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"Strane emozioni"


Seguii Jimin nella stanza dove lavorava la squadra, combattendo l'istinto di tornare indietro e portare Hoseok con me.

Non avevo idea di cosa stesse succedendo nella mia testa, sapevo solo che non conoscevo nessun altro lì dentro oltre al detective e, seppur Park Jimin non mi sembrasse pericoloso, Jungkook lo era eccome. Sapevo cosa poteva fare e di cosa era capace, nonostante la sua apparenza innocua dovuta al suo atteggiamento gioviale.

Rallentai leggermente in modo da trovarmelo di fianco e non più alle spalle, preferivo averlo sottocchio.
Mentre richiamavo alla mente la mappa dell'edificio in modo da avere sempre presenti le vie di fuga più vicine, Jimin richiamò la mia attenzione.

Era eccitato per qualcosa. Ma non capivo cosa.

Anche Jungkook lo era, ma per un motivo diverso, credo.

Ero troppo confuso. Fuori dalla mia safe zone non sapevo ben che fare, arrivavano stimoli da tutte le parti e tutte quelle persone... mi mettevano ansia.

Sapendo di non potermi permettere nemmeno un momento di distrazione tornai a concentrarmi su Jimin, senza mai dimenticare la presenza dell'altro ragazzo che camminava al mio fianco, e cercai di capire cosa cavolo lo rendesse così euforico.

«Hoseok mi ha detto che riuscito ad aprire la pendrive in meno di due giorni, ma non come!? Ti prego, devi dirmi come hai fatto! Ormai non ci dormo la notte!»

Aveva gli occhi scuri brillanti di curiosità e mi guardava come se solo io potessi fargli un regalo preziosissimo.

Valutai i pro e i contro del rivelargli come ci ero riuscito e decisi che avrei comunque dovuto dirlo a tutta la squadra, spiegarglielo non mi avrebbe causato alcun danno. Inizia quindi a esporgli tutto nei minimi dettagli, ma in modo breve e conciso. Jimin appariva interessato e mi interrompeva con domande pertinenti e intelligenti, una sorpresa in effetti. Jungkook si limitava a guardarci senza proferire parola.

Quando arrivai a parlargli del programma di decriptazione che avevo usato per rendere leggibili i dati contenuti nella memory card Jimin aprì una porta bianca e mi fece entrare in una grande stanza piena di attrezzature informatiche.

Iniziammo a lavorare insieme io, Jimin e Jungkook, e, con semplicità, arrivammo a parlare di quello che era necessario fare per migliorare il sistema informatico della stazione di polizia.

Lavorare e concentrarmi su questioni concrete mi aiutò a sedare quei sentimenti fastidiosi che si accavallavano nel mio petto e che facevano vibrare il mio cuore contro la cassa toracica.

Sorprendentemente, riuscii quasi a tornare ai miei normali livelli di calma.

Jimin era un tipo eccezionalmente facile con cui dialogare e capiva al volo quello che dicevo, senza bisogno di star lì a spiegargli ogni singola cosa. Jungkook invece, nonostante non fosse un esperto di linguaggio informatico, si rivelò un grande aiuto nello spostare l'attrezzatura inutile e inoltre non sembrava importargli del fatto che non rispondessi a tre su quattro delle infinite domande che mi faceva.

Mentre cercavo di capire cosa poter salvare dai pezzi di computer che avevo davanti sentii qualcuno fissarmi.

Mi voltai e trovai Hoseok a guardarmi appoggiato allo stipite della porta.

Quando si accorse che l'avevo notato mi sorrise.

Sorrideva sempre quando mi vedeva e inspiegabilmente iniziavo a sentire sorgere in me la voglia di ricambiarlo. Stupidaggini.

Smisi di prestargli attenzione e mi concentrai su Jimin che mi stava chiedendo quando avevo intenzione di iniziare a lavorare sul sistema di sicurezza.

«Domani, non ho i mezzi per farlo qui, dovrò necessariamente portarmi delle cose da casa», gli disse calcolando mentalmente i tempi.

«Qui comunque abbiamo finito, ci hai già detto cosa fare e io e Jungkook possiamo occuparcene tranquillamente da soli» mi avvisò.

«Sì, in effetti, come prevedevo, non si è salvato molto. Avevo già una idea di quello che serviva, quindi la gran parte delle cose sono già pronte per essere portate qui, del resto me ne occuperò quando torno a casa». Era l'unica cosa da fare.

Salutai entrambi i ragazzi e mi avviai verso l'uscita. Hoseok era ancora lì, ad osservarmi.

Quando gli passai accanto si staccò dalla porta e mi seguì.

«Ti offro il pranzo?» mi chiese con un so che nella voce.

Lo guardai stupito e solo dopo aver controllato l'orologio che avevo al polso mi resi conto di aver passato più di tre ore in quella stanza.

«No, mangio a casa» lo liquidai in fretta. Ovvio che non avrei mangiato con lui.

«Con tua sorella?»

«Sì» risposi asciutto.

Il solo menzionare Jelo mi fece irrigidire, non mi piaceva che lui sapesse della sua esistenza ma, come mi aveva detto la sera prima per cellullare, quando mi aveva chiamato per definire gli ultimi dettagli dell'incontro, Jelo sarebbe stata una di quelle garanzie che a lui sembravano importare tanto.

Ovviamente non era stato d'accordo nell'accettare la cosa ma sembrava che quei due avessero già un mezzo impegno per una colazione.

«Allora a domani V».

Hoseok si fermò all'ingresso della stazione di polizia, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e le maniche della camicia bianca arrotolata sulle braccia.

Mi fermai a guardarlo solo per un momento.

Mi sorrise, di nuovo, e due fossette gli apparvero ai lati del viso.

Mi incantai a guardarle, chiedendomi se esisteva una formula matematica che permettesse di calcolarne l'ampiezza e la profondità.

Il suono di un clacson mi riscosse però dai miei strambi pensieri e senza più voltarmi indietro mi allontanai da lui e dalle sue fossette, soffocando la voglia di tornare alla stazione e controllare se la sua pelle delle sue guance fosse morbida come sembrava.

Nonostante cercassi di non pensarci, guidai verso casa con la mente invasa da pensieri su di lui, non capivo le mie reazioni nei suoi confronti.

Quando gli ero vicino sentivo come una corrente elettrica a basso voltaggio scorrermi incessantemente sotto pelle, il suo tocco bruciava, ma allo stesso tempo era rilassante e ... confortante.
Non avevo mai permesso a nessuno di toccarmi così, se non a Jelo, ed era strano, perché io di mia sorella mi fidavo ciecamente cosa che di certo non potevo dire di Jung Hoseok.
Però potevo ancora avvertire la sensazione della sua mano ruvida e calda sul mio collo, delle sue dita che mi scorrevano sulla pelle sensibile, dei suoi occhi gentili che cercavano i miei.
Non aveva senso mentire a me stesso, il detective Jung Hoseok mi turbava in modi in cui nessun altro era mai riuscito. Dovevo solo capire se per me sarebbe stato un virus o un aggiornamento di sistema particolarmente invasivo.












Quando Taehyung tornò a casa trovò ad aspettarlo dei fumanti e profumati chimichanga sul tavolo apparecchiato e una sorella che ballava selvaggiamente.

Quando Jelo si rese conto che il fratello era arrivato iniziò a girargli intorno e a fare strani gesti in segno di benvenuto. Taehyung guardò quello scricciolo con indosso una delle sue vecchie maglie e dei pantaloni giallo fluo che lo avrebbero accecato anche con gli occhiali da sole e decise che non era il caso di mettersi a discutere sul suo senso della moda, nonostante si fosse permessa di mettere in dubbio il suo di gusto.

«Che stai facendo?» le chiese guardandola perplesso.

«Sto dabbando».

«E che significa?» Taehyung non era nemmeno certo che quella parola esistesse.

«Oppa dovresti guardare più tv» lo riprese Jelo trotterellando in giro. Quella ragazza non stava mai ferma.

«Tu dovresti vederne di meno» le disse mentre l'afferrava per le spalle e se la metteva davanti.

Le prese le guance tra le mani e gliele strizzò.

La studiò per qualche minuto. «Anche tu hai le fossette, quindi semplicemente è per questo... mi ricorda te».

«Cosa? Chi?» gli chiese Jelo confusa.

«Niente di importante...». liquidò la faccenda velocemente per poi ricordarsi di una cosa. «Jelo?»

«Che c'è?»

«Cosa dice un hacker ad un altro hacker che ha rotto lo schermo?»

«Mi display!»

«Assomigli a troppa gente» le disse Taehyung scoppiando a ridere e strizzandola in un abbraccio strettissimo mentre sua sorella inveiva indignata contro di lui.

«Io non assomiglio a nessuno! E ora mettimi giù barbaro scostumato!»







Dopo che ebbero finito di mangiare mentre Taehyung, ancora ridacchiando, preparava tutta l'attrezzatura che gli sarebbe servita, parlava a sua sorella delle persone che aveva incontrato.

Jelo sorrideva mentre il fratello le raccontava eccitato di quella mattina. Stava funzionando, la sua idea di spingerlo fuori di casa stava funzionando. Si fece i complimenti mentalmente, perché se li meritava.

La ragazza non voleva che cambiasse, lei lo amava esattamente per come era, ma voleva che fosse felice, che si facesse degli amici, che smettesse di guardarsi sempre le spalle, che si fermasse e iniziasse a vivere, e ad amare.

Inoltre un fratello felice, era un fratello meno apprensivo, o almeno lo sperava.

Lo lasciò al suo lavoro e dopo un po' uscì per andare in biblioteca, certo avrebbe potuto compare tutti i libri che voleva, ma le piaceva l'atmosfera ovattata delle sale di lettura, l'odore della carta, i titoli inaspettati che poteva trovare tra gli scaffali stracolmi.

Ormai era una frequentatrice abituale e anche i bibliotecari la conoscevano bene, d'altronde Jelo non passava di certo inosservata.

Quel giorno in particolare aveva deciso di avventurarsi nella sezione di antropologia e cultura locale, senza alcun titolo in mente. Avrebbe sicuramente trovato qualcosa di interessante da portare a casa con sé. Circa una mezz'oretta dopo si diresse con le braccia cariche di libri verso un tavolo libero, aveva trovato molti testi interessanti sul folklore e sull'origine del mito del vampiro, sarebbe stato interessante capire come la mente umana avesse creato simili leggende e cosa le aveva alimentate.

Mentre sfogliava pagine su pagine di antiche testimonianze risalenti all'epoca classica si sedette al suo stesso tavolo una studentessa delle superiori. Si fermò ad osservarla estrarre dallo zaino libri di testo maltrattati, quaderni, penne e matite spaiate.

Poi la vide aprire un libro di matematica e iniziare a fare esercizi, non con molto successo in effetti. Era ferma sul primo da ormai quindici minuti. Si avvicinò a lei, per poter vedere cosa ci fosse di così difficile. Era una semplice disequazione.

«Ti stai dimenticando dei segni, per questo il risultato e sbagliato» le disse osservandola guardare con sguardo vuoto l'esercizio.

Glielo sussurrò sottovoce, indicandole il meno davanti i numeri.

La ragazza si voltò a guardarla sorpresa.

«Tu sai come si fanno?»

«Sì, non è difficile».

«Scherzi vero? Per me è una lingua aliena questa!»

Improvvisamente la ragazza si voltò verso di lei e le prese le mani tra le sue, stringendole forte.

«Ti prego aiutami, so che non ci conosciamo ma in questo momento sono disperata, domani ho una verifica e so a malapena scrivere il mio nome».

Jelo rise sottovoce alle sue parole disperate, era davvero divertente.

«Ve bene, va bene, ti aiuto» acconsentì. Non è che avesse altro da fare.

«Grazie!»

Si lanciò avanti abbracciandola per poi staccarsi da lei e tenderle una mano che la ragazza dai capelli rosa afferrò ancora sorpresa.

«Mi chiamo Lee Haeun e da questo momento in poi la mia media scolastica dipende da te».

«Io mi chiamo Jelo e... cercherò di aiutarti?»

«Jelo, bel nome! Sei straniera?»

«Ho vissuto all'estero per molti anni» disse vaga.

«Deabak! Devi raccontarmi com'è, ma prima salvami, per favore»

Jelo sorrise di nuovo ed iniziò a spiegare alla sua nuova amica come risolvere una disequazione, dimenticandosi delle monografie sul vampirismo e lasciandosi incantare dai racconti della vita scolastica, cose che lei non aveva mai potuto sperimentare, così non aveva mai nemmeno potuto avere amiche della sua stessa età a causa dei continui spostamenti che lei è il fratello facevano.

Ma stavolta era diverso.

Stavolta sarebbero restati e lei avrebbe avuto la sua prima amica.

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