|Fools in love| |Kenji Futakuchi|
Oh, our lives don't collide, I'm aware of this
The differences and impulses and your obsession with
The little things you like stick, and I like aerosol
Don't give a fuck, not giving up, I still want it all
Only fools fall for you, only fools
Only fools do what I do, only fools fall
Only fools fall for you, only fools
Only fools do what I do, only fools fall
-Troye Sivan.
L'estate calda era presto arrivata, confondendosi con i profumi della primavera appena passata, illuminando il verde dei campi e facendo risplendere i petali colorati dei fiori, vivi e splendidi.
L'afa si era accanita sul Giappone come una belva assetata, affaticando chiunque capitasse sotto i forti raggi solari e non permettendo a nessuno di godere del leggero vento che di solito tirava perché, semplicemente, quest'ultimo sembrava essere corso ai ripari all'ascesa di quella bestia spietata.
La terra era calda, l'asfalto fumante e le finestre erano disperatamente spalancate, ma le rondini volavano comunque allegre per il cielo limpido ed i fiori si esibivano tranquillamente così baciati dal sole.
Ma all'interno del Date Tech la situazione era leggermente diversa e, forse, più disperata.
I più fortunati ed intelligenti avevano portato da casa uno o più piccoli ventilatori per la propria classe, ma il caldo era prorompente e pareva impossibile combatterlo.
Gli studenti si scioglievano come soffice burro, le loro uniformi si attaccavano alla loro pelle sudata, non più fresca e profumata, così come i capelli umidicci rimanevano appiccicati alle loro fronti.
Le lezioni erano impossibili da seguire, e ancora più difficili da svolgere per gli insegnanti-anche lor sono esseri umani-che provavano in tutti i modi ad attirare l'attenzione degli allievi, nonostante non ci credessero nemmeno loro.
I piccoli ventilatori spargevano il loro effetto benefico solo se a pochi centimetri dal corpo e con le finestre chiuse, ma chiuderle avrebbe trasformato ogni classe in un forno ed ogni persona dentro esse si sarebbe inevitabilmente tramutata in bacon croccante quindi, la loro presenza era più che inutile, ma dava un minimo di speranza agli studenti che una leggera brezza colpisse i loro visi.
Era ormai così che ogni studente al Date Tech trascorreva le sue giornate, arreso all'evidenza che, prima o poi, la sua pelle avrebbe odorato di carne bruciacchiata.
Quel giorno la pausa pranzo era arrivata ancora più lentamente del solito ed il caldo aveva martoriato l'animo di tutti, sfiancandoli come mai prima d'ora, non erano nemmeno sicuri di riuscire a tornarsene a casa.
La classe A del secondo anno, situata al primo piano e quindi in perfetta traiettoria con i raggi solari, rappresentava alla perfezione la disperazione nella quale ogni essere vivente nelle vicinanze riversava.
I ragazzi erano accasciati sulle loro sedie e sui loro banchi, cercando di trovare un minimo di freschezza nelle loro superfici, mentre i loro occhi erano vacui e lucidi, persi e stanchi, fissavano pigramente le poche cose che parevano loro muoversi, non disturbandosi a muoversi di un solo millimetro.
I loro pranzi erano ancora ben impacchettati e non sembravano essere stati toccati, alcuni avevano avuto le forze per tirarli fuori e posarli sul banco, ma poco dopo le loro teste si erano accasciate su quest'ultimi.
Poche persone passavano per i corridoi, e chi li vedeva li credeva pazzi, loro per poco non avevano nemmeno le energie per andare al bagno e fare i loro bisogni.
Solo un piccolo gruppetto sembrava più vitale degli altri studenti, ma non poi così tanto.
Accerchiati attorno ad un singolo banco, per giunta occupato da uno di loro tre che, stancamente, si era spaparanzato su di esso, cercavano di trovare le forze e la fame per mangiare almeno una piccola parte del loro pranzo.
Uno dei tre, il più giovane-del primo anno-ma anche il più alto e dalla capigliatura più stravagante, era completamente accasciato sulla propria sedia, le braccia in grembo, la testa appoggiata come un morto allo schienale della sedia e le lunghe gambe stirate sotto il banco, sulle quali il suo pranzo giaceva aperto. I suoi folti capelli biondi erano disordinati e umidi, un po' appiccicati al suo viso, mentre il ciuffo nero che solitamente troneggiava sulla sua testa e gli scopriva la fronte era ora afflosciato, riverso sul suo viso e lungo il suo naso.
Gli occhi erano serrati e le palpebre tremanti, il fiato corto ed il petto sudato mentre delle gocce cadevano lui lungo il collo.
Respirava lentamente, cercando le forze per prendere in mano la forchetta e continuare a mangiare mentre uno dei suoi due compagni, più grandi di un anno, mangiava a fatica.
Alla sua sinistra, una montagna di muscoli reggeva composto sulla sua sedia il suo bento, mangiando lentamente le verdure che sua madre gli aveva preparato quella mattina, ma il suo stomaco sembrava essersi chiuso.
Il viso duro e ben marcato si muoveva lentamente a ritmo con la sua mascella spigolosa.
La sua pelle bianca e pallida era imperlata di sudore, lo stesso che inumidiva i suoi corti capelli di un bianco neve.
L'assenza di sopracciglia rendeva il suo sguardo duro estremamente concentrato sul suo pranzo, ma in realtà non ce la faceva più. Le sue piccole pupille scure erano stanche ed annebbiate ed il cervello voleva solo immergersi nel buio del sonno.
Ma continuò a mangiare-per quel pomeriggio gli sarebbero servite parecchie energie-, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata ai suoi amici, in particolar modo al suo compagno di classe che, ormai senza energie, era sdraiato sul banco.
I folti capelli castani gli ricadevano sul viso sudato gentilmente intanto che riposava all'ombra, il suo pranzo ancora sulle sue gambe, troppo pigro e stanco per prenderlo.
Si sentiva la camicia bianca attaccata alla schiena umida, i piedi bruciare tra calzini e scarpe e le gambe soffocare. L'unico piccolo sollievo era sentire la tiepida superficie del banco, ma il suo corpo era infuocato, e non positivamente.
Gli occhi stanchi erano chiusi, le labbra secche e semiaperte, la pelle sudaticcia era pallida e rossa allo stesso tempo.
Non aveva la minima voglia di continuare le lezioni, e ancora meno di fare due ore di allenamento finita scuola, ma sapeva che non poteva rifiutarsi: aveva delle responsabilità ora, e non poteva sottrarsi. Non che la cosa non gli facesse piacere, ma era troppo faticoso in giorni simili, e con quel deficiente di Koganegawa al seguito era ancora più difficile. Ora capiva meglio i problemi che i suoi compagni del terzo anno avevano avuto con loro, e non poteva evitare di sentirsi in colpa mentre ridacchiava al ricordo.
Sbuffò pesantemente, lo stomaco era chiuso con un nodo e non riusciva a mangiare come Aone, il gigante seduto vicino a lui. Le forze gli mancavano anche solo per afferrare le bacchette, figuriamoci per prendere il cibo, metterlo tra le labbra, masticare, ingoiare e digerire.
No, non ne aveva la minima voglia.
Stiracchiò le braccia verso l'albino, che continuò ad osservarlo attento, mentre Koganegawa sembrava star avendo un sogno agitato e per niente riposante.
Il castano poggiò il mento sul banco, in attesa che il banco riacquistasse freschezza e, con gli occhi chiusi, cominciò ad ascoltare più attentamente ciò che lo circondava.
Il cinguettio degli uccelli era allegro e frequente, al contrario delle voci e dei passi all'interno della scuola.
Sentiva il vento caldo soffiare contro le fronde degli alberi, scuotendole lentamente, sentiva il ticchettio dell'orologio, lento ed inesorabile, sentiva il masticare di Aone, fastidioso e costante, e sentiva il russare leggero ed i lamenti di Koganegawa, che stava iniziando ad agitarsi sulla sedia.
Sospirò pesantemente per la seconda volta, portandosi le braccia in grembo mentre un altro suono gli arrivava alle orecchie.
Erano i primi passi che percepiva da quando la pausa pranzo era iniziata, e non poté fare a meno di pensare che chi stesse percorrendo i corridoi scolastici con quell'afa fosse un completo pazzo.
A breve, le sue ipotesi si sarebbero confermate.
Dalla soglia della porta, Aone vide avvicinarsi una ragazza, dal viso ben conosciuto.
Portava tra le braccia diverse bottigliette d'acqua-gelata, a giudicare dalla plastica opaca-e, stranamente veloce, si affrettò verso il loro banco, riversando le bottigliette sulla sua superficie, come a liberarsi di un peso.
Il castano sobbalzò sentendosi arrivare in testa le bottiglie dure, e con uno scatto si alzò dal banco, quasi urlando con un misto di frustrazione e paura.
Anche Koganegawa sembrò essere disturbato dal trambusto improvviso, tanto che si svegliò di soprassalto, lasciando che dal profondo della gola gli uscisse un verso nasale, quasi un grugnito, e per poco non cadde a terra.
Il castano si voltò alla sua sinistra, dove chi aveva appena tentato di ucciderlo con delle bottiglie d'acqua troneggiava con le braccia incrociate, e per poco il suo cuore non perse un battito, preso alla sprovvista.
I [l/c] capelli [c/c] erano legati in una coda di cavallo, dalla quale delle ciocche partivano scompigliate e crespe, mentre il suo lungo collo era messo in risalto, più fresco così scoperto.
La sua pelle era imperlata di sudore e quasi splendeva illuminata dai raggi del sole, le guance erano arrossate e le labbra rosate erano semiaperte, intanto che qualche goccia le scendeva lungo la clavicola e scivolava giù verso il petto.
Gli occhi [c/o] luccicavano per il caldo, le lunghe ciglia li ornavano dolcemente, ma erano stanchi ed affaticati, anche se una scintilla di determinazione li illuminava più del sole e dell'afa.
Il petto umido le si alzava ed abbassava velocemente, mettendo in risalto le sue forme femminili, già accentuate dalla camicetta parzialmente sbottonata e dalle braccia che pressavano il seno.
Le sue lunghe gambe non erano più coperte dalle calze nere, ora solo la gonna verdognola la copriva, e lasciava solo immaginare dove quelle gambe finissero.
I lineamenti del suo viso erano delicati e morbidi, ma le occhiaie sotto agli occhi ed il rossore misto al pallore la rendevano più stanca, quasi malata.
Li guardava con un cipiglio sul volto, e sembrava voler risparmiare dal suo trattamento soltanto Aone. che non aveva minimamente cambiato espressione al suo arrivo.
Koganegawa la fissava interdetto, portando lo sguardo da lei alle bottigliette, non capendo il possibile collegamento che le due potessero avere l'una con l'altra, ma continuò a rimanere con le gambe divaricate e la schiena afflosciata sullo schienale della sedia, un'espressione idiota in viso.
Dall'altra parte, Kenji la guardava con le guance forse un po' più rosse di prima.
Con la coda le pareva molto più bella del solito, il viso scoperto e ben visibile, il suo collo delicato, esposto, per non parlare poi della discreta vista che gli era stata concessa del suo decolté, che lo fece rimbambire un po'.
C'era più di lei da ammirare, da scoprire, e meno da immaginare.
Rimase imbambolato vedendo le sue labbra muoversi, ma non sentì alcun suono provenire da esse.
Le osservò a lungo con i suoi occhi castani luccicanti, prima che una sberletta gli arrivasse in piena testa.
"Ahio!"
Si portò le mani alla testa, massaggiandosela dopo il secondo attacco, e poi rialzò lo sguardo, incontrando quello infastidito della amica.
"Bevi, ho detto!"
Con un tono risoluto e quasi alterato, gli indicò l'acqua sul banco infastidita e voltando il capo, Kenji si accorse che Koganegawa ed Aone stavano già bevendo assetati e bramosi di freschezza, non sembrava nemmeno che fossero stati obbligati.
Incerto, Kenji afferrò una delle armi che poco prima lo avevano quasi lasciato secco, e lasciò andare un sospiro di gioia sentendo la superficie ghiacciata, portandosela immediatamente al viso per poi spalmarsela ovunque, rinfrescandosi più che poteva il corpo accaldato.
Ma un terzo colpo lo fece lamentare, questa volta alla nuca.
Kenji si girò velocemente verso l'amica, riservandole uno sguardo duro.
"Si può sapere che c'è, [T/n]? Hai il ciclo, o cosa? Smettila di colpirmi!"
[T/n] sbatté i palmi delle mani sul banco, facendo sobbalzare i tre, e quasi soffocare Koganegawa.
Keiji si pentì di aver parlato quando vide lo sguardo di lei passare tutti e tre, e fermarsi con più intensità su di lui.
Deglutì.
"Ascoltatemi bene, non è facile nemmeno per me. Fa caldo, sono stanca, e sì, Kenji, ho il ciclo, e la cosa rende la giornata ancora più dura! Ma se vogliamo sopravvivere dopo scuola per altre due ore senza condizionatore, almeno cercate di avere più energie possibili! Quindi mangiate e, invece di polemizzare ogni mio buon gesto, bevete questa cristo di acqua!"
[T/n] sembrava sull'orlo di una crisi di nervi, il suo tono era stato isterico, irritato ed aveva quasi urlato; respirava più pesantemente e sembrava che il cuore le battesse più veloce, le guance poi, le si erano arrossate ancora di più.
Senza farselo ripetere due volte, Kenji aprì la bottiglia ed iniziò a bere avidamente, capendo solo in quel momento quanto la sua gola fosse secca e quanto fosse disidratato.
Continuò a bere fino a quando la bottiglia non fu vuota ed un senso di freschezza ed appagamento lo percorsero. Poggiò la plastica vicino alle altre acque e con un leggero fiatone si voltò verso la ragazza, che sembrava ora più calma e sollevata.
Si appoggiò alla sedia di Koganegawa, che aveva preso a mangiare il suo pranzo, spaventato dalle conseguenze, e gli sorrise debolmente, ringraziandolo con gli occhi per averle dato retta.
[T/n] tirò indietro la testa, sospirando pesantemente, prese poi una sedia vicina e, dopo averla avvicinata al trio, cisi sedette, prendendo anche lei a sorseggiare la freschezza dell'acqua.
Si voltò verso Aone, che aveva ripreso a mangiare con più gusto, e gli sorrise allegra, sventolando la mano innocentemente, venendo incredibilmente ricambiata dall'albino, che sembrò avere un leggerissimo rossore sulle guance.
Diede poi qualche pacca sulla schiena di Koganegawa, che si stava strozzando con un pezzetto di verdura, per finire con il rimproverarlo, come si fa con i bambini delle elementari.
Koganegawa annuì con un broncio, mangiando più lentamente come gli era stato detto, ed infine, [T/n] si voltò verso di lui, notando in meno di un secondo che non aveva ancora toccato il suo pranzo, nemmeno aperto.
Sollevò un sopracciglio e lo guardò di traverso.
"Perché non stai mangiando il tuo pranzo?"
Kenji sorrise sornione mentre tirava fuori il suo bento, per poi appoggiare il manto sul palmo della sua mano.
"Vuoi imboccarmi tu? Io non so se ne ho le forze."
[T/n] ridacchiò quasi di nascosto, spingendogli leggermente il braccio per togliergli l'appoggio alla testa, e gli sorrise divertita.
"Dai, scemo. Mangia e basta, ne avrai bisogno."
Anche Kenji rise, ascoltando con il batticuore quelle parole amorevoli e colme di preoccupazioni.
Iniziò a mangiare osservando [T/n], che ora gli sorrideva soddisfatta e felice, forse anche più riposata di quando era arrivata.
Continuò a guardarla sorridere agli altri e parlottare con alcune sue amiche della classe.
Era bella, naturale, spontanea.
Così bella che lo confondeva, come un raggio di sole troppo potente.
Voleva guardarla a lungo, voleva che gli sorridesse costantemente, che si raccogliesse i capelli più spesso, e che lo facesse solo in sua presenza.
Ma si sentiva talmente stupido a desiderare tutto ciò.
Erano fin troppo diversi, e lei non si sarebbe mai innamorata di lui, cosa che, invece, a lui era successa.
Ora, parlare di amore era forse un'esagerazione, ma Keiji non aveva mai provato sentimenti così forti, non aveva mai pensato così costantemente e così profondamente a una persona, e nonostante anche con lei non si trattenesse dal mostrare il suo lato fastidioso e meschino, i suoi sentimenti non cambiavano e, anzi, il fatto che lei gli tenesse testa lo faceva solo sperare di più, ma sapeva che era tutto inutile.
[T/n] era da due anni la manager della squadra di pallavolo, di cui lui e i suoi due amici facevano parte, insieme a Mai Nametsu, la seconda manager.
Lei e Kenji si erano scontrati più volte quando ancora il castano doveva diventare capitano, proprio per la scarsa responsabilità che Kenji si prendeva e per i continui litigi che aveva all'interno della squadra.
[T/n] si era dimostrata sin da subito una persona responsabile e determinata, che non prende mai nulla alla leggera e che tiene alle sue passioni e lo dimostra senza timore, strappandosi pezzi di sé stessa per darli agli altri.
E Kenji, nonostante le diversità, le divergenze, i loro mondi completamente opposti, era finito per innamorarsene, per innamorarsi di lei, che rappresentava tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.
Quando i ragazzi del terzo anno avevano dovuto lasciare il club e Kenji era diventato il capitano, aveva appreso le responsabilità che gravavano sulle sue spalle, e se ne era fatto carico consapevolmente.
Da quel cambiamento, i due andarono più d'accordo ed i litigi diminuirono sempre di più, mentre le risate, gli scherzi ed i sorrisi aumentarono.
Ma ancora, Kenji sapeva che nulla sarebbe cambiato, e che lei non avrebbe mai provato ciò che provava lui.
Erano troppo diversi, ed il fatto che ora avesse effettivamente delle responsabilità, non cambiava le cose.
Sapeva che, nella lontana opzione che si mettessero insieme, non sarebbe durata: gli interessi erano quasi del tutto opposti, solo la pallavolo li univa, i caratteri erano completamente estranei l'uno dall'altro, lui provocatorio, lei amorevole e rispettosa, lui certe volte cinico ed antipatico, lei fin troppo buona-ma, come si è notato, anche aggressiva-, lui certe volte ancora fin troppo leggero, lei con i piedi ancorati al suolo.
Insomma, troppo diversi, ma nonostante tutto, Kenji era riuscito ad innamorarsi.
Ed era stato stupido.
Ma ormai era tardi per i rimpianti, era successo e basta.
Ma non sapeva che fare.
La notte non faceva altro che pensare a lei per poi picchiarsi da solo e darsi dell'idiota.
Doveva forse abbandonare sul ciglio della strada quei sentimenti puri ed innocenti?
O doveva per caso buttarli in mezzo alla strada, nella speranza che si salvassero, per poi vederli schiantarsi contro un'automobile in corsa?
Non era sicuro di avere abbastanza palle per fare una cosa simile.
Sbuffò, riprendendo a mangiare mentre [T/n] si alzava, allontanandosi dalla classe per andare in bagno-"Dove vai?" "In bagno. Sai, Kenji, ho il ciclo!"-.
Quando fu uscita dalla classe, una delle sue amiche, che molto probabilmente aveva aspettato che la ragazza si assentasse, si avvicinò loro ridacchiando, un sorrisetto in viso.
"Vi dirò una cosa, ma vi dovete restare muti, okay?"
Kenji aggrottò le sopracciglia mentre Koganegawa guardava confuso la ragazza.
"E perché dovrebbe interessarci questa cosa?"
Forse sembrò scortese, ma il tono era calmo, e anche se non lo ammetteva, era abbastanza curioso, che si trattasse di [T/n]?
Dopotutto, il tono che utilizzò non sembrò importare molto alla ragazza, che prese a parlare senza il consenso di nessuno.
"Ho sentito che Kamasaki ha una cotta enorme per [T/n], e che presto si confesserà! Non è una cosa carinissima?"
A quel punto, Kenji aveva ià smesso di ascoltare, non gli importava più nulla di quello che quella pettegola stava sparando.
Kamasaki?
QUEL Kamasaki?
Yasushi Kamasaki?
L'ex vice capitano della squadra?
Non serviva farsi tutte queste domande, Kenji sapeva perfettamente che si trattava di lui.
Era stato da sempre abbastanza chiaro che Kamasaki fosse interessato alla ragazza, ma Kenji non pensava fosse così seria da addirittura confessarsi a lei.
E se [T/n] avesse accettato?
Se si fossero messi insieme, lui cosa avrebbe fatto?
Semplicemente, i suoi sentimenti non solo sarebbero rimasti soli come un cane sul ciglio della strada, abbandonati, ma sarebbero anche stati presi crudelmente sotto da un'auto in corsa, guidata da Kamasaki per giunta.
Ma, comunque, non era sicuro.
La voleva tutta per sé, voleva essere lui a stare insieme a lei e a godere della sua compagnia, voleva essere lui ad avere il privilegio di scoprire nuovi aspetti di lei, ma a quale scopo, se sapeva già che non sarebbe durata?
Kenji strinse i pugni.
Non era sicuro di volerla avere accanto a sé, solo per farla poi soffrire, ma al contempo stesso, non voleva nemmeno lasciarla a Kamasaki, o a chiunque altro.
Forse, era arrivato il momento di combattere di più per ciò che desiderava.
E avrebbe combattuto.
Anche se l'esito non era certo.
La palestra era calda e puzzolente, pregna dell'odore acre del sudore e colma del suono delle suole sul pavimento e delle palle che battevano a terra.
Da ormai un'ora la squadra si stava allenando al caldo estivo, già esausta e quasi del tutto priva di energie, ma sollevai del fatto che [T/n] e Mai li avessero costretti a mangiare e bere, acquistando le energie che avevano usato per allenarsi fino a quel momento.
Durante la pausa, i ragazzi erano tutti accasciati sulle panchine o sul pavimento, bevendo più acqua possibile per reidratarsi, ma ancora qualcuno non smetteva di allenarsi.
Kenji stava schiacciando contro il muro, troppo sotto pressione ed agitato per fare qualunque altra cosa.
Stava programmando di rivelare i suoi sentimenti quel giorno stesso, di esporsi, di rivelare le sue paure e le sue debolezze a [T/n], voleva avere le idee chiare, una volta per tutte, così avrebbe saputo che cosa farsene di quei dannati sentimenti che lo stavano opprimendo.
Continuò a schiacciare potente contro il muro, immaginandosi lei e Kamasaki insieme, e la sua rabbia crebbe a dismisura.
Non poteva accettarlo.
Non lui, dannazione!
Fosse stato Aone lo avrebbe anche accettato, ma Kamasaki no, non sarebbe riuscito a farlo.
Schiacciò un ultima volta prima di bloccarsi, sentendo una mano sulla sua spalla.
Fermò la palla, voltandosi poi verso la figura di [T/n], che gli stava porgendo la borraccia con un sorriso ed uno sguardo di rimprovero.
"Dovresti riposare, ora che puoi."
Keiji afferrò la borraccia, ma non riuscì a ricambiare il sorriso.
Era teso, non riusciva nemmeno a guardarla in faccia dall'imbarazzo e dalla rabbia che provava.
Ma avrebbe dovuto porre fine a quel turbine di emozioni che gli stavano mandando in subbuglio l'intero essere, prima o poi.
Tenne lo sguardo basso, non guardandola nemmeno per un secondo in faccia mentre, sudato ed affaticato, si tirava su le maniche della maglietta, ormai umida e stretta, per le braccia muscolose.
[T/n] osservò attenta il gesto, ma non si lasciò ammaliare, era ovvio che qualcosa non andava, ed andava avanti da quando era tornata dal bagno.
Aggrottò le sopracciglia, preoccupata.
"Kenji, qualcosa non va, non è vero?"
Il castano le lanciò un'occhiata mentre si tirava indietro i capelli sudati, pensando e ripensando al da farsi.
Voleva lasciarla a Kamasaki? Dannazione, no!
Voleva farle del male? No, certo che no.
La amava..o perlomeno, le piaceva? Si..Dio, si.
Le cose forse sarebbero andate per il meglio, o forse per il peggio, ma non voleva darla vinta a Kamasaki senza nemmeno aver avuto l'opportunità di buttare in campo la palla.
Voleva combattere per lei, per averla al suo fianco.
Ed era arrivato il momento di farlo.
"Vorrei parlarti, finito l'allenamento."
Le si rivolse serio, senza il minimo accenno di divertimento o presa in giro nella voce, così come negli occhi, fin troppo seri e scuri per essere i suoi.
[T/n] sentì un brivido percorrerle la schiena, non sapeva a che cosa pensare, era nei guai?
Fece per annuire, ma quando stava per aprire bocca, la porta della palestra si spalancò e dietro essa i ragazzi del terzo anno, sorridenti ed allegri, li salutarono.
L'intera squadra si precipitò dai loro vecchi compagni, accogliendoli gioiosamente, soprattutto Koganegawa, che sembrava non vedere l'ora di distrarsi dall'allenamento.
Moniwa, l'ex capitano, si fermò a 'parlare' con Aone, per quanto parlasse solo lui, Ssaya venne circondato dal resto della squadra, mentre Kamasaki si stava guardando intorno.
Quando Kenji lo vide, non poté fare a meno di emettere un verso di stizza.
Non lo poteva vedere, non ora.
I suoi corti capelli color sabbia splendevano sotto alle lampade a led della palestra, e i suoi lineamenti duri erano messi in risalto dalle ombreggiature create sul suo viso, ma i suoi occhi sembrarono illuminarsi quando il suo sguardo si posò sulla figura di [T/n] e Futakuchi, che lo stava guardando palesemente infastidito, al contrario della [c/c], che sembrò felice di rivederlo.
Si avvicinò ai due, e [T/n] gli fece cenno con la mano, mentre Futakuchi rimaneva immobile, stringendo sempre di più la borraccia d'acqua.
"Hei, [T/n]-chan! Futakuchi, come state?"
[T/n] sorrise allegra avvicinandosi di più a lui, Kenji si irrigidì.
"Tutto bene! E voi?"
Kamasaki ridacchiò imbarazzato, quasi gli sembrò di vedere un rossore sulle sue guance, e si grattò la nuca.
[T/n] sembrò pentirsi della domanda e si bloccò sul posto, impallidendo.
"A-abbastanza bene dai."
Poi, Kamasaki cambiò argomento, rivolgendosi a Futakuchi, che ancora non aveva salutato nessuno.
"Futakuchi! Come procedono gli allenamenti?"
Kenji non ce la faceva più.
Era frustrato, stanco, agiato, in imbarazzo ed estremamente incazzato, e non sapeva nemmeno lui il perché.
I sentimenti gli si erano accumulati tutti insieme, creando una bomba che, da lì a poco, sarebbe presto esplosa.
E quando quelle parole gli uscirono di bocca, se ne pentì subito, ma non riuscì a fermarsi, la sua lingua, ormai, si muoveva da sola, come una frusta assetata di sangue.
"Meglio, senza di voi."
[T/n] spalancò gli occhi a quell'affermazione, così come Kamasaki, ma nessun'altro sembrava essersi accorto della tensione che si stava creando fra i tre.
Il biondo tese la mascella ed nervi sul collo diventarono più evidenti.
"Come, scusa?"
Kenji rise sarcasticamente, facendo rabbrividire la [c/c], ed imbestialire Kamasaki.
"Si, gli allenamenti procedono molto meglio ora che siete andati via e che non siete più qui a rallentarci. Soprattutto senza di te.."
Lo guardò attentamente, sfidandolo con occhi cattivi ed un sorriso largo e sghembo.
Kamasaki alzò il tono di voce, attirando il resto della squadra, e [T/n] cercò di trattenerlo.
"Chi ti credi di essere per parlarmi così, eh?!"
Il biondo fece per avanzare verso il castano, ma [T/n] lo trattenne.
"Kamasaki! Per favore!"
Ma Kenji non sembrava voler dare una mano.
La sua bocca parlava per lui e per la bomba che gli stava esplodendo di sensi di colpa nell'intero corpo.
Non voleva parargli così, non avrebbe mai voluto, ma la sua lingua non si fermava.
"Chi mi credo di essere? Sono il capitano della squadra! Titolo che a te non è mai appartenuto, mi sem-"
Non fece in tempo a finire di parlare che Kamasaki era su di lui.
Si era liberato senza troppa fatica della presa di [T/n], che li stava guardando in ansia e sull'orlo del pianto, e aveva preso per il colletto della maglia Kenji, ancora sorridente.
Kamasaki gli sbraitò in faccia, non facendoselo ripetere due volte, e continuò a scuoterlo per la maglietta, quasi sollevandolo da terra.
"Quel titolo non ti sarebbe mai dovuto appartenere sentendo da come parli! Non sei cambiato di una virgola! Brutto stronzo, abbiamo sbagliato a fidarci di te! Non cambierai mai!"
Ora tutta la squadra si era riunita vicino a loro, cercando di calmare Kamasaki che, ormai ne aveva avuto abbastanza, lasciò violentemente la presa su Futakuchi che, però, non si sentiva le gambe da un po'.
Oscillò indietro, interdetto dalla spinta.
Vedeva tutto sfocato, e quasi non sentiva niente.
Camminò all'indietro, non capendo neppure lui cosa stesse facendo, fino a quando non sentì qualcosa di estraneo sotto il suo piede, e finì per scivolare, cadendo di testa.
"Kenji!"
La testa gli doleva dannatamente tanto e sentiva le tempie pulsare. Il corpo bruciava e gli occhi pizzicavano.
Si toccò la testa, sentendo un grosso bernoccolo poco sopra la nuca.
Doveva aver battuto la testa davvero forte per farsi quel bozzo, per non contare il fatto che tutto attorno a lui girava, e che non se la sentiva di alzarsi.
Si guardò cautamente attorno, e si accorse di essere nell'infermeria scolastica, bianca ed asettica come un ospedale.
Nessuno era lì con lui, ed all'improvviso tutta la cattiveria che aveva sputato contro Kamasaki gli tornò prepotentemente addosso, dandogli un profondo senso di nausea.
In quel momento avrebbe tanto voluto morire e non uscire più dalla sua bara.
Come aveva potuto comportarsi così da stronzo?
Non lo era mai stato così tanto, e si faceva schifo da solo.
Si portò le mani al viso, sentendo le lacrime pronte ad uscire.
Aveva rovinato tutto, con [T/n], con la quale aveva fatto un figura del cazzo, e con la sua squadra, che sicuramente ora lo riteneva un cafone ed un pezzo di merda.
Un singhiozzo gli uscì dalle labbra nell'esatto momento in cui qualcuno entrò cautamente nell'infermeria.
I passi si propagarono per la stanza insieme ai singhiozzi di Kenji e, in pochi secondi, il viso preoccupato di [T/n] spuntò da dietro la tendina che sperava il letto del castano dagli altri.
I suoi occhi [c/o] si spalancarono alla vista distrutta di Kenji, a cui subito si avvicinò.
"Kenji! Che succede? Stai bene?"
Sentì [T/n] toccargli la spalla ed il viso, ma si voltò dall'altra parte, rifiutando ogni contatto nonostante la testa gli girasse ancora prepotentemente.
"Kenji..andiamo, che c'è?"
Gli accarezzò dolcemente la schiena, sperando che si calmasse, ma ottenne solo la reazione opposta.
"C'è che mi sono comportato di merda, e ora tutti mi odieranno di sicuro! Sono una testa di cazzo.. Kamasaki ha ragione, non cambierò mai!"
Kenji prese ad agitarsi istericamente, continuando a piangere tutte le sue lacrime e tutto il suo dolore mentre [T/n] rimaneva lì, impotente, ed impossibilitata dal castano ad aiutarlo.
Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, consolarlo, asciugargli le lacrime, ma non glielo permetteva in alcun modo.
Ma non si diede per vinta: aggirò il letto accovacciandosi all'altezza di Kenji, e gli afferrò le mani, tenendole strette così che non potesse scappare nuovamente.
Perse un battito quando vide i suoi occhi castani tristi e colmi di lacrime che, copiose, sgorgavano e scendevano lungo le sue guance arrossate. Le labbra rosee erano contorte in una smorfia di dolore mentre piangeva ed emetteva respiri affannati, alternati a singhiozzi.
I folti capelli castani erano arruffati e in parte bagnati da ghiaccio che dopo la botta gli avvano messo.
Gli strinse più forte le mani, non voleva lasciarlo andare.
"Nessuno ti odia, tutti ti vogliono bene invece! Hai solo avuto una giornataccia e sei esploso..tutto qui. Anche Kamasaki ha le sue colpe, non avrebbe dovuto aggredirti così, avrebbe potuto farti molto male! Ero preoccupatissima.."
Kenji sbottò frustrato ancora una volta, cercando di liberarsi dalla sua presa.
"Non è vero! Ho rovinato tutto, di nuovo! Sia con la squadra, che con te! Merda, perché devo essere così?!"
[T/n] gli prese una guancia con la mano, tenendola stretta, ma accarezzandola dolcemente mentre gli asciugava le lacrime, che a breve avrebbero percorso anche il suo viso.
Si sentiva il cuore in subbuglio e lo stomaco sottosopra, non ce la faceva a vederlo così distrutto, era la prima volta e sperava fose lìultima.
Vederlo così..la distruggeva.
"Kenji..non hai rovinato niente. Sei cambiato tanto da quando sei diventato capitano, tutti ti rispettano e ti vogliono bene! Sanno come sei fatto e che prima poi le brutte giornate capitano a tutti. Certo, potevi comportarti meglio, ma anche Kamasaki ha esagerato, e gli abbiamo fatto una bella ramanzina. Quindi adesso basta piangere, per favore..."
Il castano tirò su col naso, guardando come anche lei avesse iniziato a piangere, tradendo il suo tono calmo e fermo.
Si sentiva un bambino.
Uno stupido bambino, ma tutte quelle attenzioni che stava ricevendo gli piacevano molto.
Si godette le carezze che la ragazza gli stava facendo, prima di parlare nuovamente, il cuore a mille.
"Come fai ad esserne così sicura?"
Gli occhi lacrimanti di [T/n] s'illuminarono e sorrise.
"Ho parlato a tutti, nessuno è arrabbiato con te, sono solo molto preoccupati."
Tirò nuovamente su col naso, guardandola attentamente.
Il tono di lei aveva iniziato ad assomigliare al suo: tremante, roco, debole come il soffio del vento e bloccato dai singhiozzi.
Kenji le strinse forte la mano, sentendo la mano di lei sulla sua guancia mandargli via le lacrime e, anche se insicuro, allungò anche lui la mano.
"Va bene.."
Le accarezzò la pelle fredda, asciugando le gote umide con il pollice, intanto che lei posava il suo sguardo su di lui.
"Stai meglio?"
Kenji annuì, e [T/n] sorrise, ma non del tutto.
Ciò che aveva sentito, l'aveva confusa, e non poco.
"Cosa intendevi dire dicendo che hai rovinato tutto con me?"
Kenji si bloccò per un secondo, poi riprese ad accarezzarle la guancia, ora più calda.
Tanto, ormai era tutto finito per lui.
Era stato uno stupido idiota.
Sospirò e si fermò, guardandola negli occhi.
"C'è che mi piaci, tanto anche. Ma..beh è tutto rovinato. Forse è meglio che accetti Kamasaki invece, sai, a quanto pare gli piaci!"
Con ancora gli occhi lucidi, la gola in fiamme e la voce roca da pianto, Kenji provò a sorridere a [T/n], nonostante il suo cuore gli facesse dannatamente male, ma non ebbe il tempo di pensare a cosa sarebbe successo dopo, che le labbra della [c/c] erano sulla sue.
Spalancò gli occhi, incredulo.
Era un bacio dolce e casto, bagnato dalle lacrime di entrambi, ma caldo.
era un semplice contatto di labbra, ma bastò a Kenji per fargli esplodere nuovamente la bomba, questa volta colma di stupore, emozione, eccitazione, felicità.
Quando si staccarono, [T/n] gli sorrise ampiamente, ma Kenji rimase ancora leggermente interdetto.
"Non hai rovinato niente, Kenji."
Il castano fece per parlare, ma la ragazza lo fermò cn un sorriso riprendendo a parlare.
"Kamasaki mi si è confessato stamattina, ma l'ho rifiutato."
Kenji si sentì mancare il fiato, tanto che non riuscì nemmeno a fare quella semplice domanda, che avrebbe deciso le sorti del suo piccolo e delicato cuore in tempesta.
La risposta sarebbe dovuta risultare ovvia dopo il bacio che gli aveva dato, ma voleva essere sicuro.
Si indicò con l'indice, proprio come farebbe un bambino, e sorrise alla risata di [T/n], che annuì con gli occhi lucidi subito dopo.
Kenji non resistesse e le afferrò di slancio il viso umido, facendo scontrare nuovamente le loro labbra, e ancora e ancora, fino a che le risate non ruppero i baci.
[T/n] appoggiò la fronte a quella sudata di Kenji, entrambi sorridenti, entrambi felici.
"Funzioneremo, secondo te? Siamo così diversi."
[T/n] rise ancora, che domanda sciocca.
"Non è forse questo il bello? Se fossimo stati uguali, non ci sarebbe stato gusto."
Kenji sospirò, la testa meno pesante.
"Hai ragione, io voglio litigare ogni giorno con la mia fidanzata."
"Dai, stupido!"
Risero ancora prima di baciarsi nuovamente.
"Eh si, sono proprio uno stupido."
Angolo Autrice:
In ritardo? Si.
Sto cercando di farmi perdonare con una shot molto lunga? PFFFF certo che si.
Spero che vi sia piaciuta! Mi scuso con chi me l'aveva chiesta, ho continuato a rimandare la pubblicazione per svariati motivi, sono davvero dispiaciuta!
Dedicata a svuichi .
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro