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Capitolo 6

NB:

Riprenderò a pubblicare tutti i giorni, avendo raggiunto un buon punto della storia.

Per impegni lavorativi preferisco lasciare l'orario attorno alle 21, ma conoscendomi non mi prefiggo orari specifici.

Sara.

————

So, you wanna start a war?
Pain is what you desire
The pen is mightier than the sword

Sail among liars
Blame the deniers
If history is dead and gone
Then how did we get here?

——-

Camila's pov

Io mi ricordo tutto.

Sono debitrice al mio passato, in un certo senso: custodisce la parte peggiore di me in un tempo infinito ma irraggiungibile. É come dire: non sarò più quella, ma non potrò mai scegliere di non esserlo. Insomma, non si può scegliere di essere diversi, quindi perché dispiacersi?

Io, se tornassi indietro, rifarei tutto. Se mi pentissi di me stessa adesso, Lauren avrebbe già vinto questa nuova battaglia. Io e lei siamo uguali perché amiamo ciò che la maggior parte delle persone accetta e basta: siamo innamorate dei nostri sbagli.

Per questo non condanniamo quegli degli altri, li rimettiamo solo al giudizio di una corte. Il nuovo giorno ci permetteva di scoprire chi sapeva corromperlo meglio.

Avevo fissato il primo appuntamento con il mio cliente alle otto di mattina. Avevo intenzione di trascorrere l'intera giornata sul caso e volevo farlo partendo da una base concreta. Contano solo i fatti perché sono solo gli unici a far arrossire le menzogne.

«Camila...» Erika si affacciò alla porta dell'ufficio. Non avevo sentito bussare. «Il signor Tackman é qui.»

«Grazie Erika, fallo entrare.»

L'uomo entrò subito senza attendere la parola di Erika. Mi scusai io al posto suo, e lasciai tornare la donna alle sue mansioni.

Il signor Tackman. Alto, dinoccolato, smagrito... Non sembrava il genere di persona di cui aver paura. La cartella clinica nella sua mano era più spessa delle sue spalle, il che non mi sorprendeva ma mi lasciava interdetta.

Gli feci segno di accomodarsi, mentre studiavo discretamente la sua figura nel vano tentativo di immaginarla impegnata in una rissa. L'istinto di sopravvivenza fa miracoli, ma io non credevo alle magie.

«Signor Tackman, é un piacere.»

«Mi scuserà se non é ricambiato.» Il sorriso si trasformò in una smorfia mentre sedeva sulle ossa ammaccate. Gli strinsi la mano, accennando un assenso comprensivo; gli studi degli avvocati sono come quelli dentistici: speri di non doverci andare mai.

«Signor Tackman...»

«Solo Alex.»

«Alex,» ricominciai «Ho letto la sua cartella clinica.»

«Spero sia stato più divertente del compilarla.» Abbozzò un sorriso additando il braccio ingessato.

«É stato necessario. Fratture multiple, un trauma cranico, ha addirittura riportato un danno mnemonico, dico bene?»

«A breve termine, ma lieve. A volte scordo dove ho messo le chiavi, oppure dimentico il motivo per cui esco di casa, ma ricordo benissimo chi sono e ancora meglio cosa mi é stato fatto.»

«Per quanto riguarda lo scordare, potrebbe essere un problema che dovremmo approfondire per non essere presi in contropiede in tribunale.» Segnai un appunto sulla carta. «Invece, sull'aspetto del ricordo, mi dica esattamente come sono andate le cose.»

«Non si fida della mia memoria?»

«Non mi fido della difesa. Faranno di tutto per metterci in cattiva luce, perciò devo sapere tutti i dettagli, soprattutto quelli indesiderati.» Fissai il mio sguardo dentro al suo e scandii parola per parola. «Questo vuol dire che se c'è qualcosa da sapere, é il momento giusto per confessarla.»

«Quello che deve sapere, avvocato, é che sono stato provocato, aggredito e condotto in ospedale privo di coscienza. Questo le basta?»

«Purtroppo no.» Tagliai corto, senza batter ciglio. «Non basterà nemmeno al giudice. C'è bisogno della storia, non solo del finale.»

«Una storia la si intuisce dal finale.»

«Non in tribunale, ahimè.» Incassai le spalle e mi adagiai contro la poltrona. L'attesa era l'unica via.

Alex sospirò e annuì. Non era piacevole ricordare, ma non esisteva altro modo per vincere. La giustizia avviene sempre per mezzo della memoria.

«Stavo bevendo una birra con i miei amici, era una serata tranquilla.» Non finisce mai di stupirmi come ogni cliente tenga a sottolineare quanto in fretta possono cambiare le cose. «Avevamo un po' alzato il tiro, lo ammetto, ma ero ben lontano dal limite. Sono uscito per farmi una sigaretta e ho notato subito un gruppo di ragazzi in lontananza, ma non ci ho fatto caso. Sa come ci si difende: se non ti accorgi di loro, per loro non esisti.» Purtroppo nella mia vita avevo conosciuto la meschinità di Lauren, dovunque questa massima non era applicabile per me, ma cercai di andargli dietro. «Ma loro si sono accorti di me prima che io potessi abbassare lo sguardo. Hanno iniziato a calciare lattine nella mia direzione, a urlare improperi e battutacce. Io non sono mai stato bravo ad abbassare la cresta, era un problema comune in famiglia.» Il ghigno sul suo volto disegna prospettive che dovrò indagare. «Ho risposto con un dito medio e loro sono subito venuti incontro, in gruppo.» I suoi occhi si assottigliano come se cercasse di scorgersi in lontananza. «Sono stato zitto. Sono una testa calda, ma non un'idiota. Cinque contro uno, voglio dire... non è codardia, é sopravvivenza, soprattutto se tutti e cinque hanno svaligiato il bar.» Scuote la testa con un mezzo sorriso, ma sembra una scena già vissuta, già vista... Non comprendo la teatralità della tragedia. Quasi tutti hanno cesellato il dolore, gli hanno lavato la faccia e profumato i polsi. Cosa c'è di sacro nella sofferenza, a parte le lacrime?

«Camila.. Mi scusi, avvocato..»

Con una mano perdonai e sollecitai la sua confidenza. É più facile ottenere onestà se si fidano. É subdolo, forse, ma chi entra qui dentro ha già superato il bene ed il male: si trova perfettamente nel mezzo.

«Insomma, non mi piace ricordare quel momento.» Le mani si sfregarono fra di loro e gli occhi precipitarono lontano dagli occhi. Ecco, neanche ripulito il dolore é meritevole di un faccia a faccia. Se ne teme la crudeltà così come se ne teme la bellezza. Molti non lo accettano fino a questo esatto punto. 

«Alex, capisco benissimo il grande sforzo che ti sto chiedendo di compiere, ma è per il tuo bene. Per rimediare al torto subito possiamo solo opporci con quanta più correttezza riusciremo a scavare da questi ricordi.» Dissi con voce asciutta e pacata.

Il sospiro riempì prima i suoi polmoni e poi l'intera stanza: «Uno di loro sembrava più lucido degli altri e...» Il fremito delle labbra lo costrinse ad una pausa. «E io... io non capivo, non capivo che avrei dovuto, dovuto restare nel mio posto...»

«Con calma, Alex. Metti in ordine i pensieri, abbiamo tutto il tempo necessario.»

Si asciugò il naso rifiutandosi di piangere per la sua stessa rabbia, come una candela con la sua stessa fiamma.

«Lui mi guardava male e io non riuscivo a non difendermi ricambiandolo. Gli altri si sono allontanati, ma lui, lui no. Quando nessuno guardava, ha sferrato il primo pugno. Non l'ho nemmeno visto arrivare. Contraccambiare é stato un istinto più che una scelta.» I suoi occhi si dirigono verso angoli della stanza a cui probabilmente, prima d'ora, non avevo mai fatto caso. Si perde in memorie a me sconosciute, ma intuibili. Infine scuote la testa come per liberarsi da un fischio. Il passato fischia nelle orecchie, lo so bene; un lungo e interminabile acuto che smorza gli altri suoni. Non saprei descriverlo meglio.

«Gli amici del ragazzo sono intervenuti?»

«No.» Pronunciò a fior di labbra, senza fiato. «Ridevano e basta. E per fortuna, direi.»

Annuii. Avevo tante cose da dire, ma il ruolo mi imponeva un solo compito: vincere. Gli affetti personali dovevano essere lasciati come le scarpe fuori casa. Farsi condizionare dalla compassione non avrebbe risolto la vita di quell'uomo, solo agire in suo favore gli avrebbe quantomeno restituito la forza di riprovarci.

«Ti ringrazio per i dettagli. Passiamo al problema della cartella clinica.» Mi accertai fosse pronto prima di proseguire. «Sicuramente la difesa la impugnerà, cercando di farla passare incapace di intendere e di volere.»

«Ma é assurdo! Ho riportato qualche lacuna mnemonica solo a seguito di quella notte, non prima!» La sua fiamma ora bruciava tutta la cera in eccesso; di lui restavano solo parti infiammabili e, dunque, friabili.

«Questo non é importante, non se l'avvocato sa come fare il suo lavoro e, purtroppo, ci troviamo di fronte ad una grande stronza.» Abbozzai un sorriso.

Sbatté le palpebre più volte, farfugliando.

«Dobbiamo essere più stronzi noi, per intenderci, Alex.»

«E questo é un problema?»

«Niente é un problema quando si ha ragione. Sarà solo una rogna. Per risolverla, anzitutto, direi che sarebbe consigliabile, e noti bene che, in questa sede, "consigliabile" é solo un pro-forma... Sarebbe consigliabile iniziare un percorso terapeutico. Una professionista potrà redigere un'attenta revisione delle sue capacità cognitive e sarebbe un buon modo per opporsi agli attacchi della difesa.»

«Non sono mai stato da uno psicologo...»

«Beh, non può essere peggio di un avvocato.» Sorrisi per smezzare l'angoscia, ma il suo sguardo rimase immutato.

«Alex, lei si informi, ci pensi, d'accordo? Io vedrò di recuperare informazioni direttamente dall'ospedale.»

«Perché?»

«Perché abbiamo bisogno di testimoni, e credimi quando ti dico che non saremo gli unici a pensarci.» Lauren stava già manipolando qualche sventurato paramedico, ero pronta a scommetterci la mia credibilità.

«Va bene, Camila. Mi fido di te, non deludermi.» Strinsi la mano tesa e mi congedai marzialmente.

Non era una guerra, ma presto avremmo iniziato a combattere e sapevo di non poter vincere lealmente con chi aveva disseminato il campo di mine. Dunque iniziai a pensare come il nemico e le prime idee sbocciarono colorate.

Mi presentai il giorno dopo all'ospedale. Ci fu qualche contrattempo, ma alla fine mi lasciarono passare. L'autorità spaventa più delle minacce. Mio padre era solito dire che temeva più un avvocato seduto a tavola che un ladro in cantina. Dopo i miei studi ha smesso di raccontare questo aneddoto.

La sezione archivi era presidiata da una donna minuta; nessun problema scendeva mai così in basso. Spalancai un sorriso a trentadue denti mentre le andavo incontro, sperando l'affabilità corrompesse il lugubre corridoio. La donna mi squadrò da capo a piedi prima di darmi il buongiorno.

«Buongiorno, mi hanno indirizzato qui dalla reception. Ho bisogno di controllare un fascicolo... Il nome é...»

«Troppo tardi.» Sicuramente perfetto per noi.

Alzai la testa di scatto, catturando gli smeraldi come unico punto di colore nel grigiore della stanza. Lauren sorride maliziosamente, sventolando il fascicolo nella sua mano. Camuffai un sospiro sotto le braccia conserte.

«Non capisco, Camila. Hai già la cartella del tuo cliente, perché ti serve anche quella del mio?» Si soffermò a qualche passo da me, inclinando la testa per aggiungere offesa alla sua ilarità.

«Lauren, non posso dire sia un piacere trovarti qui.»

«Nel reparto più abbandonato dell'ospedale? Non credo lo sarebbe per nessuno.»

«Su questo siamo d'accordo.» Il sarcasmo si vestì di un sorriso di plastica, mentre raccoglievo la borsa per andarmene.

«Allora? C'è qualcosa che vuoi sapere del mio cliente o non ti fidi del tuo?»

«Non c'è molto da dubitare leggendo le righe della sua diagnosi. Volevo solo informarmi.» Mi strinsi nelle spalle, ma sapevo che abbisognavo più di una manciata di umiltà per disinnescare la sua diffidenza.

«Ti consiglio di impostare la sveglia un po' prima allora, altrimenti finiremo sempre per incontrarci nei posti sbagliati.»

Non risposi, mi limitai ad un sorriso di circostanza privo di interesse. La verità la sapevamo entrambe: nessun posto era giusto se tutte e due eravamo in quella stanza. Stavamo spostando l'attenzione sul tempo e nel luogo sbagliato, su questo aveva ragione. Le sorti si erano già decise, ora dovevamo rivendicarle.

«Beh, ti saluto, Camila.» A metà strada, si fermò per volgersi ancora una volta verso di me: «Non é stato un piacere nemmeno per me.» Ammiccò, poi il rimbombo dei tacchi si portò via la sua presenza, lasciandomi a pesare la sua ombra come tante volte prima.

Non dovevo essere più veloce, ma più cattiva.

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