|Time| |Tadashi Yamaguchi|
What is it you want?
You can lie but I know that you're not fine (oh yeah)
Every time you talk
You talk 'bout me but you swear I'm not on your mind
You can pretend you don't miss me (me)
You can pretend you don't care
All you wanna do is kiss me (me)
Oh what a shame I'm not there
-Billie Eilish.
Il Tempo passa.
Fa ticchettare le lancette degli orologi fastidiosamente, lasciando che il loro eco rimbombi sulle pareti.
Il Tempo passa.
Le persone cambiano.
Se ne vanno.
Ritornano, diverse.
E così come passano le stagioni, anche i sentimenti mutano.
Il Tempo passa, crudele e spietato.
Fa sentire il suo fiato caldo sul collo di ognuno.
Vuole essere sicuro che nessuno si dimentichi di lui.
Tormentando, mandando in paranoia, rimandando al pensiero della morte che, lentamente, si avvicina.
Il Tempo passa, a volte troppo velocemente per la mente da analizzare, e a volte troppo lentamente per il cuore da sopportare.
Le lancette della vita ticchettano per ognuno, fino a che arriverà il giorno in cui gli ingranaggi si romperanno, e le lancette si fermeranno.
Il Tempo passa, e non risparmia nessuno.
Ma è possibile che, nonostante il Tempo passi, i sentimenti rimangano immutati?
È possibile che le stagioni si blocchino, testarde, e non riprendano più il loro corso?
È possibile che nella mente, come un tatuaggio, resti sempre la stessa immagine?
E per quanto la specie umana si convinca sempre di più, giorno dopo giorno, che il Tempo rimarginerà ogni ferita del loro animo, cancellando per sempre il ricordo delle persone del loro passato, non sa che è impossibile.
Il Tempo non passa, e non può niente contro la mente testarda dell'uomo.
Non può niente contro quel dolce e cruento sentimento di fuoco e tenerezza.
Il Tempo passa.
Per lui, forse troppo lentamente, sia per il cuore, che per la mente.
L'autunno era entrato di prepotenza dalla porta d'ingresso, senza nemmeno bussare.
Aveva riempito l'uscio e l'ingresso delle sue foglie secche, mentre aveva lasciato la porta socchiusa, permettendo agli spifferi dell'amico inverno di passare.
Il rinomato pittore aveva dipinto dei suoi tipici ed amati colori caldi ed avvolgenti il paesaggio, dando un tocco di tepore in quel clima fresco, quasi freddo.
Un venticello soffiava perenne, facendo staccare le prime foglie dalle vecchie fronde degli alberi, lentamente depositandole a terra, dove poi sarebbero state schiacciate con un piacevole scricchiolio.
Tutte le strade erano ormai state sparse di quei splendenti colori, e dal balcone della propria casa poteva vederlo fin troppo bene.
Finalmente era tornato il periodo che più preferiva, durante il quale avrebbe potuto rannicchiarsi sotto le coperte con una tazza fumante tra le mani, leggere un libro o guardare un bel film alla televisione.
L'università in quelle settimane lo aveva distrutto completamente, ma con l'arrivo dell'autunno anche la sua prima settimana di riposo si era fatta sempre più vicina.
Oramai mancavano solo pochi esami, e poi sarebbe stato libero almeno per un po', e non vedeva l'ora che arrivassero quelle meritate ore di nullafacenza.
Quella mattina si svegliò con gli assordanti squilli della sveglia e del cellulare, che spense con un grande sbadiglio, facendo uscire a tentoni la mano dal caldo rifugio.
Svogliato, si rannicchiò per qualche secondo di più nelle coperte, cercando di assorbire il loro tepore, ma poco dopo le sollevò dal suo corpo, mettendosi a sedere mentre un altro sbadiglio faceva capolino sulle sue labbra.
Quando il piumino grigio fu scansato di lato, sotto di esso si rivelò esserci una capigliatura scompigliata e fuori controllo.
I lunghi capelli neri gli arrivavano quasi alle spalle e, sotto alla luce del giorno, assumevano sfumature verdognole, mentre i vari ciuffi andavano per tutte le direzioni, scompigliati dalla dormita.
Le spalle larghe erano coperte da una semplice maglietta rossa a maniche lunghe, che nascondeva il suo fisico atletico e piazzato, mentre alcune ciocche ribelli gli solleticavano il collo e le guance, tappezzate di tante piccole efelidi, che avevano preso il posto dei brufoli adolescenziali.
Le labbra rosate erano ancora aperte in uno sbadiglio assonnato intanto che i grandi occhi rimanevano strettamente chiusi, coprendo con le palpebre quelle piccoli iridi castane.
Le guance erano ancora intorpidite dal sonno, calde e arrossate, così come il resto del suo corpo, che ancora si sentiva fluttuare nell'aria.
I lineamenti del suo viso erano delineati e mascolini, ma allo stesso tempo dolci, messi però in risalto dalla massa muscolare che negli anni era riuscito a mettere su.
Quando aprì lentamente gli occhi, rimase per qualche secondo a guardarsi attorno, osservando la propria stanza svogliatamente, cercando un motivo per non tornarsene a letto, fino a quando non vide una foto sulla libreria.
Era vecchia, conservata preziosamente in una piccola cornice di legno, anche quella logora, e ritraeva tre persone sorridere allegre e spensierate in uno dei più bei momenti della sua vita.
Si soffermò sul bel viso dell'unica ragazza nella foto, guardando il suo dolce ed accattivante sorriso mentre teneva nella mano destra il mento di un ragazzo biondo, che aveva un sorrisino leggero sulle sottili labbra pallide.
Guardò l'immobile luce nei suoi occhi per diversi secondi, sognando di vederli brillare di nuovo dal vivo, ma lasciò subito perdere quel suo desiderio, portando lo sguardo al comodino, dove la sveglia stanziava, e quasi non prese un infarto.
Sette e trenta.
Erano le cazzo di sette e trenta, e lui non era ancora diretto verso l'università che, precisiamo, apriva le porte alle otto in punto.
Se non si fosse dato una mossa, avrebbe perso quel giorno di scuola, e non poteva permetterselo per nessuna ragione al mondo con gli esami alle porte.
Improvvisamente, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa e dalla paura di arrivare in ritardo, il corvino si tolse il resto del piumino di dosso, rivelando i suoi boxer neri, e si alzò di tutta fretta, non sapendo da che parte girarsi.
Si guardò attorno e si precipitò, quasi inciampando sul tappeto, sulla sedia davanti alla scrivania, dove gli abiti dei giorni precedenti erano ammassati.
Senza preoccuparsi troppo di ciò che aveva preso tra le mani, si affrettò fuori dalla propria stanza ed entrò come una scheggia nel bagno, vedendo di striscio il suo coinquilino guardarlo con fare sorpreso, prima che ghignasse divertito, si intende.
Una volta in bagno iniziò a vestirsi, saltellando di qua e di là cercando di infilarsi i suoi larghi jeans neri ed impanicandosi dalla fretta nel togliersi la maglietta del pigiama.
Si infilò una calda felpa bianca, passandosi prima però del deodorante, ed infine si guardò allo specchio, non guardando per niente le sue occhiaie sotto agli occhi, preoccupandosi invece dei capelli.
Si era stancato ormai da qualche anno di averli corti, e così li aveva lasciati crescere, ma non poteva negare che fosse un impresa acconciarli ogni mattina!
Si fece frettolosamente una coda, lasciando i ciuffi della frangetta fuori dalla morsa dell'elastico, compreso quel piccolo ciuffo che, ormai da anni-che si fosse affezionato a lui?-, spuntava come un'antenna dal resto della capigliatura.
Tirandosi su i capelli, un luccichio attirò inconsapevolmente la sua attenzione alle proprie orecchie, solo per notare dei piccoli piercing neri ai lobi.
Anni prima due suoi amici, Tanaka e Nishinoya, erano riusciti a convincerlo a farseli e, nonostante all'inizio se ne fosse pentito, anni dopo non gli dispiacevano affatto.
Una volta che anche i capelli furono messi in ordine, più o meno, il ragazzo uscì dal bagno e con tutta la fretta del mondo afferrò il suo zaino di pelle marrone e ci buttò dentro tutti i libri che era riuscito a prendere tra le mani, fino a quando lo zaino non iniziò a finire la sua capienza.
Se lo mise in spalla velocemente, afferrando poi il cellulare in carica sul comodino.
Controllò l'ora e la fretta aumentò: mancavano venti minuti all'inizio delle lezioni.
Doveva correre se voleva farcela in tempo.
Senza rendersene conto, mentre si avvicinava alla porta, lanciò un'ultima occhiata al tenero viso della ragazza nella foto ed il suo cuore balzò, rattristandolo per quel sentimento che ancora pulsava dentro di lui, inconsapevolmente.
Ma poco sapeva che, ad aspettarlo sulla soglia della stanza, con una tazza di caffè fumante tra le sinuose mani, c'era il suo adorato coinquilino, nonché migliore amico sin dai tempi delle elementari e terzo individuo nella citata fotografia, Kei Tsukishima.
Lo guardava dall'alto della sua spropositata altezza, mentre un sorrisino troneggiava sulle sue lisce labbra.
I capelli biondi erano corti ma più folti dei tempi del liceo, gli affilati occhi di un castano dorato erano rimasti dietro al suo solito paio di occhiali neri, e la pelle era chiara e pallida come un fantasma, tranne per le punta delle dita che trattenevano la tazza calda.
Il suo sottile e slanciato corpo era nascosto da un largo maglione beige, mentre le gambe erano avvolte da uno stretto paio di jeans.
Il suo sorrisetto ed i suoi occhi sembravano schernirlo dall'alto, ma taceva, come se quei piccoli gesti parlassero da sé.
Il corvino quasi andò a sbattere contro la sua figura marmorea e si bloccò sul posto, quasi osservandolo impaurito, nonostante tutti gli anni passati insieme.
"Che c'è Tsukki?"
Kei lo guardò divertito osservando tutta la fretta che l'amico aveva.
Non poteva farci niente, lo faceva troppo ridere quanto si impanicasse quando era in ritardo.
Il sorrisino si allungò mentre si portava la tazza alle labbra.
"Hm, niente di che. Semplicemente sei ridicolo quando ti affretti: rischi di cadere ad ogni passo che fai."
Il tono di scherno fece alzare gli occhi al cielo al corvino, ormai abituato a tutte quelle prese in giro, ma sotto sotto rise.
Era vero, dopotutto.
Tornò a guardare il coinquilino, invidiando tutta la tranquillità che possedeva e che gli permetteva di prenderlo in giro.
"Anche oggi inizi alle nove e mezza?"
Kei prese un lungo sorso del suo caffè prima di rispondere divertito, beandosi del fastidio che l'amico stava provando.
"Eh già."
Il corvino sbuffò.
Mentre loro stavano chiacchierando allegramente, il Tempo passava velocemente, e sapeva che era tutto ciò che Tsukki voleva.
"Ora devo andare, o farò tardi! Ci vediamo là, oppure stasera."
E senza troppi giri di parole, il ragazzo schivò il biondo e si diresse all'ingresso, infilandosi le scarpe e, poco prima di uscire, salutò Kei con un sorriso.
"Ciao Tsukki!"
Il rumore della porta che sbatteva e dei suoi pesanti passi per le scale del condominio seguirono quelle allegre parole.
Kei, intanto, aveva scosso la testa prendendo un sorso del suo caffè con un piccolo sorriso sulle labbra.
"Ciao Yamaguchi."
Il sussurro gli uscì caldo e dolce dalla gola.
Gli piaceva salutarlo dopo che se ne era andato, perché dopo nessuno lo assillava per quel buon gesto improvviso.
Si voltò, osservando il macello lasciato nella camera del ragazzo che, in confronto alla sua, era un vero porcile.
Scrutò scocciato tutto il disordine, fino a quando non vide la cornice posta sulla libreria, dentro alla quale quella famosa foto troneggiava sulla stanza.
Kei si appoggiò allo stipite della porta, continuando anche lui a guardare ammaliato il bel viso di quella ragazza, mentre lo sguardo nei suoi occhi si rattristava.
"Gli manchi molto, anche se non lo vuole ammettere."
Parlò alla ragazza nella foto come se potesse sentirlo, come se potesse rispondergli ed alleggerire quella tristezza che gli gravava sul cuore.
Ma sapeva che era inutile sperare.
Si voltò ed iniziò a camminare verso la propria stanza, non volendo guardare il suo viso una volta di più, nonostante la stessa foto risiedesse preziosamente custodita anche nella sua camera.
La guardava almeno una volta al giorno, proteggendola tra le pagine del libro che la ragazza gli aveva regalato anni addietro.
Non disse altro, sapeva che se lo avesse detto ad alta voce, allora la tristezza sarebbe aumentata, alimentata dalla consapevolezza.
Ma lo pensò.
Dopotutto, pensare era l'unico modo per non ammettere ciò che non voleva fosse realtà.
E manchi anche a me.
Yamaguchi corse a perdifiato per diversi isolati prima di trovarsi davanti agli occhi stanchi l'università.
Era senza il respiro, i polmoni gli facevano male e la milza doleva, così come le gambe.
Voleva solo sedersi, bere tre litri d'acqua e non alzarsi mai più.
Ormai a cinque minuti dall'inizio dei suoi corsi, Yamaguchi si ritrovò a cercare un posto in cui sedersi nella sua aula, ancora con il fiatone e le guance arrossate per la corsa.
"Tadashi!"
Una pimpante ed allegra voce chiamò il corvino, attirando la sua attenzione, come quella di molti altri studenti, alla ragazza che lo aveva chiamato dal centro di una fila.
Quella che lo aveva chiamato era una ragazza che aveva conosciuto tre anni addietro, più grande di lui di un anno.
Sia chiamava Etsuko Aoki, ed era una delle ragazze più estroverse che avesse mai incontrato, oltre che una delle più belle.
Si era sin dal primo giorno dimostrata aperta al dialogo e pronta a fare nuove conoscenze, ed il fatto che avesse trovato posto soltanto vicino a lei, di certo li aveva avvicinati.
Certe volte gli sembrava sua madre, sempre così amorevole e attenta nei suoi confronti, nonostante ci fosse solo un anno di differenza tra loro.
Era sempre allegra, anche quando non lo era affatto, e lui aveva imparato a capire che quel suo bel sorriso non era sempre sincero.
Si erano avvicinati molto, fino ad invitarsi a vicenda l'uno a casa dell'altro per delle semplici serate di realx.
Era così gioiosa, non le fregava niente di nessuno, né di quello che pensavano di lei; era spensierata, come lui non lo era da quattro anni a quella parte.
Le fece un cenno con la mano prima di avventurarsi nella affollata fila nella quale la ragazza si era andata a sedere.
Continuando a scusarsi se urtava i piedi di qualcuno, finalmente Tadashi prese posto vicino alla sua amica, e si accasciò sulla seggiola sotto lo sguardo di Etsuko.
Non passò molto prima che il dito della ragazza gli toccasse la guancia arrossata.
"Ma che ti è successo?"
Con una risatina divertita, Etsuko continuò a punzecchiare la guancia lentigginosa di Yamaguchi, fino a quando quest'ultimo non si mise dritto sulla sedia, appoggiandosi ai braccioli di metallo.
"Mi sono svegliato tardi e ho dovuto correre per dodici isolati."
Tadashi si voltò verso la ragazza, solo per vedere il suo sorriso divertito farsi spazio su quel bellissimo viso.
Senza ombra di dubbio, Etsuko era una ragazza dall'ammaliante bellezza.
Con la sua pelle bianca, pura e pallida e i dolci occhi castani da cerbiatto, faceva incantare qualunque ragazzo-e anche qualche ragazza-che la guardasse.
Aveva corti capelli di un castano chiaro che le sfioravano le spalle, sempre acconciati alla perfezione in modo da creare dei morbidi boccoli.
Le sue piccole labbra rosate sembravano due gemme preziose e qualche volta Yamaguchi era stato tentato di toccarle con le proprie, ma non si era mai azzardato, nonostante ne avesse avuto più volte l'occasione.
Aveva iniziato a ridere e schernirlo con la sua inconfondibile risata contagiosa che, in poco tempo, coinvolse anche Tadashi.
"Ma come diamine hai fatto a correre così tanto? Io mi sarei arresa ancora prima di uscire dal vialetto di casa!"
Ridacchiò ancora un po' dopo quell'esclamazione e poi gli appoggiò una mano sulla testa, accarezzando quel ciuffo ribelle che da sempre aveva.
Il corvino non ci fece troppo caso, era una cosa abituale per lei.
"Cosa facciamo oggi per pranzo?"
Tadashi si voltò verso la ragazza, che non aveva ancora smesso di cercare di mettere a posto i suoi capelli, e ci pensò su un attimo prima che gli salisse un dubbio terrificante.
Si affrettò a prendere il pesante zaino da terra, svuotandolo di tutti i libri, del laptop, del cellulare e dei bloc-notes, ma niente.
Nessuna traccia del portafoglio.
"Ma che fai?"
Il tono divertito di Etsuko era tornato, ma non si abbinava per niente all'irritazione di Yamaguchi.
"Ho lasciato a casa il portafglio."
Etsuko gli sorrise agitando una mano in aria mentre il corvino rimetteva tutto dentro lo zaino.
"E di cosa ti preoccupi? Oggi offro io!"
"Non se ne parla! Sarebbe già la terza volta che ti scrocco il pranzo, e preferisco non avere debiti con te!"
Senza peli sulla lingua, Yamaguchi continuò a parlare mentre prendeva il cellulare tra le mani, controllando che il professore non fosse ancora arrivato.
Intanto, Etsuko aveva assunto un'espressione mista tra l'offeso ed il divertito.
"Non sono così cattiva quando le persone mi devono qualcosa!"
"Oh, certo che no. Semplicemente, l'ultima volta hai fatto pagare quasi dodici mila yen a Koichi, perchè gli avevi offerto la cena una settimana prima!"
Etsuko si schiacciò contro lo schienale della sedia, colta in flagrante, mentre Tadashi continuava ad armeggiare col cellulare.
"Adesso chiedo a Tsukki di portarmelo a pranzo, tanto è ancora a casa."
"Quindi dovrò sorbirmi quello scorbutico?"
"Solo per due minuti."
Etsuko sbuffò: lei e Kei non andavano per niente d'accordo, erano due poli opposti e non erano mai in sintonia su niente.
Insomma, dire che non si piacevano era un eufemismo.
"Okay, fatto."
"Ha accettato? Strano."
"Beh, solo dopo che gliel'ho chiesto cinque volte e mi ha detto che sono una spina nel fianco."
Tadashi lasciò il telefono sbloccato sul tavolino portatile della sedia e, dopo che Etsuko alzò gli occhi al cielo per la reazione di Tsukishima, puntò i suoi occhi da cerbiatto sullo schermo.
"Senti, Tadashi.."
Il suo tono era diventato improvvisamente pacato e cauto, quasi fosse sulla difensiva.
"Si?"
Tadashi si voltò verso l'amica con fare interrogativo, solo per vedere che il suo viso si era incupito alla vista del suo cellulare.
"È da un po' che volevo chiedertelo ma..non volevo sembrare indiscreta."
Yamaguchi le sorrise, rassicurandola.
Cosa poteva esserci di così tanto strano da renderla inquieta?
Etsuko aspettò un attimo prima di parlare, ossrvando attentamete il viso del corvino.
"Ecco..quella ragazza che hai come sfondo, l'ho vista anche in alcune foto a casa tua ma..beh, non te ne ho mai sentito parlare... So che sono un'impicciona, ma...chi è?"
Tadashi si bloccò per un secondo, o forse due, per poi guardare la foto che aveva come sfondo del cellulare, ancora acceso.
Era lui, in compagnia della stessa ragazza nella foto sulla libreria a casa sua.
Stavano sorridendo, erano allegri, e le guance di Tadashi erano colorate di un dolce rosso.
Il suo cuore iniziò a battere velocemente ai ricordi che riaffioravano, mentre un velo di tristezza occupava i suoi grandi occhi castani.
Ricominiò a sentire la sua voce, dolce e cristallina.
Rideva allegra.
Poi, la stessa voce gli parlava dall'altro capo di un telefono, e ancora dallo schermo di un computer.
Fino a scomparire, e non farsi più sentire.
Yamaguchi rimase in silenzio, quasi con le lacrime agli occhi mentre continuava a guardare quella semplice immagine, quella semplice ragazza.
Etsuko gliela aveva riportata alla mente, dolorosamente ma senza cattive intenzioni.
Ormai credeva che fosse un ricordo lontano ma, ogni qual volta che qualcuno la nominava, il suo cuore doleva, come se la ferita fosse ancora fresca.
Il Tempo avrebbe dovuto rimarginarla, ma l'aveva seplicemente aperta di più.
Spense il telefono, smettendo di guardarne lo schermo, e si passò una mano sugli occhi, spazzando via quelle poche lacrime che erano in procinto di scendere.
Si voltò poi verso la castana, rivolgendole un sorriso malinconico, ma le guance ancora più rosse la dicevano lunga.
"È...una vecchia amica. È partita quattro anni fa per l'Inghilterra..all'inizio ci sentivamo quasi ogni giorno, insieme a Tsukki...ma dopo qualche settimana chiamava sempre meno e... Dopo nemmeno un anno dalla sua partenza, non abbiamo più avuto sue notizie."
Guardò l'amica, e potè notare perfettamente come si fosse pentita di chiedere quella semplice domanda, nata dalla pura curiosità.
Provò a sorriderle per rassicurarla che, veramente, tutto andava bene, ma non ci riuscì.
Non andava affatto tutto bene.
Etsuko abbassò lo sguardo sulle proprie mani congiunte, intanto che il professore faceva la sua entrata.
"Doveva essere una persona importante per te... Mi spiace, non avrei dovuto chiederti niente."
Tadashi le toccò tranquillamente la spalla, facendole alzare il capo.
Risentì le labbra della vecchia amica posarsi sulle sue prima che partisse, e si sentì gli occhi lucidi.
"Etsuko, non preoccuparti. Ormai è tutto nel passato.."
Ma vedendo i suoi occhi luccicanti ed il suo finto sorriso sulle labbra, Etsuko si ricordò di tutte le volte che aveva visto il volto di quella ragazza per casa di Tadashi e sul suo cellulare, e capì ciò che Tadashi forse si rifiutava di ammettere.
La giornata era passata come ogni precedente, ma con un pizzico di malinconia in più.
Etsuko non era stata allegra come suo solito, sentendosi in colpa per la domanda inopportuna fatta, mentre Yamaguchi sembrava essere lo stesso di sempre.
Ridacchiava e parlava tranquillamente, ma il telefono rimase per tutta la giornata spento.
Nessuno dei due toccò nuovamente l'argomento, ma non bastò a Yamaguchi per smettere di pensare a lei.
Pensava di essersela tolta dalla testa completamente, ma si sbagliava.
Aveva sofferto così tanto per colpa sua, ma nonostante tutto non riusciva a dimenticare come il suo cuore battesse forte a quei tempi, quando si baciarono per la loro prima, ed ultima volta.
Voleva continuare a sentirla, a vederla, aveva pure pensato di volare da lei solo per vederla, ma quando smise di farsi sentire completamente, dopo essere stata sempre più schiva, Tadashi perse le speranze, ed il suo cuore si frantumò.
Decise di smetterla di parlare di lei, di pensarla e di immaginarla.
Da quel momento, sarebbe rimasta un fantasma, ed il Tempo l'avrebbe rimossa completamente dalla sua testa.
Ma allora, se l'aveva eliminata dalla sua mente, perchè faceva ancora male ricordarla?
Yamaguchi sbuffò, lasciando che il suo respiro si condensasse.
La sera era scesa veloce, e le strade erano illuminate solo dai lampioni per i marciapiedi.
Stava tornando a casa da solo, e nel buio della sera continuava a pensare a lei.
Si guardava le scarpe nere logore, passo dopo passo.
Si ricordò di come lei gli toccasse sempre le guance, dicendogli quanto adorasse le sue lentiggini, si ricordò di quando lo abbracciava dalla gioia, quando gli dava i baci sulle guance, o quando si sedevano vicini sul divano.
L'impulso di voler sentire le sue labbra sulle proprie prese il sopravvento, ed il ricordo gli riaffiorò alla mente.
Era stato un gesto così genuino, quasi disperato.
Gli era saltata addosso di slancio, abbracciandolo forte prima di posare le sue dolci labbra su quelle di Tadashi.
Era stato come il soffio del vento: delicato e dolce.
Si chiese che sapore avrebbero avuto le sue labbra quella sera.
Se dopo di lui, qualcun altro avesse potuto toccare quelle due gemme rosate.
Con uno sbuffo si fermò e si passò una mano sugli occhi.
Doveva pensare.
Sedersi e pensare.
Basta mentirsi, basta giocare e basta evitare l'argomento.
Doveva fare i conti con se stesso, e con i suoi fantasmi.
Alzò il capo e, deciso, cambiò direzione, dirigendosi all'unico posto nel quale riusciva a pensare lucidamente e con un pò di calma.
Il posto che proprio lei gli aveva mostrato.
Era un semplice parco per bambini, circondato da staccionate di legno, dalle quali le foglie dei cespugli sporgevano.
Era povero di giochi, ma ampio di spazio e colmo di panchine.
Di solito andava lì e ci stava anche per ore quando era tormentato, per poi sfogarsi un po' sulle altalene.
Si affrettò verso quel parchetto, non poi così lontano dal punto in cui si trovava, pronto a sfogarsi e a buttare fuori tutto ciò che aveva dentro ma, non appena fece per varcare le piccole staccionate, notò che già qualcuno aveva occupato una delle panchine.
Si stupì non poco.
Insomma, era abbastanza tardi, e quello non era un parco molto visitato!
Rimase immobile ad osservare la figura, indeciso sul da farsi.
Ma non aveva senso tirarsi indietro solo perché qualcuno aveva occupato il posto prima di lui.
E poi, c'erano molte altre panchine!
Fece un respiro e, finalmente, entrò nel parchetto.
Avanzava tenendo sott'occhio la figura, controllando che non fosse nessuno di poco raccomandabile.
Si rese conto dopo, solo a qualche passo da lei, che in realtà era una ragazza.
Cosa ci faceva seduta lì al freddo a quell'ora tarda?
Aveva il capo chino, il viso coperto dai [l/c] capelli [c/c], e sembrava infreddolita da come tremava.
Indossava una semplice maglietta nera a maniche lunghe e dei jeans stretti, ma niente cappotto o sciarpa.
Tadashi fece per avvicinarsi a lei, voleva controllare che stesse bene, ma non appena fece due passi verso di lei, quella alzò il capo ed il cuore di Yamaguchi si fermò.
Lì capì che, per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che mentire a sé stesso.
Le mancava troppo, e per quanto lui si rifiutasse di ammetterlo, di parlare di lei o di pensarla, lei era sempre nella sua mente, e non voleva cancellarla.
Per questo gli faceva così male parlare di lei.
E quel cocente sentimento ancora non era sparito.
Il Tempo non aveva fatto il suo corso.
La ferita era sempre rimasta aperta e lui, anche se inconsciamente, aveva continuato a lacerarla riempiendosi dei suoi sorrisi e della sua voce nei vocali, delle sue foto e dei suoi ricordi.
Se ne rese conto lì, in quel parchetto illuminato dalla luce dei lampioni, davanti alla sua vecchia amica e primo e unico amore.
Aveva cercato di eliminarla come metodo di difesa, ma i suoi aculei gli si erano ritorti contro.
Non avrebbe mai potuto dimenticarla.
La vide lì davanti a lui, gli occhi lucidi dal pianto, le gote rosse e le labbra screpolate.
Era cambiata, e non poco.
Era diventata una donna ormai.
Le forme le si erano accentuate ed il viso era più maturo, ma bello come una volta, forse anche di più.
Vide le lacrime scenderle lungo le guance e poi sulle gambe, mentre i suoi grandi e luccicanti occhi [c/o] si spalancavano e la bocca le si socchiudeva.
Anche lei, sembrava sorpresa.
Yamaguchi, dal canto suo, era completamente incantato.
Il cuore aveva iniziato a martellargli nel petto e gli occhi avevano iniziato a pizzicare, così come la gola aveva preso a bruciargli.
Gli era mancata così tanto.
Solo in quel momento si rese conto di quanto era stata devastante la sua assenza.
Capì perché più volte rifiutò le labbra di Etsuko, capì perché ogni volta che qualcuno chiedeva di lei, lui ignorava la domanda, chiudendosi a riccio, capì perché aveva ancora tutti quei suoi ricordi, e perché teneva ancora sulla libreria quella foto, così come non aveva mai, in quattro anni, cambiato il suo sfondo del cellulare.
"T-Tadashi..?"
Sentire il proprio nome venir pronunciato da quella voce rotta gli fece venire i brividi.
Ma la voce, nonostante fosse meno acuta, era la sua.
Nonostante i tratti del suo viso fossero più maturi, era lei.
Nonostante fosse più alta, era lei.
Nonostante le fossero sbocciate le forme, era lei.
Era lei, la sua [T/n].
Tadashi annuì piano, sentendo una lacrima scendergli lungo una guancia.
La vide portarsi una mano alla bocca e le lacrime scendere più impetuose.
"Da..da quant'è che sei qui..?"
La domanda era più che legittima.
Per tre anni e poco più era scomparsa dalla sua vita senza lasciare nemmeno un saluto, e lo aveva distrutto.
Pensava di meritarsi delle risposte.
Ma tutto quello che ottenne furono dei singhiozzi.
Sembrava stare veramente male, e Tadashi fu tentato di andare da lei e consolarla, ma una rabbia genuina cominciò a farsi strada nelle sue viscere.
Se ne era andata, e ora tornava senza nemmeno un avvertimento? Una parola?
Non era giusto! Non poteva fare come le pareva e piaceva!
Tadashi aggrottò le sopracciglia.
"Che cosa ci fai qui? Che cosa vuoi, dopo quattro anni?"
[T/n] alzò il capo, i capelli [c/c] appiccicati al viso dalle lacrime, e lo guardò distrutta, una smorfia di tristezza sul volto e gli occhi rossi dal pianto.
"T-Tada-"
"Dimmelo! Che fine hai fatto, eh?!"
Le si avvicinò velocemente, quasi urlando, invaso dalla rabbia, dalla tristezza e dalla delusione.
Avrebbe voluto abbracciarla forte, ma la rabbia comandava, e voleva risposte.
[T/n] lo guardò in lacrime, portandosi poi le mani al viso, coprendolo.
"Mi dispiace... M-mi dispiace così tanto.."
Il sussurro arrivò attutito dai palmi delle mani a Tadashi, che ascoltò quelle patetiche scuse con rabbia crescente.
"Di cosa ti stai scusando? Di essere sparita per quattro anni, senza dire a nessuno se stavi bene o meno, o senza chiamare una volta? Oppure ti stai scusando di essere tornata qui?"
Tadashi sapeva che ciò che aveva appena detto l'avrebbe fatta soffrire ancora di più, e ne ebbe la conferma quando vide l'espressione di [T/n], ma la rabbia era troppa.
Voleva soffrisse come lui aveva sofferto.
"Ti rendi conto di quanto io..di quanto io e Tsukki ci siamo preoccupati? Come hai potuto abbandonarci così, senza dire niente?! Non te ne fregava proprio niente di noi! Che senso ha avuto darmi quel bacio se poi per te non voleva dire un ca-"
Il rumore di uno schiaffo rimbombò per il parco vuoto, mentre gli abitanti del quartiere si chiedevano cosa stesse succedendo.
[T/n] si era alzata in piedi, le lacrime ancora a bagnarle il viso, e aveva dato una sberla a Tadashi, che ancora era piegato verso destra, la mano sulla guancia.
"Non parlare come se sapessi tutto! Anche io ho sofferto! Non sai quanto doloroso è stato per me lasciarvi andare! Eravate i miei migliori amici, vi voglio bene tutt'ora! E non osare dire che il bacio che ti ho dato non significava niente, perché io non faccio mai niente senza un motivo!"
Tadashi si voltò verso di lei.
Il cuore gli batteva forte e la guancia pulsava, ma non gli importava.
Voleva sapere.
"Se eravamo i tuoi migliori amici, allora perché ci hai lasciati andare?"
Questa volta la domanda era stata posta con più calma, ma le lacrime scorrevano sulle gote rosse di entrambi, e le loro voci erano entrambe spezzate dal pianto.
[T/n] lo guardò e rimase in silenzio per qualche istante prima di prendere un bel respiro, e rispondere.
"Ho pensato che...che lasciarvi andare fosse la cosa giusta.. È stato egoista da parte mia decidere anche per voi, ma non sapevo se sarei mai tornata in Giappone, e voi di certo non sareste potuti venire in Inghilterra.. Quindi ho deciso di finirla, per il bene di tutti e tre.. Ma non era la cosa giusta da fare."
[T/n] tornò a sedersi sulla panchina, infreddolita e singhiozzante mentre si asciugava le lacrime.
Tadashi rimase immobile a guardarla.
Non gli pareva vero di poter rivedere quel luccichio, quel fuoco ardere finalmente dal vivo, dopo tanto tempo.
"Perché sei qui?"
Yamaguchi pose di nuovo la stessa domanda, sperando stavolta in una risposta, senza venir schiaffeggiato.
[T/n] sollevò di poco il capo, per poi riabbassarlo, colpevole.
"Per scusarmi di avervi abbandonato."
Le lacrime iniziarono a scendere copiose sul volto del corvino, che continuò a guardare la ragazza asciugarsi le gote.
Era tutto ciò che aveva sognato prima di mandarla via dalla propria testa, che tornasse da loro, da lui, e che si scusasse.
E ora che stava succedendo davvero, la rabbia era scomparsa con lo schiaffo, e la felicità aveva iniziato a farsi strada.
Si andò a sedere al suo fianco, mettendosi una mano sugli occhi per potersi asciugare le lacrime.
"Ti ho cercato tanto.. Ti ho chiamata, ti ho mandato migliaia di messaggi.. Ah, ti ho persino mandato una lettera."
[T/n] non osò guardarlo, rimanendo col capo basso mentre qualche goccia ancora le cadeva dagli occhi.
"Lo so..mi dispiace."
"Pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato, mi sono fatto così tante paranoie... Ho addirittura creduto che tu avessi rimpianto il bacio.."
Rise malinconico prima di venir interrotto bruscamente dalla [c/c].
Si girò verso di lui completamente, guardandolo stavolta negli occhi mentre gli toccava fermamente il braccio.
Gli occhi [c/o] le scintillavano sotto le luci dei lampioni e Tadashi poteva sentire quanto stesse tremando da quel semplice tocco.
Lo guardò sicura, ma ancora colma di vergogna per il suo egoismo.
"Né tu né Kei avete fatto qualcosa di sbagliato. È stata tutta colpa mia, e me ne assumo la completa responsabilità. Sono stata una stronza di prima categoria, potrai dirlo tutte le volte che vorrai, ma quel bacio per me aveva un significato, e lo ha tutt'ora."
Tadashi sbirciò dagli spazi tra le dita il viso della ragazza, e si sentì avvampare a quell'affermazione mentre vedeva le sue labbra screpolate muoversi.
Il cuore gli batteva forte, non poteva controllarlo.
Era felice di averla ritrovata, e non voleva più lasciarla andare.
Si tirò su a sedere composto, guardandola timido.
"Hai ragione, sei stata una stronza."
Entrambi ridacchiarono, forse un po' come una volta, e a Tadashi batté forte il cuore.
Le posò la mano sulle dita, sentendo quanto fossero gelate.
Chissà per quanto aveva pianto in quel parchetto, rimpiangendo le sue scelte.
Tadashi la guardò mansueto, mentre anche le gote di lei si imporporavano.
"Mi dispiace averti urlato contro..ero molto arrabbiato."
[T/n] scosse il capo, sorridendogli un poco.
"No, hai fatto bene, me lo meritavo! Piuttosto..a me dispiace averti schiaffeggiato, non è stato giusto."
Tadashi abbassò il capo, divertito, mentre alcune ciocche nere gli oscuravano la vista.
"In effetti.."
Anche [T/n] rise, e gli strinse più forte la mano.
Le lacrime avevano smesso di scendere, lasciando spazio a due sorrisi finalmente genuini.
Tadashi continuava a lanciarle occhiate furtive, mentre la [c/c] non aveva smesso un secondo di guardarlo.
Era cambiato così tanto, cresciuto così tanto senza di lei.
Sicuramente molti cassetti si erano chiusi, e altri erano stati costruiti, e tutto quello che [T/n] desiderava, era riaprirli e scoprire le cose che Tadashi ci aveva buttato dentro.
"Senti..mh.."
L'attenzione della ragazza venne attirata dall'esitazione del corvino.
Infondo, non era cambiato poi molto.
"Dimmi."
Tadashi la guardò di sottecchi, le guance sempre più bollenti ed il cuore a mille.
Non aveva ancora saputo tutto.
Non tutta la verità.
[T/n] intanto rise vedendo come le sue piccole efelidi venissero messe in risalto con il rossore delle sue gote.
"Quel bacio..no? Ecco...quello mh..hai detto che significava qualcosa per te.."
[T/n] sorrise felice e dolce, il cuore caldo.
Che l'avesse perdonata per davvero?
Che anche lui..?
"Certo."
"Qual è?"
Tadashi si voltò finalmente verso di lei, guardandola con le guance rosse e gli occhi ancora umidi.
Le labbra erano contorte in una strana smorfia, mentre il naso continuava ad arricciarsi per il nervosismo, le dita tremavano ed il cuore batteva forte.
Anche quello di [T/n] batteva ormai veloce, ma lei sorrideva felice di essere stata perdonata per la sua stupidità e per il suo egoismo.
Strinse più forte la mano del corvino, stringendola amorevolmente nella sua mentre liberava quei sentimenti che per quattro anni erano rimasti sopiti.
"È perché ti amo, Tadashi. Perché sennò?"
Gli sorrise sincera, mentre quello spalancava gli occhi e le regalava il più bel sorriso che gli avesse mai visto.
"Davvero..?"
Tadashi quasi non ci credeva.
Poteva essere benissimo un illusione della sua mente.
E c'era un solo modo per scoprirlo.
"Certo! Ma che domad-"
Prima ancora che potesse finire di parlare, le labbra di Tadashi erano andate ad appoggiarsi sulle sue, ed il suo cuore era come esploso dai troppi battiti.
Ci volle qualche secondo prima che anche la ragazza ricambiasse, chiudendo gli occhi ed avvolgendo le braccia attorno al collo di Tadashi.
Restarono abbracciati sotto le stelle, scaldandosi per qualche minuto, prima che il sussurro di Tadashi facesse salire i brividi lungo la schiena di [T/n] e scendere le lacrime lungo le gote.
"Ti amo anche io, non ho mai smesso."
Entrambi si aggrapparono all'altro con più forza, quasi come se si fossero lasciati andare, sarebbero caduti in un profondo abisso.
Ma non c'era dubbio, non si sarebbero più lasciati andare.
Ed infine, il Tempo passa.
I sentimenti mutano, come le stagioni.
Ma le loro stagioni, quella notte, e tutte quelle che sarebbero passate negli anni, non cambiarono mai più.
Il Tempo passa, cambia tutto, ma non il loro impetuoso ed avvolgente sentimento di tenerezza.
Dedicata a RosaCastioni .
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