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|Work of art| |Keiji Akaashi|

She is art
in a beautiful museum
we recognize to be this world.

-Pierre Jeanty.



Il silenzio incombeva, avvolgendo l'ambiente con la sua calma talmente  placida da far rallentare i cuori di chi ne era in presenza.
Il rimbombo di diversi passi si propagava per l'intero ambiente, scemando poi lentamente, facendo tornare il silenzio sovrano.
Un candido bianco dipingeva le pareti, contrastando con lo scuro parquet in legno di quercia che, anche se nuovo di zecca, scricchiolava sotto il peso dei corpi che lo calpestavano. Ai muri erano appesi diversi quadri, ognuno dei quali era circondato da un cordone di velluto rosso, per tenere lontani i curiosoni.
Sul soffitto erano appesi diversi lampadari che, con un lungo stelo, andavano a scendere per poco più di un metro, concludendosi con una semplice sfera opaca, che limitava il passaggio della luce dalla lampadina al suo interno.
Ogni tanto, un tenue mormorio si espandeva e si spostava da un quadro all'altro per poi spegnersi e riprendere ancora, lasciando solo il rimbombo delle voci nell'aria.
All'interno della imponente sala, esisteva anche una scavatura ovale nella bianca parete, all'interno della quale era stata posizionata una statua marmorea raffigurante due figure, una sovrastante l'altra, sfiorarsi le labbra con delicatezza.
Le lunghe vesti della donna toccavano delicatamente la sua bianca pelle di pietra, avvolgendole le cosce e coprendo la sua intimità, per poi ricadere sulla roccia che ospitava il suo corpo. La sua esile figura era sostenuta dalle braccia di un uomo alato che le copriva dolcemente i seni con la mano sinistra, mentre l'altra accarezzava il bel viso di lei e raccoglieva i suoi lunghi capelli ricci.
Il viso della donna era proteso verso l'alto, nella contemplazione del volto dell'uomo dai corti capelli brizzolati, che avvicinava a se stessa con le lunghe e sinuose braccia.
L'uomo, con le sue grandi ali aperte, sosteneva il peso di entrambi, rimanendo appoggiato però con un ginocchio alla roccia. I loro visi si contemplavano con tenerezza, in attesa di scambiarsi quel gesto d'amore tanto atteso.
Una folla osservava attenta le emozioni travolgenti nei delicati viso delle sculture che, per quanto sembrassero vive, non avevano alcun cuore ad animare quei corpi duri e freddi.
Le persone raccolte vestivano abiti eleganti e lussuosi, impreziositi da costosa e scintillante gioielleria come orecchini o collane di brillanti, nel caso delle donne, e orologi d'oro o d'argento , nel caso degli uomini.
Tra loro si distinguevano alcuni camerieri, che con i loro abiti neri e salviette bianche alla mano, trasportavano calici ricolmi di vini e champagne, o vassoi ricolmi dei più ricchi stuzzichini.
Ma, tra i tanti invitati, uno in particolare sembrava affascinato da quello scambio d'amore scolpito sulla pietra.
Al contrario della massa che circondava la sua figura, lui non commentava l'opera futilmente, criticandone gli errori od osservandola con scetticismo infondato. No, lui contemplava la perfezione che gli era stata messa davanti agli occhi con immensa gratitudine, sentendosi onorato di poter trovarsi al cospetto di quelle figure marmoree.
I suoi affusolati occhi sbattevano le lunghe ciglia nere con meraviglia, coprendo le sue incantevoli iridi di un blu metallico dalle sfumature verdi, che non facevano altro che girovagare frenetiche per le orbite bianche, cercando i più minuziosi dettagli, le ombre più nascoste ed interpretando i sentimenti trasmessi dai dolci visi di Amore e Psiche.
L'incontro dei loro corpi lo aveva intrappolato in una morsa carezzevole ed invitante, dalla quale non riusciva a distogliere gli occhi, ammaliato.
La sua alta e taciturna figura aveva attirato gli sguardi di più di qualche donna e, dopotutto, era più che comprensibile.
Ai piedi portava dei lucidi mocassini neri e le sue lunghe gambe erano avvolte da un paio di eleganti pantaloni neri che, all'altezza della vita, contenevano i lembi bianchi della sua candida camicia che, con il suo morbido tessuto, metteva in risalto le allenate braccia, il petto e le spalle larghe. Tra le braccia teneva il maglione color crema che aveva indossato fino a poco prima, tolto per evitare di soffocare dal caldo. I primi due bottoni della camicia erano stati lasciati aperti, permettendo in parte la vista della sua clavicola e lasciando respirare la sua pelle diafana e lucida.
I folti e disordinati capelli di un nero pece contrastavano con il bianco puro della sua carnagione, così come facevano le sue sottili ed invitanti labbra rosa. Ma a rubare la scena su quel viso che sembrava essere stato fatto col pennello, erano i suoi sottili occhi dalle lunghe ciglia corvine, facenti da cornice, insieme alle folte sopracciglia, a quelle iridi bluastre.
Le donne che lo circondavano avevano occhi solo per lui e ignoravano bellamente la scultura che si parava loro davanti, quasi fosse lui stesso parte della mostra, e per l'uomo, era di certo uno spreco.
Distrattamente puntò lo sguardo sul proprio orologio dal cinturino di cuoio, spalancando gli occhi notando l'ora che si era fatta. e rendendosi conto di quanto tempo aveva passato in contemplazione di quell'opera d'amore.
Mosse i suoi primi passi, allontanandosi dagli sguardi lascivi delle donne e dal cartellino posto a lato della scavatura nel muro, che con eleganti scritte bianche esponeva il nome dell'opera e del suo autore.

Amore e Psiche, di Antonio Canova.

Con riluttanza si allontanò dalla scultura mentre una dolce curiosità gli nasceva nel petto.
Fosse stato per lui, sarebbe rimasto all'interno di quella mostra per il resto della sua esistenza: amava perdersi nell'arte e diventare il prigioniero di quei capolavori, perdendosi nei tratti dei pennelli o nelle curve create dagli scalpelli. Per lui, anche solo entrare in un museo dell'arte era un privilegio, che solo pochi però riuscivano ad apprezzare.
Ma come tutte le cose, anche le mostre finivano, e per quanto l'idea di nascondersi fino all'ora di chiusura ed ammirare i quadri sotto i freddi raggi lunari lo allettasse, di certo non poteva farlo.
Si affrettò quindi verso la sua prossima ed ultima tappa, inoltrandosi in una parte della mostra del tutto vuota e silenziosa, con solo il rumore dei suoi passi ad animarla.
Interdetto, si domandò se non si fosse perso, e si guardò attorno spaesato fino a quando non notò un cartellino nero, che precedeva l'entrata ad una sala, che gli fece spuntare inavvertitamente un piccolo sorriso sulle labbra.

Le Ninfee, di Claude Monet.

Entrò cautamente nella sala ovale, venendo immediatamente avvolto dalle opere di punta di quella mostra così esclusiva.
I diversi colori di differenti intensità gli arrivarono alla vista potenti, ma la fecero abituare ed ammaliare delicatamente, attirandolo come il canto di una sirena. Rimase immobile davanti tali dipinti, con uno sguardo perso: non sapeva da che parte girarsi, da dove iniziare a contemplare i pigmenti usati, tanta era vasta la scelta, ma per il momento andava bene così.
Gli andava bene essere così assorto nell'arte, gli sembrava di diventarne parte.
In quel momento, non era importante identificare ogni dettaglio, ma lo era quanto più perdersi davanti a quei quadri enormi, godendo a pieno di quella sensazione di pace che donavano.
Rimase talmente assorto, che non si rese minimamente conto di due vivaci occhi che lo osservavano divertiti, e del rimbombo di passi sul parquet scuro che si avvicinavano.
"È una vera opera d'arte, non è vero?"
Il corvino sembrò quasi risvegliarsi dalla dolce trance in cui era caduto, semplicemente udendo quella carezzevole e giocosa voce propagarsi per la sala vuota.
Preso alla sprovvista, l'uomo voltò il proprio sguardo alla sua sinistra, incontrando un paio di iridi [c/o], illuminate dalle tenui luci dei lampadari. A l suo fianco, si era posizionata una giovane donna, che lo osservava con un bel sorriso sulle labbra rosee.
Indossava un semplice completo nero, composto da una gonna a tubino, che le arrivava poco sopra al ginocchio, una camicia bianca in parte infilata all'interno della gonna, e una leggera giacchetta nera lasciata aperta.
Il completo in sé, per quanto semplice, metteva in risalto le sue dolci forme, sebbene fossero state minuziosamente nascoste.
Le lunghe e nude gambe la elevavano, donandole-insieme alla sua postura eretta  e compostezza- eleganza, molta più di quanta ne potessero avere le donne nelle altre stanze, così lussuosamente agghindate e così eccessive in confronto alla semplicità raffinata della donna al suo cospetto.
I [l/c] capelli [c/c] erano lasciati sciolti, lasciando che le diverse ciocche incorniciassero quel meraviglioso viso: i lineamenti erano delicati e disegnati alla perfezione, ogni sua parte creata proporzionalmente alle altre.
Nessuna imperfezione sembrava stanziare sul quel volto così puro, dove due delicati petali di rosa-che erano poi le sue labbra-risiedevano placidi. Il ponte del suo naso conduceva ai suoi begli occhi, giocosi, curiosi e che, pieni di scintille divertite, continuavano a scrutarlo attenti, esaminandolo. Il corvino sembrò imbambolarsi per una seconda volta, ma i gesti della donna lo precedettero.
Con nonchalance si portò le mani dietro la schiena, congiungendo le affusolate dita, e voltò il capo verso le pareti, facendo ondeggiare i [l/c] capelli, che sembravano così morbidi a vedersi.
"Si, un capolavoro."
Continuò ad osservare la giovane, notando come un leggero sorriso le fosse spuntato sulle labbra dopo che aveva alzato gli occhi al cielo.
"Vuole che le racconti qualcosa su questi dipinti?"
Il corvino rimase silente per qualche secondo, notando come le dita dietro alla schiena di lei si stessero contorcendo tra loro, e ridacchiando sotto ai baffi a quella vista.
"Si, la prego."
L'uomo sorrise un poco udendo il sospiro di lei, e a sua volta volse il capo verso i quadri, perdendosi una seconda volta, accompagnato però, stavolta, dalla morbida voce della [c/c].
Le informazioni iniziarono lentamente ad espandersi per l'aria, confluendo all'interno della mente dell'uomo che, nonostante sapesse ormai tutto a memoria, continuò ad ascoltare, beandosi del timbro della voce di quella donna così semplicemente bella, tanto da potersi confondere con le opere d'arte in quella mostra.
La [c/c], intanto, continuava a parlare, dando voce a tutte le informazioni, studiate e ristudiate, su quella serie di quadri che tanto amava. Introdusse in poche parole le origini dei dipinti, inoltrandosi poi più a fondo nella spiegazione dei colori, delle tecniche e degli elementi presenti, enfatizzando infine come la serie fosse stata gentilmente data in prestito-con un enorme ammonto di soldi e di discussioni con lo staff-dal famoso museo parigino l'Orangèrie des Tuileries.
Si divertì parlando di come Monet volle rappresentare, sempre con lo stesso soggetto, le diverse stagioni e angolature, come iniziò ad escludere gli elementi circostanti al laghetto, limitandosi a farli riflettere nella limpida acqua.
E le piacque particolarmente constatare, per la milionesima volta, come gli occhi dell'uomo al suo fianco fossero incredibilmente simili ad alcuni pigmenti usati dal pittore francese, enfatizzando la loro particolare bellezza.
Quando ebbe finito di spiegare, tirò un sospiro di sollievo, contenta di essere riuscita a parlare senza balbettare o sentirsi sotto pressione, ma sapeva che, in parte, era anche merito del corvino alla sua destra.
Si voltò verso di lui, una scintilla di speranza negli occhi e l'impazienza visibilmente mostrata dal movimento delle proprie dita, in attesa che il ragazzo parlasse.
Quando i suoi occhi [c/o] incontrarono quelli blu metallico di lui, non poté fare a meno di notare il suo sguardo orgoglioso e un sorriso leggero sulle sottili labbra.
Lentamente le si avvicinò e allungò la mano destra verso il capo di lei, accarezzandole i soffici capelli.
"Sei stata molto brava."
Un sorriso a trentadue denti le spuntò in viso, illuminando gli occhi del corvino e facendo battere un po' più velocemente i cuori di entrambi.
"Grazie, ma è anche merito tuo, Keiji."
Quasi rise a quel ringraziamento: si era sorbito ore ed ore di quel discorso, ripetuto fino allo sfinimento nel tentativo di aiutarla a farla sentire più sicura della sua presentazione che, a parer suo, doveva essere più che perfetta, ed un ringraziamento era il minimo che potesse dargli ma, nonostante ciò, era più che felice di aver potuto ascoltarla per tutto quel tempo.
Le sorrise, togliendo la mano dalla testa della ragazza e appoggiando poi il maglioncino, che ancora teneva tra le mani, su una poltroncina lì vicino.
"[T/n], sai bene che io ho fatto ben poco. Sei tu l'artefice di questa mostra e del suo successo, sei tu che hai ottenuto il consenso per esporre qui questi quadri, e sei tu che hai memorizzato e ripetuto alla perfezione le informazioni che li riguardavano. Io ti ho solo ascoltata."
[T/n], a quelle parole, abbassò il capo, imbarazzata da tanti elogi che la fecero arrossire e rimanere silente.
Keiji le si avvicinò nuovamente, afferrandole le mani da dietro la schiena e congiungendole con le proprie prima di posare un delicato bacio sulla sua fronte, facendo rispuntare il sorriso sulle labbra di lei.
"Tra quanto finisci?"
Il corpo della [c/c] venne spinto verso quello grande e caldo di Keiji dalle sue braccia, permettendole di sentire i suoi battiti cardiaci.
Scostò leggermente il capo dal suo petto con un'idea in mente, che la fece sorridere divertita.
"Un'ora e ho finito, signore. Le è piaciuta la mostra?"
Keiji quasi alzò gli occhi al cielo rendendosi conto che la donna voleva giocare ancora un po' con lui, ma non si tirò indietro, anche lui divertito dalla loro complicità.
"Si, mi è piaciuta molto, signorina..."
Puntò lo sguardo sulla sua giacca nera, sulla quale era attaccato con una piccola spilla un cartellino identificativo, che conferiva tutte le informazioni sull'individuo, e sorrise, il cuore avvolto da un velo caldo.
"[T/n] Akaashi."
Sentendo le parole di Keiji, [T/n] sorrise gioviale, avvolgendo le proprie mani dietro al collo del corvino, permettendo alla luce dei lampadari di illuminare l'anello d'oro posto sul suo anulare sinistro, facendolo scintillare.
E Keiji, a sua volta, avvolse le sue allenate braccia attorno alla vita della donna che, con un sorriso seducente, sussurrò qualcosa all'orecchio del suo uomo.
"È piena di opere d'arte, non è vero?"
Keiji si avvicinò di più al viso della [c/c], non distogliendo lo sguardo e quasi facendo toccare le punte dei loro nasi.
"Certo, ma devo ammettere che una mi ha colpito particolarmente."
"Ah si? E, mi dica, quale sarebbe?"
Ormai, ad ogni parola le labbra si sfioravano e le parole si mischiavano tra loro nell'aria.
Keiji sorrise leggero prima di avvicinarsi ancora, nei loro occhi la stessa tenerezza che si leggeva in quelli di Amore e Psiche prima di scambiarsi il loro bacio.
"Sei tu."
Finalmente, le loro labbra si unirono, cercandosi a vicenda con una danza passionevole e delicata, colma d'amore, realizzando quello che il Dio e la sua amata, in quella scultura, nn avrebbero mai potuto fare veramente.
Circondati da quei colori, da quel silenzio solo loro e da quell'arte avvolgente, il loro bacio diventò un'opera a sé, con uno stile mai visto prima e con la splendida firma di un pittore mai sentito prima di allora.
Con quel bacio amorevole, passionale, carezzevole e delicato, con quell'intreccio di corpi, di sentimenti, di battiti e di anime, i due amanti diventarono arte.
Un'opera d'arte dell'Amore.


Dedicata a miilkbread .

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