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|Whispers of love| |Hajime Iwaizumi|

La primavera soffiava tiepida per le vie del Giappone, trasportando con sé il profumo dolce e delicato dei boccioli in fiore e piccoli petali rosati. Il sole era ormai in procinto di tramontare e i colori del tramonto, dorati e rosati, che illuminavano le nuvole, si riflettevano sulle finestre della scuola superiore Aobajohsai, ormai vuota.

Dalle cinque del pomeriggio, quando l'ultima campana era suonata e le attività dei club erano iniziate, le aule si erano svuotate e i rumori si erano attenuati.
Il vento aveva continuato a soffiare delicatamente e molti petali di ciliegio erano stati accompagnati fino al terreno, ricoprendolo con un profumato abbraccio.
Le sette di sera erano arrivate in fretta, ma i raggi del sole ancora esitavano a lasciar andare il cielo del Giappone dalla loro morsa di luce che, lievemente, illuminava l'interno della palestra scolastica, adibita per gli allenamenti del club di pallavolo.
Anche le loro attività erano giunte al termine e, invece che respirare un'aria pulita e profumata, i giocatori erano costretti a sopportare l'odore acre del sudore che aleggiava per la palestra chiusa, oltre che insolitamente calda.
Dopo aver pulito il pavimento ed aver riposto gli attrezzi per l'allenamento, i membri del club maschile di pallavolo si erano precipitati verso lo spogliatoio, bramosi di gettarsi sotto il getto fresco della doccia e di togliersi quell'odoraccio da sotto le ascelle.
Il vapore usciva a nuvolette dalle fessure della porta dello spogliatoio, mentre un singolare silenzio pervadeva le mura della struttura.
Lo spogliatoio era l'apoteosi del caos: scarpe lanciate ovunque, ginocchiere sopra agli armadietti e calze sudate spaiate e un po' dappertutto. L'unica cosa che si erano preoccupati di tenere bene in ordine era l'intimo, nessuno voleva ritrovarsi senza mutande per il ritorno a casa.
Lo scrosciare dell'acqua inondava i bagni spaziosi mentre i primi passi bagnati si avvicinavano alle panche e agli armadietti e le prime parole facevano eco per le docce.
"Hei, Iwaizumi."
Nelle cabine docce erano rimasti oramai solo quattro ragazzi che, non guardandosi nemmeno per sbaglio, continuavano a lavarsi tranquillamente.
Non soffermandoci sui loro corpi scolpiti da mesi di allenamento-e sui loro culetti di marmo-le loro capigliature andavano, a partire da destra, dal castano chiaro, che sotto le luci delle docce acquistavano riflessi rosati, nero, marrone scuro e castano, tutte insaponate e gocciolanti.
Dalla terza doccia a partire da sinistra, il richiamo era riecheggiato insieme allo scroscio dell'acqua, attirando così l'attenzione del moro.
L'acqua gli scivolava veloce lungo l'accaldata pelle ambrata, mentre sul viso qualche batuffolo di shampoo rimaneva ad esso attaccato, scendendo dalla chioma scura e ora profumata.
Iwaizumi continuò a lavarsi tenendo gli occhi chiusi, godendosi l'unico momento di relax della giornata, e grugnì in risposta, dimostrando la sua attenzione.
Il corvino, udendo il verso e continuando ad insaponarsi il corpo, proseguì a parlare, non venendo ignorato dai suoi altri due compagni che, con le orecchie dritte erano pronti a captare ogni cosa.
"Alla fine quando ti ha fissato la verifica di matematica la megera?"
Con il termine 'megera', il corvino si riferiva senza alcun'ombra di dubbio alla professoressa di atematica più severa di tutto l'istituto, e che guarda caso era capitata proprio al povero Iwaizumi che, spalancando gli occhi, batté la testa contro il muro bianco delle cabine doccia, provocando un tonfo che fece preoccupare i tre amici.
Hajime si era completamente dimenticato della verifica del giorno dopo e, sebbene fosse l'alunno più bravo, di certo ciò non lo esentava dallo studio, anzi! Non poteva permettersi di prendere un brutto voto per due semplici motivi: uno, era al terzo anno, e la media significava tutto se si voleva entrare in una buona università e, due, se avesse preso un voto insufficiente la professoressa avrebbe immediatamente cambiato idea sul suo conto. Non poteva permetterselo, avere quell'insegnante contro significava vivere un inferno scolastico.
Dalla sua sinistra, appoggiando le braccia al muretto bianco e issandosi sopra, un ragazzo dalla folta capigliatura castana, coperta da una cuffietta trasparente alquanto femminile, ed un sorriso fin troppo amichevole in volto spuntò, puntando i suoi occhioni castani sull'amico, ancora contro la parete della doccia.
Intanto, anche gli altri due compagni si erano sporti dalle docce per osservare la situazione che, proprio perché non prometteva nulla di buono, sembrava avrebbe dato loro molto di cui ridere.
"Avanti Iwa-chan! Ti si è già bloccata la crescita, non vorrai mica diventare più brutto a furia di darti testate, no?"
Dall'ultima doccia, Hanamaki fece eco ad Oikawa, ripetendo all'infino insieme a Matsukawa il nomignolo di Iwaizumi che, ormai al limite della sopportazione, fu rapido a finire di sciacquarsi, ormai privato del suo unico momento di tranquillità, e ad afferrare l'asciugamano al di fuori della doccia. Ma al posto di legarselo attorno alla vita, il moro lo arrotolò su sé stesso, avvicinandosi poi alla cabina doccia di Oikawa che, ancora sghignazzante, non si era accorto di nulla.
"Hei, Iwa.. Oh..no, che cosa vuoi fare? Fermo con quell'asciugamano! Ho detto fermo! Non ti avvicinare!"
Matsukawa ed Hanamaki furono solo capaci di udire le urla di terrore del castano prima che uno schiocco li facesse rabbrividire e che un urlo, più forte, li facesse ridacchiare.
Quando Iwaizumi uscì dalla doccia del non poi così povero Oikawa, si mise finalmente l'asciugamano attorno alla vita e si avvicinò agli armadietto, non degnando di uno sguardo i suoi restanti amici ed il corpo inerme di Oikawa accasciato contro il muro, la chiappa destra con un segno violaceo a decorarla.
Poco prima di uscire dallo spogliatoio, Iwaizumi esordì le sue ultime parole ed Hanamaki e Matsukawa iniziarono a ridere sguaiatamente ai lamenti del castano, che pareva traumatizzato.
"Non aspettatemi dopo. Ho dimenticato il quaderno di matematica in classe, ci vediamo domani al massimo."

I passi di Hajime rimbombavano sonori all'interno della Seijō, prima così calma e silenziosa. Anche i membri dei restanti club sembravano essersene andati al calare della sera, lasciando la scuola completamente vuota e desolata.
Preso il suo quaderno di matematica, Hajime aveva iniziato ad affrettarsi fuori dall'edificio con le gambe ancora doloranti dall'allenamento. Avrebbe dovuto studiare tutta la sera per  prendere un bel voto il giorno dopo, e i suoi nervi erano alle stelle.
Non poteva credere di essere riuscito a dimenticarsi una verifica così importante, ma ne doveva pagare le conseguenze ora.
Era da giorni che era un fascio di nervi, non con un singolo attimo di pace per rilassare le membra, e pensava che quella sera, dopo l'allenamento, sarebbe finalmente riuscito a riposare un poco, ma pensava male.
Tra scuola, pallavolo, studio e trasferte non aveva un attimo di tempo libero e, lentamente, il suo stress stava aumentando drasticamente.
Continuò la sua camminata veloce, i capelli ancora umidicci dalla doccia fatta, finché il rimbombo dei suoi passi pesanti e veloci non venne accompagnato da una dolce e delicata melodia.
Rallentò il passo, confuso.
Pensava che ormai tutti si fossero avviati verso casa, quindi quella musica da dove proveniva?
Sarà stata la notte imminente, il silenzio tombale di poco prima o il fatto di ritrovarsi completamente da solo nella propria scuola, ma ad Hajime vennero i brividi.
Eppure la melodia era tranquilla ed armoniosa, di certo nulla che mettesse paura.
Si strinse il quaderno al petto, quasi come una ragazzina, e continuò a camminare, più prudente di prima, ma con una traiettoria diversa.
Forse era rimasto ancora qualcuno a scuola, anzi, era sicuro fosse così.
I fantasmi non esistono!
Continuò seguendo la musica, proseguendo cercando di convincersi che nulla gli stava per accadere, ma con i brividi lungo la spina dorsale.
Era la musica di un pianoforte, e sembrava proprio venire dall'aula del club di musica, dopotutto non avevano altri pianoforti nell'istituto.
Hajime proseguì con cautela, quasi accovacciandosi mentre alleggeriva i passi, non facendosi più sentire né vedere.
Non lo voleva ammettere, ma aveva una paura assurda e sapeva che, se avesse visto qualcosa di sospetto, se la sarebbe data a gambe levate, sperando di non urlare come una ragazzina.
Lentamente arrivò davanti alla porta del club di musica, rimanendo ancora per un po' in ascolto di quella melodia.
Era leggera, accarezzava l'udito come fosse di seta e procedeva lenta e calma, avvolgendo l'istituto e chi l'ascoltava in un abbraccio caloroso e amorevole.
Per qualche istante, Hajime sentì i nervi affievolirsi e la paura scomparire, lasciando spazio alla tranquillità, mentre il cuore, prima spaventato, rallentava i battiti, permettendo a quella musica di cularlo dolcemente.
Era da un bel po' che Hajime non si sentiva così tranquillo e rilassato, e fu tentato di appoggiarsi alla parete e rimanere in ascolto di quella melodia finché non si fosse fermata, ma il compito di matematica tornò prepotentemente a troneggiare tra i pensieri del moro, e tutto ciò che poté fare fu agitarsi nuovamente.
Non era lì per piacere, anche se gli sarebbe stato gradito, ma per controllare e poi tornarsene a casa.
Fece un grande respiro, accovacciato sulle ginocchia e il quaderno stretto forte al petto, e aprì lentamente la porta scorrevole dell'aula, venendo per un secondo accecato dagli ultimi raggi dorati del sole.
Quell'unico spiraglio di luce gli colpì gli occhi di un brillante verde oliva, mentre la pelle del viso, abbronzata e ancora umida, iniziò a splendere illuminata così dalla luce.
Cercò di abituare in fretta gli occhi al cambio luminoso repentino e, quando finalmente non bruciarono più, fu capace di vedere dentro l'aula.
Diversi strumenti musicali la decoravano insieme a diversi leggii posti davanti ad ogni strumento, in un cerchio ordinato. 
Il pianoforte era posto proprio davanti alla porta, sotto alla finestra che, senza tende, illuminava con l'ultima luce del giorno lo strumento e chi lo stava suonando.
Seduta sullo sgabello del pianoforte nero stava una ragazza, dritta e composta.
Era in controluce, ma non fu difficile per Hajime analizzare, anche se in generale, la sua figura.
Era snella e forse minuta, stendeva le lunghe gambe verso i pedali del pianoforte mentre le dita, affusolate e longilinee, si muovevano delicatamente sui tasti bianchi e neri dello strumento, senza esitazione alcuna.
Aveva [l/c] capelli [c/c], che con la luce del sole sembrarono prendere sfumature più chiare. Erano portati indietro, in modo che non potessero esserle d'intralcio durante il brano.
Il viso sembrava avere lineamenti delicati e femminili, con un collo lungo e le spalle larghe.
Non riuscì a vedere i suoi occhi, ma vide le sue lunghe ciglia muoversi col battere delle palpebre e la sua piccola bocca aprirsi e chiudersi distrattamente, presa dalla concentrazione.
Quando la vide, Hajime fu sicuro più che mai che non si trattasse di un fantasma, ma era certo che fosse una ragazza bellissima.
Si sentì le guance andare a fuoco ed il cuore battere ancora più velocemente. Si sentì così agitato che quasi perse l'equilibrio, le gambe tremanti.
Continuò a guardarla, sperando si girasse di più verso di lui, così che potesse vedere meglio la sua figura, ignorando la possibilità che lei avrebbe potuto vederlo.
Ma ciò che ottenne, fu forse anche meglio.
La ragazza iniziò a cantare, con una voce soffice e leggera come il soffio del vento.
Hajime non prestò attenzione alle parole che stava pronunciando, era troppo assorto dalla sua voce.
Gli era sembrato di sentire due braccia calde avvolgerlo e togliergli l'ansia di dosso.
Mentre ascoltava il suo canto emise un sospiro di sollievo, quasi come se tutte le impurezze gli fossero uscite dal corpo.
Si sentì più leggero e, inconsapevolmente, si appoggiò alla parete, allentando la presa sul quaderno.
Era così vellutata, liscia e senza la minima traccia di insicurezza. Procedeva anzi sicura e limpida, avvolgendo Hajime amabilmente, infondendogli calore e sicurezza intanto che lo liberava dalle sue mille insicurezze e ansie.
Hajime rimase in ascolto finché la musica non cessò. Fu tentato di rimanere lì ad osservarla ancora per poco, ma il quaderno che aveva tra le braccia pesava e fu costretto, a malincuore, ad andarsene via.
Si allontanò velocemente, non poteva permettersi di essere scoperto, e tornò a casa con il buio a circondarlo.
Quella sera andò a letto tranquillo come non lo era da mesi e con il desiderio di risentire la voce di quella ragazza ancora.
Il giorno dopo, a scuola, cercò con lo sguardo la stessa figura della sera precedente, il pensiero del compito di matematica ormai sostituito dalla voce e dalle fattezze di quella ragazza.
La cercò ovunque i suoi occhi glielo permettessero, ma non rivide in nessuno le stesse caratteristiche. Tornò infine a casa, deluso.
Quando però si ricordò che il giorno dopo avrebbe avuto allenamento, si rincuorò.
Se come pensava lei faceva parte del club di musica, c'erano alte possibilità che sarebbe stata anche quel giorno in aula, a suonare.
Il giorno dopo affrontò le lezioni con grande fretta, così come gli allenamenti.
Tutto ciò che voleva era riascoltare la sua voce all'infinito cullarlo dolcemente.
Quando gli allenamenti finirono, si fiondò come un razzo verso il club di musica, e fu entusiasta di vedere che aveva ragione.
Anche quel giorno, lei era lì.
La sua voce era come un balsamo per i nervi, per l'udito e per il cuore. Ogni volta che la ascoltava si perdeva nei suoi pensieri, chiudeva gli occhi e rischiava di addormentarsi, sognando nel suo dormiveglia la figura della [c/c].
Arrivò al punto di completare i suoi impegni con giorni di anticipo per potersi permettere di ascoltarla per qualche ora dopo scuola.
Ogni volta che la ascoltava il suo cuore batteva più forte e le guance gli si scaldavano, le membra si rilassavano e la sua mente si concentrava solo su di lei.
Aveva lentamente iniziato a prestare più attenzione alle sue parole, che risultarono essere parole d'amore la maggior parte delle volte, spruzzate di malinconia la minor parte.
Andò avanti così per poco più di due settimane, recandosi lì dopo gli allenamenti serali, che si svolgevano tre volte alla settimana, e dedicandosi alla ricerca di lei durante l'ora di pranzo, a scuola.
Continuò così, finché qualcosa non travolse la sua routine.

La primavera procedeva velocemente con il suo profumo ed i suoi colori vivaci, ma per [T/n] i giorni passavano troppo lentamente, era quasi un agonia. Non trovava sollievo nell'andare a scuola, se non per svolgere le attività del club.
Le sue amiche la incitavano sempre ad andare a fare dei giri per la scuola con loro, cercando di smuoverla dal suo banco e dal suo quaderno delle composizioni, ma nulla, lei non ne voleva sapere.
Non le piaceva stare in mezzo alla folla e rischiare di essere guardata troppo a lungo da qualcuno, le tremavano le gambe al solo pensiero.
Preferiva starsene lì, da sola, con il suo quaderno di cuoio a farle compagnia.
Era sempre stato così, sin dal primo anno, e ora che si ritrovava al terzo anno le cose non erano cambiate di una virgola, rimaneva sempre la solita timidona che era sin da bambina.
Ma non le dispiaceva. Nella solitudine componeva meglio: nessuno a disturbarla, a giudicare la sua musica, o a dirle cosa doveva fare.
C'erano soltanto lei e le sue idee, che non potevano essere distorte da nessuno se non da lei stessa.
Ma nell'ultimo periodo l'ispirazione le era mancata. Non sapeva più che cosa scrivere, come esprimere i suoi sentimenti, non era nemmeno più sicura di riuscire a cantare.
Durante la pausa pranzo, dalla sua classe si era mossa al club di musica, che godeva di una vista ben migliore sul paesaggio rosato del giardino scolastico.
Si era piazzata lì per giorni, osservando fuori gli alberi, i volatili e gli studenti che si godevano quell'ora di libertà, mentre lei era ancora incapace di comporre una sola canzone.
Quel giorno sbuffò rumorosamente prima di prendere un morso del suo pranzo e riaccasciarsi sul davanzale della finestra.
Fuori era sempre tutto così colorato, mentre lei si sentiva in bianco e nero.
Percorse con gli occhi tutto il prato del giardino, finché non notò un gruppetto che poche volte aveva visto uscire.
Erano quattro ragazzi che giocosamente si erano spintonati fino a raggiungere le panchine.
Tutto normale a suo avviso, finché non notò lui.
Era il più basso del gruppo e anche il più imbronciato, quello dai lineamenti più duri, ma dal sorriso più bello.
Quando lo vide, la mente si riaprì e le gote si arrossarono.
La pelle abbronzata la attraeva, e le piaceva vedere come i suoi capelli scuri ed ispidi si muovessero col vento.
Senza rendersene conto prese la penna in mano, ed iniziò a comporre.
Era così strano, non le era mai capitato nulla di simile, ma quel ragazzo aveva qualcosa di diverso.
Le aveva fatto ritrovare l'ispirazione in poco meno di cinque minuti, solo per un raro sorriso.
Continuò a comporre non distogliendo gli occhi da lui, ben attenta a non farsi scoprire.
Osservò ogni suo movimento, ogni sua azione ed ogni sua più piccola espressione.
Si concentrò sul suo viso che, anche se con lineamenti duri, le pareva così dolce e sincero.
Da quel giorno di recò ad ogni pausa al club di musica, nella speranza di rivedere il suo viso e di poter godere ancora della vista del suo sorriso che tanta ispirazione le dava.
Procedette così, sentendo il suo cuore bruciare ogni volta di più che lo guardava o lo sentiva parare da lontano, che lo sentiva ridere. Ma per quanto lo trovasse attraente, per quanto si sentisse colma di gioia e calore ogni qualvolta lo vedeva, sapeva che non sarebbe mai riuscita ad avvicinarlo. La sua insicurezza era troppa e la paura che potesse deriderla, anche se non le pareva il tipo, era fin troppa.
Per lei era un sentimento molto vicino all'amore platonico, però non ricambiato.
Nonostante si sentisse riempita di gioia da quando aveva visto per la prima volta il suo viso, una cupa malinconia l'aveva assalita.
Non voleva affrontare la realtà, quella nella quale quel bel ragazzo dalla pelle abbronzata e dagli occhi chiari l'avrebbe brutalmente rifiutata.
Le bastava vivere nell'ombra, anche se faceva male.
Per una volta avrebbe voluto stare sotto i riflettori di quel ragazzo.

Quella sera gli allenamenti per Hajime finirono più tardi del solito, il coach li aveva trattenuti per discutere dello schema che avrebbero adottato alla prossima partita, e lui era stato sulle spine per tutto il tempo, ignaro di essere osservato sospettosamente dai suoi compagni.
Se aveva pensato che nessuno di loro in quelle due settimane non si fosse accorto di nulla, allora era veramente ingenuo.
Il suo comportamento era risultato strano a tutta la squadra, che aveva poi deciso di scoprire la causa di tanta fretta e tanta sbadataggine.
Dovevano scoprire la verità, ne andava dell'efficienza della squadra, e della curiosità di Oikawa.
Così, quando gli allenamenti finirono e Hajime si fiondò come un razzo fuori dalla palestra, il castano fu svelto a seguirlo, facendo cenno alla squadra con un occhiolino che venne mal visto dai compagni.
Hajime corse a perdifiato per i corridoi della scuola, cercando di risultare il meno rumoroso possibile mentre Oikawa lo seguiva cauto.
Quando il moro arrivò nelle vicinanze dell'aula di musica la solita melodia si era già dispersa per tutto il corridoio, ma Hajime fu sollevato nel constatare che anche quel giorno, lei era lì.
Posò cautamente il borsone a terra, sedendosi al suo fianco ed iniziando così ad ascoltare attentamente.
Oikwa intanto era rimasto immobile dietro al muro del corridoio, osservando l'amico incredulo.
Tra tutte le ipotesi che erano venute a galla nel suo cervelletto, questa era proprio rimasta nel fondale.
Chi si sarebbe mai aspettato che Hajime Iwaizumi sarebbe rimasto ore dopo scuola, per ascoltare della musica?
Oikawa era suo amico da anni, ma non se lo sarebbe mai immaginato.
Era però ora di smascherarlo e parlargli, non si poteva continuare così.
Sospirò e uscì allo scoperto, iniziando a camminare lentamente verso di lui.
Il moro non si accorse di nulla, troppo assorto ad ascoltare la voce della ragazza che, questa volta, era malinconica. Parlava di un amore non corrisposto, di due occhi che guardavano sempre, di due orecchie che ascoltavano tutto e di un cuore che batteva incondizionatamente.
Ma parlava anche di indifferenza, di insicurezze e di cecità, di un'oscurità che l'avvolgeva, e di  una luce che non l'avrebbe mai avvolta e messa allo scoperto. Parlava di due occhi verdi che mai l'avrebbero vista.
Hajime perse un battito e spalancò le palpebre, il cuore ancora più veloce.
Stava parlando di lui? Non che non conoscesse altre persone con gli occhi verdi, certo, ma non erano poi tanto comuni in Giappone, ed era abbastanza sicuro di non aver mai visto persone con gli occhi verdi alla Seijō oltre a lui.
Quando aprì gli occhi, perse il fiato, oltre che un secondo battito.
Oikawa Tōru lo stava scrutando dall'alto della sua altezza, le braccia incrociate ed un cipiglio in volto.
Rimase sorpreso per qualche secondo, ma non fece in tempo a tappare la bocca del castano che quello iniziò a parlare, sovrastando la musica ed il canto della ragazza, buttando come colpo di grazie il pesante borsone sul pavimento.
La musica cessò.
"Dobbiamo parlare, Iwa-chan."
Hajime andò nel panico.
La ragazza si era accorta della loro presenza, ed era stata tutta colpa di Tōru.
Che cosa avrebbe fatto quando lei sarebbe uscita?
Cosa le avrebbe detto?
Era nell'agitazione più totale, ma Oikawa non sembrava essersene accorto, e continuava a parlare come se nulla fosse, senza capire che Hajime non lo stava minimamente ascoltando.
Intanto [T/n] era sull'attenti, fin troppo ansiosa per far finta di nulla.
Qualcuno aveva ascoltato la sua musica, che nessuno aveva mai avuto l'onore di ascoltare, e non era pronta a scoprire le reazioni dei suoi inattesi spettatori.
E se non gli fosse piaciuta?
E se l'avessero presa in giro?
No, era troppo spaventata per scoprirlo.
Se fosse scappata in fretta, forse non se ne sarebbero accorti, dopotutto sembravano essere assorti in una conversazione animata.
Con le gambe tremanti si alzò in piedi, prese la sua borsa e si avvicinò alla porta, notando he qualcuno l'aveva socchiusa.
Che l'avessero anche vista?
Se la stava per afre sotto, ma se voleva sfuggire da quella situazione doveva per forza uscire dalla classe. Sarebbe scappata volentieri dalla finestra, ma se non voleva fare un volo dal secondo piano allora era meglio di no.
Si mise davanti alla porta, preparandosi a correre via una volta l'avesse aperta, e prese un grosso sospiro prima di aprirla con uno scatto, proprio quando Hajime si era alzato in piedi ed aveva iniziato a parlare.
"Stai zitto! Non lo capisci che.."
Quando la porta scorrevole si aprì, attirò l'attenzione dei due litiganti che, sorpresi, voltarono il capo verso l'aula, trovandosi coì davanti [T/n].
Hajime fu in grado per la prima volta di vedere chiaramente il suo viso, ed era più bella di quello che si era immaginato, tra le tante cose che aveva sognato, e si sentì le gote andare a fuoco, così come il cuore prese a bruciare.
[T/n], dal canto suo, era paralizzata.
Era la prima volta che se lo ritrovava così vicino, ed era ancora più bello, ma presto la paura la invase.
Lui aveva ascoltato la canzone.
La canzone che era dedicata ad un ragazzo dagli occhi verdi e dalla carnagione abbronzata.
Ragazzo che era poi lui.
Sentì le gambe tremare dalla paura ed il cuore battere troppo velocemente all'arrivo delle lacrime.
Non poteva crederci, quanto si vergognava.
Non avrebbe mai voluto esprimere i suoi sentimenti, avrebbe preferito lasciarli nascosti nei meandri del suo cuore, ad appassire, ma il riflettore su di lei era arrivato troppo improvvisamente, senza preavviso.
Prima che iniziasse a piangere a dirotto riuscì a scappare sotto gli occhi increduli di Hajime, che la richiamò invano.
Era rimasto così ammaliato dal vederla per la prima volta così chiaramente che non si era accorto della paura nei suoi occhi, e non era riuscito a fermarla in tempo.
Oikawa intanto osservava la scena disorientato.
Cosa diamine stava succedendo?
Quando però gli occhi furiosi di Hajime si concentrarono su di lui, poté capire che era in guai belli grossi.
"Che cosa ti è passato per quel tuo cervello bacato, eh? L'hai fatta scappare, deficiente!"
Il moro lo spintonò lontano, le vene che pulsavano agitate sul suo collo mentre si piegava per prendere il suo borsone.
 Ma Oikawa lo bloccò di nuovo.
Non sapeva che cosa stava succedendo, che cosa aveva fatto, ma sapeva come rimediare e come togliersi quegli insensati sensi di colpa.
"Cosa vuoi ancora?"
Hajime si voltò verso l'amico quasi ringhiando, ma il viso calmo di Tōru lo confuse.
"So chi è."

[T/n] [T/c].
[T/n] [T/c] era il suo nome.
[T/n] non aveva il ragazzo.
[T/n] stava sempre da sola nell'aula di musica durante la pausa pranzo.
[T/n] era bellissima.
Non riusciva a pensare ad altro mentre si muoveva tra la folla di studenti durante la pausa per raggiungere il club di musica.
Oikawa gli aveva fornito tutte le informazioni necessarie, ed ora che era stato messo allo scoperto così brutalmente, era ora di farsi vedere totalmente, di mettere a nudi sé stesso ed i suoi sentimenti.
Aveva visto solo all'ultimo le sue lacrime sgorgare, ed il cuore gli faceva male anche mentre correva. Non riusciva ad immaginarsi la sua bella voce rotta dal pianto, e non voleva nemmeno pensarci, gli venivano i brividi.
Quando finalmente si ritrovò davanti all'aula, non sentì nulla oltre al lontano chiacchiericcio degli studenti, ma era sicuro lei si trovasse lì dentro.
Ne era più che certo.
Doveva solo trovare il dannato coraggio di entrare e mettersi allo scoperto.
Appoggiò la fronte alla porta, rivedendola come la sera prima, sul punto di piangere ed il cuore gli andò in fiamme.
Perse un grande sospiro, ed entrò.
[T/n] era seduta sullo sgabello del pianoforte e dava le spalle alla porta, impegnata ad osservare i numerosi petali rosa che venivano trasportati dal vento.
Sospirò ancora, chiudendo poi la porta.
Non voleva essere disturbato ancora.
[T/n] lo aveva sentito entrare, ma era paralizzata.
Che cosa avrebbe dovuto fare ancora?
Scappare? Non avrebbe funzionato, no.
Ma la vera domanda era, che cosa avrebbe fatto lui?
L'avrebbe presa in giro, derisa?
Non ne aveva idea, ma era spaventata di scoprirlo.
Rimase immobile intanto che lo sentiva avvicinarsi.
Sapeva che era lui, nessuno era mai andato lì durante la pausa pranzo, e fuori vedeva solo i suoi tre compagni.
Sospirò silenziosamente quando lo sentì sedersi vicino a lei sullo sgabello.
Il silenzio rimase fitto tra loro.
Lei troppo spaventata e lui ancora insicuro.
[T/n] si mosse un poco sentendosi troppo vicina a lui, ma la reazione di Hajime fu repentina.
La afferrò delicatamente per il braccio, e lei non si mosse più.
"Non scappare ancora."
Il cuore di lei accelerò ma non disse nulla, annuì soltanto, e Hajime, rassicurato, la asciò andare, accarezzandole dolcemente il braccio.
Il silenzio tornò, ma fu sempre il moro ad interromperlo.
"Mi chiamo Hajime Iwaizumi."
Era un nome bello per lui, le piaceva quasi quanto la sua voce bassa e rassicurante.
Le infondeva fiducia e calore.
Lentamente si mosse, sedendosi più composta vicino a lui, ma evitando ancora il suo sguardo.
"[T/n] [T/c]."
Hajime sorrise lievemente, stava iniziando a fidarsi, lentamente.
"Scusa se ieri sera ti abbiamo spaventata, non era nostra intenzione."
[T/n] respirò più a fondo mentre le gote si arrossavano.
Non la stava deridendo.
La luce lentamente la stava illuminando.
"N-non importa.."
Il sorriso di Hajime persistette, voleva che lei lo vedesse, forse l'avrebbe rassicurata.
La voce di[T/n] era molto diversa da quando cantava. Era meno sicura, meno forte, ma pur sempre delicata e dolce.
Il moro iniziò ad agitarsi, e prese a giocare con le dita.
Non sapeva se aveva il coraggio di confessare ciò che sentiva, ma qualcosa la doveva pur dire!
"Io..ecco... Io, da qualche giorno ascolto sempre la tua..la tua musica.."
[T/n] spalancò gli occhi.
Quindi aveva sentito altro? Oddio, era nei casini.
Che cosa le avrebbe detto ora? Ma perché non era stata più attenta?
"E mi piace molto..sei molto brava."
[T/n] si sorprese, talmente tanto che voltò il capo verso Hajime, che ancora aveva un piccolo sorriso in bocca.
Si osservarono davvero per la prima volta, notando i particolari più nascosti e ciò che prima non avevano mai visto. Hajime rimase più imbambolato di lei, non l'aveva mai vista così da vicino, e soffermandosi sulle sue labbra socchiuse fu tentato dal diavoletto che risiedeva sulla sua spalla di fiondarcisi, ma desistette.
Vide gli occhi [c/o] di lei brillare splendenti, ed analizzò ogni loro più nascosta sfumatura.
"D-davvero?"
[T/n] non poteva crederci, davvero gli era piaciuta? Davvero per lui era brava?
Hajime quasi rise a tanto stupore.
"Certo."
La [c/c] vide le guance del moro diventare più rosse e, di conseguenza, si imbarazzò tanto che tornò a guardare i tasti del pianoforte, sentendo le guance più calde.
E non poteva credere a quello che stava per dire.
"S-se vuoi..puoi rimanere ad ascoltarmi.."
Hajime sentì il cuore leggero come un palloncino pieno d'elio, e non poté fare a meno di sorridere come un ebete, lasciandosi trasportare un po' troppo dall'emozione.
"Si!"
[T/n] si voltò sorpresa verso di lui, mentre Hajime si portava una mano alla bocca, imbarazzato.
"B-beh..va bene, credo.."
[T/n] sorrise alla sua reazione e posò le mani incerta sui tasti, premendoli cautamente, sapendo di avere un ospite in ascolto.
Quel giorno non cantò, ma Hajime ne rimase soddisfatto lo stesso.
Quel giorno Hajime non si dichiarò, così come non lo fece [T/n], ma andò bene così.
C'era così tanto tempo per ascoltarsi, per sentirsi.
C'era tempo per sussurrarsi parole d'amore, e così tanto tempo per viversi.




Dedicata a Wotari .

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