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Capitolo 27


In life, in love, this time I can't afford to lose
For one, for all, l'Il do what I have to do

Lover, hunter, friend and enemy
You will always be every one of these

————

«Siamo qui!» Esclamò Dinah, trascinando Normani per la mano dentro il mio ufficio.

Il grande giorno era arrivato. Ci si preparava ad un processo avvincente e non privo di colpi di scena. Eravamo tutti abbastanza coscienti di essere solo alla prima battuta e di dover proseguire in un secondo momento la battaglia legale, ma comunque gli animi erano fervidi e l'adrenalina cancellava la malinconia.

Mi sentivo bene come non succedeva da tempo, ed ero sicura fosse solo ed interamente per l'epinefrina in circolo. Quella era la parte di me che nessuno avrebbe portato via, nemmeno chi mi aveva in mano.

«Dinah é qui, io devo andare altrove.» Precisò Normani, sorridendo un po' dispiaciuta un po' maliziosa.

«Ah, stai andando dal nemico, eh.» Dinah le rivolse un'occhiata torva ma spiritosa, al che Normani le diede un bacio. Si voltò verso di me, stringendo un pugno incoraggiante nella mia direzione: «Buona fortuna.»

La ringraziai col sorriso e la salutai con la mano. La seguii fino alla soglia della porta, come se da i suoi passi potessi indovinare dove l'avrebbero condotta. Appena l'uscio si richiuse, sfarfallai le ciglia ripulendole dalla fantasia.

«Allora, come ti senti?» Mi riscosse Dinah, ma con l'unica domanda alla quale non avevo un'unica risposta.

«Sono contenta di poter mettere a frutto le mie fatiche.» Aggruppai il materiale necessario e consultai l'orologio. In meno di quaranta minuti avrei incontrato Alex. In poco più di un'ora avrei rivisto Lauren.

«Io sarò in aula. Non voglio perdermelo. Ovviamente tifo per te.»

La ringraziai e mi avviai verso l'uscita assieme a lei. Raggiungemmo con la stessa macchina il tribunale. Ally ci chiamò a metà strada per farci un augurio. Dinah l'avrebbe aggiornata via via.

Alex mi aspettava fuori dall'aula. Sembrava più emozionato che preoccupato. Forse non comprendeva la gravità della situazione o aveva riposto troppa fiducia in me. Non che io non ne avessi, ma era ancora tutto da decidere.

Io ed Alex ci spostammo in una stanza riservata per disquisire degli ultimi particolari. Gli ingiunsi di non fare di testa sua, se non desiderava firmare un assegno per il resto della sua vita. Probabilmente la mia fermezza non era abbastanza per zittirlo, ma un salasso funzionava sempre.

Ci presentammo alla corte in tempo. Ero talmente determinata e focalizzata da aver quasi dimenticato che non erano in discussione solo le sorti della sua vita, ma anche quelle della mia storia. Quando Lauren entrò, non mi girai a controllare se fosse lei; lo sapevo già. Era il nostro vecchio gioco, riconoscerci in ogni stanza.

La corvina andò a sedersi al suo tavolo assieme al suo cliente. Quest'ultimo mi salutò, mentre Lauren tirò a dritto. Solo una volta sistemate le sue cose ed essersi accomodata, si voltò verso di me. Mi forzai a non incrociare il suo sguardo tenendo la testa dritta davanti a me, però troppa finzione tramandava dispetto e non volevo si sentisse tanto importante. Virai con calma la testa nella sua direzione, flemmatica e imperturbabile.

I suoi smeraldi mi ricordavano i tempi peggiori della mia vita, ma anche momenti di felicità. La odiavo più per i secondi che per i primi, perché nella sua rabbia non c'era illusione. Mossi un cenno e lei ricambiò, infine deviammo lo sguardo sul giudice. Ironico, era la prima volta che ci rivedevamo e lo facevamo nuovamente da avversarie; non avrei trovato momento migliore.

«Buongiorno a tutti, seduti prego.» Era tutt'altro che un buon giorno. «Oggi discutiamo il caso del signor Tackman e del signor Oberman.» Sintetizzò brevemente il caso, poi mi diede la parola.

Illustrai ampiamente le cause del mio cliente, riassumendo le dinamiche dell'accaduto: «...Dunque si può ben capire che il signor Tackman é stato istigato e obbligato a difendersi, compiendo azioni di cui nemmeno lui va fiero, ma che gli sono state necessarie.»

«Vostro Onore, ritengo improbabile che il signor Tackman fosse intenzionato solo a difendersi viste le lesioni riportate dal mio cliente.» Lauren mostrò il documento clinico del signor Oberman.

Si approssimò per fornirne una copia anche a me. I suoi occhi non solo mi trafissero, ma mi tennero intrappolata lì per secondi incessanti. Arpionai il foglio con uno strappo, inducendola a riprendere il discorso lontano da me.

«In più, la gravità dei danni riportati dal mio cliente rende improbabile, per non dire irrealistico, credere che il signor Tackman lo abbia colpito con un braccio rotto. Sono chiaramente fratture causate da un uomo in forza.» Che bastarda. Difendeva un lampante caso di criminalità pur di sottrarmi un attimo di gloria.

In fondo non era cambiata così tanto... ma nemmeno io. Scattai in piedi, sbattendo con un tonfo sordo il documento sul tavolo: «Obiezione, Vostro Onore! Queste sono congetture, ipotesi. Non si può basare un processo su delle fittizie.»

«Non sono ipotesi, Vostro Onore. Lo dice il dottore Friedman, l'uomo incaricato quella notte di assistere entrambi i pazienti. Viene esplicitamente sottolineato nel documento numero 23 che "le lesioni evidenziano la gravità dell'intento e la forza dell'azione".» Lèsse la corvina saccente. Serrai la mascella, pronta ad usare contro di lei tutto ciò che avevo in mio possesso.

«Queste parole non dichiarano proprio niente. Ogni uomo lotta per la sua sopravvivenza con ogni strale della sua vitalità. Non c'è in nessun modo alcun motivo di credere che il mio cliente abbia iniziato la baruffa quella notte, infatti...» Estrassi dalla cartella un'ulteriore prova cartacea, consegnandola a tutti. La feci scivolare sotto il naso di Lauren, invece di porgergliela, notando un sorriso impertinente sbocciarle. «Il test alcolemico del Signor Oberman risalente a quella stessa notte, evidenzia un'alterazione importante nelle normali attività fisiche e cognitive. E questo sì che é un fatto.» Puntualizzai, lanciando uno sguardo indisponente alla corvina che non si era ancora tolta il sorriso dalle labbra. Adesso io ero io e lei era lei senza alcun dubbio.

«Va bene, va bene.» Irruppe il giudice, sospirando. «Le prove non sono del tutto chiare e portano in due direzione diverse. Vi dò qualche mese di tempo per mettere in ordine le vostre idee. Aggiorniamo la seduta a settembre.» Il rintrono del martelletto non ammise confutazione.

Lauren rimase seduta, con la testa china. Io mi alzai in fretta, strinsi la mano ad Alex, trovandolo alquanto soddisfatto, e gli dissi di chiamarmi più avanti. Non badai ai suoi balbettìi; mi involai indefessa verso l'uscita. Dinah era stata già fatta accomodare fuori attraverso una porta secondaria, e io pensavo solamente a ricongiungermi con lei. Costringersi ad un solo pensiero significa averne avuti troppi da cui scappare, ma appena iniziai a correre, mi trovai più spaventata di prima. Potevo allontanare ciò che odiavo, ma non viverne senza.

Mentre raggiungevo l'uscita serpeggiando fra la ridda affluita da altre aule, una mano mi si strinse sul braccio, impedendomi di prendermi in giro; si può confondere un'idea, ma non si possano ingannare i brividi.

«Camila.» La voce roca della corvina mi ricordava tempi diversi, tempi in cui vederla come una nemica era l'unico problema col suo nome.

Mi voltai trattenendo il respiro e le mostrai un volto imperscrutabile: «Lauren.»

«Ciao.» Le sue iridi zampillavano su di me, ricostruendo un'immagine oltre il sussiego.

«Ciao.» Scossi impercettibilmente la testa, come chi non trova un motivo per trovarsi a parlare.

«Come stai?»

«Impegnata. Tu?» Non mentivo, almeno.

«Sto... bene.» Ci mise un secondo per concludere, quasi la risposta non fosse subitanea.

«Mi fa piacere. Scusami, ma devo...»

«Sei stata brava. Prima, intendo.» La velocità con cui mi interruppe mi diede da pensare. Inalai pazientemente e sorrisi; ci voleva molto poco per perdere tutto ciò che avevo ritrovato, a volte meno di un respiro.

«Grazie. Se non ti dispiace io...»

«Halsey ha ricevuto gli arresti domiciliari, lei... Insomma si é convinta a fare come dicevi tu.» Assottigliò l'ombra di un sorriso. Forse ero una stronza, ma non mi faceva sentire meglio per niente, anzi. Non si dovrebbe parlare degli angoli reconditi dell'animo quando si sta soffrendo, ci si scoprirebbe ineluttabilmente crudeli. La mia crudeltà non mi sorprendeva e neppure mi intimoriva, ma mi dava da riflettere.

«Sono contenta.» Dissi, infine feci un passo indietro, «Adesso devo...»

«Camila, tu mi odi?» Le sue non erano parole, erano frane da cui ruzzolava giù un monte intero. Si dovette render conto di essere stata troppo diretta perché aggiustò il tiro: «Voglio dire, sei ancora arrabbiata?»

Sostenni l'intensità del suo sguardo con difensiva freddezza. Non era una mia scelta privarmi delle emozioni quando quelle che avevo non trovavano un posto. Ero cresciuta così. Ed ero cresciuta così grazie a lei.

«Sai bene quanto possa continuare ad esserlo.» Dissi con tono asciutto, senza sorridere della mia verità ma neppure imbruttendola con un ghigno.

«Si, lo so.» Inspirò a pieni polmoni; aveva ancora tanti anni da di silenzio davanti a sé, non nascondeva le mancasse quasi la parola quando pensava di non avere più la mia. «Vorrei ci fosse un modo per far star meglio entrambe.» Mormorò timidamente, scuotendo appena la testa come se non credesse ai miracoli. Eppure l'aveva scelto lei, il male per tutte e due.

«C'è.» Ammisi perentoria, guadagnando la sua attenzione completa. «Stare lontano.» Abbassò lentamente gli occhi, mortificata.

Non so cosa cercasse ancora che la vita non le avesse restituito, ma guardava nel posto sbagliato: io ero l'unica cosa che non aveva avuto, perciò la sola a non poterle tornare indietro.

«In quello sei brava.» Sibilò rompendo un sorriso sopra il tremito della voce.

«Si, anche tu.» Se avesse voluto sapere che gusto aveva il sangue della mia ferita, quelle erano le uniche parole da cui dissetarsi. «Buon rientro a Chicago. Ci vediamo a settembre.» Girai i tacchi e mi allontanai.

C'era aria di tempesta nelle lacrime che ingoiavo. C'era aria di lotta nelle promesse non mantenute. C'era lotta e tempesta in un desiderio. E il mio stava per iniziare la prima e subire la seconda.

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