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Capitolo venti



Camila era veramente intontita quando si svegliò al mattino. I suoi incubi si erano spogliati di ogni velo, denudandosi completamente, mostrando quello che non avrebbe mai immaginato: magnanimità.

In realtà, forse doveva essere angosciata, o forse addirittura allarmata perché quella rosa rossa non era scontato fosse un segno di pace. Poteva anche essere interpretata come un'avvisaglia infida. Il rosso le richiamava subito l'accostamento al sangue, il che non era propriamente consolatorio.

Ma, per quanto si sforzasse di scovare un'accezione minacciosa, non riusciva a visualizzare quel gesto su un piano pericoloso. Le pareva solo un accenno di bontà, forse anche di compassione, probabile, ma non rilevava alcun simbolismo malefico nella levità dei petali lussureggianti.

La seconda sveglia la calciò fuori dal letto, riluttante e ingrugnita. Non aveva alcun desiderio di lasciare il gradevole tepore delle coperte per trascinarsi fra le strade gelate di New York.

Quella mattina era particolarmente freddo, l'aria traspirava attraverso gli spiragli della stanza rarefacendola. Camila arrivò al bagno sfregando le mani contro le braccia e saltellando sulle punte dei piedi per proteggersi dal pavimento ghiacciato.

Prima di entrare nella toilette, si armò di calzini, poi eseguì il rituale mattutino; a questo punto si vestì e scese al piano di sotto dove il suo pranzo era in bella vista. Lo insaccò nello zaino ed uscì di casa.

Il refolo che le scompigliò i capelli era più astrale di quel che si era prefigurata. Chiuse la zip del giubbotto e si strinse nelle spalle, maledicendosi per aver optato per una giacca in pelle invece che per una giacchetta in piuma d'oca.

L'autobus era già fermo al capolinea. Camila accelerò il passo, nonostante il vento le remasse contro. Non era pronta ad affrontare una giornata così siderale. Aveva arrabattato dei conti sommari e previsto che la stagione si sarebbe incrinata circa a metà ottobre, invece era appena fine settembre e già le condizioni meteorologiche colavano a picco.

La corsa fu breve e indolore, dato che a quell'ora la mattina l'autobus era abbastanza sgombro. Il grattacapo era quando usciva da scuola, allora si che tutte le linee strabuzzavano studenti anche dai tubi di scappamento.

Quel giorno comunque non doveva angustiarsi per il ritorno, perché Lauren l'avrebbe accompagnata verso casa sua, per le ripetizioni settimanali. Forse -sicuramente- all'inizio era scettica riguardo i ripassi extra scolastici, ma adesso doveva ammettere, a malincuore, che l'avevano spalleggiata moltissimo nelle ultime settimane. I voti non avevano subito un'impennata vertiginosa, ma comunque erano in rapida ascesa, e gran parte del merito era da attribuirsi a Lauren. Non le aveva soltanto impartito nozioni, ma anche insegnato un metodo più che valido per applicarsi anche alle altre materie. In fondo, malgrado le divergenze, era una brava professoressa, e le doveva molto, non solo a livello scolastico.

Non l'aveva ancora ringraziata per quella notte di terrore che aveva prontamente sventato. Da una parte riteneva che non fosse il caso di rinvangare quel giorno, girando il coltello nella piaga, ma dall'altra si sentiva quasi in obbligo di farlo. Non era però un obbligo convenzionale, quanto più istintivo o morale. Ne avvertiva la pura necessità. Ogni volta che la intravedeva in solitudine fra i corridoi, percepiva lo slancio afferrarla e indurla ad aprire bocca, ma poi taceva.

Quella era la prima giornata che trascorrevano di nuovo in solitudine dopo la turbolenta nottata al pub, forse era la volta buona per ringraziarla a dovere.

Questa solida convinzione rimase inveterata in lei fin quando non varcò la soglia di scuola e rivide il professor Ripple. Le immagini di qualche giorno addietro le baluginarono in testa come flash stordenti. La sua mente aveva archiviato l'avvenimento, forse perché non voleva rassegnarsi all'idea di non valere niente per la corvina, o forse perché era irrilevante.. Ma contando il cipiglio e l'increspatura acida delle labbra della cubana, l'opzione numero uno era la più gettonata al momento.

Si incamminò a passo deciso verso l'aula, alzò appena il mento e gonfiò il petto mentre sorpassava Ripple, come se un atteggiamento tronfio potesse comunicare la sua inaudita indignazione, ma poi si sentì infinitamente stupida anche solo per averlo pensato.

Le lezioni proseguirono zoppicanti, sempre un po' affannate ma mai del tutto esauste. La cubana riuscì a seguire a singhiozzi la classe, distraendosi periodicamente su pensieri inclementi.

Il suo problema era che era troppo realista, non permetteva al pensiero di volare troppo, lo teneva saldamente piantato a terra e ciò poteva anche essere visto come un pregio dall'altro estremo, ovvero dal sognatore incallito, ma in realtà non lo era affatto. Non concedere spazio alla fantasia e all'illusione dipingeva di grigio qualsiasi esperienza, precludendole il più delle volte di viverla o godersela. Sognare era come leggere un fumetto, mentre la sua vita era più un eterno quotidiano... Non sapeva quale delle due fosse peggiori, ma sperava esistesse un nesso fra le due fazioni che potesse in qualche modo apprendere.

Comunque, tornando ai suoi pensieri, erano tutti, o la maggior parte, incentrati sul negativismo. Nemmeno lei era sicura del perché la presenza di Ripple, con le sue maglie a righe, i pantaloni cachi e una casa situata fuori città, a straforo sul porto, la infastidisse tanto. Fino al giorno prima le era completamente indifferente, un puntino come un altro. Adesso era diventato un fastidioso brufolo in mezzo alla fronte, e non poteva schiacciarlo.

Era un bell'uomo, forse i suoi calzini troppo alti sopra la caviglia distoglievano le donne dal suo bell'aspetto fisiologico, ma sicuramente non passava inosservata la cadenza britannica o la gesticolazione ipnotizzante, che inspiegabilmente aveva un che di ammaliante. E non era nemmeno troppo attempato.

Era un valente rivale, uno spiacevole neo nella sua rosea... Aspetta un attimo... Quale rivale? Rivale di cosa? Stava sragionando. Probabilmente le ore di studio l'avevano fusa, ecco perché si sentì sollevata quando trillò la campanella, decretando la fine della pesante giornata.

Adesso, dopo appena cinque minuti di tregua, iniziava la vera tortura.

Dovette attendere che il corridoio si fosse svuotato, accampare un espediente come sempre con le sue amiche prima di deviare verso l'uscita posteriore. Non c'era un vero e proprio motivo per cui non avesse condiviso con le sue compagne d'avventure quel particolare, ma credeva che fosse più conveniente tenerlo per se, almeno per ora.

Non c'era niente di male in ciò che Lauren faceva per lei, era un'attività che avrebbe offerto anche ad altri studenti in difficoltà, forse.. Ma comunque, non era una soluzione quanto più convenzionale. Non voleva che Dinah ed Ally si facessero strane idee o la tacciassero di favoritismo, perché non era assolutamente così, ma non aveva abbondanti prove per poter sostenere la sua tesi.

Preferiva sottacere quel dettaglio, e poi tutte le buone amiche conservano segreti fra di loro, altrimenti non sarebbero così buone amiche.

La cubana sbucò sul retro dell'edificio dove Lauren, appoggiata comodamente al cofano della sua auto, a braccia conserte e caviglie incrociate, la stava aspettando. Aveva un'aria assorta, distante. Di solito era molto vigile e ricettiva, ma in quel momento non sembrava particolarmente vispa, anzi, era talmente meditabonda che non si accorse nemmeno della presenza di Camila finché i suoi passi non risuonarono sull'asfalto e l'ombra della sua esile figura irruppe nel suo spazio visivo.

Alzò la testa rapidamente. In quel gesto scattante fu come se si fosse calata di nuovo la maschera che aveva disperso quando si era addentrata nei suoi fitti pensieri.

La cubana la salutò impacciata, Lauren rispose con un cenno del capo e poi, senza ulteriori indugi, entrò nell'abitacolo, mettendosi alla guida. Camila prestò attenzione a non farsi notare mentre alzava gli occhi al cielo. Lauren pretese di non vederla.

Il tragitto fu breve e silenzioso, a tratti imbarazzante. Camila si perdeva nelle trame dei suoi ragionamenti, ma quando ricordava dove si trovava e con chi, avvertiva un senso di disagio che la faceva agitare sul sedile, come per invogliare Lauren a intavolare un argomento. Cosa che non avvenne, non finché entrarono in casa. La corvina si versò un bicchiere di vino rosso, ne assaggiò un sorso e poi, dimentica, chiese a Camila «Ne vuoi un po' anche tu?»

La cubana scosse velocemente la mano «Passo, grazie.»

Sistemò lo zaino sul divano, si armò di quaderno e libro necessari, poi si accomodò al tavolo. Si percepiva la tensione nell'aria, entrambe contribuivano ad accrescerla, anche se con pensieri e comportamenti diversi.

Lauren si sedette di fronte a lei, ancora con il calice fra le mani. Camila sfogliò il libro fino al capitolo interessato, dopodiché presero a studiare come se niente fosse, ma anche negli scambi verbali vibrava una nota dissonante.

Camila presumeva che fosse solo una sua impressione, dettata dalle sue recenti tribolazioni interiori, così si spremeva per non apparire discordante dal solito temperamento, ma quella sensazione mareggiava comunque in lei. Lauren dall'altro canto non si stava atteggiando tanto diversamente dall'usale, ma i suoi occhi erano il tallone d'Achille. Sprigionavano ciò che il resto non riusciva a comunicare. Quel pomeriggio erano più cupi e sfavillanti, intrisi di una sfaccettatura sconosciuta. La cubana non aveva il coraggio di guardarli apertamente. Sfuggiva furtivamente alle occhiate che le scoccava la corvina, che sapeva ricevere perché arrecava un che di effervescente sulla pelle.

Dopo aver terminato il ripasso, Camila radunò sbrigativamente le sue cose. Non vedeva l'ora di andare a casa, di francarsi da quella spiacevole sensazione di circospezione che aleggiava nell'aria. Forse forse, era più contenta quando Lauren non la degnava di uno sguardo o le incuteva paura. Adesso non era spaventata, ma solo molto imbarazzata.

«Allora, grazie.» Ripose le sue cose nello zaino, sempre facendo attenzione a tenere lo sguardo defilato da Lauren.

«Non credo sia necessario continuare le ripetizioni pomeridiane. La tua media si è notevolmente alzata, quindi..» Fece spallucce, tagliando corto, e poi si inumidì le labbra con un goccio di buon vino.

Camila drizzò le orecchie e irrigidì le spalle, travolta dalla notizia come una frustata. Era una sorpresa inaspettata. Ricordava quando, la prima volta, aveva pregato che il ciclo di incontri extra scolastici terminasse il prima possibile, e invece ora... Ora non le andava a genio l'idea.

«Ma.. ma a me, a me farebbe molto comodo continuarli. Voglio dire, la mia media è, è migliorata sicuramente, ma.. ma non c'è motivo di...» Farfugliò, venendo poi bruscamente interrotta dall'autorevolezza della corvina.

«Invece si. Non ho tempo da perdere dietro alunni che sanno fare il proprio dovere.» Si alzò dal favolo per raggiungere la bottiglia di vino abbandonata nell'angolo cottura. Diede le spalle alla cubana mentre sentenziava «È meglio concludere.» E giù un sorso.

Camila era basita, non sapeva bene come sentirsi o come reagire. Una parte di lei la pungolava a esultare, non solo perché i pomeriggi di tortura erano finiti, ma anche perché i suoi voti erano finalmente decollati. L'altra parte però non era in vena di festeggiamenti, ma anzi, era proprio quella che generava lo sgomento in lei.

«Va-va bene.» Balbettò infine, arrendendosi alla volontà della corvina.

Le aveva fatto un enorme favore a dedicare del tempo surplus al suo apprendimento, non poteva insistere più di tanto, apparire irriconoscente e maleducata.

La ringraziò un'ultima volta prima di tirarsi dietro l'uscio e andarsene.

Sulla strada del ritorno rimuginò a lungo sull'improvvisa svolta che aveva preso la situazione. Lauren non aveva mai minimamente accennato a troncare le ripetizioni settimanali, e ora, come un fulmine a ciel sereno, dirottava la pista. La cubana non ci vide chiaro in quella storia. C'era una discrepanza palese che la induceva a riflettere. Quando stava scendendo dal bus venne investita da una sensazione strana ma esigente. La tensione che aveva avvertito per tutto il pomeriggio forse non esisteva solo nella sua testa. Probabilmente era successo qualcosa per cui Lauren aveva depennato i loro incontri.

Non era sicura che l'evento che aveva condotto la corvina a quella drastica decisione comprendesse lei in prima persona, ma qualsiasi cosa fosse successa aveva inciso su quella conclusione affrettata. Ne era certa.

Durante la cena si estraniò e non poco, lambiccandosi su quali motivazioni tanto gravi avessero portato Lauren a prendere tali provvedimenti. Nessuna rivelazione le apparve miracolosamente davanti agli occhi, ma poi archiviò il caso con una certa nonchalance, convincendosi che qualunque ragione si celasse dietro quell'insolita sterzata non contemplasse lei o le sue azioni.

Andò a dormire subito dopo la maratona di cartoni animati che Sofia la costringeva a sorbirsi ogni venerdì sera, dal momento che il weekend lo trascorreva poi in panciolle.

La cubana non si sorprese quando venne catapultata nel salotto della corvina. Aveva pensato così intensamente a lei che era quasi certa che l'avrebbe incontrata nei suoi sogni, così com'era certa di quello che sarebbe successo dopo.

Camila non era il genere di persona impavida che muoveva la prima mossa. Magari azzardava la seconda, la terza e anche la quarta, ma mai la prima. Il bello dei sogni, però, è proprio questo: puoi decidere di essere chi non hai mai avuto il coraggio di diventare.

Tanto al mattino il mondo onirico evapora in una nuvola di vario tumulto, niente a cui non si possa rimediare.

Ecco perché quella notte, quando gli smeraldi vividi della corvina le si stagliarono ad un soffio, fu lei ad appropriarsi delle labbra carnose della donna, baciandola con passione e slancio, spensieratezza e desiderio.

Lauren la guidò fino al divano, dove arrestò la corsa contro lo schienale di esso. Camila si sedette sulla sommità e legò le braccia attorno al collo della corvina, proseguendo il bacio con impetuosa smania. Spasimava purché ciò che riproducevano i suoi sogni si trasformasse in realtà, anche solo per comprendere se ciò che il suo inconscio le mostrava fosse davvero ciò che provava.

In quell'istante tutta l'impazienza si volatilizzò, la bragia si acquietò. Camila raccolse la guancia di Lauren nel suo palmo, la rimirò incredula per quanto verosimile fosse, infine, senza accorgersene, disse in un sospiro «Se solo fossi reale...»

La corvina inspirò impercettibilmente, poi un sorriso sbocciò sulle sue labbra. Apparentemente era un'increspatura come un'altra, ma non per Camila. Non era, non poteva essere un'inflessione ricreata dal suo inconscio. Era identica a quella reale, fedele in ogni sfumatura.

Camila trasalì e per un secondo, un secondo troppo breve per essere considerato ma troppo intenso per non essere percepito, fu irremovibilmente certa di aver sentito i polmoni contrarsi e l'aria sfiorarle le narici.

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