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Prologo

Anno 2016.

Il sole era calato lasciando spazio ad una notte fredda, mentre in cielo si potevano notare alcune lucine flebili, provenienti dalle stelle.

Per fortuna non c'erano nuvole a coprire quello spettacolo di luci.

Yasmine era nel salotto, sul tappeto, intenta a giocare con le sue bamboline.

Non sembrava passato nemmeno un attimo da quando l'avevo tenuta per la prima volta tra le mie braccia, in quel letto d'ospedale dov'era nata, ma in realtà erano passati già tre anni.

Mi appoggiai al bancone della cucina, provando a richiamare mio marito, Haiden, che stranamente tardava nel tornare dal lavoro, ma ancora una volta, fu la voce della segreteria a rispondermi e non quella calda e rassicurante del mio uomo.

La preoccupazione iniziò a farsi spazio in me, ma la ricacciai via, pensando che probabilmente il suo capo l'aveva trattenuto al lavoro e lui aveva il cellulare scarico, per cui non poteva avvisarmi.

Non era da lui, ma poteva capitare.

D'un tratto, una piccola figura, venne verso di me: era la mia, anzi la nostra, bambina.

Allungò le braccine verso di me, segno che voleva farsi prendere in braccio.

Lo feci subito, prendendole ad accarezzarle i capelli biondi, tenuti sù, da una coda di cavallo.

Aveva preso i capelli chiari dalla nonna paterna, dato che nè io, nè Haiden, li avevamo biondi; i miei erano rossicci e  quelli di mio marito castani.

"Mammina, dov'è papà?", mi chiese ad un tratto, con la sua vocina tenera che riusciva a scaldarmi il cuore anche nei giorni più freddi della mia vita.

Bella domanda, non ne avevo idea.

Era visibilmente preoccupata, perché aveva perfettamente imparato dove dovevano essere puntate le lancette dell'orologio, quando il suo papà, arrivava dal lavoro.

"Amore, vedrai che tornerà presto. Starà ancora lavorando, stai tranquilla.". Le posai un bacino sul naso, sorridendole per rassicurarla, pensando che quella scusa non convinceva nemmeno me.

Dopo pochi secondi di silenzio, mi disse:"Mamma, io ho tanta fame", così le risposi:"Allora, mangiamo noi due, tanto papà arriverà tra pochissimo.".

La posai nel sediolone, visto che era ancora troppo piccola per arrivare fino alla tavola ed iniziai a tagliarle a piccoli pezzettini la carne, che avevo preparato poco prima.

Ma il mio lavoro da madre premurosa, fu interrotto dallo squillo del telefono fisso, proveniente dal salotto.

Chi poteva mai essere a chiamare a quell'ora?

Non mi feci troppe domande, ma anzi, mi affrettai ad andare a rispondere, pensando che era Haiden che chiamava dal lavoro.

Alzai la cornetta del telefono, che si trovava sul tavolino in legno, accanto al divano e dissi:"Pronto?".

"Buonasera, lei è la signora Harris?". Era una voce maschile, ma di sicuro non era quella di mio marito.

"Si, lei chi è?".

"Sono l'agente White, della polizia. La chiamo per informarla che suo marito ha avuto un incidente.".

La preoccupazione, divenne palpabile e in quel momento, non ci fu niente da fare per far sì che non trasparisse dal mio volto.

Vedendo che l'agente stava in silenzio, gli chiesi:"E...come s-sta?".

"Mi dispiace signora, ma suo marito...non ce l'ha fatta...".

Una marea di lacrime salate, iniziò a bagnarmi le guance pallide, mentre l'intero mondo mi crollava addosso.

Non era possibile, non era potuto succedere davvero.

Quello era solo uno scherzo, di pessimo gusto, tra l'altro.

Ma subito dopo, mi convinsi che non era così. Era tutto vero, purtroppo.

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