Capitolo 29
Scostò il piccolo corpo accartocciato tra le lenzuola prima di portarsi una mano sul viso, per cercare di reprimere la troppa luce che gli arrivava agli occhi.
Dopo pochi minuti aprì le palpebre, le tende si muovevano leggermente a causa della finestra socchiusa della camera da letto.
Un altro giorno era iniziato, un altro giorno che Calum avrebbe fatto passare senza fare niente. Stando a guardare il mondo intorno a lui continuare la propria rotazione, lasciandolo fermo in disparte.
Era come se fosse finito all'inferno, poteva guardare la vita di Lexi senza interferirla. E pensare che tutto quello di cui aveva bisogno era li, ma nonostante la poca distanza non poteva raggiungerla. Come se ci fosse una forza più grande, come se due braccia muscolose tenessero quelle di Calum.
Alzò le braccia al cielo scacciando il sonno prima di riabbassare le spalle, si alzò ancora scosso dal poco riposo e arrancò verso la porta.
Sobbalzò quando entrò in cucina, suo padre stava trafficando con una padella borbottando ogni tanto qualche imprecazione.
L'uomo si girò pochi secondi dopo, accorgendosi del figlio sul ciglio della porta.
-Calum.- disse per salutarlo.
Il ragazzo accennò con la testa dopo essersi avvicinato ad un'anta per prendere un bicchiere. Gli era passata la fame.
Osservò il padre mentre si versava un po' di succo di pesca, i capelli neri erano spettinati come i suoi. Erano così simili che a Calum venne un senso di nausea. Come se gli si fosse stretto di colpo lo stomaco a quel pensiero.
Il padre era alto e magro, aveva trasmesso quelle caratteristiche al figlio maggiore, non si poteva negare. Il cognome di quella famiglia ce l'avevi stampato addosso come un tatuaggio, non serviva un parola, solo guardarli.
-Allora,- iniziò il padre sospirando -tua madre mi ha detto che fai cazzate a scuola.-
Si mise delle uova strapazzate nel piatto guardando ogni tanfo Calum. Lui alzò le spalle, non voleva già litigare la mattina.
-Devi smetterla, datti una regolata.- disse il padre in tono duro.
Calum ricambiò lo sguardo trucido che gli stava lanciando, riuscì a pensare ad una sola cosa mentre guardava quelle iridi nere e percepiva l'ansia sotto pelle.
"È questo che prova Lexi quando mi guarda? È questa la paura che prova?"
Il ragazzo scosse la testa abbassandola poco dopo.
-Ho sentito che risolvi le cose con le mani.- continuò suo padre, Calum alzò appena lo sguardo prima di ritrovarsi la testa contro l'isola della cucina.
La mano di suo padre lo teneva fermo per i capelli contro lo strato di marmo. Lui mugugnò qualche parolaccia prima di cercare di liberarsi.
-È così che insegni le tua regole alla gente? È così che dovrei insegnartele?- sussurrò il padre avvicinandosi all'orecchio che non era contro il tavolo.
Calum urlò quando sentì l'uomo tirargli i capelli con le dita ma spingerlo contro la lastra dura con il palmo.
Ma erano carezze in confronto al male che provò quando sentì il padre soffiargli:
-È così che insegni a quella ragazza come rispettarti?-
La sua mente si spense, per qualche secondo vide solo il nero.
Il nero e il rosso dei capelli di Lexi, come ondeggiavano quando camminava davanti a lui o come si scompigliavano quando la portava in bici. Un immagine di quegli orecchini che indossava sempre gli fece premere le labbra. Si incazzava, non capiva il motivo per cui dovevano mancargli tutte quelle.
Non riconosceva il sentimento, non lo comprendeva.
Ma sentirsi ricordare il motivo per cui lei lo aveva lasciato gli fece toccare il fondo. Sentirselo dire in quel tono lo faceva ancora più arrabbiare.
Alzò la schiena di scatto spingendo con i palmi delle mani contro l'isola. Sentì un dolore alla testa avuto e quando si girò e vide il padre coprirsi il naso con una mano capì che gli aveva tirato una testata.
-Non puoi parlare di lei!- sbraitò alzandosi e andando davanti al padre.
-E chi me lo impedirà?- ridacchiò il padre -Come si chiama? Alexandra?-
Calum si avvicinò, artigliò le dita al colletto della maglia grigia che il padre usava per la notte per poi spingerlo contro il muro e tenerlo fermo. L'altezza non era un problema, anche se il padre era qualche centimetro più alto Calum aveva la rabbia che lo caricava.
Da quando non aveva più Lexi per scaricarsi, anche solo con gesti dolci o carezze, era costantemente in cerca di un modo per scaricarsi.
Per trasmettere la rabbia a qualcun'altro.
-Lexi.- biascicò -Ma lei è un mio problema.-
Il padre si accigliò.
-Ma tu, ragazzo, sei un mio problema.- si guardò intorno prima di riaprire la bocca -E poi, che mostro sei? Come osi toccare una ragazza?-
Calum allentò la presa sentendosi trapassare da quegli occhi scuri, vedeva la delusione. La disperazione e la sorpresa.
-Lei è mia,- bisbigliò stringendo la presa -io ci faccio quello che voglio. E a lei va bene così.- mentì.
Il padre si scostò, puntò un indice contro il figlio.
-Queste stroncate valle a dire a tua madre, ma a me no mi freghi. So che a lei non frega un cazzo di te, ma è giusto così, perché a te non frega un cazzo di nessuno.- il padre gesticolò pulendosi dei residui di sangue che erano colati fino alle labbra -Non ti interessa di tua madre, di Joenelle, ti interessa solo dell'unica persona che non ti considererà mai.-
-Basta!- urlò Calum.
Lasciò cadere il proprio corpo contro il muro, chiuse gli occhi sentendoli pizzicare.
-Sono stanco di sentirmi dire che lei non mi vorrà mai, lo so, è per questo che dopo due anni di sofferenza o deciso di far soffrire un po' anche lei. Obbligandola ad amarmi.- urlò Calum, le palpebre avevano ceduto facendo diventare il suo viso umido -Ho fatto questo per sentirmi un po' amato dalla persona che amavo.-
-Ti stai ascoltando?- il padre si passò una mano tra i capelli frustrato.
-L'hai picchiata Calum, sai che potresti essere denunciato dalla scuola o dalla sua famiglia o addirittura andare in carcere? Lo capisci questo? E non pensi a come si sia sentita lei con tutti quei lividi? Come può una persona essere così egoista?- sbraitò.
Calum lasciò le braccia lungo i fianchi dopo essersi passato il bordo della maglietta contro il viso per asciugare delle lacrime che lo avevano tradito per il nervosismo.
Si avvicinò al padre serrando una mano a pugno. Prima di colpirlo alla mascella disse solo:
-Chiedilo a te stesso.-
Da lì in poi era tutto un ricordo sfocato nella mente di Calum, le sue mani erano così leggere. Sentì sua madre entrare in cucina e urlare di fermarsi, ero un ricordo adesso.
Uno stupido ed insignificante ricordo.
----
Si mise il cappuccio della felpa sua testa prima di aprire la porta di casa, delle goccioline si schiantavano sulla sua testa oltrepassando il tessuto leggero della maglia.
Alzò gli occhi verso il cielo facendo un piccolo sorriso, il cielo grigio le aveva sempre dato una certa allegria, non sapeva come spiegarlo. Le piaceva e basta.
Iniziò a camminare per il centro di Toledo con le mani in tasca che si attorcigliavano intorno all'anellino di metallo su cui era attaccata la chiave. Quella era uno dei tanti interrogati che doveva risolvere su Calum.
Perché le aveva dato una chiave? E perché? Che cosa apriva?
Attraversò la strada davanti al comune prima di entrare in nel parco cittadino. Abbassò lo sguardo sul terriccio che ogni tanto faceva spuntare qualche ciuffo d'erba. Una o due volte Calum aveva parlato di quel parco.
Anche se non centrava niente con la sua persona in se, forse con un vecchio Calum. Forse per un Calum bambino che passava i suoi pomeriggi su un'altalena di un vecchio parco.
Si sedette su una panchina, contenta del fatto che la pioggia non l'avesse ancora bagnata. Osservò un uomo anziano passeggiare con il proprio cane.
A Lexi non dava fastidio stare da sola, solo che mancava un pezzo, e fece di tutto per non attribuirlo al ragazzo dai capelli color pece.
Alzò una gamba sollevando il piede e vedendo se riusciva a superare la prospettiva che aveva di una staccionata dall'altra parte del parco, abbassò subito la gamba e storse la testa quando vide una bici legata alla staccionata che usava come misura da battere qualche secondo prima.
Attraverso il parco con delle falcate larghe, quando arrivò davanti al mucchio di ferro aveva il cuore il gola e le dita strette alla chiave che teneva in tasca.
La bici blu sembrava li da giorni, abbassò il busto facendo cadere il cappuccio giù dalla sua testa.
La pioggia le opacizzava la vista ma vide benissimo la scritta "Lexi" resa mossa e sbiadita dalla pioggia.
Era attaccata al sellino con un pezzetto di scotch. Lo prese velocemente girandolo e leggendo il resto.
Cadde in ginocchio davanti alla bici come se avesse il potere di sottometterla.
Tirò fuori dalla tasca la chiave per poi inserirla nella serratura della catena che teneva la bici attaccata alla staccionata.
Sospirò portandosi le mani davanti al viso.
Dopo pochi secondi sollevò lo sguardo sulla bici iniziando a ridere in modo frenetico.
Aveva trovato la sua moto senza motore.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro