Capitolo 37
Oh, I always let you down
You're shattered on the ground
Still, I find you there, Next to me
Stupid things I do
I'm far from good, it's true
But still, I find you
Next to me
————-
«Sei stata bravissima. Siamo tutti fieri di te.» Disse Dinah mentre mi aiutava a preparare le valigie.
Sarei stata via qualche mese, ma per noi era il maggior tempo lontano che avevamo mai trascorso. Ogni separazione pare un addio per chi non é mai stato lontano. Lei era l'altra metà dell'insieme, per questo non ci sembrava di dimezzarci, ma di allargare i punti del cerchio.
Normani era venuta ad aiutarci, ma professava un religioso silenzioso, rendendosi quasi invisibile al nostro saluto. Quando finimmo di impacchettare tutto, Dinah si guardò attorno cercando un espediente per contrattare col tempo. Non trovandone alcuno, si accontentò del mio sguardo solidale ma afflitto.
«Vai via solo per qualche mese.» Disse più a sé stessa che a me, muovendo la mano per scacciare le sue di lacrime.
«Ci sentiremo, comunque. E tornerò per il tuo compleanno.» Le diedi la mia parola che contava più di qualsiasi promessa. Lei mi fece comunque giurare.
«Sicura che non vuoi ti accompagni all'aeroporto?»
Scossi la testa: «Grazie, ma meglio se ci salutiamo qui.» Lo facevo più per lei che per me. Saper sopportare quello che per gli altri é intollerabile dovrebbe essere un confine per entrambe.
«Ok..» Dinah passò le mani contro i fianchi, irrigidendosi. «Ok.» Alla fine prese coraggio e trasse il passo che la condusse fra le mie braccia. Molto spesso é qui che inizia e finisce un incontro. «Chiamami spesso, va bene? Cerca di non uccidere nessuno.»
«Perché me lo dici ogni volta che parto?» Ridacchiai nel suo orecchio.
«Perché poi chi ti tirerebbe fuori di prigione?» La colpì scherzosamente sul braccio e quella breve risata permise a tutti i presenti di rallegrarsi.
Era un saluto dispiaciuto, ma più svagato adesso, perché ogni separazione é tollerabile se ci ricordiamo chi siamo. «Devo andare, altrimenti perderò il volo.» Ringraziai Normani per l'aiuto e le sussurrai di starle vicina.
Ero contenta, alla fine, che loro due si fossero trovate. Quasi tutti gli opposti si attraggono per distruggersi, ma quelli che riescono a magnetizzarsi spesso diventavano simili. Almeno loro erano riuscite a non frantumarsi.
Uscimmo tutte insieme dall'appartamento e ci scambiammo ancora un abbraccio prima di salutarci. Loro scesero al piano terra, io mi diressi al garage. Non potevo far a meno di pensare di come spostassi la mia vita quando le cose andavano male, quasi trovassi una soluzione nella distanza da me stessa, ed era una distanza anche fisica. Però non stavo dicendo addio, era solo un arrivederci, e questo mi rendeva più fiduciosa dell'ultima volta.
Trascinai le valigie in auto e impostai la destinazione sul gps. Dinah sarebbe passata a prendere l'auto la mattina dopo per riportarla a casa. Osservai l'imponenza torreggiante di New York assottigliarsi sempre di più, riducendosi piano piano a delle montagne vitree in lontananza. Un po' mi mancava già, ma se tornassimo indietro ogni volta che qualcosa ci manca non troveremmo mai la forza di essere liberi. Continuai ad andare avanti e non mi fermai fino all'aeroporto.
Scaricai impacciatamente le valigie e maledissi la mia testardaggine per non essermi fatta aiutare da Christina. Eravamo rimaste in buoni rapporti, era un'amica simpatica e non mi sarebbe dispiaciuto usare due mani in più. Ma siccome ormai il danno era stato fatto, non avevo intenzione di affrontarlo con la coda fra le gambe... ovviamente. Cercai di darmi un tono mentre trainavo i pesanti fardelli oltre i controlli.
Il mio aereo decollava nell'arco di due ore, ma era già stato diramato un ritardo. Mi accomodai flaccidamente sulle sedute, armandomi di pazienza. Ingannai il tempo scorrendo tra le email dell'agenzia. Per quei mesi Dinah ne avrebbe preso il comando, ma non l'avrei lasciata totalmente nelle sue mani, anche per questioni pratiche. In più, certi clienti si fidavano solo del nome che pagavano direttamente.
Mentre rispondevo ad una delle ultime email, una figura entrò nella mia zona visiva: «Posso sedermi?»
Alzai di scatto il capo trovando Lauren di fronte a me. Inizialmente non diedi importanza alla sua presenza, quasi fosse scontato per il mio cervello ritrovarmi ogni volta nello stesso luogo, ma poi mi resi velocemente conto che fosse alquanto improbabile c'entrasse la fortuna.
«Che ci fai qui?» Insospettirmi era naturale di fronte al suo nome.
«Lo prendo per un sì.» Si mise a sedere accanto a me, trascinando la sua valigia da una parte. Inspirò a fondo, ricambiando il mio sguardo: «Ti devo dire delle cose.»
«Senti, non iniziamo adesso a...»
«Mi devi lasciar parlare.» Si impose categorica, facendomi sbuffare perché aveva ragione.
Infastidita mi relegai nel mio silenzio decretandolo volontario per non dargliela vinta. Lauren si schiarì la voce e continuò a guardarmi anche se avevo girato il mento: «Allora, avevi ragione tu.» Questo si che attirò la mia attenzione, senza trucco o inganno. «Avevi ragione tu quando hai detto che Halsey era la parte migliore di me...»
«Hai delle doti persuasive pari a zero.»
«...Ma, la parte migliore non é quella più vera.» Sospirò quasi ammetterlo fosse un peso. «Lo so che io non ho una parte migliore probabilmente, che ogni volta che provo a cambiare mi ritrovo all'inizio e che la parte più vera di me é anche quella che ti ha ferito di più, ma io mi sento vicina a te anche nel male e soprattutto nel mio male. Questo non vale quanto il bene, forse, ma vorrei davvero che tu cercassi di fare quello che hai fatto sempre per me: vedere oltre il mio peggio.»
«Ne hai bisogno perché da sola non ci riesci. Hai bisogno che io la veda per te, ma non cambierà niente se non lo farai da sola.» Mi sembrava il rumore di sottofondo amplificasse solamente i nostri bisbigli. Mi sentivo esposta anche nel caos.
«Non ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a essere migliore, ma di qualcuno che creda che io possa esserlo. E tu più di tutti puoi farlo perché ci sei riuscita prima di me. Sei cambiata e io sono sempre questa.» Fece una pausa. «Ma non c'è cattiveria nella mia identità, non più. Mi sento solo intrappolata in un dolore che non é il mio, ma che appartiene al tempo e che il tempo stesso non sa curare.»
«Ed é il dolore che ti ho causato io?»
«Forse, ma é più il dolore che ho causato io a te. Pur di non vedere cosa ho fatto, divento ancora peggiore e non voglio, non voglio più.» Dichiarò austera, incapace di vedersi diversamente da come si era immaginata.
Rimirai a lungo i suoi occhi e non captai niente oltre la cruda sincerità, ma l'onestà basta per curarsi? Per qualcuno ogni verità é comunque troppo tardi. E per noi?
«Non lo sopporti, vero?» Domandai sommessamente.
«Che cosa?» Aggrottò la fronte.
«Non poter dividere le colpe. Non potermi additare come la cattiva perché sei stata tu a rovinare tutto. Sapere che, anche senza i miei sbagli, non sai essere buona.» Nella sincerità c'è sempre un po' di vendetta, ma la mia stanchezza non prevedeva cattiveria.
Sospirò sonoramente, rimirando mi con intensità: «Forse non sono il massimo della bontà, ma so cosa sia l'onestà...»
«Ah!»
«...E sono pronta ad impararla e a praticarla.» Terminò, lanciandomi uno sguardo sinistro per il mio sarcasmo, ma come si può ascoltare delle scuse indifferenti alle loro colpe?
«Non lo so, Lauren.» Scossi la testa in un sospiro. Si, in realtà lo sapevo benissimo, solo che non si é mai pronti ad ammettere di aver desiderato una debolezza. E cederle nuovamente la mia mano era la fragilità per cui impazzivo di gioia. «Sono contenta tu voglia migliorare, ma io sto partendo e starò via per almeno sei mesi e..»
«Sei mesi sono perfetti.»
La guardai sospirando: «Lauren, non ti chiederò di aspettare sei mesi per...»
«Chi ha parlato di aspettare?»
Feci un rapido calcolo e tutti i conti iniziarono a tornare. La valigia, l'aeroporto, il tempismo della chiamata di Ally, il monito di Dinah... tutto pareva dirmi che ero stata l'unica a non sapere cosa stesse succedendo.
Arricciai le labbra, schioccando poi la lingua contro il palato: «Da quanto tempo lo sapevano le altre?»
«Due settimane.» Non provò nemmeno a negare, forse perché la sua elegia demandava schiettezza: «Indipendentemente da come sarebbe finito il processo, io avrei capito ogni tua scelta... e avevo preso la mia.» Spiegò naturalmente, chiarendo la sua presenza.
«E cosa farai in California per sei mesi?» Scossi la testa, forse cercando di vedere quanto facile fosse dissuaderla.
«Ah, non te l'ho detto?» Quel breve silenzio mi tenne in sospeso il fiato: «Mi hanno chiesto di sostenere un cliente durante un lungo processo. A quanto pare l'avvocato della difesa é una vera stronza.» Un sorriso disegnò i suoi intenti.
Per qualche secondo rimasi interdetta, ma la sua espressione maliziosa non aveva segreti: «Non é vero.»
«É vero. Sarò l'avvocato della tua controparte.»
«Dio, non é vero!»
«Non sei contenta? Guarda che sarà un ottimo modo per confrontarci.»
«Per confrontarci?! Tu sei impazzita!» Ero sconvolta dalla semplicità con cui affrontava l'argomento, come se non ne fossimo uscite appena intere.
«Capiremo come risolvere le nostre divergenze e dividere la vita privata da quella professionale. Mi sembra perfetto.»
«Ah certo! Ti sei già fatta una mappa mentale di come rovinarmi l'esistenza doppiamente.»
«Guarda che a casa i piatti li lavo io.»
«Ma quale casa?! Di cosa parli? Non posso farlo.» Scossi energicamente la testa, ma cercavo di liberarmi da un desiderio più che di obiettarlo.
«Smettila di dare matto, sarà ottimo per noi.» Afferrò la mia mano nella sua proprio mentre chiamavano il nostro volo.
Io continuavo a farneticare, ma lei non aveva lasciato la mia mano. Stavamo entrando in un nuovo inferno forse, ma stavolta giurava di risalirlo al contrario, insieme.
«Io non sono sicura di poter ricominciare tutto.» Dissi seriamente, perché ogni fatica pretende speranza ed io ne avevo persa molta in noi.
«Lo so,» annuì senza tagliere a mezzo nessuna colpa che spettava solo alla sua fedina, «ma non pretendo tu lo sappia adesso.» Mi rimirò con lo sguardo di un colpevole dopo la prigionia.
Si può ancora condannare un redento? Un uomo sconta la sua pena per essere di nuovo un uomo, volevo toglierle questo principio relegandola all'impunità? Non era da me, non più almeno, desiderare il male di chi non aveva saputo fare il mio bene era come uccidere con il coltello ancora sporco del mio sangue; c'era più prigionia nella rabbia che nel perdono.
Ci alzammo per dirigerci verso il nostro gate e, anche se avevo scelto, dovevo rendere la mia decisione più grezza possibile per lavarla dall'orgoglio:
«Lauren però te lo dico, ho bisogno di tempo e di spazi. Iniziamo già dal volo: tu ti siedi in cima e io in fondo.» Le dissi, ma gli scherzi mi uscivano sempre male quando ero felice.
«Io in cima? Certo, così se l'aereo cade muoio io.»
«Ah, quindi per te sarebbe meglio se morissi io?!» Sbottai, guardandola di traverso.
«Non ho detto questo...» Si corresse timidamente.
«Si, hai detto questo.»
«Non ho detto questo, oddio. Quando fai così sei insopportabile, ma perché non mi ascolti invece di camminare?»
«Perché mi hai già stancato. Ma pensa te cosa devo sentire...»
«Puoi aspettarmi? Almeno dammi la mano... Camila, io dicevo solo che...»
Fine.
————
Ciao a tutti!
So che non ve l'aspettavate questo fosse il finale della storia, ma io sentivo il bisogno di terminarla. Ho anche provato ad aggiungere dei capitoli, ma non riuscivo più a scrivere niente, e non penso ci fossero neppure altri nessi logici con la storia.
Ho scritto una specie di epilogo, un po' diverso da un capitolo direi, e lo farò uscire domani.
Vi ringrazio molto, dunque. Per aver seguito la storia, per averla commentata e votata e per essere arrivati qui.
A presto,
Sara.
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