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Capitolo dieci



«E quindi Siope ha detto "Oh, tesoro, lascia che ti aiuti io", allora io ho risposto "ma certo, grazie mille". E così lui si è avvicinato per pulirmi la macchia di gelato sulla maglietta e, beh, eravamo vicini... una cosa tira l'altra... e mi sono ritrovata con la sua lingua dentro la bocca. Ho cercato di frenarmi, ma è più forte di me! Non posso fare la santarellina.» Alzò le mani in aria Dinah, ammettendo la sua colpevolezza.

Aveva stretto i denti nelle ultime settimane, durante gli sporadici appuntamenti con lui, perché? Nessuno l'aveva capito. Non che fosse sbagliato preservarsi, anzi! Ma non era lo stile di Dinah, lei era più diretta e istintiva, non le importava se rimaneva la storia di una notte o diventava l'amore di una vita, semplicemente aveva bisogno di assecondare i suoi desideri. Con Siope aveva delineato un limite, perché sosteneva che fosse un ragazzo d'oro, un tipo coriaceo solo all'apparenza, e quindi non voleva accelerare le cose o dargli l'impressione che si trattasse di una sveltina.

«Hai placato i bollenti spiriti, almeno. Sia Lode a Dio.» Ringraziò Ally, esaurita dalle continue chiacchiere oscene e impudiche che Dinah le propinava sui suoi sogni erotici.

«Quando tu farai sesso, vedrai che invocherai il signore in altri modi.» L'ammonì la polinesiana, sentendosi leggermente giudicata dell'amica che in realtà stava soltanto festeggiando perché lei aveva aperto le gambe e le sue orecchie potevano scongiurare la profanità di cui le avevano macchiate le fantasie proibite di Dinah.

«Non ti è concesso dire una cosa del genere in mia presenza! Non puoi farlo, perché io rispetto la tua vita laica, quindi tu devi rispettare la mia fede!» Si impose Ally, infervorata per aver bistrattato la sua religione.

«Laica? Io Laica?! Da quando mi consideri così, eh! Dimmelo!» Sbottò la polinesiana, offesa perché, in fondo in fondo, sapeva che Ally aveva ragione, e non era innervosita per essere stata tacciata di laicità, ma bensì perché non le piaceva essere accusata in generale di qualcosa, anche se vera.

«Camila, dille qualcosa. Dì qualcosa al reverendo Brooke, per favore.» La interpellò Dinah, notando l'espressione esterrefatta di Ally che simultaneamente si appellò alla cubana affinché procrastinasse per lei.

«L'ho chiesto prima io!»

«Lei deve schierarsi dalla parte del giusto, non da chi "l'ha chiesto prima."» Scimmiottò Ally, ingrugnandosi contro la tracotanza di Dinah che respingeva qualsivoglia critica anche, se costruttiva.

«Camila, potres... Camila?» Le due si scambiarono un'occhiata, non più rancorosa o incollerita ma perplessa «Terra chiama Camila, c'è nessuno? Yuuhh!» Dinah schioccò le dita davanti agli occhi della cubana, risvegliandola dall'ipnosi momentanea.

«Uhm? Ah, si, ci sono, si.» Drizzò di scatto la testa, sperando che la sua reattività eclissasse l'assenza di qualche attimo prima.

«Beh, chi ha ragione secondo te?» Si impuntò nuovamente la polinesiana che per niente al mondo metteva una pietra sopra i dissapori, non finché un intermediario non le confermava di essere dalla parte della ragione.

«Ah-ah, no.» La cubana si alzò dal tavolo dove era seduta, scese come se la panchina fosse un gradino e aggiustò lo zaino in spalla «Non tiratemi dentro questo... questo... qualsiasi cosa sia.» Poi diede le spalle alle amiche e si incamminò verso l'ingresso secondario della scuola.

«E adesso dove stai andando?» Le gridò dietro Dinah, allargando le braccia.

«Ci vediamo in classe.» Replicò la cubana, agitando la mano in aria, ma senza voltarsi.

«Quella non era una risposta, lo sai, vero?» Chiese la polinesiana ad Ally, ma questa, come punizione per il precedente battibecco, si astenne dal parlarle come punizione.

Se c'era una cosa che Dinah odiava maggiormente di essere dalla parte del torto, era non poter parlare e conseguentemente essere ascoltata.

La bionda girò i tacchi e andò via, lasciando Dinah con un pugno di mosche.

Camila aveva passato un'altra nottata infernale, ma in modo diverso. L'Ombra era rimasta nell'ombra. Non si era palesata come le altre volte, ma l'aveva pedinata per tutto il sogno, sfrecciando da una parte all'altra nella sconfinata oscurità. Un sogno angoscioso più che terrorizzante, ma il vento tirava ancora a sfavore.

Le era rimasto un punto interrogativo fisso in testa, ad assillarla. Quello stramaledetto libro in cui era incappata il giorno precedente. Si, tutte fandonie, vaneggiamenti, niente di reale, eppure era l'unico spunto che aveva, l'unico indizio da poter seguire.

Le mancavano ancora tre libri, come minimo, per terminare la collana. E Camila non lasciava mai un libro a metà, mai. Anzi, lei non lasciava niente a metà.

Entrò di soppiatto in biblioteca, si addentrò cautamente. C'era qualcosa, non l'imbarazzo, qualcos'altro che le sussurrava di restare in massima allerta. Era come se qualcuno la stesse spiando, oppure avesse continuamente gli occhi addosso a lei, sulla sua schiena precisamente. Era solo suggestionata, sapeva di esserlo, eppure... eppure...

Eppure perlustrò l'ambiente scrupolosamente, sempre affannata, poi imboccò la sezione che conosceva a menadito ed estrasse il quarto libro. Scelse un posto appartato, distese il libro e ficcò il naso fra le pagine incartapecorite.

Alcuni paragrafi approfondivano soltanto ciò che aveva letto il giorno precedente, quindi li saltò. Non aveva tempo, le lezioni sarebbero iniziare a breve, e lei era affamata di particolari ancora inesplorati.

La manipolazione avviene in maniera costante, ininterrotta... Non si ferma finché la vittima non è allo stremo... Vieni portata in luoghi del passato riconducibili a traumi infantili, oppure crea uno scenario suggestivo prendendo spunto dalle paure dell'ospitante... Esistono diversi tipi di modi per fermare la stimolazione onirica sfavorevole, ma se non effettuata correttamente l'ospite si rafforzerà invece che indebolirsi... Non è possibile, comunque, cambiare lo scenario prescelto dall'ospite, ma si può cambiare le sorti da lui ordite... Un po' di esercizio e tanta teoria vi aiuteranno ad...

Improvvisamente le righe scomparvero da sotto il suo naso, un tonfo sordo risuonò nella biblioteca assolata. Camila trasalì, alzando lo sguardo di scatto. Lauren era di fronte a lei, braccia tese e schiena lunata sul tavolo. Lo sguardo impenetrabile e penetrante al contempo trafiggeva il suo, intimidito.

«Vorrei spiegarle una cosa, Cabello. Non spreco il mio tempo dandole ripetizioni, se poi lei non ci degna nemmeno della sua presenza in classe per starsene qui a leggere fumetti.» Ringhiò a denti stretti, riservando a Camila uno degli sguardi più acrimoniosi di cui la cubana avesse ricordanza.

«M-mi scusi. Io-io non mi sono, non mi sono resa conto dell'ora.» Balbettò Camila, lanciando un'occhiata all'orologio che penzolava beffeggiante alla parete.

«Allora dovrà porci più attenzione, perché non ho nessuna intenzione di smerciare i miei pomeriggi immotivatamente.» Il suo tono era freddo e neutro, ma era proprio in quell'impostazione atona che scaturiva tutta la rabbia intrinseca.

«Lei, lei ha co-completamente ragione. Mi dis-dispiace davvero tanto.» Avrebbe voluto frenare quel barbuglio instabile che la faceva apparire piccola e la faceva sentire ancora più piccola, ma non era contemplabile sostenere lo sguardo arroventato di Lauren e le sue algide reprimende senza balbettare.

«La prima ora è finita, quindi c'è poco da dispiacersi. Mi aspetto che la prossima volta si comporti diversamente.» Drizzò le spalle, rassettò la camicetta sopra la gonna e la sua maschera incrinata dall'improvvisa esplosione di collera si restaurò velocemente.

«Adesso vada in classe.» Ordinò la corvina, perentoria «Che non accada più.» Aggiunse come consiglio o minaccia.

Camila afferrò il libro, tacitamente, lo ripose sullo scaffale ed uscì dalla biblioteca con insofferente lentezza; avrebbe volentieri accelerato il passo, se solo questo non avesse seminato dubbi nello sguardo che le stava bruciando sulla schiena.

Dinah ed Ally le passarono gli appunti della prima ora, chiesero dove avesse trascorso la prima ora, e lei accampò la prima scusa che le saltò in mente «Mi stavo occupando della ricerca.»

«Sai, so che tenti di rimediare al brutto voto, ma se nella stessa materia non ti presenti a lezione, non lo migliorerai, ma lo peggiorerai.» Espresse Dinah, sarcastica e canzonatrice come poche.

«Lo so, lo so... Devo organizzarmi meglio.» Alzò le mani in alto Camila, dandola vinta a Dinah che, come sempre, era l'unica maniera per mettere un punto alle divergenze.

Il resto della giornata trascorse tranquillamente, nessuno sguardo contrariato la trapassò nei corridoi, nessun rimprovero si avventò su di lei, niente. Un normale giorno noioso a scuola. Ma era comunque perseguitata da quel sentore arcano che la induceva a voltarsi ogni tre passi, oppure a trattenere il respiro quando svoltava l'angolo, o ancora a sobbalzare quando qualcuno le metteva la mano sulla spalla. Era in allerta, ma non ne comprendeva il motivo. Va bene la suggestione, va bene la stanchezza e va bene anche la paura, ma ora stava esagerando, stava diventando paranoica, e se c'era una cosa che aveva appreso egregiamente era che la paranoia è il primo passo verso la pazzia.

In fondo erano solo incubi, perché diamine si era messa a spulciare in un libro più vecchio della Sig. O'brien -la profesoressa più anziana della scuola- che vaneggiava su guerre fra Dei e deplorevoli segreti oscuri? Rispettava le credenza altrui, ma se nel ventesimo millennio ci si riduceva a credere che i fili del destino fossero comandati da Zeus o Ade o chi per loro, allora si era decisamente con un piede verso la follia.

Era troppo giovane per diventare pazza. Non voleva vivere la sua adolescenza rincorrendo mostri che solo nella sua mente esistevano.

Gli incubi sarebbero svaniti, così come si era volatilizzato il primo brufolo, il primo dente cariato, la prima ricrescita dopo la depilazione, il primo ciclo mestruale, e come altri mali del mondo che almeno una volta nella vita attanagliavano gli adolescenti.

Sbatté l'anta dell'armadietto, facendo sobbalzare Ally che era appoggiata al suo, a pochi passi da quello di Camila.

«Ma dico, ti ha dato di volta il cervello?» Domandò stizzita e impaurita la bionda, portando una mano sul cuore palpitante.

«Ancora no, Ally.» Si avvicinò al suo viso, puntandole il dito contro, con un ghigno soddisfatto che tramortì l'amica «Ancora no.»

Dopodiché girò i tacchi e se ne andò, diretta chissà dove.

Pochi attimi dopo le sfrecciò davanti Dinah, le rivolse un'occhiata boriosa, si esibì nella famosa mossa dei capelli, e tirò a dritto, ancora impermalosita per la punizione del silenzio che aveva osteggiato il flusso dei suoi rammarichi.

«Bene, è ufficiale, sono tutti ammattiti.» Dichiarò Ally, sospirando frustrata.

                                     *****

Lauren rientrò in casa la sera, versò il suo tassativo calice di vino e scartò un panino, mangiandolo a tavola come impropria cena. Comunque diede solo un morso prima di gettarlo via, non solo perché quelle schifezze di seconda mano del supermercato le rivoltavano lo stomaco, ma perché era Camila a rivoltarglielo.

Stava investigando su quelli sciocchi libri e stava anche ramazzando informazioni. La innervosiva che la cubana avesse fiutato odore di bruciato, e forse era colpa sua perché aveva tirato troppo la corda con i suoi rompicapo onirici. Di solito studiava le vittime da vicine, le teneva sottocchio mimetizzandosi sotto una copertura che le permettesse di evadere dubbi, usufruiva delle sue abilità manipolative solo in casi estremi, invece Camila la torchiava instancabilmente. Anche per lei era faticoso, ma sicuramente non quanto per Camila.

C'era qualcosa in lei, qualcosa di indecifrabile che la induceva a tenerla sotto la lente d'ingrandimento. Il suo istinto ringhiava ogni volta che la cubana era nei pareggi, l'afferrava per le spalle e la scuoteva, come se stesse bollando una minaccia incombente. Lauren, però, non capiva quale essa fosse, così teneva sotto stretto controllo Camila e tentava di registrare qualsiasi pericolo intravedesse all'orizzonte, ma non capiva quale fosse.

Non l'avevo capito fino ad oggi, quando l'aveva colta in flagrante in biblioteca con quei manoscritti da quattro soldi. Probabilmente il suo istinto la stava imbeccando su ciò, sul fatto che Camila sarebbe stata una rogna per la sua indole da Sherlock Holmes.

Quindi era questo che doveva fare, allontanarla dalla verità. Era da questo che il suo istinto la stava proteggendo... Eppure qualcosa, qualcosa di tremendamente illeggibile e inafferrabile, dentro di lei la portava ad arrovellarsi in un venerdì sera, nel salotto di casa sua, perché il suo tirannico intuito le formicolava addosso, dicendole che si, aveva delle prove concrete e che doveva seguire quella strada, ma che non era ciò per cui la stava ammorbando.

Lauren tracannò un sorso del suo pregiato vino, si accasciò contro lo schienale del sofà e lanciò la testa all'indietro, sperando di capire al più presto quali insidie il suo istinto le stesse notificando.

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