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Capitolo 32



They'll talk about us
All the lovers
How we kissed
And killed each other.

————

Dopo quella settimana infernale, agosto si preannunciava un mese tremendo per più motivi. Per prima cosa, la data prestabilita dal tribunale si approssimava ed ero riuscita a parlare e a convincere favorevolmente solo uno dei testimoni di quella sera. Scavando nel passato sia di Alex che di Charles non avevo trovato granché. Nessuno dei due aveva un trascorso da attaccabrighe, il che infittiva quella faccenda ancora di più. Capita a chiunque di perdere il controllo, ma certi limiti vengono raramente superati una sola volta: o hai coraggio per una seconda volta o la prima difficilmente avviene. Per questo dubitavo della loro candida reputazione. Qualcosa non tornava, eppure i conti non era difficili farli: due costole rotte, un trauma cranico, un braccio rotto... La somma erano guai seri.

Il secondo grattacapo, era dato dalla cena prefissata di Dinah. Avevamo in programma quella sera da mesi. Ally aveva addirittura prenotato un aereo per esserci. Non potevo sottrarmi, ma avrei preferito uno schiaffo ad un incontro ravvicinato con Lauren. Non era stata precisata la sua presenza, ma dal momento che l'unica amica di Normani era la mia nemesi, non faticavo a convincermi di come avremmo trascorso la serata. Mi sarei rallegrata con un goccio d'alcol... ovviamente senza esagerare. Adesso c'era da capire se anche Halsey sarebbe stata presente. Stentavo a credere la ragazza avesse la libertà di prenotare un aereo da Chicago a New York durante l'alta stagione, ma di loro sapevo ben poco -ed era già troppo anche il minimo.

Il terzo ed ultimo motivo, erano i miei genitori. Durante il mese di agosto celebravano il loro anniversario e più volte avevano negoziato la mia presenza a Miami per qualche giorno, sempre uscendone a mani vuote. Dopo l'ultima vacanza però, avevano dei sensi di colpa da ripagare. Speravo il telefono suonasse il più lontano possibile, ma non era incerto avvenisse.

La prima rogna era stata sistemata dopo aver fissato un colloquio col proprietario del bar. La seconda grana si apprestava ad appianarsi proprio quella sera.

Per quanto desiderassi improvvisarmi malata, conoscevo l'ostinazione di Dinah e sapevo quanto insistente potesse essere anche con i moribondi. Optai per un abito, ma più sobrio dell'ultima volta. L'unico dettaglio suadente erano le spalle completamente esposte e prive di spalline. Per il resto il colore nero snelliva le mie sinuosità e slanciava le mie gambe, ma niente di più. Dinah si era candidata come autista per la sera, ma avevo gentilmente respinto la richiesta. Preferivo scegliere autonomamente quando fosse il momento di salutare tutti.

Dopo la sfuriata nell'ufficio di Lauren, non avevamo più interagito. Né faccia a faccia né per vie telematiche. Il silenzio era molto famigliare nel nostro rapporto, ma da un po' di tempo aveva un peso diverso. Non era arduo per due come noi sopportare l'assenza dell'altra; lo facevamo da tutta la vita e con gran piacere. Era però difficile contrattare con i dubbi. Si accetta più facilmente una perdita quando si hanno le idee chiare.

Non fui l'ultima ad arrivare all'appuntamento, ma nemmeno la prima. Non desideravo comunque essere né l'una né l'altra. Dinah mi fece cenno da lontano. Trattenni il respiro nel registrare la seduta accanto a Lauren vuota, ma poi Normani ci raggiunse dopo aver trovato parcheggio. A quanto pareva Halsey non si sarebbe unita a noi. Abbracciai lungamente Ally e mi limitai ad un saluto generico per tutte le altre, così da non escludere o pretendere fin da subito.

Quando anche noi ci fummo sedute, ordinammo. Io e Lauren schivavamo magistralmente lo sguardo dell'altra, se non fosse stato per le sue inequivocabili trappole tese quando meno me lo aspettavo proprio per catturarmi in fallo. Non so cosa auspicasse nei miei occhi, ma lo avrebbe trovato arroventato. O le piaceva bruciare o troppo tempo nel fuoco l'aveva resa ignifuga.

Normani e Dinah ci intrattennero, raccontandoci della loro prossima vacanza. Fortunatamente a questa non eravamo invitate. Ally si aggiornò sulla sua vita matrimoniale, che a suo dire andava a gonfie vele. Io e Lauren restammo in silenzio durante il sunto sentimentale; tutto quello che avevamo da dire ce lo eravamo urlate in faccia o lo avevamo sepolto per sempre nei nostri però.

«Halsey come sta?» Ally tentò di mediare fra il niente e il concesso, mirando ad una via di mezzo.

«Immagino bene.» Fu relativamente vaga la corvina, confondendo tutti i presenti. «La verità è che ci siamo lasciate.» Annuì fra sé e sé, chiarendo la situazione.

«Aspetta, cosa? Ma quando?» Schiuse la bocca Dinah, passando in rassegna i volti sperando di non essere l'ultima, almeno stavolta, a saperlo. A parte il mio sguardo, erano tutti attoniti.

«Beh, da un po', in effetti...» Cerchiò l'aria con la mano, alzando gli occhi al cielo come per contare i giorni a cui non badava. «Si, insomma, dopo San Diego abbiamo... abbiamo chiuso.» Si strinse nelle spalle. O era brava a dissimulare il dolore o le sue lacrime erano deserto.

«Ma perché?!» Squillò Ally. La sua era incomprensione più che interesse.

«Perché... Perché.» Si rigirò quella parola in bocca come se potesse orientarla nella direzione giusta per rispondere. Inspirò a fondo, ma ebbi l'impressione non riuscii a riempiersi i polmoni prima di parlare: «Perché a volte il tempo confonde il ricordo con la persona e quando succede, prima o poi, si scopre non piacersi così tanto.»

Il silenzio inebetito fu mare per le sue parole, galleggianti alla deriva della nostra comprensione, ma sospinte verso terra dalla nostra umana curiosità: «Ma chi ha lasciato chi?» Pose la fatidica domanda Ally, scuotendo la testa fra un interrogativo e l'altro.

Lauren si prese qualche secondo prima di sentenziare: «Io. Ho chiuso io.» Annuì energicamente, come se ancora nemmeno lei credesse alla facilità con cui aveva avuto coraggio. Ci vuole forza per vedere oltre un desiderio e scoprire che preferivamo sognarlo che viverlo.

«Wow.» Pronunciò con enfasi Dinah, ma un piccolo sorriso increspava la forma dei suoi pensieri sottaciuti.

Era difficile non rivolgere le occhiate verso la mia direzione, ma io mi ero fatta piccola e silenziosa proprio per eluderle. Malgrado la notizia, credevo ancora nella massima per cui ogni scelta di Lauren non avrebbe contemplato il mio nome. Soprattutto se l'evento si era verificato dopo San Diego, fatale punto di rottura per le nostre futili speranze. Avevamo capito che l'odio si poteva sedare, ma che non c'era amnistia per la fiducia. Puoi perdonare qualcuno anche senza vederlo allo stesso modo. E credo la nostra conversazione avesse significato proprio quello, ma ammetto di aver assecondato il mio brivido quando Lauren dichiarò la notizia.

«Beh, immagino ci sia un buon motivo per bere allora.» Propose Normani, versando il vino nei nostri calici. Non potevo essere più d'accordo.

La cena proseguì senza intoppi. Io e Lauren non scambiammo neppure una parola, furono solo sguardi e neppure voluti. So che la corvina aveva qualcosa da dirmi, lo intuivo dalla sua riservatezza, dal modo in cui pretendeva le casualità fossero involontarie. Una mano sulla stessa bottiglia, una parola detta nello stesso momento... Era una causa della sua smania, non delle coincidenze. Avevamo bisogno solo di qualche bicchiere in più per legittimare le nostre scelte sbagliate.

A metà serata non era ancora abbastanza, ma almeno avevamo ripreso il nostro vecchio gioco di sarcasmo e astio. Ci rivolgevamo all'altra solo se potevamo infastidirci, altrimenti tornavamo a non parlarci. Quando spostammo la serata in un pub, io
volume della musica ci diede un motivo per non sforzarci.

Mentre le altre ridacchiavano e sparlavano, io mi diressi al centro della pista per godermi i risultati della mia spensieratezza. Ondeggiai liberamente, spregiudicata e smaliziata, seducendo solo le note della notte. Mi piaceva il modo in cui tutto si capovolgeva senza rovesciarsi, mi sentivo come il vino sull'orlo del mio bicchiere. Lo mesciai prima di gustarlo fino in fondo, dopodiché mi ripromisi di non riempirne più. Dinah venne a ballare con me forse per accertarsi la mia volontà fosse solida; aveva il tipico atteggiamento di chi teme la prima volta non sia stata abbastanza.

Verso la fine della serata, mi resi conto di non essere ancora in grado di guidare: «Chiamerò un uber.» Rassicurai Dinah, ma gli occhi della donna non acconsentirono.

«Non farò andare in taxi una donna brilla.» Scosse la testa con fare materno. Sembrava più mamma lei di Ally, quando si trattava di me.

«Dinah, la nostra auto ha solo due posti.» Informò dispiaciuta Normani, sgridandola per farle fare la figura della cattiva.

«Si, lo so.» Le mise una mano sulla spalla per rincuorarla, «ma quella di Lauren ne ha almeno tre liberi.»

I nostri sguardi scattarono all'unisono verso l'altra. Per una volta non avevamo un'idea diversa. «Ah io, credo- si insomma- ...infatti non penso... -é inutile, posso chiamare...»

«Okay!» Ci riportò all'ordine. «Chiameremo un Uber per Camila e se domani mattina finirà in prima pagina, la colpa sarà solo di Lauren. Che problema c'è?» Dinah si affrettò a comporre il numero, ma la mano della corvina coprì il suo schermo.

«Sei un bravo avvocato.» Mormorò con un sorriso tirato.

«Lo so.» Sorrise compiaciuta Dinah, inguainando la sua arma tecnologica.

Ci salutammo. Accompagnammo Ally fino al suo hotel e poi proseguimmo a piedi fino alla macchina. Lauren non disse niente, anzi. Accelerò il passo distaccandomi. Dovevo essere io a non tollerare la sua vicinanza e non il contrario, ma in qualche modo riusciva sempre a rendere la mia ferita una colpa.

Il tragitto in macchina fu lento e silenzioso, fin quando non sentii le gambe molli e New York divenne una giostra. «Accidenti.» Portai una mano sugli occhi per fermare il capogiro.

«Che c'è? Stai male?» Lauren sfiorò la mia mano per osservare il danno sottostante. Feci del mio meglio per risultare indenne, ma le mie guance esamini e la pelle imperlata rovinarono l'alibi.

«Cazzo.» Mormorò la donna a fior di labbra. «Devi vomitare?»

«No, sto bene.» Mi volsi dall'altra parte.

«Cazzo, devi vomitare.»

«Ho detto che sto bene!» Ribadii inalberata. Più lo pronunciava più faticavo a convincermi del contrario.

«Beh, hai detto una cazzata.» Mi pungolò indispettita.

«Puoi solo guidare in silenzio?» Proferii digrignando i denti.

«Scusa se mi sono preoccupata per te.» Sospirò esasperata, aprendo leggermente i finestrini per far circolare aria o per salvaguardare i suoi interni.

«Preoccupati del codice stradale.» Conclusi.

Lauren roteò gli occhi al cielo farneticando qualcosa fra sé e sé, poi, per compassione, tacque. La commiserazione era l'unica eccezione alla sua arroganza. Quando arrivammo sotto casa, la terra mi vorticava ancora sotto i piedi. Avevo controllo di me, ma non dei miei sensi. Non scesi dall'auto nonostante fosse ferma e questo motivò la sua parlantina.

«Hai bisogno di una spinta?»

«Ho bisogno che tu stia zitta.» Le mostrai un sorriso per non mostrarle i canini.

Anche se aveva un caratteraccio e usava il sarcasmo come unico filtro per tutte le sue emozioni, so che in fondo non avrebbe mai peggiorato la situazione fimo alla stremo, ragion per cui scese dalla macchina e mi aprii lo sportello: «Ti accompagno su.»

«Ce la faccio.» Precisai categorica, ma anche nella mia negazione era nascosto il suo contrario.

«Lo so che ce la fai. Adesso andiamo.» Mi tese la mano e il suo sguardo intransigente non ammise replica. Sospirai affettandola.

Mi sorressi a lei anche mentre salivamo in ascensore. Sopraffatta dalla stanchezza e annebbiata dall'alcol, riposai il capo sulla sua spalla. Avvertii i suoi muscoli irrigidirsi, ma rimase immobile. Certi movimenti avvenivano solo sotto pelle, ma chissà da quanto. Capii allora, in quello spazio angusto e in un secondo sfocato, che la nostra violenza era solo dolcezza senza voce.

Lauren mi scortò fino alla porta, quindi si assicurò non avessi bisogno di niente prima di congedarsi. Avrei volentieri rifiutato, ma i miei passi erano ancora una vertigine, dunque le chiesi se per favore potesse versarmi un bicchiere d'acqua prima di defilarsi. La corvina non si tirò indietro, ma la colsi a deglutire. Non era mai entrata in casa mia prima di allora. Era un altro confine intimo abbattuto.

Mi sedetti sul divano mentre con la voce guidavo Lauren verso la cucina. Tornò dopo qualche secondo con un bicchiere pieno. «Grazie,» dissi, immergendo lo sguardo nel mio riflesso per non gravitare su di lei.

«Avevamo detto niente alcol.» Disse sommessamente ma con tono austero.

«Non avevamo detto niente perché non parliamo da tempo, perciò...» Scrollai le spalle per tarare il dispiacere dal fastidio.

«Abbiamo parlato nel mio ufficio poche settimane fa.»

«No, abbiamo litigato nel tuo ufficio.» Precisai, mogia per la mia condizione fisica, ma più di quanto volessi apparire in quella conversazione.

«Diciamo che tu hai urlato e io mi sono tappeta le orecchie.» Le scoccai un'occhiata sinistra, ma trovai il suo mezzo sorriso a difenderla. Ok, un po' faceva ridere...

«Non ti chiederò scusa...»

«Non mi aspettavo lo facessi.»

«...Dovresti essere tu a chiedermelo.»

Lauren si stampò un'espressione stupita ma anche offesa, quasi il mio commento la insultasse. Era abbastanza intelligente da saper di aver sbagliato, ma il suo orgoglio non sarebbe sceso a compromessi senza un inchino da parte del mio. Era così fra noi: una agiva se l'altra ringraziava.

«Ti ho già spiegato come sono andate le cose.» Sottolineò placida, ma scandendo parole e intenzioni.

«Si, lo so.» Cantilenai, ondeggiando la testa da una parte all'altra come una bilancia con due pesi. «Ma questo non ti giustifica. Anche se ti fosse stata tesa una trappola, hai pensato solo al tuo bene e non al mio.» Notai le sue sopracciglia aggrottarsi, quasi fosse la prima volta che comprendeva l'origine della mia rabbia. Non era orgoglio e tantomeno supponenza, era delusione. Prima che potesse fraintendere o ancora peggio, carpire ogni verità, la dissuasi con il mio solito sarcasmo: «Non che mi aspettassi altro da te.»

Lauren roteò gli occhi al cielo, ma fu quasi contenta di farlo. I vecchi giochi sono più confortanti delle nuove regole. Quando però le ciglia sfarfallarono verso il basso, la corvina aveva ancora un sospiro in sospeso che condivise apertamente: «Non so cosa sia successo. Insomma voglio dire... Non lo so, forse mi sbaglio io, ma ad un certo punto mi sembrava che noi fossimo davvero vicine.» I nostri sguardi si legarono con l'intensità che solo la mezze verità sanno unire. Stavamo leggendo fra le righe e c'era scritto che ogni silenzio avrebbe solo riecheggiato le parole non dette.

«Si, è vero.» Ammisi. «Ed è lì che hai rovinato tutto.» Sarei stata migliore se non avessi usato il coltello con il quale prima mi aveva ferito lei, ma ambivo solo alla verità e mi spiace dire che fra noi non c'era verità senza sangue.

Lauren inspirò a pieni polmoni, accusando il colpo con la compostezza di cui era detentrice. Spezzarsi ma non cadere, un altro gioco in cui eravamo pedine e attori. «Ti riferisci ad Halsey?»

«Mi riferisco a quello che sai. Adesso comunque sto molto meglio, perciò ti ringrazio ma credo sia meglio che tu vada.» Mi drizzai in piedi, fronteggiandola. Non volevo restasse, non volevo andasse via e non sapevo quale delle due mi avrebbe fatto più male, così scelsi quella a cui ero ormai assuefatta.

«Sa di noi.» Le parole sdrucciolarono in un unico tempo. 

Rimasi inerme, indecisa se compiacermi o irritarmi. «Come lo ha saputo?» La mia voce era fievole, a dispetto di tante altre occasioni in cui ci eravamo trovate vicine.

«Glielo ho detto io.»

«Sei impazzita?!» Squittii, ma la mia esuberanza era solo stupore.

«Lo aveva capito. Quando sei andata via da San Diego, abbiamo parlato. Le ho detto che ad un certo punto non ci eravamo odiate più come prima...»

«Parla per te.» Sussurrai.

«...E che quindi -i suoi occhi mi bacchettarono- ci eravamo scoperte più simili di quanto avessimo creduto mai. E poi... le ho raccontato di Chicago.»

«Aspetta, vi siete lasciate per questo?» Forse la mia smorfia trasmise orrore, ma era incredulità. Avevo pensato di essere l'ultimo dei suoi pensieri e ora mi scoprivo bugiarda e meschina con me stessa.

«No, no. Ci siamo lasciate perché credevo che avere una persona buona accanto potesse aiutarmi ad essere migliore. Ma questo non è amore e soprattutto non mi aiuta a scoprire come migliorarmi, anzi... nasconde solo ciò che avrei potuto fare diversamente.» Si strinse nelle spalle. Comprendevo i suoi ragionamenti, ma c'era comunque un sottinteso da districare con cui mi ero legata le mani.

«Comunque... Si, è meglio che vada.» Mormorò fra sé e sé, recuperando il cappotto. Si approssimò a me per raggiungere la porta. «Continua a bere. Acqua. Continua a bere acqua.» Si corresse provvidenzialmente, strappandomi un sorriso fin troppo tenue; ero ancora sommersa nei miei pensieri per dar retta alla realtà. «Buonanotte, Camila.»

Fece un passo nella direzione opposta, ma la mia mano la trovò prima che avessi deciso cosa dirle. I suoi smeraldi corsero dalle dita agli occhi, disegnando un punto interrogativo lungo tutte le mie sinuosità. Balbettai confusamente, senza trovare giuste parole alla mia indecisione. Alla fine portai la sua mano sul mio fianco e mi alzai leggermente sulle punte per baciarla. Lauren non si scansò, ma non approfondì il contatto, quasi temesse potessi cambiare idea una volta tornata, letteralmente, con i piedi per terra. Scoprì di sbagliarsi. I miei occhi rimasero incollati ai suoi anche quando mi distanziai. Aspettavo prendesse una decisione che io avevo già sottoscritto.

«Te ne pentirai domani.» Bisbigliò scuotendo la testa senza alcun convinzione.

«Beh.. è già domani.» Carezzai la sua guancia, lì dove immaginavo di morderla. Non c'era gentilezza fra noi che non prevedesse un po' di forza.

La corvina trattenne respiro e pensieri per sé, infine ricambiò il bacio con più foga di prima. Le permisi di trascinarmi più vicina a lei. Sentivo il suo corpo dopo tanto tempo, ma era la prima volta che lo desideravo senza capricci. Stavamo per trascorrere una notte senza odio, in cui tutto il piacere sarebbe stata una nuova paura.

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