Capitolo 30
We're the same soul
I don't need to hear you say
That if we weren't so alike
You'd like me a whole lot more.
————
La mattina dopo fu come svegliarsi da un sogno molto lungo di cui si ricordava la trama, ma non tutti gli eventi. La sera precedente ero stata un'altra e la notte un'altra ancora. Adesso non sapevo chi delle due fossi o se dovessi aspettarmene una terza. Speravo la giornata me lo avrebbe svelato, ma era troppo presto per saperlo.
La prima grande impresa della mattinata era infatti alzarsi dal letto con le proprie gambe. La mente inviava stimoli agli arti, ma ogni parte di me era una grande assenza. Dovevo ringraziare solamente la mia testardaggine se non smisi di provarci. Mi trascinai fino al bagno, dove riscoprii il piacere di una doccia fredda. La pelle, rabbrividendo, si ravvivava. Ad occhi chiusi le immagini ritornavano più nitidamente, mischiandosi all'acqua. Scorrevano su di me fluentemente, sciacquando via tutto ciò che avevano portato. Quando il ricordo del bacio mi affiorò alla memoria, premetti la mano sulla bocca per impedire alle gocce di portarsi via tutto tutto...
Eppure giuravo di voler dimenticare, con l'ardore e la rabbia di cui ero capace, ma la mia stessa pelle mi rendeva bugiarda. Strappavo i petali del mio desiderio, ma dimenticavo le radici e poi mi sorprendevo ricrescesse laddove era morto. L'ultima cosa che volevo era che fosse lei, ma l'unica cosa vera in cui non trovassi bugie era il suo nome. Avevo sempre conferito questa trasparenza all'odio; la collera brucia ogni cortina rendendo impossibile non riconoscersi nell'altro. Solo allora comprendevo che per vedersi bisogna somigliarsi, e non può certo essere il disprezzo a renderci obiettivi. Nel nostro caso era la natura. Ci aveva fatte e pensate perfettamente identiche. Ogni sua mossa falsa, era una mia paura. Ogni mia brama, era la sua passione. Ogni nostro desiderio cominciava lì dove avevamo promesso di non incontrarci mai, eppure non si può stare a lungo lontano da ciò che si è, e niente ci rendeva noi stesse come le nostre proibizioni: ciò di cui ci priviamo é ciò che ci tiene in pugno.
Dinah venne a bussare alla porta quando ancora ero in accappatoio. Ally le dava manforte. Il suo sguardo non pareva euforico come il giorno prima. Portai me braccia conserte e mi afflosciai a capo chino contro l'uscio. Aspettai le loro accuse ma ricevetti solo sospiri. Mi feci da parte per farle entrare.
Ally si andò a sedere sul divano, mentre Dinah marciò avanti e indietro per la stanza. Ero ancora frastornata per agevolare la sua restia. «Senti, Camila,» cominciò modulando il tono, come se dovesse imbrigliare un cavallo imbizzarrito, «so che per te le cose non sono facili, ma non voglio temere di vederti morire davanti a me.»
«Sono svenuta.» Precisai, massaggiandomi le tempie.
«É uguale! É stato terrificante e non siamo qui per morire di paura.» Sospirò dopo un breve sbuffo. So che la sua apprensione era aggressiva, ma non avevo intenzione di chiedere scusa per il male che facevo a me stessa.
«Dinah, non preoccuparti. Nessuno sta morendo o ha intenzione di farlo durante questa vacanza.» Sfruttai il sarcasmo per non stuzzicarla troppo audacemente. Non funzionò.
«Ascoltami bene, Camila,» venne verso di me col dito intirizzito, «non so cosa stia succedendo nella tua testa, non vuoi dirmelo? Perfetto. Ma sei la mia migliore amica e io ti terrò lontana da qualsiasi cosa sia.» Sibilò. La sua minaccia era una precauzione, la sua furia una preoccupazione. Dopo un'occhiata truculenta, mi attirò in un abbraccio caloroso.
Mi sentii smarrita ma lo sguardo affabile di Ally mi indusse a ricambiare. Appena la tensione si fu sciolta, Dinah mi agganciò il viso fra le sue mani e lo anche se fu cauta nello scuotermi avvertii la nausea: «Eri così ubriaca da aver chiesto aiuto a Lauren.» Entrambe emisero una risatina priva di coscienza. Abbozzai un sorriso divertito, ma tenni gli occhi bassi. Forse da così vicino Dinah carpì un movimento anomalo perché le sue sopracciglia si infittirono.
Mi divincolai gentilmente dalla presa con un espediente: «Facciamo che... mi finisco di cambiare e vi raggiungo per pranzo.»
«Ottima idea.» La mia attitudine propositiva dissipò le incertezze, sollecitando le due a lasciarmi sola.
Tirai un sospiro di sollievo. Dovevo ancora riprendermi dagli avvenimenti della sera prima per poterne parlare, soprattutto perché la stanchezza non era complice delle bugie. Mi chiedevo perché dopo tutto quel tempo mentissi ancora per salvaguardare il buon nome di Lauren. Ciò che era successo poteva solamente macchiare la sua reputazione e non la mia. Se avessi avuto in mano quella possibilità qualche mese prima, non avrei esitato a sfruttarla. Non mi sembrava di aver aspettato altro, ma adesso tutte le attese avevano un volto nuovo. Mi dicevo agissi correttamente solo per preservare tutto il buono che avevo riparato fin a quel momento, ma la giustizia, in quel caso era, era una bilancia senza piatto: non puoi pesare la tua stessa anima.
Scesi di sotto più in ritardo di quanto avessi garantito, ma ogni promessa vale un dubbio. Stavano già mangiando, ma avevano riservato un posto per me; addirittura Dinah si era prodigata per riempirmi il piatto.
«Buongiorno,» salutai tutte con aria contrita, leggermente paonazza. «Beh, a quanto pare vi devo delle scuse.»
«Ah!» Mi azzittì Halsey, indicandomi il piatto ancora pieno, «non a stomaco vuoto.» Un sorriso affettuoso prosperò da lei a tutte le altre. Lauren no, lei teneva gli occhi sulla sua forchetta.
Mi accomodai goffamente, imitando la corvina. Non alzai la testa finché non ebbi finito la mia porzione, ma durante tutto il tempo percepii delle occhiate giungermi furtive e con la stessa fugacità le ricambiai. Lauren forse sperava avessi dimenticato l'epilogo della nottata, ma avrei scordato tutto tranne quello. Non era sentimentalismo, bensì buonsenso. Mai offuscare i dettagli di un crimine, si potevano confondere i criminali altrimenti e nella nostra storia avevamo già un errore di ghigliottina. In cuor mio, anzi ancora più nel profondo, nella mia coscienza, sapevo di ricordare per ben altre ragioni, ma la sincerità é solo una malattia se si deve restare lontani. E così mi beavo del mio inganno senza smascherarlo, perché ogni menzogna é onesta finché la raccontiamo nel modo giusto a noi stessi.
«Camila, ti senti meglio stamani?» Chiese Ally, tendendomi una mano per ribadire la sua solidarietà.
«Si, mi dispiace... Non bevo mai, non sono abituata.» Gesticolai per nascondere il mio imbarazzo, ma avevo una faccia colpevole.
«Fa' niente. L'importante é che tu stia bene.» Mi rassicurò Normani con tono piatto, ma, ancora una volta, facendomi sentire meglio.
«Si, anzi, grazie per l'aiuto.» Addussi francamente toccata.
«Ah figurati, siamo solo contente che né l'alcol né Lauren ti abbiano ucciso.» Ridacchiò Dinah, coinvolgendo forzatamente la silenziosa corvina.
Ci scambiammo uno sguardo intenso ma docile; la profondità non era più rancore, bensì segretezza. Si che mi aveva ucciso, ma in una maniera che nessuno avrebbe osato immaginare mai: con commozione. Forse ero viva, ma c'erano parti di me che si erano addormentate per non svegliarsi più e se di questo non si potevano comminare le mani di Lauren, era comunque una condanna pendente dalle sue labbra.
«Non ancora.» Commentai sorridendo, spezzando quel momento per farle un favore.
Mi era debitrice di tanti attimi in cui avrei potuto rovinarla e invece avevo scelto di aiutarla, ma era un conto che non mi aspettavo saldasse. Forse in cuor suo pensava le fosse dovuto il mio redento altruismo, ma ogni peccatore si stanca di chiedere scusa ad un Dio che non risponde.
La corvina era visibilmente a disagio. Pestava gli avanzi del piatto con la forchetta, senza nessuna intenzione di mangiarli. Dinah tentò di intavolare una conversazione consapevolmente forzata, e noi reggemmo il suo gioco, ma Lauren si alzò in piedi di scatto e si congedò: «Scusate devo, io... Ho finito.» Si involò a grandi passi fuori dalla stanza. Halsey, con maggior compostezza e calma, la seguì.
I timidi sguardi si irretivano fra loro senza cercare il mio come se dovessero decidere qualcosa che riguardava anche me. Dinah sbottò prima di aver un verdetto: «Si può sapere che diamine succede!» Rimasi silenziosa, ma sapevo la domanda fosse per me. «Io capisco che ci siano dei dissapori in questo gruppo vacanze, ma non é possibile che ogni volta in una stanza debba uscire una ed entrare l'altra.» Sospirò gravemente quasi quel peso se lo portasse dietro da tempo immemore. «Siete adulte ormai! Se avete un problema, parlatene da sole e risolvetelo.»
«Lo abbiamo fatto.» Intervenni, spazientita ma temperata.
«...Beh, a quanto pare non ha funzionato.» Dinah era più stupita che stizzita, ma ormai seguiva la scia della sua impronta per non sfigurare.
«A Chicago abbiamo creato un problema più complicato del primo, in qualche modo.» Mormorai, allontanando il piatto perché ormai la fame mi era passata.
«Ah, perfetto! Quindi che cosa è successo a Chicago di tanto irrisolvibile?» Suonò al limite del sarcasmo.
Non dissi niente, ma alzai gli occhi su di loro. Il mio silenzio sembrò quasi una conferma per Ally più che una rivelazione, ma lo sguardo di Dinah non cambiò. «Beh?!» Sollecitò. La lingua non veniva in mio soccorso. Come si poteva descrivere qualcosa che si odiava con parole gentili? Non sapevo se quella notte fosse stata la mia rovina o la mia scoperta, ma non ero pronta a raccontarmelo senza scegliere e non volevo fare una scelta che in ogni direzione mi feriva.
«Dinah...» Ally venne in mio ausilio. Si schiarì la voce teatralmente, poi inclinò lo sguardo in un sospiro scontato.
Dinah aggrottò le sopracciglia prima di sgranare gli occhi. Mi parve un cerco in mezzo alla strada senza via di fuga. «Oddio,» sussurrò esterrefatta, «oddio!» Rincarò più disgustata. «Ma sei impazzita?! Sei stata posseduta da qualche entità diabolica, spero!»
«Dinah, forse dovremmo solo... stare nel nostro.» Fu dolce Normani nel dirle di rispettare il suo posto, ma comunque incassò un'occhiata macabra.
«Fammi capire, lo sapevano tutti tranne io?»
«No, io lo avevo intuito, ma non ho mai chiesto conferma.» Confessò Ally, quasi scusandosi per la sua perspicacia.
«Me lo ha detto Lauren.» Dichiarò Normani quando gli occhi inquisitori della ragazza si puntarono su di lei.
«Certo che te l'ha detto, é la tua migliore amica!» Esplose, ma nella mia direzione invece che nella sua.
«Dinah, non volevo dirlo a nessuno. Nemmeno a me stessa. Ancora oggi, quando me lo racconto, non so se credermi.» Mi stampai un sorriso sornione solo per non permettere allo stupore di bagnarmi gli occhi.
Non volevo piangere, ma era tanto che aspettavo quelle lacrime. Non ero più dispiaciuta per aver desiderato ciò che odiavo, perché non lo odiavo più. Ma in qualche modo, smettere era stato più difficile che cominciare.
«Dovremo lasciarle un po' di tempo.» Suggerì parsimoniosa Ally, intimidita dalla reazione di Dinah, ma con la mano sulla mia.
«Tutto il tempo che vuole.» Sindacò Dinah, balzando in piedi senza nemmeno salutare.
«Le passerà.» Mi rassicurò Normani.
«Non é lei che mi preoccupa.» Ammisi con un sorriso mesto.
Dopo pranzo, ciondolai per qualche tempo in spiaggia e poi mi stazionai al bar. Non avevo intenzione di ripetere gli errori della sera prima, così mi accontentai di un analcolico. Mentre gustavo il sapore della pesca fresca e dell'ananas, mi scoprivo leccare le labbra in cerca di un altro sapore. Avrei voluto dire di odiarla per quella debolezza, ma l'avevo già condannata in passato per ogni mia fragilità e sapevo bene di non esserci neppure vicina alla stessa acrimonia. L'unica cosa, però, che disprezzavo più della mancanza di rispetto era la smania per qualcosa che non fosse mio. In questo speravo di risvegliare il rancore sopito, per darmi una ragione per andare avanti.
«Posso sedermi?» La corvina so materializzò accanto a me, sorprendendomi quasi la sua presenza fosse connessa ai miei pensieri.
Annuii una sola volta. Lauren si accomodò sullo sgabello accanto a me. Con un cenno educato ordinò qualcosa di più forte del mio. Le venne servito del buon whisky. Ironicamente brindò col mio bicchiere, scolando avida il contenuto. Un denso silenzio si insinuò sopra di noi, ma in qualche modo non mi sembrava non stessimo parlando.
«Halsey pensa che sia troppo stressata per il processo.» La sua non fu solo un'informazione, ma uno schema di condotta. Halsey non sapeva niente, questo era quello che dovevo carpire.
«Non ha tutti i torti.» Arrabattai un sorriso.
Lauren annuii solennemente, ancora immersa in un pensiero non condiviso. «Camila...»
«No, conosco quel tono.» La precedetti, per niente contenta di dovermi sorbire le solite scuse di sempre.
«Ma mi dispiace davvero.» Sputò ugualmente, quasi quelle parole le riempissero la bocca senza farla respirare.
«Si, lo so.» Adesso fui io a brindare contro il suo vetro, rubandole un po' di whisky dal suo bicchiere. Io non ero mai la ragazza del dopo, era sempre e solo la ragazza dell'adesso. Oltre, non era per me. Oltre c'era qualcun altro. Non potevo avere niente di duraturo oltre le scuse.
Lauren non protestò mentre saggiavo il suo whisky, ma non ne fu soddisfatta. Ricalcò il segno delle mia labbra con le sue. Mi chiesi se fu accidentale.
«Camila, io e te ci distruggeremo in un minuto.» Scosse la testa incredula; come potevamo credere il contrario?
Inchiodai i miei occhi ai suoi, annuendo lentamente: «Un minuto che non vivremo mai.» Stavamo dicendo addio al nulla e faceva comunque male.
«Insomma, noi non ci sopportiamo. Per esempio, io odio il tuo modo di importi come se avessi ragione a prescindere.» Condì la sua lamentale con un sorriso.
«Beh, io odio il tuo modo di sentirti superiore senza ascoltare gli altri.» Risposi, alzando le spalle per addolcire di simpatia il mio astio.
«Cin-cin.» Lauren trangugiò il suo bicchiere, chiedendo al barman di riempirne altri due. Me ne servì uno; quello che stavamo facendo non poteva essere più nocivo di quello che bevevamo.
«Non sopporto quando mi ignori, come se la tua vita fosse perfetta solo senza guardarmi.» Nella mia voce c'era meno risata e più schiettezza.
«Non mi piace per niente quando ti spingi oltre il tuo limite per punirmi.» Il tono si era incattivito. Brindammo per buttarlo giù.
«Odio, odio che tu ti creda migliore solo perché fai vedere ad Halsey la parte buona di te.»
«Con lei le cose sono facili.» Mi puntò il dito contro, come se la colpa fosse mia.
«Certo che sono facili! Tu non gliele rendi mai difficili! Vorrei sapere come ti vedrebbe se le facessi la metà di quello che hai fatto a me.» Un sorriso sardonico mi morse le labbra.
Non c'è cosa peggiore di sapere quanto una persona possa essere gentile con qualcuno che non sia mai tu.
«Io non so se vorrò mai babysitter e famiglia e una casa sulla spiaggia.» Tutte possibilità che non mi contemplavano. «Ma non voglio neppure farmi male all'infinito.» Soffuse la voce, sospirando dentro i miei occhi. Quello sì che mi riguardava.
Stavolta brindai io, spegnendo il bruciore con un altro fuoco.
«Non lo so, Lauren. Non mi hai mai dato la possibilità di farti solo del bene, sono sempre dovuta stare sulla difensiva con te.» Limai un sorriso gentile, ma non so se ci fosse delicatezza adeguata per dire a qualcuno che era stato più cattivo di quanto credesse.
«Questo non é un bene per due che si baciano come noi.» La sua dichiarazione mi spiazzò.
Forse era un bene volersi anche in mezzo all'odio, forse era un male piacersi quando davamo il peggio di noi, ma una cosa era sicura: quando hai conosciuto la parte più brutta di qualcuno, lo hai già visto per ciò che é. Quante persone, a questo punto, non hanno bisogno di altri occhi?
«Avrei voluto essere migliore anche per te. Invece adesso qualcuno mi ricorderà più per il male che ho fatto che per il bene.» Scosse la testa per occultare gli occhi lucidi. «Non ne vado fiera.» Mai un sorriso era stata più desolato.
«Non ti preoccupare,» misi una mano sulla sua, «sto già iniziando a dimenticarti.» Strusciai il palmo sulla sua mano come una carezza, ma me ne andai senza guardarla negli occhi.
Avevo già deciso di tornare a casa a quel punto, ma non glielo dissi, altrimenti mi avrebbe convinto a rimanere. Solo in quel momento realizzai che la verità non cadeva mai in piedi, si spezzava perfettamente in due: fra rancore e rimpianto.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro