Capitolo ventisei
Camila uscì di casa relativamente presto; malgrado fossero tornati la sera tardi, era riuscita a dormire sette ore di fila, abbastanza per considerarsi rivitalizzata. Sinu era stata incommensurabilmente contenta di rivederla. Le aveva raccontato le ultime notizie alla galleria, sostenendo che a breve avrebbero aperto la nuova ala, dedita ad alcune sue opere che finalmente avrebbero visto la luce. Era nervosa, ma trepidante. Camila le aveva dato il suo appoggio con un abbraccio incoraggiante, poi, però, si era scusata ed era crollata sul letto.
Adesso era pronta a tornare a scuola, a riprendere le lezione e, possibilmente, a dimenticare quei giorni fuori porta... Ma non prima di aver restituito l'orecchino a Lauren.
Quando era rientrata in camera, la "refurtiva" giaceva incustodita sul cassettone, dove l'aveva delicatamente deposta. Aveva allungato discretamente la mano e occultato l'orecchino nella tasca della felpa. Come poteva ben immaginare, nessuna delle sue compagne di stanza aveva reclamato l'oggetto. Quindi, non apparteneva a loro. E lei questo lo sapeva bene.
Una volta arrivata a scuola, si intrattenne con alcuni ragazzi che aveva conosciuto in gita, poi Dinah ed Ally si aggregarono alla combriccola è presto si disgiunsero tutte e tre per avviarsi verso le rispettive classi.
«Siope si è fissato che facciamo poco sesso. Dico io, potrei mai farlo mentre ci sono i suoi genitori a casa?» Domandò sbigottita, scuotendo appena la testa.
«Teoricamente...» Incassò le spalle Ally, lasciando la frase in sospeso.
«Tu che fai tanto la Santa, mi stai implicitamente suggerendo di traumatizzare la sua famiglia?» Inarcò un sopracciglio la polinesiana, perplessa e attonita.
«Basta essere silenziosi.» Imbeccò la bionda, alimentando il clamore di Dinah.
«Scusa, ma tu come...?» Sondò il terreno la polinesiana.
L'espressione di Ally diede ad intendere che la sperimentazione sul campo le aveva conferito sufficiente saggezza da poterne dispensare.
«Dio Signore!» Imprecò inorridita Dinah, strizzando gli occhi per spazzare via quell'immagine.
«Dinah!» La rimproverò stizzita la bionda, battendo un piede a terra.
«Fai sul serio? Tu puoi fare sesso con i genitori nell'altra stanza, e io non posso nominare il Signore?» Scimmiottò confusa la polinesiana.
Per quanto Ally potesse essere paziente, aveva perso le speranze con lei, perciò si limitò a bofonchiare e tacere.
«Sempre meglio che farlo e non saperlo.» Mormorò fra se e se Camila, ridacchiando sottovoce. Quando alzò lo sguardo dalla punta delle scarpe, notò gli sguardi delle amiche su di lei, allibiti e sgranati.
Cazzo.
«No, dicevo così.. per dire.» Mentì, smanettando in aria.
«Voi siete strane. Strane forti.» Le etichettò perentoria Dinah, prima di lanciarli uno sguardo crucciato e andarsene.
Ally la seguì a ruota, notando che si stava attardando per la lezione. Camila si incamminò lentamente verso l'aula, avendo alla prima ora una classe alquanto noiosa e una professoressa indulgente.
Si accodò alla marmaglia di studenti che gremivano il corridoio, ciondolando pigramente dietro di loro. Fu quando il viticcio umano si sbrogliò che la cubana rintracciò il casco corvino e le movenze suadenti di Lauren, dirigersi verso l'aula professori. Diede un rapido sguardo davanti a se, incerta se proseguire o virare. Insomma, non aveva fatto molte assenze ed erano state tutte giustificate... Ma no! No, era sbagliato. Poteva recapitare l'orecchino a Lauren in un altro momento. Quel piccolo pezzo affilato con il quale giocava nella tasca della felpa, che tutto ad un tratto pareva incandescente. Voleva adempiere ai suoi doveri, ma quella sensazione di trasgredire le stava inondando ogni arto.
Fanculo.
Senza nemmeno accorgersene la sua gamba mosse un passo verso la direzione opposta, seguendo le orme della corvina. Più abbreviava le distanze, più si diceva di tornare indietro e più i suoi passi si muovevano altrove. Lauren scartò verso l'aula professori, chiuse la porta alle sue spalle e, un attimo dopo, Camila la riaprì, senza nemmeno avere l'accortezza di bussare.
La corvina ebbe giusto il tempo di posare la pila di libri che Camila era già alle sue spalle, in un'aula completamente vuota e sovranamente pericolosa per la sua salute mentale.
«Buongiorno.» Esordì coincisa e mortalmente seria la cubana, armata di una baldanza insolita.
«Buongiorno a te.» Rispose placida la corvina, tentando di attribuire un senso logico alla sua inaspettata visita.
«Ho qualcosa che le appartiene.» Dichiarò risoluta la cubana, srotolando l'orecchino davanti agli occhi dell'altra come fosse una prova incriminante. «È suo?» Ebbe un'esitazione, un vacillamento quasi impercettibile che camuffò sotto un sospiro.
«Oh, si. Devo averlo perso mentre camminavo. Grazie.» Lauren protese la mano per afferrarlo, ma Camila richiuse il pugno repentinamente, impedendole di appropriarsene.
Lauren non ne fu felice, tanto che le riservò uno sguardo bieco e tenebroso, rimarcando lo scontento. Camila lo incassò a fatica, decisamente sprovvista di strumenti necessari per ricambiarlo con medesima veemenza.
«No, non l'ha perso mentre camminava.» Si riprese la cubana, impossessandosi di una spavalderia innaturale. Avanzò un passo, costringendo Lauren ad indietreggiare e scontrarsi contro il tavolo «L'ha perso in camera mia.» Puntualizzò la cubana, sconvolta lei stessa dal suo comportamento borioso.
Gli occhi di Lauren furono traversati da uno zampillo terrorizzato. Fu un secondo, ma non passò inosservato allo sguardo vigile di Camila che raccolse quel bagliore come l'ennesima conferma che non era impazzita, c'era davvero qualcosa sotto.
Lauren si schiarì la voce, drizzò le spalle e si ricompose, dandosi un tono «Non so cosa stia insinuando, ma le assicuro che avrà delle ripercussioni.»
«E lei come spiegherà che il suo orecchino si trovava nella mia camera? Perché anche questo potrebbe causarle ripercussioni.» La strinse ancora di più al tavolo, accorciando l'esiguo divario fra i loro corpi. Lauren artigliò i bordi di legno, tentando di reprimere il desiderio di afferrare la nuca di Camila e baciarla.
Si sentiva oltraggiata dall'attitudine altezzosa della ragazza, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di esserne magneticamente attratta. Nessuno si era mai permesso di tenerle testa, nessuno prima di Camila.
«Spero che lei non stia minacciando una professoressa.» Ringhiò a denti stretti Lauren, sostenendo instancabile lo sguardo novizio della cubana.
«Spero che lei non si sia intrufolata nella stanza delle sue alunne.» Rimbeccò svelta la cubana, pestandole un'altra volta i piedi.
«Potrei dire di averlo perso altrove.» Scrollò le spalle Lauren, sogghignando.
«Altre due ragazze l'hanno visto.» La sfidò sfacciatamente la cubana, tagliando un altro centimetro di intercapedine.
«La vostra parola contro la mia.» Si immusonì la corvina, sempre più agguerrita, ma anche sempre più angosciata.
«Allora vada avanti.» Camila arrivò ad un soffio dalle sue labbra, sulla soglia di un bacio che invece di strapparle si risparmiò «Lo faccia, se è così sicura di se stessa. Adesso non ride più? Vada avanti e...» Camila non terminò la frase perché Lauren ribaltò la situazione in un batter d'occhio.
L'afferrò per i fianchi e la fece volteggiare fino a ritrovarsi lei ingabbiata contro il tavolo. Le ammanettò i polsi nelle sua presa ferrea, inchiodandoli al tavolo. Si accertò però che il suo corpo non sfiorasse quello della cubana, ma che si tenesse abbastanza vicino da emanarle calore attraverso i vestiti leggeri.
«Dammi quell'orecchino, Camila.» Ordinò, autoritaria e scura in viso.
La cubana deglutì «Solo se mi dice come c'è finito in camera mia.» Negoziò la cubana, rinvigorita da un'energia che nemmeno lei sapeva da dove traesse.
«Si sarà impigliato da qualche parte.» Liquidò la situazione la corvina, minimizzandola e screditandola. Ma Camila non ci credette, non era sincera. Lauren non era sincera, lei lo sentiva.
«Cazzate.» Sputò velenosa, attentando la rigidità di Lauren.
Silenzio. Solo rabbioso e rancoroso silenzio.
«Lei lo sa come c'è finito. Lo sappiamo entrambe.» Azzardò, avvertendo il cuore galopparle in petto forsennatamente. Ogni parte del suo corpo era percossa da battiti imbizzarriti.
Lo sguardo di Lauren si screziò per la seconda volta quel giorno, avallando la convinzione cieca di Camila che i suoi sogni non fossero poi così surreali.
«Non so di cosa stia parlando.» Disse con tono asciutto la corvina, rifiutandosi di distogliere lo sguardo da quello costante della cubana.
«Adesso mi dai del Lei? Pensavo avessimo superato quel passo.» La stuzzicò ancora una volta Camila, sempre più tronfia.
«Si dia un contegno, Cabello.» Disse, ma intanto le sue mani tremavano, e la presa sui polsi andava scemando.
«Dammelo tu, Lauren.» Sussurrò la cubana, immergendo la mano nei capelli della donna.
«Cazzo.» Imprecò in un sussurro la corvina, prima di catturare le labbra di Camila nelle sue e fare breccia nel bacio con impeto famelico.
La cubana l'afferrò per i fianchi e l'attirò a se, gemendo quando i loro bacini si scontrarono. Lauren ansimò sulla sua epidermide tumida, mentre con il pollice definì i contorni spigolosi della cubana, soffermandosi sul mento. Qui applicò una leggera pressione, inducendola a sollevare appena la testa. Le morse il labbro con forza, ma senza farle troppo male, quel poco che bastava per vederla supplicare di avere di più. E Camila lo fece, ma non come Lauren si sarebbe aspettata. Camila non rispondeva mai ai suoi calcoli matematici.
Si mise a sedere sul tavolo, spalancò le gambe e strattonò Lauren a se. La corvina la rinchiuse fra le sue braccia, strusciando il seno contro il suo, ghermendo i fianchi nelle sue mani, respirando gli ansiti felini della cubana.
Camila interruppe il bacio solo un secondo. Fissò Lauren negli occhi e con naturalezza disarmante proruppe «Lo vuoi ancora l'orecchino?» Dipingendo un sorriso sull'orlo del meschino sulle sue labbra arrossate.
«No.» Anelò boccheggiante Lauren «Voglio te.»
Continua...
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