un numero sul suo Nokia, dopo un po' chiamò un uomo.

«Signor Michael, sono Freddie. Deve venire d'urgenza in ospedale.» disse.
«Perché?» chiese allarmato.
«Si tratta di sua figlia.» disse e Sinuhe rimase ad ascoltare.

«Non posso venire, Freddie. Dopo mi spiegherai cosa è successo.»

«Signore, è ricoverata.» disse Freddie disperato.
«Lauren è una bambina forte, ce la farà, fidati di me.» disse l'uomo.
«Signore...»

«Mi stanno chiamando, mi spiace.» chiuse la telefonata e Freddie rimase con il telefono in mano.

«Tutto bene?» chiese Sinuhe e l'uomo la guardò.
«No.»

Camila faceva muovere le ruote della macchina con le ditina, era nervosa. «Mh.»

«Suo padre?»

«Già.» sospirò l'uomo. «Sta lavorando ad una linea importante, C.K. X JAUREGUI. Ora ci troviamo qui a Los Angeles perché deve parlare con i fratelli Marciano.» disse. «Ci tiene parecchio. Ma dovrebbe capire che è molto più importante sua figlia.»

«I figli sono la cosa più preziosa di questo mondo, signore.» disse la donna e Freddie annuì.
«Ha ragione. Mi chiami pure Freddie.» sorrise e Sinuhe annuì.

«Mio marito lavora per i Marciano.» disse.
«Oh, me l'ha detto il signore, Alejandro Cabello, giusto?»

«Oh, esatto.» ridacchiò. «È lì da poco.» disse sempre Sinu.
«Michael mi aveva riferito che è una persona davvero brava.» sorrise.
«Ne sono contenta.» mormorò.

Dopo alcune ore d'attesa, il medico uscì dalla stanza dove era situata Lauren. «È lei il parente della bambina?» chiese e Freddie si alzò.
«Sì, allora?»

«Lauren ha avuto gravi lesioni al naso.» disse il medico e Freddie si mise una mano sulla fronte.
«Come sta adesso?»

«Adesso sta dormendo, ha giusto qualche cerotto e fasciatura. Mi sorprende che sia riuscita a difendersi.» disse.

Sinuhe voltò lo sguardo sul posto dove era seduta Camila prima.

Solo che adesso, non c'era.

Camila era entrata da Lauren.

OH YEYEYEYEYE

Ed eccoci qui con il secondo capitolo. Piano piano stiamo scoprendo tante cose sui personaggi, che ve ne pare?

La storia vi sta entusiasmando?

Cosa farà la piccola Camila una volta entrata nella stanza di Lauren? Siete curiosi?

Mi trovate anche su 👇:

Instagram: mvrtavillagrande
Twitter: drunkwithya

-BeingAsAnHurricane.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro