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Capitolo 31



You can change him, but I know you won't
The devil doesn't bargain,
He'll only break your heart again
It isn't worth it, darling, he's never gonna change.

————

Era la seconda volta che tornavo a New York con qualcosa da sanare dentro di me. Speravo non divenisse una tradizione, ma ogni pessima abitudine era la mia preferita. Non in questo caso, no.

Mi ero dedicata interamente al lavoro, soprattutto al caso di Alex, per il quale ancora faticavo a trovare testimoni e prove. Mi domandavo come mai fossero tutti così refrattari. Ogni uomo ha qualcosa da nascondere in un tribunale, di questo ero certa, ma avevo una pessima sensazione addosso.

Comunque le settimane passavano e i miei pensieri si sgombravano sempre di più, fino a non emettere alcun rumore. Era una novità potermi distendere nei miei pensieri. L'ultima conversazione con Lauren mi aveva fatto capire, una volta per tutte, che non avrebbe mai scelto me. Ci sono perdono che si pagano cari, a volte addirittura vite intere. Credo fosse il nostro caso. Eravamo cresciute, eravamo migliori, ma non era abbastanza. Non si può incolpare una ferita della profondità. L'unico dispiacere era l'aver cicatrizzato la mia. Se almeno avesse continuato a sanguinare, avrei potuto ricordare a me stessa perché non fosse una buona idea. Invece.

Ma ecco, il mio cruccio si riduceva ad un "invece" ora che la sapevo irraggiungibile. Io non inseguivo mai ciò che non mi voleva, ero sicura che correre avrebbe smarrito il mio sentimento prima del tempo. Però devo ammettere di essermi trovata già a metà strada e alcuni sentieri sono più difficili da percorrere all'indietro che in avanti.

Per questo non facevo altro che lavorare, lavorare e lavorare. Dinah era rientrata in ufficio pochi giorni dopo la mia scomparsa silenziosa. Non era arrabbiata per il biglietto che le avevo fatto recapitare in camera, né tantomeno per l'imposizione della mia solitudine, più che altro la sua ostilità era scaturita dalla mia irriducibile necessità di farcela da sola. Avrebbe voluto starmi vicino, ma non permettevo a qualcuno di avvicinarsi alle spine del mio silenzio. Nemmeno a me piaceva a stare con me stessa quando tutto si ammutoliva. Ma io non potevo salvarmi dal modo in cui mi rimarginavo, quelli a cui volevo bene si.

In quel periodo, anche mentre uscivo per discutere con altri clienti, comunque ricevevo telefonate e proposte da giornali per il caso di Alex. Non era un vespaio, ma faceva gola poter parlare di qualcosa di irrisolto, così qualcuno poteva dar credito all'opinione di chiunque avesse voglia di aprire bocca. Io non volevo immischiarmi in questo ginepraio, così rifiutavo cordialmente e proseguivo la giornata. E andò avanti per un po' in questo modo, finché una sera Dinah mi chiamò.

«Camila, forse non é il modo più giusto per dirtelo,» quando iniziava così sapevo già di dovermi preoccupare, «ma dovresti accendere la televisione su NBC.»

Presi il telecomando e seguii il consiglio.

«Brutta bast...» Strinsi i denti registrando Lauren sullo schermo.

Per mezzo secondo le concessi il beneficio del dubbio che fosse stata invitata per altri casi o ragioni, ma il titolo sopra la sua testa sbugiardò ogni sospetto.

«Ma come le viene in mente di parlare del nostro caso in televisione?!» Abbaiai al telefono, ma in realtà volevo solo urlare.

«Tecnicamente... non c'è niente di "vostro".» Fece una pausa in cui balbettò impacciata, «Intendo nel caso.» Anche senza specificare, non c'era andata lontana.

Dissi a Dinah che l'avrei richiamata più tardi. Mi sistemai in pole position sul divano, alzando il volume della televisione. Il presentatore del talk show introduceva il caso legale come fosse sua competenza. Alcuni volti conosciuto, ma sprovvisti di facoltà legali si allineavano in prima linea pronti col discorsetto preparato la sera prima. Lauren restava statica e autoritaria. Quando parlava lei nessuna voce le si accalcava sopra. Si tennero molto marginali all'argomento, interpellando Lauren solamente per le questioni più spinose, senza però chiedere un suo parere. Non durò molto.

«... Quindi, se ho ben capito, il suo cliente é la parte lesa?» Si informò il presentatore, di cui riconoscevo i baffi ma si sfuggiva il nome.

«Esattamente, Peter. Anche se, per circostanze legali, non posso dichiarare quale delle due parti sia realmente condannabile. Questo spetta ad un giudice.» Certo, fai pure la parte della moralista, come se ti piacesse, pensai serrando la mascella.

«Ovviamente, qui condividiamo solamente un pensiero.» Puntualizzò Peter, forse per metterla tanto a suo agio da cavarle ciò che voleva.

«Io credo che, per quello che ad oggi sappiamo, il suo cliente abbia alzato un po' troppo il gomito.» Intervenne una delle ospiti, tingendo la sua calunnia di sorrisi. Lei mi stava simpatica.

«E chi non lo fa?» Azzardò Lauren giuliva, ma solo io sapevo quanto tagliente fosse la sua cordialità.

«Beh, chi poi si mette a cercare rogne.» Insistette la donna, mostrando le mani per chiarire le sue intenzioni innocenti, ma non venne graziata dallo sguardo bieco di Lauren.

«Il mio cliente é stato aizzato dalla situazione, di questo siamo tutti consapevoli. Ma non si può dichiarare colpevole qualcuno che si difende.» Si sollevò un brusio generale in studio che attirò gli occhi della corvina da tutte le parti. Ecco perché non mi ero messa in quella situazione. Stupida. Non ero arrabbiata con lei, non del tutto. Ero dispiaciuta si fosse lasciata trascinare in un covo di serpi.

«Se qualcuno si difende da un'accusa verbale con un attacco fisico... mi dispiace ma non lo reputo innocente.» Postulò la donna, portando la mano al cuore quasi stesse parlando con modestia. Nessuna arringa é umile.

«Per fortuna lei non é un tribunale.» Concluse la corvina, provocando un chiacchiericcio che Peter sedò con un sorriso.

«Va bene, mi sembra di capire che non tutti siamo d'accordo e non tutti potremmo mai esserlo.» Evidenziò, forse per tranquillizzare una o zittire l'altra, ma comunque non mi piacque. «Ogni avvocato hai i suoi metodi, giusto? A questo proposito, ci tengo a specificare che avevamo invitato anche l'avvocato della controparte, la signorina... Cabello, ma il nostro invito é stato declinato più volte.» E per fortuna, sorrisi sconvolta dalla sua sicumera. «Lei ha avuto a che fare con la signorina?» Peter rivolse direttamente la domanda a Lauren.

«L'avvocato.» Lo corresse perentoria.

«Certo.» Mormorò a denti stretti, trasformando il suo sorriso in una tagliola.

«Si, ovviamente. Ci siamo confrontate più volte per il caso.» Dichiarò serenamente la corvina, come se non capisse dove stesse andando a parare con quella banalità.

«E che ne pensa di lei?»

Lauren si accigliò sorpresa: «Mi scusi, ma cosa c'entra questo con il caso?»

«Oh, niente, ha ragione.» Si scusò senza alcuna convinzione, quindi estrasse un documento dalla sua pila: «Ci tenevo a saperlo perché a quanto pare avete studiato insieme, a Miami, mi sbaglio?»

Scattai in piedi, trafelata. Nonostante l'inflessibilità della donna, nel suo sguardo si mesceva paura e stupore, che non sono mai un buon compromesso per una soluzione.

«Non capisco come quest'informazione possa essere utile.» Mormorò a denti stretti, giungendo le mani davanti a sé per non usarle in altro modo.

«Beh, una delle due é andata ad Harvard e l'altra é qui.» Ridacchiò assieme ai suoi ospiti.

«Vuol dire che il mio diploma vale meno del suo?» Inarcò un sopracciglio, sfidando la sua pazienza.

«Oh no, intendo dire che le vostre strade si sono separate molto da quei tempi. Mi chiedevo come mai due buone amiche si trovino in posizioni così opposte e soprattutto se sia consono.» Si strinse nelle spalle ma la sua innocenza era sporca di meschinità.

«Non siamo mai state buone amiche.» Evidenziò Lauren, sbiancando le nocche, «Solo perché abbiamo frequentato la stessa scuola per qualche anno, non significa che...»

«Per qualche anno? Si, ecco, infatti mi pareva di aver capito che la signorina Cabello.. L'avvocato Cabello, chiedo scusa, mi pare di capire non abbia terminato gli studi nella sua città natale. Dobbiamo presumere Harvard sia stato talmente ammirato da volerla prima?» Il sorriso mefistofelico sul suo volto avrebbe convinto anche un santo a visitare l'inferno.

Lauren non si era mai fatta problemi, infatti, a scendere così in basso. Fu facile per lei. «L'avvocato se ne é andata perché é stata espulsa.»

«Brutta figlia di...» Balzai in piedi, stringendo i pugni, ma in realtà ogni mio muscolo era in tensione.

«Espulsa dice?»

«Basta, ho finito qui.» Si tolse il microfono e lasciò lo studio.

Aveva preso tutto da me, ma non le avrei permesso di portarmi via niente di quello che avevo riconquistato. Se voleva giocare sporco, ne avrebbe dato spiegazione alla mia collera.

                                      *****

La mattina dopo, la mia rabbia non si era sopita in alcun sogno. Guidai fino all'ufficio della corvina con gli stessi pensieri minatori del giorno prima.

Normani stava impartendo ordini alla segreteria quando spalancai la porta d'ingresso. Mi diressi alla scrivania dove le due stavano disquisendo, ignorando l'espressione esangue della donna.

«Dov'é l'ufficio di Lauren?»

La segretaria fece spola tra me e Normani, cercando di capire quale fosse la cosa giusta da fare.

«Camila...» Intervenne prudentemente Normani, ma l'azzittii con la mano.

«Me lo dici tu o lo trovo da sola?» Di nuovo l'inesperienza della ragazza la fece tacere.

«In fondo al corridoio sulla sinistra... Aspetta, fermati un attimo.» Normani era già contrita della sua insubordinazione, ma sotto sotto credevo fosse più simile a noi di quanto volesse far vedere; non le dispiaceva lo sgomento. «Camila.» La sua mano mi afferrò, ma mi dimenai.

«Me la vedo con lei.» Le puntai un dito sotto al naso, consigliandole, fra le righe, di stare alla larga.

Normani sospirò afflitta, ma non ebbe da ribattere. Mi lasciò proseguire la marcia senza ostacolarmi.

Quando arrivai alla porta indicata, l'aprii senza remore e la richiusi con un tonfo che non fece trasalire la corvina solo perché conscia di cosa l'attendeva. I nostri sguardi si intrecciarono come a braccio di ferro, ma il mio livore prevaleva sulla sua volontà. A grandi falcate dimezzai la distanza che ci separava.

«Camila, ascolta...» Tentò di ragionare, ma le mie mani le erano già addosso.

«Come ti é saltato in mente?!» Le grifai in faccia, scuotendola per trovare una giustificazione alla sua stupidità.

«Non volevo, credimi. É stato involontario e inaspettato.» Il suo tono imperturbabile mi innervosiva ancora di più. Per lei niente valeva la pena di un litigio.

«Volontario e inaspettato un cazzo!» Mi affannai, insufflandole la mia rabbia direttamente in faccia. «Fra tutte le cose che avresti potuto dire, proprio questa ti é venuta in mente?!»

«Mi stavano facendo apparire come un'idiota!»

«E quindi dovevo assomigliare a te?»

«No, io...» Sospirò abbadando lo sguardo. «Io non mi sono resa conto di cosa ho fatto prima di farlo. Ma devi stare tranquilla. Quella storia non é riportata da nessuna parte, non troveranno niente.»

«Non mi interessa! Non dovevi nemmeno correrlo questo rischio! Ci hai esposte entrambe pur di fare una bella figura. E io che mi illudevo fossi addirittura cambiata, brutta stronza!»

«Adesso basta.» Agguantò le mie mani nelle sue. Istintivamente allentai la presa sulla sua giacca, ma non la lasciai andare. «Non ti farei mai del male di proposito. Lo sai.»

«Come se fosse la prima volta.» Sibilai.

«Sei ingiusta adesso.» Nella sua voce qualcosa si ruppe, ma erano gli stessi vetri con cui mi tagliava dopo.

«Tu sei stata giusta invece, no?» Distillai il risentimento in un sorriso paradossale.

«No, non lo sono stata.» Addolcì la voce. Quella soffusa inflessione mi fece intendere a cosa si riferisse. «Ma tu sei migliore di me, lo sappiamo da sempre.»

Non so se fossero le ultime speranze di un condannato a morte, se fosse la testimonianza di un sospettato o l'ammenda di un criminale, ma c'erano voluti anni per sentirselo dire e l'effetto non si avvicinava lontanamente alla sua illusione. Forse non mi sentivo più tanto migliore di lei, ma probabilmente non mi importava più dal momento che la vedevo come una persona nuova.

La lasciai andare spingendola, quasi non riuscissi a disfarmi di lei senza forza. «Lauren, non ti azzardare mai più a parlare del mio passato, oppure scaveremo due tombe belle profonde.» Minacciai sommessamente, poi mi dileguai per dimenticare sia la delusione che l'impeto. Non sapevo più quale vaso riempiesse l'altro.

Pensavo avessimo già toccato il fondo, ma fra di noi era una caduta senza il riposo della fine, e avevamo appena saltato il baratro.

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