Capitolo 34
Paint me a picture
One where I have finally cried myself clean
Show me a future
Oh, one where I am forgiven and free.
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Atterrammo a Miami in tempo per la cena. Mia madre era stata avvisata dell'ospite in più, ma non della sua identità. Faticò meno di un minuto per riconoscerla e ancora meno per sbiancare. Credo sia difficile dimenticare il volto di chi ha ferito tua figlia. É così per ogni mamma.
Ma non fece domande, aprì la porta indossando la sua miglior maschera, ma io notavo la porcellana nel suo sorriso. Avremmo avuto tempo per parlarne più tardi.
Cenammo tutti assieme e, dopo cena, Lauren portò Sofia a fare una passeggiata sulla spiaggia. Io mi trattenni con mia madre, a cui le spiegazioni erano dovute.
«Cosa.. voglio dire... Il problema non é che é una ragazza, ma che é proprio quella ragazza.» Sbarrò le pupille forse perché ad occhi aperti gli incubi terminano. Ma era proprio dove il nostro iniziava.
«É una lunga storia.» Premisi, occhieggiandola di sottecchi.
Si strinse nelle spalle guardando il vuoto della casa attorno. Il silenzio mi incoraggiava a raccontargliela.
«Non so dirti come sia cominciato. So però come é finito il mio odio. Ho conosciuto Lauren adesso e quando mi guardo indietro non la vedo più come é ora. Quando guardo a quel tempo, sono solo dispiaciuta che non ci conoscessimo per ciò che sappiamo ad oggi.»
Non é così che finisce ogni rancore? Non riconoscendo la persona che si ha davanti. É un lusso che capita a pochi crescere, un privilegio che spetta solo ai fortunati cambiare. Ma il vero miracolo é cambiare ammettendo di aver sbagliato.
Ogni cuore che hai ferito meriterebbe una tua preghiera, anche quello di cui hai dimenticato il battito. Gliela dovrai sempre. Anche quando crederai di aver fatto ammenda, gliela dovrai anche allora.
Questo spiegai a mia madre più degli eventi in sé, ma credo che certe parole non siano comprensibili per chi non le ha incise sulle proprie cicatrici. Non gliene feci una colpa. I fatti, però, li carpì al volo. Fu quasi surreale per lei ascoltarli ed elaborarli; da me si aspettava il peggio, ma non aveva mai pensato che faccia avesse tale male. E poi, come ogni mamma dovrebbe fare, accettò la situazione -anche se impiegò un po' di più a comprenderla.
Io e Lauren passammo giornate intere in spiaggia o a leggere sulla mia o sulla sua veranda. Taylor disse di averlo capito da quando Lauren aveva dichiarato di non sopportarmi: "lei odia solo ciò che può cambiarla", disse. Sette anni dopo avevo capito perché e finalmente quel cerchio destinato all'infinità si era chiuso in un altro. Perché non è vero che il cerchio può solo proseguire in tondo, a volte continua il suo giro annettendosi ad un altro e alla fine noi siamo solo catene a cui leghiamo l'esistenza.
Io non credevo (e nemmeno adesso lo credo) di aver cambiato Lauren. Non penso che una voce basti a renderti diverso almeno che non sia la tua. Al massimo avevo sentito il suo grido e proveniva dalla stessa mia frattura. Ognuno di noi ha delle intercapedini di dolore, caverne dove gli echi continuano a rimbombare ma solo pochi potranno sentirli e sono quei pochi a dirci che va tutto bene, che ora si può uscire fuori perché nessuno ci farà male e se lo farà non sarà invano.
E io avevo ferito lei. E lei aveva ferito me. Ma eravamo tornate dove ci eravamo odiate per sederci a piangere. Ci eravamo curate del nostro stesso male ed era stato solo quello a cambiarci davvero: vedere prima le nostre mani della ferita.
Non mi aspettavo le cose fossero facili o improvvisamente diverse, ma nemmeno le rifiutavo per come erano al momento. Avevo smesso di perdere i momenti per l'ideologia del passato. Tutto ciò che è passato ha fatto una strada e di questo almeno dovrebbe avere il merito.
Una sera, dopo aver pulito i bicchieri e i piatti, stanai Lauren seduta sulla spiaggia davanti a casa sua. Era qualche giorno che spariva dai rader per un tempo indefinito e poi si materializzava davanti ai tuoi occhi come se non fosse andata mai altrove. Terminai il mio compito casalingo e mi diressi verso la spiaggia.
«Ehi.» Mi sedetti accanto a lei. Forse voleva stare sola, ma ormai era troppo tardi.
Sorrise tenuemente quasi il sale avesse corroso la sua spontaneità. Non mi chiese niente e non mi disse niente, ma non mi scacciò via.
Aspettai qualche minuto prima di parlare, poi dissi: «Stai bene?»
«Si, no... Stavo pensando.» Feci dei vaghi cenni rendendomi un'intrusa nei suoi pensieri.
«E preferisci non ti chieda niente...?» Ero brava a rispettare il dolore in silenzio, ma quando dovevo trattarlo non sapevo se servissero schiaffi o carezze.
«No anzi, prima o poi dovrai comunque chiederlo.» Virò lentamente la testa verso di me, accennando un sorriso quasi non credesse di aver avuto tutto quel tempo per non parlarne.
Mi accigliai, scuotendo flebilmente la testa: «Di che parli?»
«Ma tu ci hai mai ripensato all'ultimo giorno di sette anni fa?» Rimase statuaria mentre lo chiedeva. Non aveva più paura.
Io rimasi impassibile invece non per strenua bensì per gelo. Adesso che eravamo lì, perché stava parlando nuovamente di un nostro ieri?
«Credo di averci pensato se abbiamo faticato tanto ad arrivare qui.» Convenni, perché era scontato non avessi perdonato senza lottare. D'altronde, chi può?
«Si, ma... Hai mai rivissuto quel giorno?»
Anche qui concessi qualche secondo alla risposta: «Poche volte. Nessuno vuole rivedersi soffrire, immagino.»
«Io ci ho ripensato spesso. Era vero, quando me lo hai chiesto, che avessi pensato ogni giorno della mia vita a quello che avevo fatto.» Annuì guardando l'orizzonte perché laggiù forse si trovava un luogo che le ricordava sé stessa. «Però io ci pensavo sapendo la verità e tu vedendo solo ciò che ti avevo fatto.»
«Lauren, mi sto perdendo.» Ammisi, scuotendo il capo per evitar il mal di testa.
«Si, lo so.» Prese un bel respiro profondo e mi disse: «Ti devo raccontare la storia per come é andata veramente.»
Intontita e allarmata annuii.
Lauren inspirò guardando davanti a sé, sperando il mare le portasse un'onda di salvataggio.
«La professoressa ed io non avevamo alcuna storia. Non c'è mai stato niente fra noi. É sempre stata solo lei a volerlo. Non so da quanti mesi mi domandava di uscire, di bere qualcosa... Io non ero interessata, ma quella donna ha preso un'ossessione. Non sapevo a chi dirlo e come dirlo, quindi non l'ho raccontato a nessuno. Mi vergognavo per lei, ma anche per me. Ti senti così quando ti fanno un torto a cui non sai porre rimedio. Credimi, io glielo ho detto tante volte di lasciarmi in pace, ma quella sera alla festa ho alzato il tono per sfinimento. E così lei mi ha baciato, ma non era ricambiato.» Si strinse nelle spalle. Ecco come l'unica verità a cui ti eri aggrappato ti lascia cadere nel vuoto dei tuoi anni.
Assimilai la storia, cercando di ricordare quella notte, ma erano ricordi sfumati che la mente aveva appannato per cura. Mi concentrai sulle parole di Lauren e, per quanto avrei dovuto dire tutt'altro, mi venne in mente una sola cosa: «Quindi la cattiva sono io.»
Lauren scosse energicamente la testa: «No, la cattiva sono sempre io.» Scandì ogni parola come se non avesse finito di raccontare. Era così. «Avrei potuto recuperare quel video, consegnarlo a chi di competenza e stringerti la mano. Invece, quando ho avuto quell'informazione tra le mani, ho capito che non sarei mai stata corretta. Potevo sbarazzarmi di entrambe in un colpo solo e l'ho sparato senza pensarci.» Mi guardò dritto negli occhi, ma era così tanto da processare che non riuscii a capirci molto di come mi sentivo. «Voglio che tu sappia questo. Io avrei potuto evitarlo, ma non l'ho fatto.»
«Perché me lo dici adesso?» Sussurrai senza fiato.
«Perché se vogliamo stare vicine, dobbiamo renderci conto delle cose per come stanno.» Ergo, non voleva essere amata a metà. Aveva ragione.
«Lauren, si sarebbe potuto evitare tutto a prescindere.» Dichiarai tranquillamente, rassicurandola. «Tu non hai meno colpe di me. Avrei potuto portarti il video, chiederti spiegazioni... invece pure io ho colto un'occasione per come la volevo vedere. Eravamo giovani e i conti tornano per questo.» Scrollai le spalle reclinando la testa di lato.
«Aspetta.. Tu non, non sei arrabbiata?» Mi fece ridacchiare il suo farneticare, quasi mi vedesse come il mostro sotto al letto o avesse solo timore di perdermi.
«Sono stanca di essere arrabbiata per chi non ho saputo essere.» Dichiarai, sospirando come se un peso adesso fosse stato sbriciolato. «Non credi?»
Lauren mi rimirava attonita. Fra tutte le possibilità che aveva calcolato, questa non era fra quelle. Annuì sconvolta ma soddisfatta, infine fece scivolare un braccio dietro le mie spalle e mi attirò a sé.
Guardai il passato saltare su una scialuppa e salvarsi lontano da noi, ma purtroppo il mare ci circonda e prima o poi ciò che hai lasciato andare torna indietro più arrabbiato di prima, per ogni naufragio a cui lo hai costretto.
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