Heart-Ink
Samantha Grey era il mio nome. O almeno credo.
Ora per tutti sono Heart-Ink, come la protagonista del mio best seller. E sono un'assassina.
Stavo scrivendo un nuovo capitolo del mio ultimo libro, che avrei dovuto inviare al mio editore entro le otto del mattino seguente e avevo il cosiddetto 'blocco dello scrittore'.
Guardai l'orologio digitale sul mio comodino che segnava mezzanotte e un quarto e sospirai. Non sarei mai riuscita a consegnarlo in tempo.
Scrollai le spalle e decisi di andare a bere qualcosa in attesa che mi venisse l'ispirazione per continuare.
Nonostante la mia giovane età, ero una scrittrice abbastanza acclamata con due libri pubblicati alle spalle e un terzo che stava per uscire. La protagonista dei miei romanzi thriller era Heart-Ink, un'assassina mascherata che uccideva le sue vittime in modi svariati.
A me non sembrava qualcosa di tanto eclatante: mi dilettavo a raccontare le sue avventure durante le noiose lezioni al liceo e un giorno il docente di italiano, leggendoli, mi aveva proposto di spedirli ad un editore di sua conoscenza che mi aveva fatta arrivare al punto in cui mi trovo ora.
Ero felice, certo, ma la stesura di quei libri mi stressava a tal punto da aver conseguito l'aggravamento dei miei disturbi mentali di cui soffrivo sin dalla tenera età.
Soffrivo di schizofrenia e disturbo dissociativo della personalità, il che mi portava ad avere un alter ego che pretendeva di essere chiamata Melissa. Fino a quel momento Melissa era rimasta rinchiusa nei meandri della mia mente oscura grazie a diversi psichiatri che, a quanto dicevano, mi avevano aiutata. In realtà l'unica cosa che avevano fatto era stata far cessare a tempo determinato le continue voci imbottendomi di farmaci da cui avevo sviluppato una dipendenza distruttiva.
Arrivai in cucina e presi un bicchiere d'acqua, buttai giù una pastiglia di Olanzapina e sciacquai il bicchiere rimettendolo a posto; quando sentii un rumore che mi fece girare di scatto.
Vidi un'ombra entrare nel salotto buio e deglutii rumorosamente, mentre il mio corpo era scosso da tremori.
Aprii il cassetto delle posate lì vicino e ne estrassi un coltello con la lama abbastanza grande, dirigendomi lentamente nell'altra stanza. Il cuore mi batteva forte, ma cercai di farmi coraggio e raggiungere la persona a cui apparteneva l'ombra sinistra.
Vivevo da sola poiché i miei genitori mi avevano abbandonata in un orfanotrofio quando, all'età di 5 anni, avevo tentato di uccidere il mio fratellino Jason di due. Loro non capivano, nessuno capiva. Lui mi odiava, voleva uccidermi. E io l'avevo preceduto.
Ora che ero finalmente maggiorenne, ero potuta uscire senza infrangere la legge né essere adottata da qualche amorevole e smielata famiglia. Avevo scelto la Pennsylvania, siccome mi sembrava abbastanza lontana da Philly. In realtà c'erano solo 3 ore di distanza in macchina, ma per me andava bene così.
Raggiunsi una poltrona dove vidi una persona seduta e impugnai la mia arma con entrambe le mani, alzandola sopra la testa e affondandola nel petto del malvivente, inginocchiandomi davanti ad esso.
Ad un certo punto le luci si accesero e, ancora tremante e con gli occhi sgranati, guardai la mia 'vittima': un cuscino smembrato.
Sospirai alzandomi e venni raggiunta da Caleb, il mio ragazzo, che mi prese le spalle e mi fece girare fino a far incrociare i nostri occhi.
Le sue iridi azzurre trasparivano preoccupazione e mi abbracciò.
- Sam... - sussurrò accarezzandomi i capelli – stai bene? Cosa è successo? –
- I-io ti giuro che c'era qualcuno... volevo difendermi... - lasciai cadere il coltello sulla moquette – l'ho visto con i miei occhi, Caleb... Voleva farmi del male...- iniziai a piangere silenziosamente.
- Sh – mi tranquillizzò lui – era solo un'allucinazione –
- No! Tu non capisci! – mi staccai e lo guardai freddamente.
- Sam... - sospirò...
Caleb era a conoscenza dei miei problemi e, nonostante ciò, aveva deciso di rimanere al mio fianco. Aveva una copia delle chiavi di casa mia e veniva a trovarmi quando il suo lavoro glielo permetteva. Faceva il paramedico e aveva degli orari di lavoro bizzarri, ma appena aveva un momento libero, veniva ad accertarsi che stessi bene.
L'avevo conosciuto proprio grazie al suo lavoro mentre venivo trasportata al pronto soccorso dopo un tentativo di suicidio due anni prima, e da allora non mi aveva mai abbandonata. Nonostante ciò, però, non riuscivo a fidarmi pienamente di lui.
Ero sicura che anche lui stesse con me solo perché provava pena anziché amore, sapevo che tramava qualcosa contro di me per cui rimanevo sempre allerta anche se cercava di tranquillizzarmi e rassicurarmi.
Tornai in camera mia sbattendo la porta alle mie spalle e tornai sul mio romanzo, riuscendo finalmente a finirlo. Dopodiché mi chiusi in bagno e feci una lunga doccia per riprendermi dall'accaduto e rigenerarmi dallo stress.
'Sei solo una pazza'
'L'hai ucciso, brava. Non credere a Caleb, non era solo uno scherzo della tua mente. Era reale e voleva ucciderti'
- B-basta...- sussurrai portandomi le mani all'altezza delle orecchie, per reprimere quelle voci che però erano solo nella mia testa.
Iniziai a tirare pugni alle mattonelle della doccia, scorticandomi le nocche da cui iniziò ad uscire del sangue scarlatto che scendeva velocemente mischiato al getto d'acqua calda della doccia.
Poi mi portai le ginocchia al petto e le strinsi con le braccia, dondolandomi e ripetendo le stesse parole tra me e me, con uno sguardo perso nel vuoto.
- N-non sono pazza... non sono pazza –
- Ehi... Samantha...- sussurrò Caleb bussando alla porta del bagno – è tutto okay?
- S-si...- alzai la voce per farmi sentire e mi sbrigai ad asciugarmi e vestirmi, per poi uscire.
Lui mi prese i polsi convinto che avessi tentato nuovamente il suicidio, ma trovò solo le vecchi sfregi che si stavano cicatrizzando. Poi guardò le mani e notò le escoriazioni.
- Sam... - sospirò – perché?-
- Non sono pazza – ripetei, decisa.
- Non ho detto questo – mi portò a sedere sul letto e mi disinfettò le ferite per poi fasciarmi le mani.
- Sabato sera ci sarà la presentazione del terzo libro – sussurrai cambiando discorso e guardando i suoi gesti veloci.
- Lo so –
- Verrai? –
- Spero di esserci – sospirò – lo sai come funziona il mio lavoro. Devo essere sempre reperibile nei week-end...-
Annuii, ma ero triste e arrabbiata. Volevo che ci fosse anche lui, era il mio ragazzo dopotutto.
- Ehi – mi guardò accarezzandomi una guancia, ma io schivai il gesto – non preoccuparti, farò il possibile per esserci –
Annuii nuovamente e gli feci capire che volevo dormire.
- Vuoi che rimangia con te stasera? –
- No – risposi freddamente – sto bene anche da sola – mi misi a letto fregandomene di lui.
Se doveva andarsene, sapeva dov'era la porta. E poi infondo non ero da sola: con me c'erano le voci nella mia mente e quella presenza oscura che mi perseguitava.
Non sapevo cosa fosse, sapevo solo che esisteva e che mi incuteva terrore. Era sicuramente un uomo, ma senza volto e aveva le braccia troppo lunghe per un essere umano. E nonostante la mancanza di occhi, riuscivo a percepire che mi fissava insistentemente.
L'avevo visto la prima volta dalla finestra del bagno, appena trasferitami nel nuovo appartamento, ma ogni tanto mi appariva anche in sogno.
Caleb si avvicinò e mi lasciò un bacio in fronte per poi andarsene. Mi addormentai quasi subito.
L'indomani mattina controllai l'e-mail dove un messaggio del mio editore diceva che era tutto okay e che il libro sarebbe stato in vendita breve.
Scesi a fare colazione e poi tornai in camera a vestirmi, indossando un top turchese scuro, un paio di leggins neri e una camicia di jeans leggera dai toni chiari. Feci una coda lasciando il ciuffo ribelle cadermi sulla fronte e uscii di casa, per recarmi in un negozio poco fuori città.
Avevo intenzione di andare alla presentazione dove avrei firmato le copie del nuovo romanzo come Heart-Ink e dovevo procurarmi il travestimento.
Comprai del raso in poliestere nero, un nastro in raso rosso largo circa cinque centimetri, dei colori a tempera e una maschera completamente bianca. Poi andai al negozio di scarpe lì vicino e presi un paio di décolleté nere lucide con il tacco sottile.
Tornai a casa per l'ora di pranzo, presi altre due pastiglie di Olanzapina e mi misi a lavoro per creare il mio costume.
L'abito aveva uno scollo a cuore orlato con il nastro rosso, il corpetto era aderente mentre la gonna a ruota ricadeva morbida sulle mie gambe.
Iniziai a dipingere la maschera: disegnai due mezzi cuori spezzati all'altezza degli occhi e ricoprii il retro con della retina rossa in modo che potessi vedere e che la metà del cuore non avesse un buco tanto vistoso in mezzo; poi dipinsi le labbra di nero come se ci fosse del rossetto, terminando così l'outfit.
Non vedevo l'ora che arrivasse sabato sera per indossare ciò che avevo appena confezionato.
La settimana passò abbastanza velocemente e finalmente arrivò il giorno tanto atteso.
Mancava poco più di un'ora alla presentazione e finii di prepararmi, indossando il vestito e la maschera da me creati. Caleb arrivò puntualmente.
- Sam? – entrò in casa chiamandomi con voce incerta per via del buio dovuto dalle luci spente.
Gli arrivai alle spalle, lo presi per la schiena e gli puntai il mio coltello finto alla gola.
- Scriverò io il tuo destino – proferii le stesse parole dell'eroina del mo libro seriamente, per poi scoppiare a ridere.
- Se il tuo obiettivo era quello di spaventarmi, ci sei riuscita benissimo – sospirò sollevato e sorrise debolmente girandosi verso di me.
Mi tolsi la maschera, ridacchiando silenziosamente e lo baciai.
- Allora, andiamo? –
Annuii ed entrammo nella sua macchina, con la quale andammo alla libreria che distava mezz'ora da casa mia.
Entrai dal retro dove il mio editore che mi stava aspettando, approvò in pieno la mia idea del travestimento. Sorrisi soddisfatta da sotto la maschera e presi una penna rossa dalla mia borsa per poi avviarmi e sedermi ad un tavolo con una pila di copie del terzo capitolo della mia saga, dei poster pubblicitari ai lati e una fila pazzesca davanti.
Firmai decine di copie scrivendo prima la frase di Heart-Ink e poi il mio nome, quando venni attirata da Caleb che mi faceva cenno di raggiungerlo nell'altra stanza. Guardai dispiaciuta le mie fans, dissi loro che sarei tornata subito poiché avevo bisogno del bagno e raggiunsi il mio ragazzo, scocciata.
- Sto firmando degli autografi – mi tolsi la maschera e incrociai le braccia, annoiata.
- Devo andare, Sam –
- Cosa? Avevi detto che saresti rimasto –
- No – sospirò – ho detto che avrei provato a venire e che il mio lavoro è imprevedibile. Scusami...-
Mi prese il viso tra le mani e mi schioccò un bacio in fronte, per poi uscire.
'Seguilo.'
'Che stronzo, si vede che non ti ama.'
- BASTA! – urlai a me stessa e, in preda alla rabbia, lo seguii.
- EHI! – mi fermai a mezzo metro da lui, attirando la sua attenzione.
I miei occhi color nocciola si erano incupiti e una scintilla di pazzia aveva preso possesso di loro.
- Uhm, Sam? – mi guardò lui, confuso – farò il prima possibile, te lo prometto...- cercò di giustificarsi, ma non lo stavo ascoltando.
Lentamente mi avvicinai a lui, la maschera appesa al collo e la penna impugnata a mo' di arma nella mano destra.
- Non andrai d-da nessuna p-parte.... L-lo decido i-io cosa succederà, sono io la scrittrice. Ricorda: scriverò io il tuo destino...- sussurrai balbettando, mi sentivo fuori di testa.
Lui indietreggiò spaventato e preoccupato allo stesso tempo, si capiva dal suo viso. Con uno scatto, mi avventai su di lui facendolo cadere con la schiena per terra e iniziai a conficcargli la penna in un occhio.
- SAM! – urlò terrorizzato.
- Il mio nome è Heart-Ink – cominciai a ridere compulsivamente, mentre iniziai a colpirlo al collo, recidendogli la giugulare.
Il sangue usciva a fiotti dal suo corpo e in pochi minuti esalò il suo ultimo respiro.
Continuai a sogghignare, seduta sul suo petto. Poi mi alzai barcollando e tornai in me, realizzando ciò che avevo fatto.
- Caleb...- sussurrai mentre una lacrima solcava il mio viso.
In realtà non mi sentivo particolarmente triste, avevo provato piacere nel gesto che avevo appena compiuto. Lo amavo molto, ma era stato un gesto liberatorio.
Trascinai il suo cadavere fino alla macchina e lo accomodai sui sedili posteriori per poi coprirlo con ciò che potevo e tornare dentro indossando di nuovo la maschera per nascondere le macchie di sangue sul viso.
- Samantha! Dov'eri? – mi raggiunse alla porta l'editore.
- Stavo salutando Caleb che doveva andare, problemi sul lavoro – spiegai con la voce camuffata e sorrisi da sotto la maschera, tornando alla mia postazione.
Una volta finita la serata, tornai a casa e nascosi il cadavere di Caleb in cantina. Da questa vicenda, iniziai a scriverne un racconto, che sarebbe stata la trama del prossimo libro.
Dopo di lui, iniziai a vendicarmi di tutti coloro che mi avevano fatto soffrire nella mia vita: cominciai con gli psichiatri, sgozzandoli alla fine del turno di lavoro; i ragazzini che mi prendevano di mira da bambina, torturandoli in svariati modi; e poi i miei genitori e mio fratello.
In realtà, lui non riuscii ad ucciderlo: era così spaventato e innocente. Non era colpa sua se i miei genitori amavano più lui di me, in fondo. Lo lasciai ferito e svenuto nella sua camera e portai con me i corpi dei nostri genitori per rinchiudere anche loro in cantina.
Ormai quella penna rossa era diventata la mia arma, ma spesso usavo dei coltelli o strangolavo le mie vittime con il cavo di un caricabatterie. Giravo sempre con questi strumenti e il mio travestimento nella macchina, nel caso mi fossero tornati utili.
Le visioni di quell'essere continuarono, ma invece di sentirmi inquieta iniziavo a trovarci conforto nella sua compagnia.
Passarono diversi mesi: le persone scomparse aumentavano così come la mia fama e i miei racconti. Da ogni omicidio ne traevo una storia e la mettevo su carta per poi inviarla al mio editore che ne era entusiasta.
Però, iniziai a non fidarmi nemmeno di lui: mi sfruttava solo per i soldi ed ero stufa di sentirmi usata. Doveva morire anche lui.
Hank, così si chiamava, era un uomo burbero, meschino e opportunista. Viveva da solo dopo la separazione dalla moglie, che gli aveva portato via anche i figli piccoli. Ma se lo meritava.
Una sera, andai a trovarlo a casa sua travestita da Heart-Ink.
Dopo qualche minuto dal suono del campanello, Hank si presentò alla porta assonnato e scocciato, ma ancora vestito da lavoro.
- Sam? Cosa ci fai qui? E perché sei vestita a quel modo? – mi chiese seccato.
- Sam non c'è più – lo corressi per poi scoppiare a ridere sadicamente.
Mi avventai su di lui, spingendolo dentro casa e chiudendomi la porta alle spalle.
Lui cercò di scappare, ma lo fermai avvolgendo il cavo intorno al suo collo paffuto, stringendolo e ignorando le sue grida soffocate d'aiuto.
Svenne dopo pochi minuti e iniziai a colpirlo ripetutamente all'addome per provocarne la morte. Senza accertami della cosa, sicura che fosse deceduto, aprii la porta guardandomi intorno e, assicuratami che non ci fosse nessuno, lo trascinai fino alla mia macchina.
Una volta caricato nell'abitacolo, salii e partii verso la mia abitazione. Ci volevano circa tre quarti d'ora da casa sua alla mia e il tragitto era costeggiato da un bosco abbastanza esteso.
Dopo un quarto d'ora di viaggio sentii dei rumori provenire dai sedili di dietro, ma non ci feci caso. Quell'uomo era morto e i fantasmi non esistevano. Nonostante ciò la mia paranoia portava la mia testa a vagare facendomi fare mille viaggi mentali su cosa potesse aver causato quel rumore.
Attraverso la maschera guardai verso lo specchietto retrovisore e scorsi il viso di Hank sofferente che allungava le mani verso di me. Sbandai cercando di farlo cadere, ma lui riuscì a rimanere in equilibrio e portò le sue mani grosse e curate al mio esile collo, facendo pressione.
Sbandai nuovamente, ma stavolta finii la corsa andando a sbattere contro un albero. Lui cadde disteso per terra, mentre io sbattei la testa protetta dalla maschera sul volante.
Alzai lo sguardo e respirai lentamente per recuperare fiato, poi uscii dalla macchina. Dovevo scappare da quell'uomo che tentava di uccidermi. Mentre mi nascondevo tra gli alberi, notai una volante della polizia che si avvicinò.
Scesero due poliziotti con delle torce: uno si fermo vicino alla mia auto facendo cenno all'altro di entrare nel bosco. Mi avevano vista, dovevo andarmene al più presto.
- Merda... - sussurrai e iniziai a correre senza sosta, inseguita dall'uomo in divisa.
Dopo qualche decina di metri, inciampai e finii con il viso su un masso acuminato, rompendomi la maschera e ferendomi l'occhio sinistro.
Sentivo il sangue scorrere dalla fronte e un dolore lancinante all'occhio. Sorrisi perché sapevo di essere arrivata al capolinea, sia come assassina sia come persona. Sapevo che sarei morta presto, ma credevo sarebbe accaduto per suicidio.
La testa mi girava e iniziai a vedere sfocato, dovetti socchiudere gli occhi. Poi iniziai a sentire un rumore statico, ma non mi infastidiva più del dolore alla testa.
Chiusi gli occhi completamente sospirando in attesa della fine, ma quando li riaprii vidi nuovamente quella figura: l'uomo senza volto era smisuratamente altro ed aveva delle lunghe braccia che terminavano con delle ossute e bianche mani dalle dita affusolate. Indossava un completo nero con una camicia bianca ed una cravatta rossa.
Sorrisi nuovamente, stranamente confortata da quella presenza oscura e chiusi ancora una volta gli occhi, stanca e priva di energie.
L'ultima cosa che vidi fu l'uomo che tendeva le mani verso di me e mi sentii sollevare. Poi più nulla.
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