➥ [038]
"Rose Gialle"
Il giorno seguente Hoseok si risvegliò in un letto vuoto.
Di Taehyung non c'era traccia da nessuna parte.
La sua mente ripercorse velocemente gli eventi della sera prima mentre si vestiva velocemente.
Ora che ci pensava Taehyung era stato fin troppo tranquillo considerando la portata della sua confessione.
Senza perdere un attimo si diresse nella stanza di Jelo, sbirciando attraverso la porta socchiusa.
Con un sospiro di sollievo, notò che lei dormiva tranquillamente nel suo letto.
Se Jelo era a casa, Taehyung sarebbe tornato.
Ciò non toglieva che lui fosse molto preoccupato.
Dove diavolo era andato?
«Dopo tanto tempo, ci rivediamo»
Mi sentii stupido a pronunciare quelle parole davanti una fredda lapide di marmo. Razionalmente sapevo che non era rimasto nulla di lei in quel posto, ma la tentazione di andarla a trovare era stata più forte di me.
Mia madre era sempre stata una donna bellissima, ma fragile e sola.
Dalla foto che era stata scelta per ricordarla invece sembrava felice e in pace con se stessa.
Quante menzogne stampate su carta.
Nonostante non credessi all'aldilà o ad un fantomatico dio, speravo che lei potesse aver trovato quella felicità che le era mancata in terra.
Lo speravo davvero.
Per anni avevo sentito quello scomodo senso di colpa depositato, come un sassolino sul fondo di un lago, nella mia anima ferita. Nascosto alla vista ma pur sempre presente.
Il suo suicidio, mi sono chiesto per tutto questo tempo, è stato davvero colpa mia?
La mia mente ha analizzato gli ultimi giorni della vita di mia madre più e più volte, trovandomi sempre innocente.
Eppure, la notte, quando i pensieri che si agitano costantemente nella mia testa smettono di seguire una logica ferrea, tutte le mie teorie e le mie conclusioni perdono consistenza di fronte alle parole che mio padre ha pronunciato quel giorno.
Sono quello che sono.
Problematico, freddo, difficile, strano.
Lo so.
Ma non sono l'assassino di mia madre.
Non posso esserlo, di tutte le colpe che ho, questa non posso accettarla.
Mi inginocchiai sull'erba umida a causa della rugiada mattutina e appoggiai sulla sua lapide delle rose gialle, i suoi fiori preferiti.
Iniziai a raccontarle tutta la mia storia, di Jelo, di Hoseok e della squadra.
Sapevo che non avrebbe approvato nemmeno la metà di tutte le cose che avevo fatto, era pur sempre una donna di alta classe cresciuta nel lusso.
«Sai» dissi poi fissando lo sguardo su una venatura bianca nel marmo, «potrei anche impugnare il testamento. Per diritto, tutto ciò che era tuo, appartiene a me. A lui non resterebbe nulla. Ma dovrei affrontarlo e non voglio. Potrebbe ancora portare via Jelo. Potrebbe...», esalai un pesante respiro, «... potrebbe far riconoscere la mia pazzia da una giuria e io... non voglio tornare ad essere quel bambino pazzo seduto da solo in una stanza bianca».
Strappai un filo d'erba e lo strofinai tra le dita, esternamente sembravo calmo, ma sapevo che i miei occhi dovevano star tradendo la mia paura.
La forza d'animo e il coraggio erano qualità che ammiravo molto e che mi piaceva pensare di possedere, ma in questi momenti mi sentivo come il peggiore dei codardi.
Avevo paura di mio padre?
Non proprio.
Avevo paura di ciò che il mondo avrebbe visto di me una volta lui mi avrebbe dipinto come un povero squilibrato.
Avevo paura del giudizio degli altri e "gli altri", includeva anche Hoseok.
Nonostante ieri sera non abbia dato segni di volersene andare, fidarmi di lui è difficile.
Non sono qui sono per mia madre.
Sono qui perché mi sono convinto che Hoseok non se ne andrà, ma la mia è una mente scientifica, quindi, come ogni altra cosa nella mia vita ha bisogno di prove concrete.
Feci a pezzi quel filo d'erba per sfogare il mio nervosismo.
Gli stavo dando il tempo di pensarci bene, gli stavo dando la possibilità di fuggire.
Avrei trovato ancora Hoseok a casa una volta tornato? Speravo di sì.
Allora perché non gli avevo detto tutta la verità?
Sapevo di star sbagliando e temevo il momento in cui avrebbe scoperto che gli avevo mentito. Sentivo quasi il ticchettio dell'orologio che segnava in conto alla rovescia nella mia mente.
Si sarebbe davvero incazzato e non solo lui.
Ho decifrato i codici sulle ossa da giorni ormai.
So chi c'è dietro gli omicidi, ma non mi va di fermarlo.
Sì, Hoseok si sarebbe davvero incazzato.
Poche ore dopo mi ritrovai a vagare per le strade trafficate e caotiche della città. Senza saper come e guidato da poca voglia di affrontare quello che mi aspettava a casa mi ritrovai seduto su quella stessa panchina verde dove settimane prime era cominciato tutto.
A quel tempo chi mai avrebbe immaginato che l'uomo con cui avevo scambiato stupidi messaggi sarebbe diventato così importante per me. Il destino operava in modi davvero misteriosi. Già, solo che io al fato non credo per niente.
Guardandomi intorno valutai la possibilità di restare lì, per sempre. Magari montare una bella tenda nel parco e vivere a contatto con la natura. Avrei evitato Hoseok e fatto una nuova esperienza. Non era poi così male come idea.
Certo, poi però Jelo mi avrebbe staccato la testa a morsi.
Sospirai sconfitto e tirando fuori il cellulare dalla tasca mi decise ad accettare il mio destino. Prima o poi a casa dovevo tornarci.
Sbloccai il cellulare e rimasi a guardare lo schermo finché non si oscurò di nuovo.
E ancora, e ancora.
La cosa si stava rivelando più difficile del previsto.
Il mio dito non voleva proprio saperne di premere il tasto chiama.
«Hai intenzione di restare a fissare il cellulare seduto questa panchina tutto il giorno?»
Una voce tremendamente familiare mi riscosse dai miei pensieri facendomi sobbalzare sorpreso.
Mi voltai a guardarlo.
Alla fine era stato Hoseok a trovare me.
«Come sapevi che ero qui?» gli chiesi cercando di prendere tempo.
«Non lo sapevo» fu la sua risposta asciutta. «Sono ore che vado in giro. Ore.» disse enfatizzando l'ultima parola. Poi si sedette accanto a me e con un tono che voleva sembrare calmo, ma non lo era per niente, proseguì: «hai idea di quanto fossi preoccupato?»
Evitai il suo sguardo e mi concentrai sulle mie mani che tenevo intrecciato in grembo.
«Sono solo poche ore Hoseok» risposi con una leggerezza che non sentiva davvero. «La stai facendo più tragica di quanto non sia».
Una mano, quella di Hoseok, entrò nel mio campo visivo e strinse le mie.
«Taehyung, guardami».
Dita calde mi accarezzarono i palmi delle mani riuscendo a sciogliere quella stretta ferrea che mi faceva sbiancare le nocche delle dita.
«Lo so che te la stai facendo sotto».
Sbuffai tra il divertito e l'indignato e finalmente alzai gli occhi per incontrare quelli di Hoseok.
«Mi dispiace» gli dissi con sguardo colpevole e triste. «Sono così problematico... »
Hoseok mi accarezzò i capelli e mi fece appoggiare la testa nell'incavo del suo collo.
«Lo sei» confermò. «Sei problematico, lunatico e pure stronzo».
Mi posò un bacio sulla fronte e mi strinse più forte.
«Sei praticamente perfetto».
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro