Capitolo Cinque
I giorni passano, ma la voce no.
É corretto chiamarla voce? Assegnare al Demonio la cadenza di una malattia? E se la malattia é nel mio cervello, allora il Demonio sono io?
«Sveglia, sveglia!» Lauren non mi permette neppure di riflettere. «Un'altra mattinata da incubo é iniziata. Respira l'aria del fallimento.»
«Lo sai? Me lo ricordavo diverso il risveglio con te.» Mi pare assurdo assecondare un fantasma, una voce, una patologia o qualunque sia la sua entità... Ma il sarcasmo é ciò che funziona meglio contro la sua cattiveria.
«Anche io, Camila.» Poggia le braccia sul materasso infinocchiandosi affianco ad esso. Per un attimo, mentre mi rimira, sembra intenta a far del bene, ma sarà la posizione di preghiera a travestire la sua anima nera. «Fin quando non ho più aperto gli occhi. Volevi assistere anche a quello?» Slarga un sorriso sardonico e dentro mi sento morire. Di scatto balzo fuori dal letto e tento di sdrammatizzare la tensione con uno sbuffo indispettito, ma sono sicura sappia benissimo a che velocità sta battendo il mio cuore.
Mentre mi lavo i denti é il suo riflesso quello che vedo nello specchio: «C'è del sangue nel lavandino e, per una volta, non é il mio.» Ride a crepapelle mentre inveisco contro di lei.
Abbasso lo sguardo. Degli sbiaditi rigagnoli rossi striano la ceramica. Per un secondo, mi paralizzo. La goccia scarlatta prosegue lentamente la sua discesa, colorando di peccato la sua arresa. Io sono morto per la vostra presenza. Le parole di una famosa
poesia mi rintoccano in mente. Il cuore palpita dilatando i minuti come fossero attimi. Apro il rubinetto e il getto cancella via ogni traccia di sangue assieme al pensiero. Tiro un sospiro di sollievo, ma non mi sento meglio: bianco immacolato significa solamente un'altra cosa da sporcare. Il ghigno di Lauren sembra intuirlo.
Mi dirigo in cucina dopo aver indossato dei vestiti decenti. L'agenda é piena di impegni. Non ricordo quando ho iniziato a strangolare le mie giornate, ma dev'essere stato tanto tempo fa scordarlo. É vero che la mente agisce come un ingranaggio e finché i denti girano la macchina funziona. Questa mia testa é un'enorme orologio. Gli ingranaggi si incastrano, scorrano e le lancette girano. Un piccolo intoppo e il tempo si ferma. E questo non é ammissibile.
Poggio l'agenda sul piano della cucina mentre mi verso una tazza di caffè. Le mani di Lauren sono già pronte all'assalto. Il crepitio delle pagine non sovrasta i suoi mugolii. «Oh, persone importanti. Lui no, lui è un Coglione. Non mi sorprendo sia nella tua agenda.» Stavolta non le concedo la soddisfazione neppure di una smorfia. «Sza invece é una delle migliori nell'industria. Come ci si sente a essere arrivate in alto sulle spalle di chi hai spinto in basso? Precisamente tre metri in basso.» La sua espressione sarcastica é ciò che più mi irrita. Per lei é un gioco, per me una tortura, ma non é così con ogni ostaggio?
Ogni inferno é solo una risata per chi lo comanda.
Lascio perdere il caffè. Inforco la borsa e mi dirigo verso l'uscita: «Un'altra cosa lasciata a metà, Camila!» Mi urla dietro ed io, per tutta risposta, sbatto la porta con tutta la forza che ho.
La giornata si evolve tranquillamente. Ogni evento ha i suoi imprevisti, ma nessuno che sia d'intralcio. I contratti si firmano quasi da soli e la pausa pranzo mi concede il tempo di poter organizzare le prossime giornate.
Il respiro freddo di Lauren mi colpisce il collo mentre si protende alle mie spalle: «Tanto tempo da dedicare alla carriera, e nessun minuto da dedicare alla tua coscienza.»
«Perché la mia coscienza é pulita, a differenza dell'agenda.» Inspiro profondamente tentando di rilasciare la tensione. Sto cercando di essere civile con un fantasma.
«Mi piace la convinzione che hai in te stessa. Non ti ferma di fronte a nulla. Uccideresti per il tuo lavoro.» Ridacchia per la sua stessa battuta, ferendomi più con la sua leggerezza che con la cattiveria. Non mai è la perfidia a sconvolgere, ma la facilità esercitata nell'esercitarla.
«Io non ho ucciso nessuno.» Pronuncio a denti stretti. Magari sto solo cadendo nella sua trappola, ma a volte una rete é più ospitale di un intero oceano.
«Vedi! É proprio questa la convinzione di cui parlo.» Il ghigno si allarga mentre lei mi stringe al muro. Quegli smeraldi sanno essere pece e io ci muoio dentro. Impallidisco mentre mi sta vicino. Se c'è una fantasma in questa stanza, non é lei. «La convinzione di essere una brava persona, meritevole, talentosa. Chissà cosa penseresti se ti vedessi per ciò che davvero sei.» Un broncio falsificato sfigura il suo viso di cera. «Sei un'assassina. Una traditrice. Una pessima amica e una pessima persona.»
«Lo pensi tu o lo penso io?» Balbetto fra un brivido e l'altro.
«La voce é la mia. Non ingannarti, Camila.» Il dito drizzato di fronte al mio viso indica una strada a senso unico. Da qui non si esce.
«É proprio questo il punto. La voce é la tua, ma la vita é la mia, ed é l'ora di riprendermela.» Dopo aver scagliato via il suo sguardo, la supero per arrivare alla cornetta del telefono. Mentre la alzo, le mani tremano ancora.
«Stai chiamando Shawn? Ancora? Non impari mai, Camila.» Cantilena annoiata.
«No, sto chiamando il tuo esorcista.» E mentre le sue sopracciglia si uniscano, le mie speranze si dividono in più parti.
*****
Dopo aver affrontato la dipartita di Lauren senza alcun aiuto, non avrei mai pensato di trovarmi nello studio di uno psicoterapeuta proprio per la stessa persona.
Il sorriso della donna mi rassicura, ma i suoi occhi attenti scrutano ogni mio movimento. Quest'estranea, una donna semplice sulla cinquantina che avrei potuto incontrare in mezzo a qualsiasi fila o sedermici accanto a qualsiasi cinema, sta per scavare nel marciume del mio essere per scoprire se, in fondo al letame, ci sia ancora un seme da far fiorire. Mi farà domande di routine, dalla quotidianità si passerà alla specificità e in men che non si dica saprà così tante cose di me da far impallidire mia madre.
«Stiamo perdendo tempo, Camila.» Vorrei fosse la voce della donna a rompere il silenzio, ma é quella di Lauren. Questo poco non le piace, ed é un bene: sono vicina al suo horcrux.
Non so come solitamente i suoi clienti intavolano i problemi per cui si siedono su questa poltrona, ma temo non sia la strada che seguiremo noi.
«Allora, Camila. La tua chiamata é stata molto confusa, piena d'urgenza però. Sbaglio?» Mi dà il tempo indicandomi con la punta della sua penna. Crudele da parte sua: la stessa mina con cui mi porta al giogo é quella con cui dovrebbe scagionarmi.
«Ogni urgenza ha la sua confusione.» Sorrido timidamente e per quanto la mia interlocutrice ricambi, ha già annotato una parola sul taccuino. Tirando a indovinare credo sarebbe: schiva.
«Indubbiamente. Quale delle due ha creato l'altra in te?»
Inspiro a pieni polmoni. Come dovrei dirle che sono vicina allo schizofrenia? «Sono molto confusa, dottoressa. La situazione in cui mi trovo richiede delicatezza e anche urgenza. Non posso più vivere così.»
«Okay, allora stenditi in vasca e il resto te lo insegno io.» Chiosa Lauren, indurendo la mia espressione rivolta ingiustamente all'unica donna innocente nella stanza.
«Certo, Camila. Tutti noi, prima o poi, dobbiamo cambiare qualcosa per vivere meglio. É umano e lo trovo anche molto maturo.» Giustificazione del dolore. Ho letto da qualche parte che é la prima azione messa in atto in quasi tutte le terapie.
«Si, ma io, per vivere meglio, ho bisogno di eliminare qualcosa, più che di modificarla.» Evidenzio con voluta fermezza il termine, come una ruota schiaccia le olive.
«Solitamente é difficile "eliminare" qualcosa di noi, ma...»
«No. Non é una parte di me, é fuori da me stessa.» Sospiro rumorosamente. Forse dirlo ad alta voce mi farà sentire meglio... «Dottoressa, io parlo con un fantasma.»
«Questa la voglio proprio vedere.» Commenta divertita Lauren, sedendosi sul bracciolo della mia poltrona.
La donna guarda il foglio, guarda me. Fa spola per un paio di secondi interminabili, poi apre il cassetto, fa scivolare il taccuino al suo interno e lo richiude.
«Credo che me ne servirà uno più grande.»
Ed inizia così la nostra scalata verso l'inferno, con una risata.
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